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SABATO 30 MAGGIO ORE 18,30 ASTA DI BENEFICENZA
Post n°2 pubblicato il 26 Maggio 2009 da asta_lilt_60artisti
Pasquale Urso-Pittore,grafico, calcografo di origini salentine, opera nel campo del figurativo moderno.Ha completato gli studi a lecce presso L'Accademia di Belle arti, allievo del maestro Raffaele Spizzico. Fonda l'associazione Torchio d'arte la stella a Lecce nel 1974, un sodalizio cui hanno partecipato tantissimi artisti realizzando numerose mostre legate alla grafica. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Numerose le sue mostre personali e collettive in Italia Giuseppe Zilli incentra la sua iniziale ricerca, negli anni ’70, sulla figurazione, approdando ad un segno personale. Sempre alla ricerca di una composizione essenziale, sviluppa il suo percorso gradualmente ma continuamente, fino ad arrivare verso un segno liberatorio ed essenziale, simbolo di semplicità e leggerezza, avvicinandosi in maniera sempre più forte verso la scultura ed utilizzando materiali diversi in sapienti combinazioni cromatiche. Ha curato e realizzato libri d’artista con la tecnica dell’incisione. Tra il 1999 e il 2006, ha organizzato diversi eventi culturali, sia nel campo delle arti figurative che nella letteratura per ragazzi. Numerose le mostre in campo nazionale ed i cataloghi che dal 1976 ne documentano l’attività pittorica e scultorea. Hanno scritto di lui: R. Argenti; V. Balsebre; V. Baldassarre; G. Berti; T. Carpentieri; A. Cirignola; T. Ciulli; G. Giangreco; A. Ingrosso; D. Ingrosso; E. Liguori; M. Marino; M. Nocera; L. Perissinotto; L. Palmieri; G. Petruzzelli; M.Pizzarelli; F. Russo; F. Tolledi; A. Verri; F. Zarbano. “La chiave va cercata nel colore. Giuseppe Zilli con le mani, trasforma umano istinto e logos in colore, pigmentando i grani della nostra sabbia, come fosse un monaco tibetano. Li raccoglie in sacchi di juta,li pesa ,li conta, trova nuovi equilibri di leve e compasso,e infine li appende al collo dei suoi sette peccatori, uniti da un cromatismo acido, primordiale, elementare, fatto di pietra, marmo e stoffa grezza. Ogni materiale utilizzato ne desidera un altro e l’artista scivola naturalmente da un desiderio all’altro, da un colore all’altro, da una pena ad un’altra. Ogni scelta risponde, è evidente, ad un bisogno intenso di libera espressione, di memoria storica e antropologica, che supera ogni fatica del corpo. Così nera è l’invidia. Le sue vipere sono affamate, bucano la pietra dalla quale sono partorite, perforano strati e strati di sabbia scura, strappano la tela e dall’intreccio vischioso delle loro spire puntano al loro stesso cuore. Per cibarsene e trovar pace, muoiono di sé. Il giallo della lussuria è invece desiderio di bocca e gioco. I suoi pesci, abbacinati di lascivia, viaggiano in una densità liquida che li rallenta, nuotano in un’abbondanza che li stranisce. E giocano come bambini vanamente innocenti. Poi il verde si sdoppia: diventa farina acida d’invidia e pancia velenosa di gola mai sazia. Mentre l’invidia è composta da semi che implodono segretamente, la gola s’allarga, si nutre, ingigantisce. Dopo arriva l’accidia: una sospensione astenica nel blu, estasi azzurra, rapimento amoroso che prepara al cielo e che invita all’immobilità sotto un manto virginale. Ma se l’accidioso è indeciso in un mare pescoso in cui nulla accade, il superbo è profondamente sicuro di sé. Questi non è solo tinto di rosso, di più: è malato di porpora e pronto ad esplodere
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