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Post Mortem Dump

Post n°524 pubblicato il 04 Febbraio 2017 da Zero.elevato.a.Zero
 

Nella neve

"forse è questo il male che sta colpendo tanti di noi che non ci sono più in questa piattaforma ? O è il fatto di parlare di sé, di essere in qualche modo presente in altri social che rende Libero così povero di contatti....."
mpt2003

Premessa: sono giorni pressanti di lavoro e quindi scriverò contaminato da pensieri da ingegnere (che vuol dire con linguaggio tecnico e poco prosaico) anche se utilizzerò qualche termine proprio del Haiku che risulta essere la forma di poesia a me più congeniale… e dunque…
L’opzione postmortem (scritto tutto attaccato) dump è notazione da informatici, aggiunge una stampa alla conclusione del programma sia che abbia eseguito correttamente il proprio ciclo o che soprattutto sia stato interrotto da un errore, stampa nella quale viene mostrato il contenuto di ogni registro di memoria utilizzato, così che sia possibile capire quale sia stata la variabile contenente il problema e dedurre la sua genesi per correggerlo.
Questo è un Post (in quanto parola sul blog) mortem dump che nasce dalle considerazioni di parole amiche che si interrogano sul perché la vita di questa piattaforma è meno vitale di un tempo; si ipotizza l’esistenza di un errore critico che un’analisi dettagliata può consentire di trovare :).
Nel mio dump, nella mia rilettura, ci sono variabili secondo previsione e quindi positive in quanto razionali, ed altre inaspettate; è un dump del tutto personale, lo ripeto, filtrato dal mio modo di vedere le cose, dai miei bisogni e dalle mie aspettative, solo un banale e modesto punto di vista individuale.
So cosa mi porta a scrivere qui e soprattutto perché cerco, a volte con fatica, di continuare a farlo, so che ho bisogno di estrarre pensieri aggrovigliati come tosatura di pecora per riuscire a cardarla e pettinarla in pensieri, fino a rendere una filatura che diventa parola in modo che possa essere offerta, una volta debitamente tessuta, come vettore di scambio e di confronto, auspicandomi che sia morbido e teporoso come un maglione di lana. Traslitterare in parole mi offre il vantaggio derivante dal comprendere meglio i miei pensieri, le azioni e soprattutto quella cosa meno razionale che ricade sotto il nome di emozione. C’è di fianco anche la possibilità di offrirla per ampliare il panorama della comprensione nel confronto con altre sensibilità e ricevere in cambio impressioni e visioni stereoscopiche, le quali permettono di cogliere meglio il senso della profondità.
Nelle celle con valori imprevisti trovo il meno tempo a disposizione, eppure, congiunzione ossimorica, come ho imparato dalle parole di un saggio maestro: Il tempo per le cose importanti si trova sempre. C’è però meno energia, anche per il fatto che il mio blog non nasce come semplice pagina di cronaca quotidiana, ma possibilmente di meditazione scritta, mi accorgo invece di quanto spesso ripercorro gli stessi pensieri e gli stessi racconti senza che questi contengano il necessario Wabi (侘), “la sorpresa” e la meraviglia nelle cose quotidiane ritenute ingiustamente banali. Sono viceversa pesantemente carichi del Kigo (季語) “riferimento alla stagione o al periodo” palesando una periodicità che mi piacerebbe superare, ma alla quale non so ancora porre rimedio.
Mi risulta evidente che per una frequenza e uno scambio di relazione il tempo di latenza sia un fattore molto critico, se capita, come mi è successo, di scrivere un solo post tra un equinozio e un solstizio difficilmente è possibile mantenere quella confidenza e quella corresponsione che rendono più solido l’interesse reciproco: la bassa frequenza è di per sé indice di poca energia in qualunque forma d’onda in natura; i blog non fanno eccezione.
Eppure (riecco la mia congiunzione preferita) ho appena dichiarato che scrivo per me stesso: mi sento ancora sincero in questa esternazione; i commenti però sono un regalo aggiunto ed imprevisto, sono quasi sempre ricchi di Karumi (軽み), “leggerezza” e di Shiori (しおり), “delicatezza”, a ben considerare non ho mai ricevuto insulti o cattive parole e questo con i 500 post che ho fatto, che certo non sono molti ma nemmeno niente, è per me già un segnale lusinghiero. È grazie a questi pensieri donati che posso meglio percepire lo Yūgen (幽玄) “la profondità e il mistero”, ed è grazie ai commenti ed alle visioni altrui che sono più ricco ed anche più consapevole di saper trovare parole non solo per me, ma comprensibili anche ad altri esseri umani.
Ecco quindi un’altra variabile imprevista ma positiva, il superamento della mia difficoltà di relazione che permea pensieri altrui e li intreccia permettendomi di vivere il Wabi (侘寂) “la consapevolezza della  solitudine”, in modo migliore.
Scrivere su un blog non è un obbligo di legge, anzi non è affatto un obbligo o un dovere, è a mio vedere un grande potere che permette il miglioramento della persona. A differenza dei social dove ogni cosa è immediata, esageratamente ridondante, perfino irrispettosa di un certo decoro o di una certa riservatezza, mi trovo meglio qui, dove posso scegliere i miei tempi senza che nessuno si offenda o lanci accorate richieste per la conferma di esistenza in vita. Ha il ritmo che cerco, diverso da quello affannato della vita e non impone prestazioni numeriche di likes, followers o altre parole aliene.
Ma anche qui è forse importante il numero dei contatti, dei commenti, dei post prodotti? Non conta forse di più quel piccolo grande tesoro di momenti importanti che restano parola o commento a prescindere dalla quantità?
Già… proprio i commenti sono la parte che rende il blog diverso da un diario elettronico, quale potrebbe essere una pagina web, altrettanto esposta alla pubblica attenzione. Di questa opportunità sono molto grato, scoprendo con la dovuta meraviglia che proprio grazie a pensieri stimolanti sono stato in grado di trovare parole impensate e impreviste, che a volte hanno preso la forma sintetica di un Haiku ed in altre occasioni sono risultate più importanti di quelle poste sopra a contenuto del post, parole che ancora conservo con morbida memoria, quali sono quelle scritte a commento di un post autunnale; oggi voglio riproporle perché credo possano incoraggiare il nostro restare qui a ritrovarci senza fretta e senza doveri, solo per il puro piacere umano di raccontarci la vita, ciascuno col proprio stile e le proprie visioni: condividendo.

 

Siamo qui, tutti assieme, seduti sotto il grande albero che lascia cadere le sue foglie come cartoline dei giorni più luminosi. Pervade, appena per un attimo, il senso di rimpianto che subito diventa quella leggera malinconia, lieve come le prime nebbie di mare quando sfumano sulle onde stanche di tanto rumore finalmente rilassate, ignorate dai bagnini che potano gli ombrelloni, pronti a vederli ricrescere la prossima primavera. Siamo a raccogliere i ricordi, aggiungendo loro lo zucchero della nostra meraviglia per farne una marmellata che conserverà a lungo questi sapori buoni, e finalmente con il bicchiere di vino nuovo in mano, apprezziamo quanto, ancora una volta, la vita è stata generosa, mentre il sole diventa impaziente di tramontare.

La canzone di Aengus il Vagabondo
Testo: William Butler Yeats
Musica: Donovan
Traduzione: Luisa Zappa
Canta: Angelo Branduardi

 
 
 
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