Truncare sas cadenascun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula. |
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Post n°927 pubblicato il 23 Ottobre 2020 da asu1000
di Francesco Casula La Lingua essendo la più forte ed essenziale componente del patrimonio ricchissimo di tradizioni e di memorie popolari, sta a fondamento – scrive Giovanni Lilliu –dell’identità della Sardegna e del diritto ad esistere dei Sardi, come nazionalità e come popolo, che affonda le sue radici nel senso profondo della sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva storia e cultura mediterranea ed europea. Nell’epoca della globalizzazione, il rapporto fra le lingue è un banco di prova – e anche una grande metafora – del rapporto fra le culture. Comunicare restando diversi, ascoltare l’altro senza rinunciare alla propria pronuncia, essere radicati in una tradizione senza fare di questo, un elemento di separatezza o di esclusione o di sopraffazione: il rapporto fra le lingue – la compresenza attiva di moltissime lingue – dimostra che è possibile tendere alla comprensione salvando la differenza. Nella nostra epoca, come muoiono specie animali e vegetali, così anche molte lingue si estinguono o sono condannate alla sparizione. Per ogni lingua che muore è una cultura, una memoria ad essere abolita. Un universo di suoni e di saperi a dileguarsi. Preservare allora le specie linguistiche – nonostante le migrazioni, le egemonie mercantili, le colonizzazioni mascherate – dovrebbe essere il primo compito dell’ecologia della cultura e del sapere. L’idea di una lingua unica perduta è solo un sogno: un frivolo sogno lo definiva già Leopardi nello Zibaldone. E anche l’idea che sia necessaria una lingua unica che permetta a tutti di intendersi immediatamente non riesce a nascondere il disegno egemonico: disegno che è in particolare di ordine mercantile. Anche perché,: a cosa servirebbe – si chiede il Professor Sergio Maria Gilardino, docente di letteratura comparata all’Università di Montreal (Canada) e grande difensore delle lingue ancestrali – conoscere e parlare tutti nell’intero Pianeta la stessa lingua, magari l’inglese, se non abbiamo più niente da dirci, essendo tutti ormai omologatie dunque privi e deprivati delle nostre specificità e differenze? Ma c’è di più: certi programmi “internazionalisti”che prevedono una unificazione linguistica dell’umanità e una scomparsa delle nazionalità, quando non sono inutili esercitazioni retoriche, sono in genere la mistificazione di concezioni sciovinistiche, o addirittura nascondono intenzioni di genocidio culturale di derivazione imperialistica. Le lingue imposte via via dai colonizzatori hanno sbaragliato e mortificato e distrutto le forme e l’energia inventiva delle lingue locali. Il controllo politico, le ragioni di mercato, i progetti di assimilazione hanno sacrificato tradizioni e culture, suoni e nomi, relazioni profonde tra il sentire e il dire. E tuttavia più volte è accaduto che quelle culture vinte abbiano attraversato le lingue egemoni irrorandole di nuova linfa creativa: è quel che è accaduto meravigliosamente nelle letterature ibero-americane, è quel che accade oggi nelle letterature africane di lingua portoghese, inglese e francese o nella letteratura nordamericana o in quella inglese. Inoltre le migrazioni hanno dappertutto esportato saperi, confrontato stili di vita e di pensiero, contaminato linguaggi e sogni e memorie. Molti poeti e scrittori del ‘900 appartengono a una storia di migrazioni tra le lingue: da Elias Canetti a Paul Celan, da Vladimir Nabokof a Iosif Brodskij, da Isaac Bashevis Singer a Salman Rushdie, da Witold Marian Gombrowicz a Vidiadhar Suraiprsar Naipaul. |
Post n°923 pubblicato il 09 Settembre 2020 da asu1000
