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cun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula.

 

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Messaggi di Giugno 2014

Sa Batalla de Seddori de Frantziscu Casula

Post n°801 pubblicato il 29 Giugno 2014 da asu1000

SA BATALLA DI SANLURI DEL 30 GIUGNO 1409

di Francesco Casula

Domani  30 giugno ricorre il 605° anniversario di Sa Batalla  di Sanluri: forse la data più infausta dell’intera storia della Sardegna perché segnò l’inizio della fine della indipendenza e della libertà dei Sardi e della Sardegna. Una fine comunque tutt’altro che tutt’altro che scontata ed ineluttabile. Infatti con l’ultimo Marchese di Oristano, Leonardo d’Alagon,  (dal 1470 al 1478) sarà ancora scossa e attraversata da momenti di dissenso e di ribellioni nei confronti dei catalano-aragonesi, culminati in opposizione armata prima con la battaglia di Uras (1470) e infine con la sfortunata e definitiva sconfitta di Macomer (1478).

Una data infausta insieme al 238 a.C. che segnò l’inizio dell’occupazione e del brutale dominio romano; al 1297, quando il papa Bonifacio VII, con la Bolla Licentia invadendi, infeudò del regno di Sardegna e Corsica, appositamente e arbitrariamente inventato, Giacomo II d’Aragona, invitandolo di fatto a invadere e occupare militarmente le Isole, cosa che puntualmente avverrà, almeno  per la Sardegna; al  1820, quando furono emanati gli Editti delle Chiudende, che posero fine al millenario uso comunitario delle terre da parte di tutto il popolo, usurpate dai nuovi proprietari, in un ciclonico turbinio di inaudite illegalità, sopraffazioni e violenze; al 1847, quando con la Fusione perfetta, la Sardegna fu privata del suo Parlamento.

Il 30 giugno 1409 infatti presso Sanluri, si scontrarono l'esercito siculo-catalano-aragonese, guidato da Martino il giovane, Re di Sicilia e Infante di Aragona, e l'esercito sardo-giudicale, al comando di Guglielmo III visconte di Narbona, ultimo giudice-re del Giudicato d'Arborea, che fu battuto e disfatto in quella atroce battaglia. Finiva così la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna che,  dopo cruente battaglie i Sardi-Arborensi, prima con Mariano IV e poi con la figlia Eleonora, erano riusciti ad affermare, prevalendo sui Catalano-Aragonesi e dunque riuscendo di fatto a ottenere il controllo su tutto il territorio sardo e coronando in tal modo il sogno, di unificare l’intera nazione sarda.

Il regno d’Arborea infatti dal 1392 al 1409 comprenderà l’intera Isola, eccezion fatta per Castel di Cagliari e di Alghero: Isola governata e gestita sulla base di quella moderna e avanzata Costituzione che fu la Carta de Logu, che promulgata dalla stessa regina Eleonora, rimase in vigore per ben 435 anni, fino al 1827, quando entrò in vigore il Codice feliciano.

Ma ritorniamo alla battaglia di Sanluri: lo scontro finale cominciò all’alba di Domenica 30 Giugno del 1409, (al alva de Domingo del mes de Junio: così infatti scrive negli Anales della Corona d’Aragona lo storico aragonese Geronimo Zurita); quando l’esercito siculo-catalano-aragonese, lasciato l’accampamento cominciò ad avanzare ordinatamente (con horden) fino a un miglio a sud est di Sanluri (Sent Luri).

Davanti stava Pietro Torrelles (en la avanguardia Pedro de Torrellas), il capitano generale,  con mille militi e quattromila soldati (con mil hombres de armas, y quatro mil soldados),  mentre il re Martino il Giovane, più indietro guidava la cavalleria e il resto formava la retroguardia. A loro si contrapponeva, sbucando improvvisamente da dietro un poggio, appena a Oriente di Sanluri e chiamato ancora oggi Bruncu de sa Batalla,  l’esercito giudicale comandato dal re arborense Guglielmo di Narbona-Bas con i fanti e i cavalieri (con toda la gente de cavallo, y de pie), nascosti dietro una collina. Quanto durò esattamente la battaglia non ci è dato di sapere, Geronimo Zurita parla genericamente di “por buen espacio”.

Certamente fu dura e accanita. E, purtroppo, perdente per i Sardi. La tattica degli Aragonesi infatti, il cui esercito assunse una formazione a cuneo, sfondò il fronte delle forze sardo-arborensi che investite al centro, fu diviso in due tronconi. La parte sinistra si divise a sua volta in due parti: la prima ripiegò a Sanluri dove trovò rifugio nel borgo fortificato e nel castello di Eleonora; le mura però non resistettero all'assalto e le forze aragonesi irruppero massacrando a fil di spada gran parte della popolazione civile, senza distinzione di sesso e di età, mentre 300 donne furono fatte prigioniere. La seconda parte, guidata dal re  Guglielmo III, si rifugiò nel castello di Monreale, a poche miglia di distanza, senza che gli Aragonesi riuscissero a inseguirli. Così: “el Vizconde con los que escaparon huiendo de la batalla, al castillo de Monreal” si salvò.

Morirono invece sul campo ben cinquemila Sardi (y murieron en el campo hasta cinco mil) mentre quattromila furono catturati: sempre secondo i dati di fonte storica aragonese e dunque da prendere prudentemente, cum grano salis. Di contro solo pochissimi nobili iberici persero la vita ((Murieron en esta batalla de la
Parte del Rey muy pocos, y los mas senalados fueron, el vizconde de Orta, don Pedro Galceran de Pinos, y mossen Ivan de Vilacausa).
Le fonti aragonesi non riportano alcun dato sui soldati semplici: evidentemente contano poco o, niente.

