Truncare sas cadenascun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula. |
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« Emilio Lussu | Neride Rudas » |
Neride Rudas
Post n°889 pubblicato il 20 Gennaio 2017 da asu1000
romanzisardi ci appaiono come orfani e apparentati da questa orfanità. È questa unacondizione che sembra trascendere non soltanto il dato anagrafico, ma il sesso,l'età, lo stato sociale, le vicissitudini di vita, le vicende dell'esistenzaecc. Orfanio figli di una "nazione mancata", i personaggi della narrativa sardaavanzano nudi e dolenti alla perenne ricerca della propria nascita, delleproprie origini, della propria identità. Ecco perché vivono esiliati nellapropria terra, nostalgici di uno spazio e di un tempo che non sono maiesistiti. Per nascere ed esistere bisogna, infatti, confinarsi in una casa, chenon consiste nelle quattro mura di un edificio segnato in una mappa catastale,ma è un luogo originario e un tempo originario per i significati diappartenenza, sicurezza e identità che vi sono inerenti. Lefigure della narrativa sarda, pur specificamente connotate e pur esprimendo unforte desiderio di appartenenza, sembrano invece rimanere esiliate nella loroterra ed essere estranee alla propria casa1. Esse ci appaionoinconfondibilmente pervase da una sorta di coscienza nostalgica che ho definito"immobile". Lanostalgia, topos letterario dall'Odissea in poi, è un tema ricorrente nellaletteratura di molti popoli e Paesi. Il coinvolgimento nostalgico trovatuttavia nella narrativa sarda una particolare e incisiva valenza. Suun altro piano, d'altronde, negli emigrati sardi, particolarmente vulnerabilialla separazione e al distacco dalla propria terra, emersero insistite einvasive reazioni nostalgiche. Attanagliati dal sentimento nostalgico, dallacoscienza di un "altrove" estraneo, i sardi vissero un'inquietudineprofonda e una disperata tristezza che spesso sconfinò in quadri depressivi. Questaparticolare nostalgia pervade anche il romanzo sardo. È una nostalgia struggentee destruente e nel contempo "immobile". Sembra declinarsi eprescindere dalla dinamica che solitamente l'accompagna e la determina. In talsenso è una nostalgia senza viaggio. Nelromanzo sardo la perdita e la separazione e lo stesso viaggio sono mitici. Lapatria è perduta o ritenuta tale, non perché ci si è allontanati da casa;diventa irraggiungibile perché è proiettata in un mitico passato. È il nóstos auna condizione originaria, fuori della storia. Ilritorno è sempre a un continente sconosciuto, inconscio, a cui ogni approdo èpossibile. Qui l'accostamento all"`oggetto" kleiniano perduto sembratrovare una sua pregnante legittimazione. La"nostalgia immobile", quale tentativo di ritorno alle origini, conatodi raggiungere un "oggetto" irraggiungibile, si riconnette a un altrotema dominante della narrativa sarda: la caducità. L'interagamma del caduco, che si esprime nel sentimento dell'essere effimeri,dell'essere fuscelli in balia di forze indomabili e preponderanti, dell'essere"canne al vento" nel vortice estraneo ed estraniante della sorte edella storia è un Leitmotiv della letteratura sarda. Ilvissuto di essere perituri e insieme inutili, sviliti nel proprio valore e, perdi più, incapaci di gestirsi e dirigersi autonomamente, quindi in continuorischio di cadere in preda a forze incontrollabili e invincibili esterne, èprofondamente radicato nella nostra cultura e si riflette in molte nostreespressioni letterarie. L'hoesaminato particolarmente in Ceneredi Grazia Deledda, interpretandola alla luce del pensiero di Freud2. Lacaducità, che nell'ottica psicoanalitica è riconducibile al Thanatos, ha unaforza così distruttiva e annientante nella narrativa sarda da connotarepersino eventi definitivi come la nascita e la morte. IIvissuto dissolvente della caducità in Cenereè riferito alla nascita, mentre nel Giornodel giudizio di Salvatore Satta è riferito alla morte. Inentrambi i romanzi, pur diversi per trama, modalità espressive, linguaggio,stile narrativo ecc., la forza del caduco si afferma e si impone in una dimensioneviolenta e distruttiva. Cosìla nascita diviene "cenere" e la morte "effimera". C'è quiquasi l'ala di un delirio nichilistico, un cupiodissolvi, perentorio e oscuro, in cui si toccano i più profondi e desolaticonfini di una desertica landa depressiva3. Maanche la tensione visionaria, già richiamata, sembra collegarsi profondamenteai primi temi esaminati. È anch'essa una visionarietà "ferma", chenon si traduce in una spinta in avanti e non anima alcun sogno ditrasformazione e cambiamento, magari utopico. Il sogno rimane esso stessochiuso, sganciato da un orizzonte di possibilità future. Lafebbre visionaria sembra così più una risposta vitale agli attacchidistruttivi del Thanatos che unavettorialità propulsiva. La tensione visionaria perciò rimane, rispetto alladirezione dell'avanti, altrettantoferma di quella della nostalgia rispetto a quella dell'indietro. Entrambeci appaiono immobili. Tuttiquesti temi presenti e insistiti nel romanzo sardo parlano, a mio avviso, lostesso linguaggio. Essi ci dicono una grave sofferenza che può essere definitain senso lato depressiva. Possiamo,dunque, affermare che il romanzo sardo, dal punto di vista