La QUINTA INFAMIA DI SCIABOLETTA di Francesco Casula Persa ormai la guerra e convinto ormai che il disastroso esito del conflitto potesse segnare non solo la fine del regime fascista ma anche quello della monarchia, Vittorio Emanuele arresta Mussolini (25 luglio 1943) e nomina nuovo capo del Governo il maresciallo Badoglio. Il giorno dopo l’Armistizio, il 9 settembre, insieme a Badoglio stesso abbandona Roma e fugge prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli alleati. -GIUSEPPE SASSU, di Bolotana. Padre dell’amico Damiano. Nato il 6 aprile del 1919 verrà chiamato al servizio militare nel 1939 proprio il giorno del suo ventesimo compleanno. MODESTO MELIS,di Gairo, trasferitosi nel 1938 nella nascente Carbonia, per fare l’operaio, finirà a Mauthausen. La sua esperienza sarà raccontata in un libro: “Da Carbonia a Mauthausen e ritorno”. Muore a 97 anni il 9 gennaio del 1917. Uno invece morì in un campo di concentramento dell’attuale Repubblica Ceca: si tratta di COSIMO ORRU’ di San Vero Milis. medaglia d’oro della resistenza, morto nei campi nazisti tra il 1944 e il 1945, il cui ricordo resisteva nella famiglia, nei conoscenti e nel nome di una via del suo paese. Da anni il suo Comune ha portato avanti una ricerca sulla sua storia, in collaborazione con l’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ISSRA), tanto da ricostruirne in modo ancora incompleto il viaggio dal suo lavoro, magistrato a Busto Arsizio e membro del CLN, sino al campo di Flossemburg in Germania, quindi in quello di Litoměřice nell’attuale Repubblica Ceca dove poi è morto. La QUINTA INFAMIA DI SCIABOLETTA di Francesco Casula Persa ormai la guerra e convinto ormai che il disastroso esito del conflitto potesse segnare non solo la fine del regime fascista ma anche quello della monarchia, Vittorio Emanuele arresta Mussolini (25 luglio 1943) e nomina nuovo capo del Governo il maresciallo Badoglio. Il giorno dopo l’Armistizio, il 9 settembre, insieme a Badoglio stesso abbandona Roma e fugge prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli alleati. -GIUSEPPE SASSU, di Bolotana. Padre dell’amico Damiano. Nato il 6 aprile del 1919 verrà chiamato al servizio militare nel 1939 proprio il giorno del suo ventesimo compleanno. MODESTO MELIS,di Gairo, trasferitosi nel 1938 nella nascente Carbonia, per fare l’operaio, finirà a Mauthausen. La sua esperienza sarà raccontata in un libro: “Da Carbonia a Mauthausen e ritorno”. Muore a 97 anni il 9 gennaio del 1917. Uno invece morì in un campo di concentramento dell’attuale Repubblica Ceca: si tratta di COSIMO ORRU’ di San Vero Milis. medaglia d’oro della resistenza, morto nei campi nazisti tra il 1944 e il 1945, il cui ricordo resisteva nella famiglia, nei conoscenti e nel nome di una via del suo paese. Da anni il suo Comune ha portato avanti una ricerca sulla sua storia, in collaborazione con l’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ISSRA), tanto da ricostruirne in modo ancora incompleto il viaggio dal suo lavoro, magistrato a Busto Arsizio e membro del CLN, sino al campo di Flossemburg in Germania, quindi in quello di Litoměřice nell’attuale Repubblica Ceca dove poi è morto. |
Post n°922 pubblicato il 28 Giugno 2020 da asu1000
Una guerra che fu semplicemente una inutile strage, una gigantesca carneficina come la definì il Papa Benedetto XV in una enciclica del 1914 (Ad Beatissimi Apostolorum Principis). Essa rappresenterà – è il grande storico Enzo Gentile, a scriverlo – “oltre che il tramonto della Bella Epoque, il naufragio della civiltà moderna. Una guerra nuova, completamente diversa da quelle fino ad allora combattute: per l’enormità delle masse mobilitate, per la potenza bellica e industriale impiegata, per l’esasperazione parossistica dell’odio ideologico” 1. Note bibliografiche |
Post n°921 pubblicato il 30 Maggio 2020 da asu1000
Sala fra pregiudizi nordisti, incultura storica e colonialismo interno. Mi dicono che Sala sia un bravo sindaco e un buon amministratore. Può darsi. Anche se non dimentico che nella gestione di Expo era stato accusato di falso per la retrodatazione di due verbali, processato e condannato a 6 mesi di reclusione per un appalto (il pm aveva chiesto 13 mesi). Pena poi convertita in una multa da 45 mila euro. Lasciamo perdere questo “dettaglio, in questa sede m’intessa altro: polemizzando con il Presidente della Sardegna Solinas a proposito della “Patente di immunità”, Sala ha dichiarato”quando poi deciderò dove andare per un weekend o una vacanza me ne ricorderò”. Una