Truncare sas cadenascun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula. |
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Messaggi di Luglio 2015
Post n°833 pubblicato il 31 Luglio 2015 da asu1000
2° CONVEGNO SARDISTA A BOSA 29 ottobre 1967 Cari amici,
Oggi il banditismo, la cui importanza è stata amplificata in Italia e nel resto d'Europa con sadica insistenza dalla stampa di ogni colore, coadiuvata questa dalla compiaciuta complicità della radio e della televisione del monopolio italiano, è assurto a problema nazionale. Ma cosa vuol dire oggi in Sardegna, in questa
Significa soltanto che gli organi dello Stato, valicando i limiti delle competenze costituzionali, calpestando anche i brandelli formali dello Statuto Speciale di Autonomia della Sardegna, si sentono in dovere di intervenire. E viene accusato, ormai indiscriminatamente, il popolo sardo e la sua classe politica; la sua classe dirigente, le migliaia e migliaia di lavoratori: i morti di fame di villaggi e delle borgate lontane, coloro che vivono cioè di sussidi e di rimesse degli emigranti.
Non siamo degli illusi, cari amici, e abbiamo le nostre buone ragioni per parlarvi con questa schiettezza e durezza di linguaggio. Noi, proprio perché siamo sardi, e ci vantiamo di esserlo, siamo alieni da qualunque trasformismo, di tipo siculo-meridionale. Noi abbiamo sempre seguito questa linea politica. E questa è la linea di Bellieni, di Luigi Battista Puggioni, e di qualcuno che è qui presente e che ha sempre dato al Sardismo.
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Post n°832 pubblicato il 21 Luglio 2015 da asu1000
La truffa dell'Unità d'Italia e il mito di Garibaldi. di Francesco Casula Il 4 luglio scorso ricorreva il 208° Anniversario della nascita di Garibaldi. Fortunatamente, ci sono state risparmiate le ondate patriottarde che negli anni scorsi avevano alluvionato giornali e media. Ma covano sicuramente sotto la cenere. Quando invece, quello che occorre è iniziare a far le bucce al "Risorgimento" italiano e alla conseguente "Unità", senza essere tacciati di leghismo o, peggio, di essere etichettati come clericali, filoborbonici e dunque arretrati, regressivi e premoderni.. A questo proposito voglio ricordare - anche perché mi sembra molto illuminante - un curioso episodio. Negli anni '70 escono una serie di saggi, prevalentemente di giovani intellettuali e storici meridionali ( Nicola Zitara, Edmondo Maria Capecelatro, Antonio Carlo e altri). Nei loro saggi attraverso una puntuale e rigorosa analisi socio-economica del Meridione preunitario, sostengono e dimostrano con dati e numeri inoppugnabili, (per esempio sull'industria agro-alimentare ma anche siderurgica nel Napoletano ma non solo) che al momento dell'Unità il divario Nord-Sud non esistesse (o comunque non fosse determinante) sicché a determinare il sottosviluppo del Sud sia stata l'azione politica dello Stato unitario, In altre parole sostengono che la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata nell'ambito di uno spazio economico unitario - quindi a unità d'Italia compiuta - dominato dalle leggi del capitale. Tale tesi - che si ricollega fra l'altro a una serie di studi sullo sviluppo ineguale del capitalismo, in modo particolare di Paul A. Baran, di Andre Gunter-Frank e Samir Amin - tende a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell'altra e viceversa e dunque il sottosviluppo del Sud è il risultato dello sviluppo capitalistico e non della sua assenza. Zitara, Capecelatro e Antonio Carlo furono accusati e tacciati di "nostalgie borboniche". Perché? Per le differenti analisi - parzialmente anche rispetto a Gramsci - sulla Questione Meridionale? No: semplicemente perché avevano osato dissacrare quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista, del Risorgimento. Avevano osato mettere in dubbio e contestare le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a centro aveva sempre ritenuto che tutto si poteva criticare in Italia ma non l'Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali. Come spiegare diversamente - ma è solo un esempio - l'atteggiamento nei confronti di Garibaldi? Durante il ventennio fu santificato ed eletto "naturalmente" come padre putativo di Mussolini e del regime e dunque fu "fascista". Dopo il fascismo, prima nel '48, alle elezioni politiche, la sua icona fu scelta come simbolo elettorale del Fronte popolare e dunque divenne socialcomunista. Negli