Truncare sas cadenas

cun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula.

 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Marzo 2015 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30 31          
 
 

FACEBOOK

 
 

I MIEI BLOG AMICI

Citazioni nei Blog Amici: 5
 

GUSANA

 

GUSANA

 

UN'ISPANTUUUUUU

 

GENNARGENTU

 

Messaggi di Marzo 2015

7°congresso nazionale css

Post n°821 pubblicato il 26 Marzo 2015 da asu1000

 

 

Il messaggio (in lingua sarda) dello scrittore Bachisio Bandinu al 7° Congresso nazionale della Confederazione sindacale sarda

Posted on 26 marzo 2015

 

 

Il messaggio di Bachisio Bandinu al Congresso della CSS.

Bachisio Bandinu ha scritto questo messaggio al 7° Congresso della Confederazione sindacale sarda (CSS) tenutosi domenica 22 marzo a Cagliari. 

De pessone e comente Presidente de sa Fondazione Sardinia, apo su piaghere de fachere augurios mannos a sa CSS in sas fainas de su settimu Cungressu. Auguriu de sichire e de affortire s'impignu de unu sindacatu chi, già in s'istatutu suo, ponet su populu e sa nazione sarda comente mere de su destinu suo. Trint'annos de testimonia a profetu de sa sotzietate sarda, in defensa de su traballu e sa dignitate de sa zente nostra: un'impignu chi mescamente oje devet parare fronte a sos bisonzos dolorosos de sa comunitate sarda. Sa fide chi amus totucantos in sa CSS nos cunfortat in sa gherra contra s'economia de sa dependentzia, contra s'isfrutamentu de su territoriu sardu chi cherent ponnere a cardu e a cannas, contra s'isfrutamentu de sole e de ventu a profetu de sos capitales istranzos, contra sas industrias e sas bases militares chi avvelenant terras e pessones. S'auguriu est de credere galu prus forte in s'identidade sarda comente cussentzia de istoria, de limba e de cultura, in manera de affortire un'identidade economica, ambientale e turistica, Bonas fainas,

Bachis Bandinu. 

Breve nota su Bandinu scrittore

L'antropologo Bachsio Bandinu, Presidente della Fondazione Sardinia, è autore di suggestivi saggi sull''Identità sarda. Nel 1976 scrive (con Gaspare Barbiellini Amidei) Il re è un feticcio, per l'editore Rizzoli, riedita nel 2003 dalla casa editrice Ilisso di Nuoro con una nota introduttiva di Placido Cherchi. Il saggio analizza il processo di trasformazione del mondo pastorale: gli oggetti nel loro valore d'uso, di scambio e di relazione simbolica, sono gli attori che recitano la scena della trasformazione antropologica della Sardegna negli anni 1950-75. Il campo investigativo è l'ambiente pastorale: Bitti (campu e bidda) che assurge a campione di ricerca dell'indagine empirica. Dall'analisi dei cambiamenti in seno alla composizione dello spazio e del tempo, dell'arredo e del vestiario, della lingua e dei linguaggi, delle abitudini alimentari e dei rapporti interpersonali nasce il romanzo di cose: le cose che un tempo hanno vissuto con gli uomini hanno poi finito con l'assumere lo statuto dell'estraneità e del feticismo. È il diario della prigionia tra gli oggetti non più custodi di memorie, meri feticci che rendono più difficile all'uomo la lettura della propria esistenza. Il re è un feticcio ha ottenuto il Premio Campione (1976).

Lo stesso argomento verrà approfondito ne Il Pastoralismo in Sardegna, Cultura e identità di un popolo, pubblicato dall'editore Zonza di Cagliari nel 2006. Sempre per la Rizzoli nel 1980 scrive Costa Smeralda (aggiornato nel 1994 in Narciso in vacanza per la casa editrice AM&D di Cagliari) che studia e analizza i caratteri del turismo di lusso e più in generale il fenomeno turismo come operatore di trasformazione dell'ambiente, dell'economia e della cultura sarda.

Nel 1997 pubblica Lettera a un giovane sardo, che sarà un vero e proprio best seller con più di otto mila copie vendute. In questa Letteral'Autore osserva e descrive l'arcipelago giovani nella duplice appartenenza al villaggio locale e alla cultura globale, appartenenza vissuta spesso in forme contradditorie.