minaccia esplicita. Una ripicca infantile. Ma che cosa sottende Sala nel “boicottaggio” dell’Isola? Sostanzialmente un pregiudizio nordista: che i milanesi e, il Nord in genere, “diano” alla Sardegna, che dunque dovrebbe essere riconoscente grata e “accogliente”. Insomma il vecchio ciarpame inculturale, storico e politico nordista: sul Nord produttivo che sostiene e finanzia e “aiuta” il Sud improduttivo. E’ esattamente il contrario. Il Nord “ricco” (e sviluppato) lo è grazie al Sud: che storicamente ha spogliato delle sue risorse e ricchezze. Scorticandolo. E, dunque, sottosviluppandolo. Con l’Unità d’Italia infatti la Sardegna (con l’intero Meridione) diventa ancor più una “colonia interna” dello Stato italiano: dopo essere stata fin dal 1720, repressa e sfruttata in modo brutale dal Piemonte e dai tiranni sabaudi. La dialettica sviluppo-sottosviluppo si instaura dunque nell’ambito di uno spazio economico unitario dominato dalle leggi del capitale e dallo “scambio ineguale”. In base a tale meccanismo, il Nord vende prodotti ad alto valore aggiunto e compra (o semplicemente deruba) materie prime e/o semilavorati, a basso valore aggiunto. Arricchendosi. Di converso il Sud compra prodotti finiti ad alto valore aggiunto e vende materie prime o semilavorati, a basso valore aggiunto,impoverendosi. E’ il meccanismo messo in rilievo segnatamente dagli studiosi terzomondisti come P. A. Baran e Gunter Frank che in una serie di studi sullo sviluppo del capitalismo, che tendono a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa. Così come sosterrà anche Samir Amin, che soprattutto in La teoria dello sganciamento-per uscire dal sistema mondiale,riprende alcune analisi delle opere precedenti sui problemi dello sviluppo/sottosviluppo, centro/periferia, scambio ineguale. Per Amin il sottosviluppo è l’inverso dello sviluppo: l’uno e l’altro costituiscono le due facce dell’espansione – per natura ineguale – del capitale che induce e produce benessere, ricchezza, potenza, privilegi in un polo, nel ”centro”, e degradazione, miseria e carestie croniche nell’altro polo, nella “periferia”. Nel sistema capitalistico mondiale infatti i centri sviluppati (i Nord del Pianeta) e le periferie (i Sud) sottosviluppati sono inseparabili: non solo, gli uni sono funzionali agli altri. Ciò a significare che il sottosviluppo non è ritardo ma supersfruttamento. In questo modo Amin contesta la lettura della storia contemporanea vista come possibilità di sviluppo graduale del Sud verso i modelli del Nord, in cui l’accumulazione capitalistica finirà per recuperare il divario. E’ questo il “colonialismo”. Fra l’altro denunciato da Antonio Gramsci fin dall’inizio del secolo scorso, quando il 16 Aprile 1919 in un articolo per l’edizione piemontese dell’Avanti avente per titolo I dolori della Sardegna., ricorderà quanto aveva affermato “nell’ultimo congresso sardo tenuto a Roma, un generale sardo: che cioè nel cinquantennio 1860-1910 lo Stato italiano, nel quale hanno sempre predominato la borghesia e la nobiltà piemontese, ha prelevato dai contadini e pastori sardi 500 milioni di lire che ha regalato alla classe dirigente non sarda. Perché – aggiungeva – è proibito ricordare, che nello Stato italiano, la Sardegna dei contadini e dei pastori e degli artigiani è trattata peggio della colonia eritrea in quanto lo stato per l’Eritrea, mentre sfrutta la Sardegna, prelevandovi un tributo imperiale”. Mi si obietterà: il Nord esprime capacità imprenditoriali che ai sardi (e meridionali) mancano. Siamo certi che queste siano frutto di un qualche dna e non delle condizioni ambientali? Ci siamo già dimenticati come nacque (e si sviluppò) l’industria del Nord, specie alla fine dell’Ottocento, con Crispi capo del Governo, dopo la rottura dei Trattati doganali con la Francia? Nacque doppiamente assistita: con i soldi pubblici (per impiantare o implementare le imprese) e con le commesse garantite dallo Stato. Chi infatti acquistava le armi (dalla FIAT) o le navi da guerra (dagli armatori liguri e genovesi)? Lo stato italiano, per avviare il suo patetico e delirante imperialismo da “straccioni” nell’Africa orientale.