anni 80 fu osannato da Spadolini - e dunque divenne repubblicano - "come il generale vittorioso, l'eroico comandante, l'ammiraglio delle flotte corsare e l'interprete di un movimento di liberazione e di redenzione per i popoli oppressi". Fu poi celebrato da Craxi - e dunque divenne socialista - "come il difensore della libertà e dell'emancipazione sociale che univa l'amore per la nazione con l'internazionalismo in difesa di tutti i popoli e di tutte le nazioni offese". Infine fu persino rivendicato da Piccoli che lo fece dunque diventare democristiano. Ecco, è proprio questo unanimismo, questa unione sacra - destra, sinistra centro, tutti d'accordo - intorno al Risorgimento e ai suoi personaggi simbolo, che non convince. E' questa intercambiabilità ideologica dei suoi "eroi" che rende sospetti. Ecco perché bisogna iniziare a fare le bucce al Risorgimento, ecco perché occorre iniziare a sottoporre a critica rigorosa e puntuale tutta la pubblicistica tradizionale - ad iniziare dunque dai testi di storia - intorno a Garibaldi, liquidando una buona volta la retorica celebrativa del Risorgimento. Per ristabilire, con un minimo di decenza un po' di verità storica occorrerebbe infatti, messa da parte l'agiografia e l'oleografia patriottarda italiota, andare a spulciare fatti ed episodi che hanno contrassegnato, corposamente e non episodicamente, il Risorgimento e Garibaldi: Bronte e Francavilla per esempio. Che. non sono si badi bene, episodi né atipici né unici né lacerazioni fuggevoli di un processo più avanzato. Ebbene, a Bronte come a Francavilla vi fu un massacro, fu condotta una dura e spietata repressione nei confronti di contadini e artigiani, rei di aver creduto agli Editti Garibaldini del 17 Maggio e del 2 Giugno 1860 che avevano decretato la restituzione delle terre demaniali usurpate dai baroni, a chi avesse combattuto per l'Unità d'Italia. Così le carceri di Franceschiello, appena svuotate, si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue e nella galera. Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per "traslocare" manu militari, il popolo meridionale, dai Borboni ai Piemontesi. Altro che liberazione! Così l'Unità d'Italia si risolverà sostanzialmente nella "piemontesizzazione" della Penisola e fu realizzata dal Regno del Piemonte, dalla Casa Savoia, dai suoi Ministri - da Cavour in primis - dal suo esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud - il blocco storico gramsciano - contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l'agricoltura e a favore dell'industria.
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Post n°831 pubblicato il 01 Luglio 2015 da asu1000
COLONIALISMO, sardegna,STORIA, Francesco Casula
ROMA - La politica italiana nei confronti della Sardegna (e del Sud) è tutto giocata sul colonialismo interno. Fin dai primordi dell'Unità. Tanto che un neomeridionalista come Nicola Zitara, scriverà un libro dal titolo emblematico: L'Unità d'Italia- nascita di una colonia. Ma di "colonialismo" italiano parlerà anche Gramsci a più riprese: fra l'altro scrivendone il 16 Aprile 1919 in un articolo dell'Avanti, avente per titolo "I dolori della Sardegna". "Nel cinquantennio 1860-1910 - scriveva - lo Stato italiano nel quale hanno sempre predominato la borghesia e la nobiltà piemontese, ha prelevato dai contadini e pastori sardi 500 milioni di lire che ha regalato alla classe dirigente non sarda. Perché-aggiungeva- è proibito ricordare, che nello Stato italiano, la Sardegna dei contadini e dei pastori e degli artigiani è trattata peggio della colonia eritrea in quanto lo stato «spende» per l'Eritrea, mentre sfrutta la Sardegna, prelevandovi un tributo imperiale"? Proseguirà ricordando che il gettito fiscale prelevato in Sardegna era esorbitante non solo in relazione alle risorse di cui poteva disporre l'Isola ma al reddito reale dei suoi abitanti. "Il balzello" finiva così per "paralizzare ogni forza produttiva e ogni risparmio". Lo stesso Gramsci il 14 Aprile del 1919, in un altro articolo, titolato significativamente "La Brigata Sassari" aveva parlato di sfruttamento coloniale della Sardegna da parte della classe borghese di Torino oltre che con le tasse sproporzionate, con la rapina delle risorse, segnatamente attraverso lo sfruttamento delle miniere e la distruzione delle foreste sarde. Soprattutto in seguito alla rottura dei Trattati doganali con la Francia (1887) e al protezionismo