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Messaggi di Ottobre 2014

DE POESIA SARDA di Francesco Casula

Post n°807 pubblicato il 27 Ottobre 2014 da asu1000

Mercoledì 29 ottobre prossimo, all'Università della Terza Età di Quartu (ore 16, Aula Magna, Viale Colombo 169) nel Corso di “LINGUA E LETTERATURA SARDA” parlerò della poesia sarda,  come poesia orale. Come canto e musica. Per ballare.

De Poesiā sarda

di Francesco Casula

1. la poesia orale, come canto.

La lingua sarda, la nostra lingua materna, è  soprattutto senso, suoni, musica. Lingua di vocali. Dunque corporale e fisica e insieme aerea, leggera e impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua, sono il nesso fra la lingua e il canto; fra la poesia, i numeri della musica, il ritmo e il ballo.

Tanto che, storicamente, i confini fra poesia e musica e danza, sono sempre stati labili e sfumati a tal punto che gli antichi poeti – gli aedi greci per esempio – non scrivevano poesie ma le cantavano, accompagnandosi con la lira: non a caso nasce il termine “lirica” e aoidòs in greco significa “cantore”.

Ma “cantano” anche Dante e Petrarca, Ariosto e Tasso e Leopardi. E i “cantadores” sardi, soprattutto gli improvvisatori.  Anzi questi cantano e basta:non scrivono la poesia. E non solo perché spesso non sanno scrivere ma perché la poesia nasce come canto, come musica non come testo scritto da leggere. E’ curioso l’esempio di Diego Mele, uno dei più grandi e significativi poeti satirici in lingua sarda, le cui canzoni popolari, erano, come lo sono ora in bocca di tutti  - annoterà Giovanni Spano, archeologo nonché storico e studioso della lingua -  ma non erano ancora scritte. Anzi le sue poesie per decenni circolano solo oralmente e solo un anno prima della morte accetta di dettarle al figlioccio, Pietro Meloni Satta nel 1860.

2. la poesia come canto e musica. Per ballare.

I grandi poeti in limba sarda i versi sembrano carezzarli e coccolare tessendoli così abilmente, che spesso essi si risolvono nel terso nitore della parola, nel giro musicale della frase, nella misura metrica di ritmi sapientemente scanditi e guidati da un orecchio musicale che riesce a ordire, con acuta selezione di lessemi, aggettivi e fonemi, fini ricami di immagini potenti e di metafore ardite.

Essi cantano con quella lingua materna che riassume la fisionomia, il timbro, l’energia inventiva, la cultura, la civiltà peculiare del nostro popolo. Una lingua – il Sardo – che è insieme memoria e universo di saperi e di suoni. Che sottende – talvolta in modo nascosto e subliminale – senso e insieme oltresenso, musica, ritmo e ballo. Segnatamente il ballo tondo: momento magico in cui l’intera comunità, tott’umpare, si pesat a ballare, si muove in cerchio. E con questo esprime una molteplicità di segni, significati, simboli e riti: l’armonia dell’universo, il movimento dell’acqua e del fuoco, il Nuraghe. E con esso tutta la civiltà e la cultura nuragica che evoca e richiama: la democrazia federalista e comunitaria, il rifiuto del capo, del gerarca, del sovrano – la Sardegna è sempre stata acefala la difesa intransigente dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni singola comunità, di ogni singolo villaggio.

 

3. la lingua  materna ricca, libera  e pregante,

Quella lingua che è soprattutto espressione della nostra civiltà e della nostra storia dunque ma nel contempo, strumento per difendere e sviluppare la nostra identità e la nostra coscienza di popolo e di nazione. Una lingua, i cui lemmi che la compongono, infatti, prima di essere un suono sono stati oggetti, oggetti che hanno creato una civiltà, oggetti che hanno creato storia, lavoro, tradizioni, letteratura, cultura. E la cultura è data dal battesimo dell’oggetto.

Quella lingua che è ancora libera, popolana, vera, indipendente, ricca: istinto e fantasia, passione e sentimento. A fronte delle lingue imperiali, viepiù fredde, commerciali e burocratiche, viepiù liquide e gergali,invertebrate e povere, al limite dell’afasia: certo indossano cravatta e livrea ma rischiano di essere solo dei manichini. Come la stessa lingua italiana “senza i calli dei dialetti di origine. Perché essa certo deriva dal latino ma soprattutto da un’Amazzonia di dialetti, da un bacino alluvionale di parlate locali arroccate in centinaia di borghi, suddivise in millesimi di sfumature, dialetti rimasti inespugnabili per secoli. L’Italiano sta a valle di innumerevoli affluenti, indipendenti e fieri del loro vocabolario, dell’accento irrepetibile da chi non ci è nato” (Erri De Luca). Senza questa ricchezza l’Italiano si estingue o comunque deperisce.