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Post n°920 pubblicato il 22 Aprile 2020 da asu1000
Festa della Liberazione
L’attacco al 25 aprile Anche quest’anno prosegue l’attacco al 25 aprile: il neofascista Ignazio La Russa propone di trasformarlo in una “Giornata per ricordare le vittime del Coronavirus e i caduti di tutte le guerre”. Sia ben chiaro: per i morti, per tutti i morti non possiamo che nutrire e riversare tutta intera la nostra pietas: ma per favore senza metter sullo stesso piano oppressi e oppressori; chi si batteva per la libertà e chi invece ce la voleva togliere ed eliminare. Tener viva la memoria, la verità, significa ricordare a chi lo dimentica e a chi non l’ha mai saputo cos’è stato il fascismo, compreso il suo epilogo con la RSI (Repubblica sociale italiana di Salò): fu uno stato fondato sulla tortura, sulla persecuzione razziale e politica, sulla distruzione fisica degli avversari, sulla delazione: né sessanta né cento anni bastano a cancellare tutto questo. [segue] Né basteranno per farci dimenticare i ben 900 campi di sterminio e di concentramento disseminati soprattutto in Germania e nell’Europa orientale ma anche in Italia (Fossoli, Bolzano, Trieste, Borgo San Dalmazzo-Cuneo), con milioni di innocenti sterminati. Si dirà che è roba vecchia, consegnata ormai al passato remoto; che il fascismo è morto e dunque serve solo all’antifascismo per vivere di rendita, parassitariamente. Può darsi. E gli inquietanti fenomeni – soprattutto giovanili – di rinascita e affermazione di Movimenti che si ispirano al nazifascismo? Roba vecchia anche questa o drammaticamente nuova e attuale? Si dirà che comunque il Fascismo ha realizzato opere meritorie e importanti, ad iniziare dalla Sardegna: ma, di grazia, quali? A tal proposito, ecco quanto sostiene nella sua bella e interessante “Storia della Sardegna” (pag.914) Raimondo Carta-Raspi: «Anche della Sardegna appariranno, in libri e riviste, descrizioni e fotografie delle ”opere del regime” durante il ventennio. Favole per l’oltremare, per chi non conosceva le condizioni dell’Isola. V’erano sempre incluse la diga del Tirso, già in potenza dal 1923, le Bonifiche d’Arborea, iniziate fin dal 1919 e perfino il Palazzo comunale di Cagliari, costruito nel 1927. Capolavoro del fascismo fu invece la creazione di Carbonia, per l’estrazione del carbone autarchico, che non doveva apportare alcun beneficio all’Isola e doveva costare centinaia di milioni e poi miliardi che tanto meglio si sarebbero potuti investire in Sardegna, anche per la trasformazione del Sulcis in zona di colonizzazione agraria… più volte Mussolini aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da rateare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse». Che si continui dunque nella celebrazione del 25 Aprile come Festa della Liberazione, ma soprattutto come momento e occasione di studio, di discussione sul nostro passato che non possiamo né rimuovere, né recidere né dimenticare. Dobbiamo anzi disseppellirlo, non per riproporre vecchie divisioni e steccati ormai anacronistici e superati ma per creare concordia e unità: però nella chiarezza. Evitando dunque il pericolo e il rischio, corso spesso negli anni, di ridurre il 25 aprile a rito unanimistico o, peggio, a semplice liturgia celebrativa. Magari accompagnato dal tricolore e dall’orrendo bolso e vieto Inno guerresco di Fratelli d’Italia.
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Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.
Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).
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