tutto a beneficio delle industrie del Nord, quando fu colpita a morte l'economia meridionale e quella sarda. UInfatti con la "guerra" delle tariffe voluta da Crispi, i prodotti tradizionali sardi (ovini, bovini, vini, pelli, formaggi) furono deprivati degli sbocchi tradizionali di mercato. Nel solo 1883 - ricorda lo storico sardo Raimondo Carta-Raspi - erano stati esportati a Marsiglia 26.168 tra buoi e vitelli, pagati in oro. Dopo il 1887 tale commercio crollerà vertiginosamente e con esso entrerà in crisi e in coma l'intera economia sarda. Salgono i prezzi dei prodotti del Nord protetti. Di contro crollano i prezzi dei prodotti agricoli non più esportabili. Discende bruscamente il prezzo del vino e del latte. E s'affrettano a sbarcare in Sardegna quelli che Gramsci chiama "Gli spogliatori di cadaveri". La prima categoria di tali "spogliatori" è quella degli industriali del formaggio. "I signori Castelli - scrive Gramsci - vengono dal Lazio nel 1890, molti altri li seguono arrivando dal Napoletano e dalla Toscana. Il meccanismo dello sfruttamento (ed è un lascito della borghesia peninsulare non più rimosso) è semplice: al pastore che privo di potere contrattuale, deve fare i conti con chi gli affitta il pascolo e con l'esattore, l'industriale affitta i soldi per l'affitto del pascolo, in cambio di una quantità di latte il cui prezzo a litro è fissato vessatoriamente dallo stesso industriale". Il prezzo del formaggio cresce ma va ai caseari e ai proprietari del pascolo o ai grandi allevatori non ai pastori che conducono una vita di stenti, aggravati dalle annate di siccità e dalle alluvioni:conseguenze del disboscamento della Sardegna, opera di un'altra categoria di spogliatori di cadaveri: gli industriali del carbone. Il cui lascito per la Sardegna è la degradazione catastrofica del suo territorio. L'Isola è ancora tutta boschi. Gli industriali - soprattutto toscani - ne ottengono lo sfruttamento per pochi soldi. "A un popolo in ginocchio anche questi pochi soldi paiono la salvezza", scrive Gramsci. Così - continua l'intellettuale di Ales -"L'Isola di Sardegna fu letteralmente rasa suolo come per un'invasione barbarica. Caddero le foreste. Che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni atmosferiche". Massajos ridotti in miseria dalla politica protezionista di Crispi e pastori spogliati dagli industriali caseari, s'affollano alla ricerca di un lavoro stabile nel bacino minerario del Sulcis Iglesiente. Dove troveranno altri spogliatori di cadaveri. Sono quelli che arrivano dalla Francia, dal Belgio e da Torino per un'attività di rapina delle risorse del sottosuolo. I Savoia per quattro soldi le daranno in concessione a pochi "briganti", in genere stranieri ma anche italiani. "Essi si limiteranno - scrive Gramsci - a pura attività di rapina dei minerali, alla semplice estrazione, senza paralleli impianti per la riduzione del greggio e senza industrie derivate e di trasformazione". Nel ventennio del brutale regime fascista l'economia sarda si inabisserà ulteriormente: l'Isola continuerà ad essere considerata una colonia d'oltremare. "Più volte - scrive Carta-Raspi - Mussolini aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da stanziare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse". Con la nuova Italia democratica, il colonialismo nei confronti della Sardegna continuerà: certo assumendo forme più sofisticate e meno brutali ma non per questo meno devastanti. Continuerà l'emigrazione e proprio in coincidenza con il boom economico dell'Italia degli anni '60. L'Isola sarà utilizzata come stazione di servizio per industrie nere e inquinanti: quelle petrolchimiche in primis. Senza per altro risolvere il problema dell'occupazione. E come area di servizio della guerra (con il 65 per cento di tutte le aree militarizzate in Italia). Con i Sardi privati del proprio territorio. Con 1/5 della costa sarda - ben 437 Km - vietata alla balneazione, specie a causa delle basi militari. Ed ora lo Stato e il Governo italiano, contro l'unanime opposizione dei Sardi, vorrebbero costringere l'Isola ad essere ricettacolo delle scorie nucleari. Trasformandola in un vero e proprio muntonargiu de aliga mala. Permanente e pericolosissima.
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Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.
Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).
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