Creato da Manfredi.E il 24/04/2007

Spremi-acume di film

Personaggi e registi o come ciascuno a suo modo spettatori vanno contro altri attori

 

 

Post N° 30

Post n°30 pubblicato il 09 Gennaio 2008 da Manfredi.E
 

C'era una volta una società che aveva licenziato Giuseppe, fattorino ciclista, per assumerne uno abilitato alla guida di un furgoncino. Avrebbe dovuto dargli almeno il preavviso di un mese ma preferì mettergli in mano quello stipendio in più e lasciarlo subito a casa. Giuseppe, umiliato e offeso, tant'è che fece causa all'azienda. Passò un anno e il tribunale gli diede torto. Ma lui amava la resistenza, nonché la resilienza, e l'anno dopo la Corte d'Appello gli diede ragione. L'impresa avrebbe dovuto attivarsi per far prendere a Giuseppe la patente di guida. Così l'impresa venne condannata a reintegrare Giuseppe nel suo posto di lavoro, a pagargli due anni di stipendi arretrati più le spese legali, a pagare all'Inps due anni di contribuzione omesse più le relative sanzioni. Ma Giuseppe nel frattempo aveva trovato un altro lavoro ( anche se mantenuto a nero per non compromettere il risarcimento) e il posto non gli interessava più. La legge gli consentì di rinunciarvi riscuotendo in cambio l'equivalente di 15 mensilità fino a 39. Per Giuseppe un terno al Lotto, per l'azienda quasi 100mila euro. E vissero.

C'era una volta la Eklund che secondo la regola del manpower planning (pianificazione tempestiva del fabbisogno di manodopera) aveva programmato di sciogliere il rapporto con Marijke nel quadro di un progetto di ristrutturazione. Il direttore, discussa la cosa con i rappresentanti sindacali, chiama la dipendente per spiegarle la situazione e la informa che, tenuto conto della sua anzianità di servizio, le avrebbero corrisposto in ogni caso 18 mesi di retribuzione a partire da quel giorno e che sarebbe stata lei stessa a decidere quando far cessare il rapporto entro i mesi a venire:9 mesi. Le venne inoltre offerto un servizio intensivo di riqualificazione e ricollocazione (outplacement) e un'indennità di disoccupazione pari a 2/3 dell'ultimo stipendio. Fatto sta che nel giro di tre mesi, mentre stava ancora lavorando, Marijke venne invitata dal job centre che la aiutava nella ricerca a un corso di alfabetizzazione informatica per persone anziane. Lei accettò, riscosse la parte restante dell'indennizzo dovutole dalla Eklund e frequentò il corso e sei mesi dopo era già impegnata nel suo nuovo lavoro. E vissero.

La prima favola potrebbe essere avvenuta in Italia.

La seconda è ambientata nel resto d'Europa. E di essa non si è occupato nessun giudice.

FUORI SCENA. Laura:"Com'è andata? ...Aspetta, non mi dire niente...a me m'hanno fatto stare due ore, dopo mesi di stage con loro, per dirmi -le faremo sapere-"

Emanuele: "Laura, ormai non esco più, mi si è chiuso il cuore, a furia di rifiutare gli annunci perché mascherati di lavori porta a porta e abbelliti dalla parola marketing!".

SE SOLO MI FINGESSI GRANDE CAPO DI UN'AZIENDA INVECE CHE RECITARE:

                   

 
 
 

Post N° 29

Post n°29 pubblicato il 07 Gennaio 2008 da Manfredi.E

Per l'inizio di gennaio avevo scritto due favolette, ma ho un computer molto labile. Non avevo memorizzato le nuove pagine di un sistema e tutto si è volatilizzato. Ho visto però al cinema quel LARS E LA RAGAZZA TUTTA SUA. Un intero paesino che lo comprende senza conflitto perché la sua timidezza gli fa comprare una bambola come donna. Ed io pensavo che alla fine ci prendesse tutti in giro, il personaggio, perché sono anche gli altri che si fanno tante idee in testa. E' tardi, e la mia bambola non mi fa riscrivere il post perché domani in radio il mio collega mi aspetterà col nostro spot falso, visto che anche lì i computer labili non mancano.