Una lingua, quella sarda che – se insegnata con intelligenza nelle Scuole di ogni ordine e grado – potrebbe servire persino per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo “analfabetismo di ritorno“, viepiù trionfante, a livello comunicativo e lessicale, lo “status linguistico”. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero e banale. Tanto che qualche studioso sostiene la tesi dei giovani “semiparlanti”: che non conoscono più la lingua sarda  e parlano (e scrivono) un italiano frammentario, disorganizzato, improprio, gergale; la cui parola dice di sé solo le accezioni selezionate dal Piccolo Palazzi: senza metafore, senza natura,senza storia, senza vita.

 

4. la lingua sarda: segno e simbolo dell’appartenenza e dell’identità

Quella lingua che è soprattutto valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante, il segno più evidente dell’appartenenza e delle radici che dominatori di ogni risma e zenìa hanno cercato di recidere.

Ma nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, censurato e falsificato, si tratta prima di tutto di ricostruirlo, di dissotterrarlo, di conoscerlo e in qualche modo, anche di inverarlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza e della smemoratezza.

 

5. Cos’è la poesia per Montanaru 

 

It’est sa poesia?… Est sa lontana

bell’immagine bida e non toccada,

unu vanu disizu, una mirada,

unu ragiu ’e sole a sa fentana,

………………………………….

Unu sonu improvisu de campana,

sas armonias d’una serenada

o sa oghe penosa e disperada

de su entu tirende a tramuntana.

……………………………….

It’est sa poesia?… Su dolore,

sa gioia, su tribagliu, s’isperu,

sa oghe de su entu e de su mare.

………………………………..

Sa poesia est tottu, si s’amore

nos animat cudd’impetu sinceru,

e nos faghet cun s’anima cantare.    (Montanaru)

 

 

 

 

 
 
 

MONTANARU E LA LINGUA SARDA di Francesco Casula

Post n°806 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da asu1000

 

MONTANARU E LA LINGUA SARDA

di Francesco Casula

Sabato 11 ottobre a Norbello (ore 18, Sala del Consiglio comunale) organizzato da Comune, dall’Ufficio della lingua sarda e dalla Biblioteca comunale si è svolto il Convegno:

Una die pro amentare a Montanaru.

Una parte della mia relazione l’ho dedicata a “Montanaru e la lingua sarda”

 

Antioco Casula-Montanaru, al di là della sua funzione letteraria e poetica vede, nella lingua sarda, anche una funzione civile, educativa e didattica. Ecco cosa scrive nel suo Diario: “…il diffondere l’uso della lingua sarda in tutte le scuole di ogni ordine e grado non è per gli educatori sardi soltanto una necessità psicologica alla quale nessuno può sottrarsi, ma è il solo modo di essere Sardi, di essere cioè quello che veramente siamo per conservare e difendere la personalità del nostro popolo. E se tutti fossimo in questa disposizione di idee e di propositi ci faremmo rispettare più di quanto non ci rispettino” .

E ancora: “Spetta a noi maestri in primo luogo di richiamare gli scolari alla conoscenza del mondo che li circonda usando la lingua materna” .

Si tratta – come ognuno può vedere di una posizione avveduta, sul piano didattico, culturale ed educativo e moderna. Oggi infatti  linguisti e glottologi come tutti gli studiosi delle scienze sociali: psicologi e pedagogisti, antropologi e psicanalisti e persino psichiatri sono unanimemente concordi nel sostenere l’importanza della lingua materna: per intanto per lo sviluppo equilibrato dei bambini. Secondo gli studiosi infatti il Bilinguismo, praticato fin da bambini, sviluppa l’intelligenza e costituisce un vantaggio intellettuale non sostituibile con l’insegnamento in età scolare di una seconda lingua, ad esempio l’inglese. Nell’apprendimento bilingue entrano in gioco fattori di carattere psico- linguistico di grande portata formativa, messi in evidenza da appropriati e rigorosi studi e ricerche. Tutto ciò, soprattutto con il Bilinguismo a base etnica.