La località, una collinetta subito dopo il bivio “Villa Santa” guardando verso Furtei,

dove avvenne una vera e propria strage conserva ancora oggi, in lingua sarda, un nome sinistro e tristo: Su occidroxiu. Ovvero il mattatoio: dove insieme a migliaia di sardi fu “macellata”  non solo la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna ma la stessa libertà dei Sardi.

Ci sarebbe, a fronte di tutto ciò, da chiedersi cosa ci sia da “celebrare” in occasione della ricorrenza del 30 Giugno prossimo, segnatamente a Sanluri, come da anni avviene. Da celebrare niente. Molto invece da rievocare per conoscere la nostra storia: nelle sconfitte come nelle vittorie. Per conoscere il nostro passato, per troppo tempo sepolto, nascosto e rimosso: dissotterrandolo. Perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza e della smemoratezza.

Proite unu populu chi non connoschet s’istoria sua, su tempus colau, non tenet ne oje nen cras.

 

 

 

 
 
 

LA TRUFFA SEMANTICA di Francesco Casula

Post n°799 pubblicato il 25 Giugno 2014 da asu1000

 

La manomissione delle parole e la truffa semantica

di Francesco Casula

Gianrico Carofiglio,ex magistrato ed ex senatore ed oggi scrittore e romanziere di successo, nel 2010 ha scritto un saggio-panflet su “La manomissione delle parole” (Rizzoli editore). In esso analizza e denuncia il logoramento e la perdita di senso del lessico, viepiù utilizzato in modo sciatto..

Io direi di più: siamo ormai di fronte a una vera e propria truffa semantica con cui –soprattutto da parte della “lingua” del potere e della sopraffazione, segnatamente dei politici, giornalisti e in genere dei media –  deliberatamente  si mistifica e si falsifica la realtà, stravolgendo il senso e il significato delle “parole”, sempre meno aderenti alle “cose”.

Evidentemente chiamare le “cose” con il loro “nome” è – per il Potere – pericoloso. Ecco perché è urgente – e rivoluzionario – ripensare il linguaggio.

Faccio solo due esempi con una breve premessa.

Nella politica odierna tende sempre più a dominare un uso più consolidato e più spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, di tecniche più sofisticate di psicologia di massa, di linguaggio, di controllo dell’informazione, di sondaggi. In essa attraverso tali tecniche e linguaggi, Partiti, uomini politici e programmi vengono “venduti”, prescindendo dai contenuti: quello che conta, che si valorizza – come in tutte le operazioni di marketing – è l’involucro, la confezione, l’immagine, il look. Per essere più “appetibili” e dunque conquistare il consenso, con messaggi semplificati e un lessico suadente si stravolge così il senso delle parole, truffando l’opinione pubblica.

1. E’ il caso del termine “Riforme”, foriere di magnifiche e progressive sorti e del “Nuovo”, contrapposto al “vecchio” del passato. E dunque da rottamare.

Così viene presentata la Riforma Fornero sulle pensioni: in realtà un vero e proprio scempio, con cui si prendono a roncolate i diritti dei lavoratori, facendoli precipitare in un rovinoso precariato senza fine.

Così viene presentata la nuova Riforma elettorale, che fa strame del diritto di rappresentanza e stravolge il verdetto popolare assegnando al Partito “vincitore” un premio spropositato di maggioranza che fa impallidire persino la “Riforma” fascista di Acerbo del 1923.

E il “Nuovo”? Altra falsità e mistificazione: viene gabbato come tale – ma è solo un esempio – il sistema elettorale uninominale, in vigore negli anni scorsi (e oggi ancora preferito dal Pd di Renzi e “scartato” solo perché sgradito a Berlusconi). Ma quale nuovo? Il sistema uninominale e maggioritario è in realtà un vecchio arnese dell’Italia prefascista, uno dei principali strumenti di potere del Partito liberale di allora, dato che i suoi esponenti, in genere appartenenti alle élites locali, riuscivano a raccogliere senza troppe difficoltà – grazie anche a rapporti personali, di amicizia e di clientele – l’appoggio di un esiguo manipolo di elettori.

Con l’introduzione del suffragio universale (maschile) nel 1913 e del sistema elettorale proporzionale nel 1919, il vecchio sistema politico finì gambe all’aria e si affermarono proprio quei grandi Partiti democratici e di massa, quello Socialista e quello Popolare, che si erano battuti contro il Partito dei notabili,  delle clientele, della corruzione e della malavita e dunque, contro il sistema uninominale e maggioritario che lo favoriva.

Tutto ciò è stato dimenticato e non si conosce la storia?

2. E’ il caso del termine “Populismo”. Populista è diventato ormai un termine denigratorio, al limite dell’insulto e della contumelia. Ebbene, si tratta dello stravolgimento e della falsificazione della storia e della realtà prima ancora che del significato lessicale. Il Populismo è stato ben altro. Fu fondato dal grande intellettuale russo Aleksandr Herzen nella metà dell’800, come movimento politico-culturale mirante alla emancipazione e liberazione delle masse contadine dal feudalesimo e dall’oppressione autocratica zarista e alla creazione di una società socialista. Perché scriveva Herzen alla base della vita del popolo russo c’è la comunità rurale con la ripartizione dei campi, col possesso comunista della terra, con le amministrazioni elettive, con l’uguaglianza giuridica di ogni lavoratore.

Mi chiedo cosa c’entri con tutto ciò “il populismo” con cui politici di bassa o mediocre “taglia” e giornalisti pisciatinteris, (sempre pronti a salire sul carro (o tir) dei nuovi Cesari), apostrofano chi si oppone o comunque non vuole rassegnarsi alla miseria del presente e alla restaurazione neoautoritaria in atto.    

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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Un blog di: asu1000
Data di creazione: 12/06/2007
 

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Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.

Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).

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