CLICCA LE VOCI DEGLI SPOT PAZZO NEL POST DI HIMIL

Ecco intanto il trailer:

 
 
 

Se i Natali passano ma i lavori restano...

Post n°28 pubblicato il 21 Dicembre 2007 da Manfredi.E
 

NEL 2007 NON NE HANNO PARLATO IN MOLTI, SOLO QUALCHE GIORNALE. MA NIENTE BLOG (SOLO UNO MA NON DI QUESTA PIATTAFORMA), NIENTE FORUM SU INTERNET. UN ANNO NUOVO SENZA GLITTER, MA SOLO DI IMMAGINI CHE ABBIAMO BISOGNO DI SENTIRE COME QUESTA:

Per un mese ha provato a vivere con lo stipendio di un operaio. Dopo 20 giorni ha finito i soldi. Enzo Rossi, 42 anni, produttore della pasta all'uovo Campofilone, ha deciso allora di aumentare di 200 euro al mese, netti, gli stipendi dei suoi dipendenti, che sono in gran parte donne. Ha dichiarato di essersi vergognato, perché non è riuscito a fare nemmeno per un mese intero la vita che le sue operaie sono costrette a fare da sempre. Ha detto che "è giusto togliere ai ricchi per dare ai poveri".
Sapeva come vivono le donne che lavorano per lui. Ma ha fatto questa esperienza soprattutto per le sue figlie, che non hanno mai provato le privazioni. Ha voluto fare toccare loro con mano come vivono la grandissima parte delle loro amiche.


"Io mi sono assegnato 1.000 euro, e altri 1.000 sono arrivati da mia moglie, che lavora in azienda con me. Duemila euro per un mese, tante famiglie vivono con molto meno. Abbiamo fatto i conti di quanto doveva essere messo da parte per la rata del mutuo, l'assicurazione auto, le bollette... Con il resto, abbiamo affrontato le spese quotidiane. Il risultato è ormai noto: dopo 20 giorni non avevamo un soldo. Mi sono vergognato, anche se ero stato attento a ogni spesa. Sa cosa vuol dire questo? Che in un anno intero io sarei rimasto senza soldi per 120 giorni, e questa non è solo povertà, è disperazione".


"L'ultimo giorno, quando ho deciso di arrendermi. Entro nel bar con 20 euro in tasca, gli ultimi. Sono conosciuto in paese, siamo 1.700 abitanti in tutto e gli imprenditori non sono tanti. Mentre entro un pensiero mi fulmina: e se trovo sei o sette amici cui offrire l'aperitivo? Non ho abbastanza soldi. Ecco, ci sono tanti operai che, quando tocca il loro turno, debbono pagare da bere agli altri, perché non è bello fare sapere a tutti che si è poveri. Sono in bolletta e non lo dicono a nessuno. In quel momento ho pensato: tanti di quelli che sono qui sono poveri davvero e non per un mese. Mi sono sentito come quando sei immerso in mare a 20 metri di profondità e scopri che la bombola è finita".


"Per quelli come me non sono nulla. Per gli operai 150 euro al mese in meno sono quasi 2.000 all'anno, e questo vuol dire non pagare le rate della macchina o non comprare il computer al figlio. E poi, lo confesso, io ho aumentato i salari anche perché sono un egoista. Secondo lei, come lavora una madre di famiglia che sa di non poter arrivare a fine mese? Se è in paranoia, dove terrà la testa, durante il lavoro? Le mani calde delle mie donne che preparano la pasta sono la fortuna della mia azienda. E' giusto che siano ricompensate".

E PENSARE CHE LUI LE FESTE D'INIZIO ANNO LE HA PASSATE DICHIARANDOSI ANCORA UN VECCHIO UOMO DI DESTRA.