Lingua materna che significa identità, e l’Identità come lingua si fa parola e la parola si fa scrittura che chiama i sardi all’unione, non solo con il sentimento ma con l’autocoscienza:quello di appartenere alla stessa terra-madre. “Per difendere – dice Montanaru –  la personalità del nostro popolo”

Un’identità mai del tutto compiuta e conclusa, ma da completare in continuum, attingendo alle peculiari risorse spirituali, morali e materiali della tradizione, purgandole delle scorie inutili o addirittura maligne: e ciò non può però significare un incantamento romantico del passato, una sterile contemplazione per ridursi e rispecchiarsi in se stessi o per chiudersi nelle riserve

Una lingua che non resta dunque immobile – come del resto l’identità di un popolo – come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si “costruisce“ e si “ricostruisce” dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue. Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale: come già sosteneva Gramsci.

In tal modo la lingua, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni.

E comunque in quanto strumento di comunicazione è capace di esprimere tutto l’universo culturale, compreso il messaggio politico, scientifico, e non solo dunque – come purtroppo ancora  oggi molti pensano e sostengono – contos de foghile!

Ma la posizione di Montanaru in merito alla lingua sarda emerge ancor più nella polemica che ebbe con tale Anchisi. Nel 1933 il poeta desulese pubblicò Sos cantos de sa solitudine che riscosse un buon successo. Nacque ben presto una pesante polemica con Gino Anchisi, giornalista collaboratore dell’Unione Sarda, il quale dopo aver sostenuto che, bravo com'era, Casula doveva scrivere in italiano anziché in sardo, al mancato assenso del poeta richiese il rispetto della legge che imponeva l'uso esclusivo della lingua italiana; Anchisi ottenne perciò la censura di Casula dai giornali isolani, lasciando peraltro apparire che il poeta non avesse risposto. Aveva invece risposto, sostenendo che il risveglio culturale della Sardegna poteva nascere solo dal recupero della madre lingua.

Nella replica Montanaru farà infatti, in merito al Sardo, una serie di osservazioni estremamente interessanti e in qualche modo profetiche: ricorderà infatti che “la lingua dei padri” sarebbe diventata la “lingua nazionale dei Sardi” perché “non si spegnerà mai nella nostra coscienza il convincimento che ci vuole appartenere a una etnia auctotona”. L’interesse di queste affermazioni è duplice: da una parte auspica, prevede e desidera una sorta di “lingua sarda nazionale unitaria”, dall’altra ancòra la stessa all’etnia auctotona sarda. Si tratta di posizioni, culturali, linguistiche e politiche estremamente attuali che saranno sviluppate negli anni ’70 dall’algherese Antonio Simon Mossa, il teorico dell’indipendentismo-federalismo moderno.

 

 
 
 

ma Montanaru era fascista?

Post n°805 pubblicato il 08 Ottobre 2014 da asu1000

 

 

MA MONTANARU ERA FASCISTA? di Francesco Casula

Posted on 6 ottobre 2014

 

MA MONTANARU ERA FASCISTA?

di Francesco Casula

 Sabato 11 ottobre prossimo a Norbello (ore 18, Sala del Consiglio comunale) organizzato da Comune, dall'Ufficio della lingua sarda e dalla Biblioteca comunale si terrà il Convegno:

Una die pro amentare a Montanaru.

Una parte della mia relazione la dedicherò per chiarire la vexata Quaestio sul "Fascismo" di Montanaru. 

I denigratori e i malevoli accusano Montanaru di essere stato fascista. A parte che uno scrittore o un poeta deve essere valutato per le sue qualità letterarie ed estetiche e non la sua appartenenza politica: altrimenti dovremmo - ma è solo un esempio - sottovalutare Pirandello che aderì e si iscrisse al fascismo e proprio nel momento (19 settembre 1924) in cui il regime iniziava a mostrare il suo volto più odioso (con l'assassinio di Matteotti). E non mi consta che nessuno dei critici di Montanaru si scagli contro Pirandello. A parte questa osservazione dunque occorre chiarire fino in fondo il "fascismo" di Antioco Casula.

E' vero nei primi anni del fascismo vi aderì. Occorre però conoscere il clima, la temperie culturale e politica di quegli anni in Sardegna in cui il fascismo tentò di presentarsi con un suo volto "sardista" tanto che corteggiò insistentemente il Movimento dei combattenti e lo stesso Partito sardo e una parte del suo gruppo dirigente vi aderì: ad iniziare da Egidio Pilia, che diventò l'uomo forte del fascismo nell'Isola e la cui ambizione fu quella, neanche tanto nascosta, di sardizzare il Fascismo: attuare attraverso la copertura fascista, i programmi del Sardismo. I sardo-fascisti (espressione ironica che i fascisti della prima ora affibbiarono ai nuovi fascisti di estrazione sardista) ripresero alcuni cardini di politica economica che il Sardismo aveva ereditato soprattutto da Attilio Deffenu: la formazione di cooperative di produttori del settore caseario che mise fine al monopolio degli industriali del settore (provenienti per la quasi totalità dalla penisola) e così, nelle intenzioni del Pili, sarebbero dovute realizzarsi le cooperative agricole, col supporto di Casse Comunali di Credito Agrario, che sarebbero dovute nascere e svilupparsi in modo capillare in ogni centro dell'isola. L'apice del successo del cosiddetto sardo-fascismo si ebbe con lo stanziamento da parte del governo, di un miliardo di lire da spendere in opere pubbliche.