Nel 2003 scrive (con Placido Cherchi e Michele Pinna) il saggioIdentità, cultura, scuola. pubblicato dalla casa editrice. Domus de Janas di Cagliari. Ma la sua ricerca più importante e più impegnativa, che indaga sugli aspetti più profondi dell'identità e della cultura antropologica sarda viene elaborata nell'opera La maschera, la donna, lo specchio scritta nel 2004 per le Edizioni Spirali di Milano: uno straordinario affresco in cui analizza la maschera, il rito, il mito come esperienza del corpo e della scena, senza più il discorso della morte.

Nel 2007 scrive insieme al sociologo Salvatore Cubeddu Il Quinto Moro. Soru e il sorismo, per la casa editrice Domus de Janas di Cagliari, dove viene descritta la figura di Renato Soru, il presidente della regione sarda nella XIII legislatura (2004-2008). L'intendimento del libro è quello di suscitare un dibattito per tentare di porre al centro una nuova definizione della Sardegna.

Nel 2008 scrive Lingua sarda e liturgia, (con Antonio Pinna e Raimondo Turtas), pubblicato da Domus de Janas.

Nel 2010 scrive Pro s'Indipendentzia un libro-provocazione in cui affronta il tema dell'indipendenza della Sardegna nelle sue implicazioni culturali e politiche e nelle sue possibilità mentre nel 2011 Il Maestrale pubblica il suo romanzo L'amore del figlio meraviglioso.

 

 

 
 
 

la CSS verso il 7° congresso

Post n°820 pubblicato il 19 Marzo 2015 da asu1000


La CSS verso il 7° Congresso Nazionale

di Francesco Casula

La Confederazione Sindacale Sarda (CSS) si avvia verso il 7° Congresso nazionale che celebrerà il 22 marzo prossimo a Cagliari. Coincide quest’anno con il 30° Anniversario: una bella età, soprattutto se si tiene conto che gli avversari, ad iniziare da CGIL-CISL UIL, impietosamente bollati come “sindacati di stato”, le avevano pronosticato qualche anno di vita.

La CSS è nata infatti il 20 Gennaio 1985: è il terzo Sindacato etnico in Italia dopo quello valdostano (SAVT), fondato nel 1952 e quello Sudtirolese (ASGB) nato nel 1978.

Con questi due sindacati etnici italiani come con i sindacati etnici europei (Corsi, Baschi, Galeni e Catalani) che saranno tutti presenti al Congresso di Marzo, la CSS ha un rapporto di tipo federativo.

Secondo il compianto Eliseo Spiga, l’ideatore nonché primo segretario nazionale, il sindacato sardo – o della Nazione sarda, come ama definirsi – nasce per difendere i sardi sia come lavoratori (salario, occupazione, orario e condizioni di lavoro) sia come sardi e dunque nella loro dimensione culturale e linguistica. Di qui la battaglia campale della CSS a favore del Bilinguismo.

Ma, anche in forte polemica con i Sindacati italiani – CGIL-CISL-UIL in primis – nasce soprattutto contestando duramente il tipo di sviluppo che lo Stato – con la complicità delle classi politiche sarde e degli stessi sindacati – ha imposto alla Sardegna negli ultimi 50 anni,uno sviluppo tutto giocato sulle industrie nere e inquinanti della grande industria in specie quella chimica e petrolchimica ma anche metallurgica (privata ma soprattutto di stato): sviluppo che dai poli si sarebbe diffuso nel territorio, creando occupazione e sviluppo: ma nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto. Di contro, tale industrializzazione ha devastato e depauperato il territorio, la risorsa più pregiata che l’Isola possiede; ha degradato e inquinato l’ambiente; ha sconvolto gli equilibri e le vocazioni naturali dell’Isola; ha distrutto il tessuto economico tradizionale e quel minimo di imprenditorialità locale (soprattutto nel settore agro-alimentare); ha attentato alla cultura e alla identità etno-nazionale dei sardi, tentando di eliminare le specificità linguistiche, culturali e storiche, magari con il pretesto dei combattere il banditismo: è il caso soprattutto di Ottana.

Proprio Ottana riassume emblematicamente il fallimento dell’industrializzazione in Sardegna. Per capirla è necessario fare un po’ di storia. Alla fine degli anni ’60 la Commissione parlamentare d’inchiesta sul banditismo, presieduta dal senatore Medici individuò nell’ambiente agropastorale e nelle condizioni economiche e sociali del Nuorese la causa prima del banditismo: di qui la scelta di Ottana e della grande industria che avrebbe dovuto trasformare il pastore in operario, con la tuta e non più con la mastruca. “Nella Rinascita c’è un posto anche per te” si promise a tutti i barbaricini e ai disoccupati in primis. Si è trattato di un mostruoso tentativo di rivoluzione antropologica e culturale prima ancora che economica e sociale. Furono previsti e promessi 8-10 mila posti di lavoro. Oggi sono in liquidazione anche gli ultimi operai rimasti.