Al cinema va così

 
 
 

Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 05 Dicembre 2007 da Manfredi.E
 

Hanno inventato le varianti e si possono sfruttarle. Un napoletano che finalmente si dirige dal commercialista per pagare le tasse e molte altre leggende da pregiudizi. Ma hanno inventato anche le Immacolate Concezioni, che il lavoro è vergine da ogni nascita. Favole, di Adamo ed Eva.

Felici sogni, al cinema!

 
 
 

Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 01 Dicembre 2007 da Manfredi.E
 

Milano. Esterno giorno. Nebbia. Tutti camminano di fretta, qualcuno chiede l'ora ad un impiegato che corre per strada e si sente rispondere "E' tardi, non posso".

Interno giorno. Dalla strada si entra in una bottega di un fabbro che racconta al suo discepolo praticante di quando non c'era nemmen tempo per una sigaretta in fonderia quando lui era giovane: "...E' così che siamo andati avanti, batti il ferro quando è caldo, che poi i giorni non tornano più." Le scintille del ferro battuto diventano fumo.

Esterno, nebbia. Una mamma col bambino in mano perde l'autobus. Si fermano ad aspettare. Il bimbo di 10 anni intanto si distrae alla fermata perché un nonnetto gli sorride bonario seduto ad una panchina. Gli dice di avvicinarsi e gli racconta una fiaba. La mamma trepidante guarda l'orologio e guarda in fondo alla strada se arriva qualche autobus. Una musica fa passare le lancette. Mentre il vecchio si è intanto sfilato un orologio e lo regala al bimbo:"Ricorda, l'amore nel tempo, non può scadere mai...perché anche se c'era una volta...vissero per sempre". Il bimbo corre dalla mamma per dirle del regalo. La mamma si gira preoccupata più per non essersi accorta che il figlio le era scappato di mano. Gli chiede chi glielo ha regalato. Il bimbo indica la panchina che è vuota.

Si ritrova al polso un orologio, stupito e con gli occhi assorti nel vuoto. Una mano materna gli accarezza la testa.

Schermo nero. Una voce: "Se il dito indica la luna, tu metti il tuo tempo!". Orologi Random&Co. Una fiaba che non scade mai.

Un favoloso esempio

 
 
 

Post N° 25

Post n°25 pubblicato il 28 Novembre 2007 da Manfredi.E
 

In un confessionale. Una ragazza timorata di Dio si siede e sussurra oltre la grata: "Padre, ho peccato!". Un suono di clavicembalo copre le sue parole, vediamo solo il labiale. Ma il prete è sconvolto, si fa il segno della croce con fare convulso. Goccie di sudore bagnano entrambi i volti, inutilmente sventolano i brevari per darsi fresco in quel giorno d'estate.

Il prete non ne può più. Il clavicembalo interrompe il crescendo dei peccati della povera ragazza: "Figluola, Ego te absolvo! Come rimedio, durante le tentazioni...ACQUA IN BOCCA!"

Alberi di cocco e vento di mare, spiaggie e isole si fanno strada nella loro immaginazione per qualche secondo.

Stacco di nuovo sul prete che prende una bibita da un secchiello di ghiaccio che tiene nascosto nel confessionale. La porge oltre la tendina alla giovane e sorridono insieme brindando: ACQUA DI COCCO! SANTA BIBITA!

Un altro esempio

 
 
 

Post N° 24

Post n°24 pubblicato il 07 Novembre 2007 da Manfredi.E
 

Quando andate in gita o un viaggio in Pullman, cosa succede se vi lasciano a piedi in Autogrill?   