A ciò occorre aggiungere che proprio nel periodo iniziale del Fascismo (negli anni 1922-1924 in cui Montanaru aderì) il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, alle dirette dipendenze dell'allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, come direttore generale dell'Istruzione primaria e popolare, provvide alla stesura dei programmi ministeriali per le scuole elementari o primarie, prevedendo fra le altre anche l'uso delle lingue regionali nei testi didattici per le scuole con il programma Dal dialetto alla lingua,nel rispetto delle differenze storiche degli italiani e per facilitare l'apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari, partendo dalla lingua viva. L'inserimento del sardo a scuola era proprio l'obiettivo per cui il maestro Montanaru di batteva, essendo convinto assertore del valore della lingua sarda e dell'importanza del suo insegnamento nelle scuole.

Questa ventata liberalizzatrice di lingua e cultura locale durò pochissimo: con il consolidarsi del regime fascista nel 1924, specie dopo l'assassinio di Matteotti, prevalse l'enfasi unificatrice, omologatrice e livellatrice tanto che fu avviata un'azione repressiva nei confronti degli alloglotti e, per quanto ci riguarda, della lingua e cultura sarda: fu vietato non solo  l'uso della lingua sarda ma le stesse gare poetiche estemporanee. Anzi, il Fascismo ben presto, ad iniziare dagli anni trenta, imboccata la strada dell'imperialismo e dell'autarchia, tenterà di cancellare il concetto stesso di civiltà regionale e di regione e abolirà l'uso del Sardo, in nome dell'italianità, minacciata a suo dire da tutto quanto era "locale".

Così Montanaru non solo si allontana ma inizia ad essere perseguitato e finirà addirittura in prigione. E' lui stesso a descriverlo nel suo Diario:

"La sera del giorno 16 dicembre 1927, uscito da scuola, mi avviai lungo la strada a fare due passi nonostante il tempo fosse pessimo: Mi venne incontro un appuntato dei carabinieri che mi pregò di avvicinarmi in caserma, dove io andai tranquillo come chi ha la coscienza a posto. Oltre al commissario sunnominato ci trovai un delegato di pubblica sicurezza, venuto da Nuoro, circondato dai carabinieri e agenti in borghese. Mi venne dato il fermo per ordine del Prefetto e fui tradotto a Nuoro senza che i miei sapessero nulla. Ero già proposto per il confino e sarei dovuto andare a Lampedusa. Ma questo sembrò poco ai miei persecutori che pensarono di intentarmi un processo con ben quaranta capi di accusa. Questo gesto criminoso fu la mia salvezza. Affidato ai magistrati ordinari, dopo un'istruttoria minuziosa ma sollecita, fui prosciolto da ogni accusa con una luminosa sentenza affermante che i fatti non sussistevano. Ben novanta giorni durò questa mia odissea. Che produsse dolorose rime che uscirono a brani come singhiozzi".

Fra i capi d'accusa quello che sarebbe amico di latitanti e banditi del Gennargentu. Il motivo vero era che il regime non poteva sopportare uno spirito libero come Montanaru, impegnato per di più nella battaglia per la lingua e la cultura sarda, assolutamente osteggiate dal regime. E così continuerà a perseguitarlo e penderà su di lui, per anni e anni, la minaccia continua del confino.Questa la verità storica: tutto l'altro è paccottiglia anti Montanaru.

 

 

 
 
 

Montanaru

Post n°804 pubblicato il 08 Ottobre 2014 da asu1000

 

 

MONTANARU E LA LINGUA SARDA

di Francesco Casula

Sabato 11 ottobre prossimo a Norbello (ore 18, Sala del Consiglio comunale) organizzato da Comune, dall'Ufficio della lingua sarda e dalla Biblioteca comunale si terrà il Convegno:

Una die pro amentare a Montanaru.