Plurimi e di diversa natura i motivi del clamoroso fallimento: si è trattato di grandi industrie filiali e succursali di grandi complessi statali che “esportavano” nell’Isola manager, dirigenti, personale qualificato, tecnologie. I centri quindi economici-finanziari-decisionali stavano fuori non in Sardegna.

Di industrie che lavoravano – soprattutto quelle chimiche – materie prime di cui la Sardegna non disponeva e dunque soggette alle variazioni e alle crisi del mercato: è bastato l’aumento del petrolio e/o la dotazione da parte dei paesi produttori di industrie di trasformazione per mettere in crisi Ottana e company. già negli anni Settanta con la crisi petrolifera.

Si è trattato inoltre di industrie ad alta intensità di capitale (si è arrivati a un miliardo di vecchie lire per posto di lavoro e siamo prima dell’euro!); a poca intensità di mano d’opera; senza stimoli per il mercato interno, senza creazione di indotto proprio perché senza alcun rapporto e collegamento con il territorio e le risorse locali . Che dunque non crea sviluppo endogeno e autocentrato.

Soprattutto si è trattato di una industrializzazione che prevedeva solo le prime lavorazioni o comunque fasi limitate del ciclo produttivo: raffinerie o produzione di etilene (fibre) quando tutti gli economisti sostengono che è nelle seconde e terze lavorazioni ma soprattutto nella chimica fine che si ha molto sviluppo, ovvero: molta occupazione, poca intensità di capitale ma soprattutto molta ricchezza che deriva dal “valore aggiunto”.

Nonostante le chiacchiere e le richieste dei Sindacati italiani – peraltro mai troppo convinte – di avere in Sardegna le seconde e terze lavorazioni e la chimica fine, l’Isola per decenni ha sempre continuato con la petrolchimica di base e dunque ha continuato a operare quel meccanismo infernale neocoloniale, – tipico del colonialismo, compreso quello interno – che gli economisti chiamano “lo sviluppo ineguale”. Secondo il quale la Sardegna – e molte zone del Meridione – produce ed esporta semilavorati mentre importa prodotti finiti ad alto valore aggiunto, in questo scambio ineguale la Sardegna continua a impoverirsi e il Nord Italia dove si fanno le seconde e terze lavorazioni si arricchisce viepiù. Per convincersi guardare i dati ISTAT di ieri e di oggi, per quanto attiene al PIL ma non solo.

Di qui la proposta della CSS perché finalmente si imbocchi una rotta radicalmente diversa per uno sviluppo endogeno, autocentrato ed ecocompatibile, basato sulle risorse locali. La strategia dello sviluppo – scrive Giacomo Meloni l’attuale segretario della CSS – è vincente se ha la capacità di creare coesione,  ascoltare la pluralità delle voci del popolo sardo e far assurgere a valori identitari, insieme alla  lingua, alla  cultura, ai saperi tradizionali anche l’ambiente l’economia e i sapori della nostra terra.


 
 
 

Emilio Lussu

Post n°817 pubblicato il 04 Marzo 2015 da asu1000

 

 

Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu a 40 anni dalla sua morte di Francesco Casula

Posted on 3 marzo 2015

 

Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu a 40 anni dalla sua morte

Lussu di Foiso Fois di Francesco Casula

Il 5 marzo prossimo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Emilio Lussu. Ebbene in Sardegna, la sua terra, nessuna pubblica istituzione né partito pare che intenda ricordarlo. Gli è che i politici - ma anche le istituzioni culturali, le Università per esempio -  sono impegnati in ben altri riti. Lussu rimane ancora un personaggio "scomodo" e disadatto ad ogni incorporazione storica dei vincitori, anche post mortem. Così, anche quando lo si celebra e lo si ricorda, si cerca di sterilizzare il suo pensiero, la sua eredità morale, politica e persino letteraria. E' successo così negli ultimi decenni, in cui dopo anni di colpevole silenzio, molti, troppi in Sardegna si sono scoperti e riconosciuti "sua figliolanza" (l'espressione è della moglie Joyce). Magari quelli stessi che in vita hanno combattuto Lussu e le sue idee. Ed hanno cercato, tutti, di tirare Lussu per la giacchetta, cercando di "convertirlo", di purgare le parti più scomode del suo pensiero, per mitizzarlo e imbalsamarlo. Una volta sterilizzato e ridotto a "santino", innocuo e rassicurante, si può anche "mettere nella nicchia" (anche quest'espressione è di Joyce) per diventare dio protettore dei sardi e della Sardegna. Si dimenticano costoro chi era Lussu, uomo di parte. Sempre dalla parte del popolo lavoratore sardo, pacifista e federalista, nemico giurato dello Stato burocratico e accentratore, degli ascari e mediatori locali e delle clientele, della politica ridotta a mera gestione del potere. Nel 1945, quando era Ministro del Governo Parri, Vittorio Foa suo compagno di partito, una volta andò a chiedergli di mettere una firma sotto un'autorizzazione per aiutare finanziariamente il suo Partito. Lussu rispose: "puoi chiedermi di montare a cavallo ed andare in via Nazionale a rapinare l'oro della Banca d'Italia e io, per il Partito, lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia mai!" Questo era Lussu, sempre e non solo nel 1945. Rientrato nel 1919 dal fronte, viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava per aver dimostrato che un generale si era arricchito vendendo cavalli e altri beni dell'esercito. Una bella lezione a molti politici di oggi, immersi nell'affarismo e nella melma della corruzione. Scomodo è anche il suo lascito ideale, culturale e di pensiero: ad iniziare dalla sua teoria federalista che si coniuga in modo inscindibile con i valori forti della libertà e dei diritti, della democrazia diretta e dell'autogoverno, della partecipazione e del controllo popolare. Scrive in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di «Giustizia e Libertà»: "Frequentemente accade di parlare con uno che riteniamo federalista perché si professa autonomista e scopriamo invece, che è unitario con tendenze al decentramento". E precisa: "Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l'altro è invece divisa fra Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto". Quando Lussu parla di sovranità "divisa" fra Stato federale e Stati particolari - o meglio federati, aggiungo io - di "frazionamento della sovranità", pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario "nazionale" che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui "per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri": l'intera frase virgolettata è tratta da «Federalismo» di Norberto Bobbio, «Introduzione a Silvio Trentin». In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell'Ottocento - che Lussu critica in quanto "unica e assorbente" - di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale. Quella su Federalismo è un'altra lezione a chi oggi, lungi da imboccare la strada della riforma dello Stato in senso federalista, attacca le Autonomie locali e, delirando, pensa all'abolizione delle Regioni, per ritornare a uno Stato centralista e centralizzatore. Infine il suo Pacifismo. Interventista convinto e"chiassoso", parteciperà alla Prima Guerra con entusiasmo, giustificandola "moralmente e politicamente".  Al fronte però sperimenta sulla propria pelle, l'assurdità e l'insensatezza della guerra: con la protervia e stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i  pidocchi, i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Ma soprattutto con l'olocausto degli uomini sfracellati e le foreste di crani nei cimiteri militari; con i 13.602 sardi morti su 100 mila pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come  "gesto esemplare" alla D'Annunzio per intenderci o, cinicamente, come "igiene del mondo" alla futurista, alla guerra non ci sono andati.. Scriverà a questo proposito Camillo Bellieni, compagno d'armi prima e di Partito poi, di Lussu:"Chi accennasse a selvagge passioni brulicanti nel nostro sangue nel tragico istante della mischia non avrebbe altra scusa per il suo errore che l'immensa ignoranza delle nostre cose. Giudizi simili possono essere dati solamente da coloro che non hanno visto l'infinita tristezza dei nostri soldati nell'ora precedente all'azione". La retorica patriottarda e nazionalista, vieta e bolsa, sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. "Abbasso la guerra""Basta con le menzogne" gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu - in «Un anno sull'altopiano» - "Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita". Anche perché, in cambio dei 13.602 sardi morti in guerra, (1386 morti ogni diecimila chiamati alle armi, la percentuale più alta d'Italia, la media nazionale infatti è di 1049 morti) - per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti - ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee - sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi - "non sfamava la Sardegna". Nascerà dalla sua esperienza sul fronte l'opposizione netta, radicale, decisa di Lussu alla guerra:" Di guerre non ne vogliamo più - scriverà - e vogliamo collaborare e allontanare la guerra vita natural durante nostra e dei nostri figli e a renderla impossibile per sempre, disarmandola". Chi vuole la guerra, secondo Lussu, è chi non la conosce, parafrasando in qualche modo il seguente apoftegma:"Chi ama la guerra non l'ha mai vista in faccia"(Erasmo da Rotterdam, «Adagia, Sei Saggi politici in forma di proverbi», Einaudi, Torino 1980). Una lezione pacifista, quanto mai attuale e opportuna, specie in un momento in cui nuove inquietanti fosche e minacciose avvisaglie di guerra sembrano apparire nell'orizzonte.