  

La casalinga Rosalba sembra un po' frastornata: è la sua prima sera a Venezia. Da sola. L'alternativa per la cena(un cinese dietro l'angolo) viene risolta a favore della piccola trattoria nostrana. -E' mio dovere informarla che la cuoca ha avuto un attacco di appendicite, ci troviamo quindi nella spiacevole situazione di poterle offrire solo piatti freddi- le dice Fernando il cameriere nell'accoglierla. -Sempre meglio del cinese-. -Mi duole contraddirla, signora, ma i cinesei sono i più grandi ristoratori al mondo-. La saggezza di un forbito linguaggio con un eloquio appropriato imparato dai manuali d'italiano la sconvolge. -Il vino è il più grande conforto dell'uomo. Ma anche della donna-. E di fronte alla macchia, sulla camicetta, la cliente proporrà uno spray, ma lui: - Le porto la saponaria-. Questo era Bruno Ganz in Pane e Tulipani di Soldini.

Scrupolosi, competenti, premurosi, storie nascoste dietro i figli. Come un altro cameriere filosofo, che serve. Ma siamo noi a dovercene servire. Quando ci perdiamo e siamo abbandonati per strada.

Questo è dedicato a te, mamma, che vorrei ti riposassi, e non prender freddo, vorrei che tu capissi, che tu stessi bene,

 ma forse non saprai mai.

 
 
 

Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 04 Novembre 2007 da Manfredi.E
 

Perché, diavolo porco, tutti i preti hanno la pancia? Anche quelli che giocano a calcio, quelli che si fanno in quattro nelle missioni, quelli che la notte se ne vanno in giro per il caos urbano a portare preservativi alle puttane. Hanno tutti la pancia. Non sembri un affermazione viziata da vecchio e sterile anticlericalismo, la mia. E' una testimonianza diretta, come se ne trovano tante in rete o fuori.  Forse sarebbe più corretto chiedersi, perché mai tutti i preti che ho visto hanno la pancia? Certo, su quelli che non abbiamo visto non possiamo giurare. Magari sono tutti piatti come tavole, a tavola. Ma tutti i preti, cattolici intendiamo perché dei protestanti e degli altri non ho statistiche, sembra abbino tendenza a metter sù il chiletto. Manuel Vàzquez Montalban in Riflessioni di Robinson davanti a centoventi baccalà. Novella di humour gastronomico, dove parla di un naufrago su un'isola tropicale alle prese col cibo, il sesso, i vescovi, i ricordi delle cose da gustare, i fiammiferi...dice che la pancia dei preti sarebbe dovuta "alla tendenza, propria dei ristoratori e della gente comune, di ingozzare i preti, con la speranza che diventino più condiscendenti come intermediari degli dei". Sara vero?

 Un minuto e mezzo di una cattiva educazione

 
 
 

A QUANTI LUOGHICOMUNI CREDIAMO...E A QUALI NO E PERCHE'.

Post n°22 pubblicato il 27 Ottobre 2007 da Manfredi.E
 

LA DONNA è LA REGINA DELLA CASA?

TROVATI UN POSTO FISSO!

QUESTA CASA NON è UN ALBERGO!

IL MATTONE è SEMPRE IL MATTONE.

LUI SI CHE è UN BRAVO RAGAZZO.

ATTENTO CHE DIVENTI CIECO!

DOVE VAI CONCIATA COSì?!

ESCI SOLO SE SEI ACCOMPAGNATA.

IL MATRIMONIO DURA TUTTA LA VITA.

UN CORTOMETRAGGIO ESEMPIO DI LUOGHICOMUNI

 
 
 

Post N° 21

Post n°21 pubblicato il 20 Ottobre 2007 da Manfredi.E
 

La Fontana di Trevi è tornata libera dal colore che l'ha sporcata, per alcuni, usata come monumento non più statico, per altri. La sostanza non ha rovinato il marmo e il sistema idrico. E' un atto vandalico? E' un atto che fa scorrere provocazione sotto l'acqua del Mosé? Ricordiamo, riflettiamo, soppesiamo, non facciamo i bigotti, né qualunquisti! Cerchiamo di capire i motivi dell'effetto d'immagine che ha provocato.

