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il buio inghiottì il girasole...e nel buio si rigenerò..

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al mio amato drago...

Post n°546 pubblicato il 23 Settembre 2013 da magie1980

Vetiver

 

Il ticchettio che sento in lontananza non preannuncia nulla di buono, sono due giorni che piove e non intende smettere. La città con la pioggia diventa una bolgia di macchine e ingorghi mentre i mezzi si svuotano un po’ per riservare il pienone solo alla metro delle 6, quella è sempre un casino assoluto.

Sospiro un attimo poi chiudo il giubottino e metto nel taschino della camicia gli occhiali, odio gli occhiali bagnati; l’ombrello mini è già fuori dalla piccola custodia e col dito sul pulsante a scatto sono pronta ad uscire a spruzzo dentro l’onda umana di cui faccio parte.

Sincronizzati tutti gli ombrelli scoppiano come i pop corn e creano un variopinto tetto ondeggiante che si disfa in pochi istanti appena finiti i gradini; che spettacolo visto dall’alto, mi dicevo mentre controllavo di far bene la scala per non arrivare sul marmo con le gengive invece che coi piedi e, finito di contare, saltello sul marciapiede come quando arrivi alla base dell’un due tre stella!

- Ma stia più attenta signorina!! -

Una voce seccata ma armoniosa da uomo serio ma di sicuro affascinate mi rimprovera per il saltello un po’ sbilenco che ha schizzato acqua ovunque avendo preso in pieno una pozzanghera.

- scusi -

Dico in fretta e vorrei sprofondare; davanti i miei occhi un paio di scarpe bellissime, rifinite con cura, di sicuro fatte su misura, alzando piano lo sguardo vedo un pantalone scuro leggermente satinato ma non troppo lucido sotto ad un cappottino leggero in tinta e dalla manica, perfettamente al polso, una mano fa capolino così curata e morbida che quasi sentivo la sua carezza dolce sul viso.

Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo e cercavo una via d’uscita fra la folla che sembrava essersi messa di proposito a barriera davanti a me, me che ero come impietrita ed assente col cuore in gola e gli occhi sbarrati. Faccio per andare ma qualcuno distratto mi colpisce da dietro il piede d’appoggio ed io perdo l’equilibrio come un sacco vuoto, chiudendo gli occhi sentivo già il bagnato dell’asfalto contro le mani nude ed il peso della vergogna che da quando ero piccola mi assale violento quando inciampo e non riesco a tenermi su in nessun modo arrendendomi alla gravità.

- attenta…ma è ubriaca? Si sente bene? -

Quella mano che sembrava di seta nascondeva un pugno forte e deciso che non solo evitò la mia caduta ma sorresse tutto il mio corpo come un puntello di ferro facendomi sentire leggera e piccola come una bimba di pochi anni. Avrei voluto abbandonarmi fra quelle braccia robuste e muscolose nascoste da quei capi eleganti e morbidi spruzzati di vetiver che ubriacavano i miei sensi e mi facevano sognare posti lontani e romantici.

- grazie - 

Ma solo questo riesco a dire? Eh sì dannazione! Senza alzare lo sguardo mai sul suo viso che tutt’ora è un dolce mistero mi rimetto bene in piedi e scappo via da quel vortice di emozioni e sogni che per un attimo fa vacillare la mia sicura marcia verso casa, la voglia di girarmi e corrergli incontro provando ad invitarlo per un caffè o per qualsiasi altra cosa avrebbe potuto farlo restare accanto a me anche un solo minuto. Cammino svelta, non mi devo voltare, ma chissà se mi guarda o se neanche si è accorto di me oltre al fastidio, mi giro, si solo un attimo, uno sguardo cosa può fare di male?

Come in un film immaginavo lui che mi fissava e sorrideva al mio girarmi così ingenuo e allo stesso tempo malizioso, lui lì che col suo iphone in mano e l’orologio da un milione di dollari si era soffermato a guardarmi e aspettava che io tornassi da lui; non sentivo neanche la pioggia sul viso che era completamente scoperto fuori dall’ombrello, lo cercavo con lo sguardo ma non c’era, eppure non l’avevo immaginato, sentivo ancora la stretta delle sue dita sul mio braccio ed il suono sottile della sua voce mi ronzava in testa come il chiaro di luna di debussy. Mi ricordava tanto la scena di dracula di coppola quando lui elegantissimo e super figo la incontra per strada e passano assieme il pomeriggio, solo che io non sono winona ryder e non sono elegante nemmeno la metà di lui con la mia gonna lunga da zingara e la canottierina in microfibra.

Sospiro e vado via verso casa come se sulle spalle avessi il peso di dieci sacchi di cemento che con la pioggia si fanno più pesanti, più fastidiosi; il portoncino scatta veloce aprendosi in un cigolio, entro e scrollando l’ombrello do un ultimo sguardo, nessuno mi aveva seguita o si vedeva all’orizzonte, nessuna speranza che il mio dracula venisse a corteggiarmi e baciarmi con la sua eterna promessa d’amore.

 

Salgo svelta le scale e sbattendo la porta mi spoglio all’ingresso per evitare di bagnare tutta casa e, mentre tiro via dalla tasca l’abbonamento della metro, cade un bigliettino, uno di quelli da avvocato o cose simili, rigido e ruvido; nome e numero non mi dicevano nulla ma appena lo avvicinai al viso capì di chi era, vetiver. 

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