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Fabrizio De André, 'Il suonatore Jones'

Post n°40 pubblicato il 08 Luglio 2008 da fattodiniente

Una piazza di una città qualunque, un sabato pomeriggio, che ormai si è già risolto a diventare sera.
Nel brusio del passeggio, note e timbriche di una tromba e una fisarmonica, che tracciando frasi in tempi dispari parlano di campi lontani, di nebbie e venti e soli diversi. A spargere quell’allegria zingaresca folle e stordente come quelle scale che mozzano il fiato e danno le vertigini, col loro ritmo sincopato e travolgente. Un po’ balcanico, un po’ klezmer.
E l’aria della città che si fa meno triste e scontata; o forse di più, nel contrasto tra il grigiore del nostro autunno, e gli odori pungenti e i sapori forti che le note evocano e fanno aleggiare per la piazza.

Li cerco, li trovo. Suonano magistralmente, con quella fluidità che solo la costante e gioiosa confidenza con lo strumento ti può dare, quando lo strumento è addirittura più di una parte di te: è la tua voce, i tuoi pensieri, il tuo modo di vedere le cose.
Sono qui a cercar probabilmente un modo meno provvisorio di tirare a campare, e parlano tra loro con quel tono deciso, sempre sopra le righe, che hanno gli uomini dell’est. Rumeni probabilmente, o forse moldavi, a sentire la parlata.
Arrivati qui chissà come, chissà per quanto, che certo un po’ zingari lo sono. Chissà se hanno una moglie da qualche parte, e dei figli: forse no, perché quando sei musico, sei troppo impegnato a raccontare agli altri la loro anima per poterti permettere il lusso di preoccuparti della tua.
Un sorriso, e una moneta dati fugacemente, e un cenno di risposta, a ricambiare. Un cenno prezioso, perché sempre gentile e sincero, e perché venuto da lontano, a raccontar modi d’essere che abbiam perduto, o forse non abbiamo nemmeno mai posseduto. Modi d’essere in cui il fantastico è una struttura del quotidiano, e nei quali uno strumento musicale riempie la vita più delle mille altre cose che non hai e non potrai mai avere.
E finisce che quello strumento diventa la sola ricchezza che puoi spendere, per cercare qualcosa di migliore; che, certo, non troverai qui.

Qui, in un posto dove la ricchezza che doni, pure racchiusa in poche note intrecciate di una tromba e una fisarmonica, vale più di tutti i beni in bella mostra in tutte le vetrine di tutta questa città.
E davvero chiederesti loro, voi che regalate felicità, cosa volete in cambio di migliore?


« E poi se la gente sa,
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.
Finì con i campi alle ortiche
finì con un flauto spezzato
e un ridere rauco e ricordi tanti
e nemmeno un rimpianto. »

 
 
 
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