 

 

 
 
 

-

Post n°816 pubblicato il 04 Marzo 2015 da asu1000

 
 
 

Vietnan

Post n°814 pubblicato il 04 Marzo 2015 da asu1000

 

 

VIETNAM:una guerra "sporca" e dimenticata di Francesco Casula

Posted on 24 febbraio 2015

 

Vietnam:una guerra "sporca" e dimenticatadi Francesco Casula

Vietnam: una guerra "sporca" e dimenticata. Sia ben chiaro: nessuna guerra può essere considerata pulita:ma ve ne sono alcune più "sporche" di altre. E' il caso della guerra americana contro il Vietnam: perché pur essendo ormai finita e conclusa da decenni (1975), al presente consegna ancora effetti devastanti, con ferite insanabili, nelle persone e nell'ecosistema.I Vietnamiti sono usciti da qualche anno dal brutale colonialismo francese, durato quasi cento anni (1858-1954) quando nel 1961 vengono aggrediti dalla potenza più grande del mondo, gli Stati Uniti (armati ed equipaggiati 800 volte più dei vietnamiti), che in 14 anni di guerra (1961-1975) causeranno ben 2.313.000 morti civili, durante i combattimenti  o sotto gli oltre 14 milioni e 300 mila tonnellate di  bombe cadute sull'intero paese asiatico, in modo particolare su milioni di contadini innocenti: quasi il triplo del totale delle bombe sganciate durate il secondo conflitto mondiale!

A tutto ciò occorre aggiungere i 100 milioni di litri di sostanze chimiche che gli Stati Uniti riverseranno sul terreno vietnamita, che già avevano sperimentato nella guerra in Corea e che si aggiungeranno ai micidiali bombardamenti al napalm.L'obiettivo era quella di distruggere il mantello di vegetazione che proteggeva  le piste e le basi logistiche di Vietcong e Nord Vietnamiti. Furono effettuati dei test su alcuni tratti della pista di Ho Chi Minh e fu poi lanciata l'operazione "Farm boy" che consisteva nell'impiegare  18 aerei C 123 per vaporizzare milioni di litri di diserbante nella regione a Nord di Saigon.

Seagrave Sterling nel suo libro "The yellow rain" spiega quali prodotti furono utilizzati:"Furono selezionati quattro prodotti, ognuno era designato da un codice-colore:arancio, bianco, malva e blu. Il prodotto arancio era una miscela di due diserbanti...il quarto, il prodotto blu, un erbicida a base di arsenico ed il cui componente attivo è l'acido cacodilico, noto per la sua alta tossicità..." .L'impiego degli erbicidi provocò la distruzione di più di due milioni di ettari di vegetazione di cui un decimo era destinato all'agricoltura. Avvenne una autentica catastrofe ecologica perché i cento milioni di litri di prodotti tossici, rovesciati sul terreno, dopo aver distrutto la vegetazione, si infiltrarono nel suolo e contaminarono per lungo tempo le falde freatiche e le mangrovie del litorale. Gli effetti furono tanto più gravi perché i prodotti utilizzati contenevano, fra gli altri elementi, anche la diossina, i cui effetti disastrosi conosceremo in Italia, soprattutto dopo la catastrofe di Seveso del 1976.

Il danno alla salute della popolazione civile è stato incalcolabile con lemalattie cutanee incurabili, cancro del fegato, gravissime malformazioni dei feti, elevato tasso di mortalità perinatale, disturbi nervosi.Ancora oggi, a 40 anni dalla fine della guerra, molti vietnamiti nascono con gravi malformazioni:effetto di quei gas micidiali e criminali. E li puoi vedere per la strada, senza gambe, senza braccia, con malformazioni, a pagare per una guerra infame. E ancora oggi vasti territori del Vietnam sono inutilizzabili perché contaminati da quei gas o perché popolati da bombe (ben 600 mila) e mine ancora inesplose.

 

 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: asu1000
Data di creazione: 12/06/2007
 

BB

 

INNU

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

Viddameabella.itasu1000lalistadeidesideri79amorino11m12ps12cassetta2Marion20deosoeprefazione09marabertowdony686giovanni80_7vita.perezDario.Bertini
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

GENNARGENTU

 

UN'ISPANTUUUUUU

 

GUSANA

 

GUSANA

 

UN'ISPANTUUUUUU

 

GENNARGENTU

 

GUSANA

 

UN'ISPANTUUUUUU

 

BATTOR MOROS

 

BATTOR MOROS

 

BATTOR MOROS

 

BATTOR MOROS

 

MORI

Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.

Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).

Frantziscu Casula

 

 

 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963