contenutistico, neesprime una sua forte e pregnante dimensione. Ilrapporto dello scrittore con la sua opera, il suo "attaccamento"tenace, irreversibile all'oggetto Sardegna, conferma una coscienzainfelice e minacciata del Sé, che si apre diffidente e insicura sul mondo. Questacoscienza riflette, in forme più o meno dirette, la cultura e la società in cuiil romanziere vive e opera. Lasofferenza che ha segnato l'esistenza individuale e collettiva dei sardi, comed'altronde emerge da valutazioni storiche e antropologiche, si è tuttaviaincanalata in una trasposizione creativa. Ha trovato cioè la forza dipercorrere la strada privilegiata della creatività e di tradursi in opere eforme letterarie e artistiche. Ildiscorso ritorna così ai suoi assunti iniziali e tende a concludersi. Magiunta a questa fase finale temo di aver sollevato più quesiti che offertorisposte. Nutro soprattutto il timore di aver ingenerato equivoci. Pertentare, sinteticamente, di dissiparli almeno in parte, desidero sottolinearealcuni importanti passaggi del discorso, che potrebbero essersi persi odispersi nel tessuto espositivo. Ilprimo concetto da ribadire è: non sostengo che per creare bisogna esseredepressi. Questa asserzione sarebbe ingenua e facilmente smentibile dallacomune osservazione che numerosi depressi non sono creativi e che molti di loropossono addirittura cessare di esserlo proprio a causa della forte inibizionedepressiva. D'altrondela maggioranza dei non depressi (i soggetti cosiddetti normali o comunque nonaffetti da evidenti patologie) non mostrano solitamente spiccate capacitàcreative. Lecose sono molto più complicate. Si può però certamente dire che tra depressionee creatività esiste un legame, una correlazione altamente significativa, cosìcome emerge da rigorosi dati di ricerca. Questacorrelazione, insieme a numerosi dati dell'esperienza clinica, ci autorizza apensare che soggetti, a gradi contenuti di depressione, possono superare leproprie ansie depressive e ribaltarle nell'opera d'arte. Coloroche vanno incontro a disturbi dell'umore sono d'altronde più inclini a sondaree interpretare il proprio mondo interno nel gioco delle luci e delle ombre dioscillazioni estreme dell'umore. Essi perciò, in certe e irripetibilicondizioni socio-culturali e ambientali, potrebbero più facilmente operarequella "sintesi magica" che porta alla produzione creativa. Analogicamentesi può ipotizzare, che a livello collettivo, gruppi e popoli, conquistandospecie dopo il buio di dolorose oppressioni, condizioni più favorevoli,divengano capaci di operare "sintesi magiche" e di produrre artisticamente. Ancheil gruppo sardo, dopo una lunga storia di isolamento e di dominazione,emancipandosi, seppure parzialmente, da un'emarginazione storica, sociale eculturale potrebbe essere stato spinto da una forte motivazione a emergere e atrovare compensazioni e riparazioni alle passate privazioni. Accedendoa una più ampia disponibilità di mezzi culturali e al confronto con altrigruppi e popoli, i sardi avrebbero potuto così imboccare la via dellaproduzione creativa. Potrebbero essere stati in ciò agevolati da un certodistacco dalle contingenze della vita e dall'abitudine a vivere in solitudine. D'altraparte l'isolamento, preservando dal totale dissolvimento una cultura originariaassediata, ha fatto sì che i sardi fossero portatori di valori, patternscognitivi e culturali e comportamentali propri, sebbene "residuali". Entrandoin contatto con quelli della cultura italiana, avrebbero disposto di schemicognitivi, non appiattiti conformisticamente sullo schema dominante, e perciòsarebbero stati stimolati a trovare soluzioni "divergenti" e,quindi, creative. Laloro creatività, che si è sinora espressa in condizioni dolorose e difficili,pone problemi e quesiti che si prospettano nell'avvenire. Fondamentaleimportanza riveste la necessità di individuare e incrementare i già presentifattori favorenti la creatività della nostra cultura e della nostra società. Intal modo la nostra creatività, se convenientemente sostenuta e agevolata,potrebbe dare in futuro straordinari frutti. Maper ottenere questi risultati bisogna impegnarsi in un grande sforzocollettivo, in un serio, profondo e rigoroso progetto culturale. Allorala “misteriosa” creatività dei sardi, di cui ho tentato di illuminare la faccianascosta, si potrà dispiegare più potente e libera”.
Note(presenti nel testo) 1.Aquilino Cannas intitola emblematicamente un suo prezioso libro di poesiededicato alla Sardegna con le parole dell'esilio nella propria patria. Cfr. Disterruin terra (La saga dei vinti), TIAM, Cagliari, 1993. 2.Ho interpretato Cenere, famoso romanzo di Grazia Deledda, secondo l'otticafreudiana della caducità. Cfr. S. Freud, Caducità (1916), in Opere, cit.,vol. VIII. Cfr. infra, cap. 5, in particolare il par. 53. 3.In alcune forme gravi di melanconia il malato può manifestare idee che arrivanoa negare l'esistenza del proprio corpo, del mondo, del tempo e della stessamorte. Le idee di negazione possono organizzarsi in un delirio nichilistico o"Sindrome di Cotard". |
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Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).
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