Una parte della mia relazione la dedicherò a "Montanaru e la lingua sarda"

 

Antioco Casula-Montanaru, al di là della sua funzione letteraria e poetica vede, nella lingua sarda, anche una funzione civile, educativa e didattica. Ecco cosa scrive nel suo Diario: "...il diffondere l'uso della lingua sarda in tutte le scuole di ogni ordine e grado non è per gli educatori sardi soltanto una necessità psicologica alla quale nessuno può sottrarsi, ma è il solo modo di essere Sardi, di essere cioè quello che veramente siamo per conservare e difendere la personalità del nostro popolo. E se tutti fossimo in questa disposizione di idee e di propositi ci faremmo rispettare più di quanto non ci rispettino".

E ancora: "Spetta a noi maestri in primo luogo di richiamare gli scolari alla conoscenza del mondo che li circonda usando la lingua materna".

Si tratta - come ognuno può vedere - di una posizione avveduta, sul piano didattico, culturale ed educativo e moderna. Oggi infatti  linguisti e glottologi come tutti gli studiosi delle scienze sociali: psicologi e pedagogisti, antropologi e psicanalisti e persino psichiatri sono unanimemente concordi nel sostenere l'importanza della lingua materna: per intanto per lo sviluppo equilibrato dei bambini. Secondo gli studiosi infatti il Bilinguismo, praticato fin da bambini, sviluppa l'intelligenza e costituisce un vantaggio intellettuale non sostituibile con l'insegnamento in età scolare di una seconda lingua, ad esempio l'inglese. Nell'apprendimento bilingue entrano in gioco fattori di carattere psico- linguistico di grande portata formativa, messi in evidenza da appropriati e rigorosi studi e ricerche. Tutto ciò, soprattutto con il Bilinguismo a base etnica.

Lingua materna che significa identità, e l'Identità come lingua si fa parola e la parola si fa scrittura che chiama i sardi all'unione, non solo con il sentimento ma con l'autocoscienza:quello di appartenere alla stessa terra-madre. "Per difendere - dice Montanaru -  la personalità del nostro popolo"

Un'identità mai del tutto compiuta e conclusa, ma da completare in continuum, attingendo alle peculiari risorse spirituali, morali e materiali della tradizione, purgandole delle scorie inutili o addirittura maligne: e ciò non può però significare un incantamento romantico del passato, una sterile contemplazione per ridursi e rispecchiarsi in se stessi o per chiudersi nelle riserve

Una lingua che non resta dunque immobile - come del resto l'identità di un popolo - come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si "costruisce" e si "ricostruisce" dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue. Per questo concresce all'agglutinarsi della vita culturale e sociale: come già sosteneva Gramsci.

In tal modo la lingua, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni.

E comunque in quanto strumento di comunicazione è capace di esprimere tutto l'universo culturale, compreso il messaggio politico, scientifico, e non solo dunque - come purtroppo ancora  oggi molti pensano e sostengono - contos de foghile!

Ma la posizione di Montanaru in merito alla lingua sarda emerge ancor più nella polemica che ebbe con tale Anchisi. Nel 1933 il poeta desulese pubblicò Sos cantos de sa solitudine che riscosse un buon successo. Nacque ben presto una pesante polemica con Gino Anchisi, giornalista collaboratore dell'Unione Sarda, il quale dopo aver sostenuto che, bravo com'era, Casula doveva scrivere in italiano anziché in sardo, al mancato assenso del poeta richiese il rispetto della legge che imponeva l'uso esclusivo della lingua italiana; Anchisi ottenne perciò la censura di Casula dai giornali isolani, lasciando peraltro apparire che il poeta non avesse risposto. Aveva invece risposto, sostenendo che il risveglio culturale della Sardegna poteva nascere solo dal recupero della madre lingua.

Nella replica Montanaru farà infatti, in merito al Sardo, una serie di osservazioni estremamente interessanti e in qualche modo profetiche: ricorderà infatti che "la lingua dei padri" sarebbe diventata la "lingua nazionale dei Sardi" perché "non si spegnerà mai nella nostra coscienza il convincimento che ci vuole appartenere a una etnia auctotona". L'interesse di queste affermazioni è duplice: da una parte auspica, prevede e desidera una sorta di "lingua sarda nazionale unitaria", dall'altra ancòra la stessa all'etnia auctotona sarda. Si tratta di posizioni, culturali, linguistiche e politiche estremamente attuali che saranno sviluppate negli anni '70 dall'algherese Antonio Simon Mossa, il teorico dell'indipendentismo-federalismo moderno.

 

 

 
 
 
 
 

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Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.

Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).

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