3min diDolce Vita, e la Fontana dove il tempo si fermò:

"Per noi futuristi inizia così un nuovo millennio, una nuova adesione alle evolute tecniche e ai nuovi mezzi espressivi, interpretando un rinnovamento totale. Dare forza alla lotta contro gli scialacquamenti del regime, il precariato, l'usura, il mercimonio della bellezza, la falsità della legge, la provvisorietà della vita dei lavoratori, l'incertezza del domani e per la libertà dei popoli.  «Una macchia di colore vi tumulerà». «Noi precari, disoccupati, anziani, malati, studenti, lavoratori, stiamo arrivando con il vermiglio per colorare il vostro grigiore»."

SIETE D'ACCORDO CON QUESTO ATTO...non so nemmeno io se chiamarlo "dimostrativo"?

CLICCA SU ALTRI SCATTI DI ROSSO SANGUE CONTRO

Flashback dell'ignoto concettuale d'annunziano incastrato dagli scatti

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I MOSTRI CHE COLSERO PRUGNE CADUTE

Post n°20 pubblicato il 11 Ottobre 2007 da Manfredi.E
 

Allora il serpente disse alla donna:"No, voi non morrete, anzi, Dio sa che il giorno in cui ne mangerete, vi si apriranno gli occhi e sarete come Dio, conoscitori del bene e del male".Genesi 3, 4-5

Sembra ancora di vederlo con l'inseparabile stecchino fra le labbra, o brontolare tronfio di vino. Era una casa maledetta. Lui che era stato accusato di otto duplici omicidi, sedici ragazzi massacrati fra l'estate del '68 e l'autunno dell'85, fidanzatini in cerca di intimità nelle campagne. Avrebbero dovuto affrontare di nuovo i giudici, se nel frattempo lui e il suo amico non fossero morti. Solo e malato in quella casa schifosa di fetore. Pietro era vecchio, non si lavava mai, puzzava e bestemmiava. Una volta si affacciò nell'orto e raccontò al suo vicino di una donna che era venuta da lui e che si era spacciata per un'assistente sociale. "Rolando, sapessi che cosce...voleva i' mi cazzo...è salita su una sedia...le ho messo le mani sotto la gonna e lei ci stava". Però si vedeva che non era più quello di una volta. Lo avevano pagato per non parlare. Come un animale ferito nella tana. Era lui che aveva sezionato le coppiette, portando via lembi di un seno e frammenti di utero in notti di luna piena? Un contadino che aveva violentato anche le figlie faceva comodo ad alcuni nascosti uomini per bene in cerca di trofei anatomici. Un farmacista, un dermatologo, un anatomopatologo, un massone, un carabiniere. Queste erano gente per bene. Ma lui che percuoteva sua moglie e che già la cella l'aveva conosciuta perché ammazzato l'amante della fidanzata e dopo averlo finito aveva preteso di fare l'amore con lei accanto al cadavere sfigurato e ancora caldo, lui era giusto l'orco delle favole dei bambini, troppo comodo. Anche per la vicina di casa quando vedeva le figliolette sporche: "Pietro, perché non le lava le sue ragazze?". Lui alzava gli occhi al cielo e diceva che non avevano i soldi per comprarsi il sapone. E la vicina glielo comprava, il sapone. Lui, Pietro, ringraziava ma di notte inzuppava il gatto della vicina di acqua gelata e buttava l'acido sulle mattonelle di cotto della veranda della povera donna. Era una casa maledetta. Schifosa di fetore.

Birsen, scappata nel 2005 con il marito Muhyettn e i due figli piccoli dalla Turchia che non ama i curdi come lei, è finita qui a Mercatale val di Pesa, proprio nella casa di Pietro, da sei anni affidata in gestione alla casa del popolo che l'ha trasformata in luogo d'accoglienza per le famiglie di extracomunitari con lo status di rifugiato politico. Birsen non sa nulla dei misfatti compiuti entro queste mura. Le hanno solo detto che qui tanti anni fa viveva un uomo cattivo.

 
 
 

Post N° 19

Post n°19 pubblicato il 28 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

Mody era un tipo da bar inquieto. Uno che ascolta ininterrottamente Fiorella Mannoia con quella canzone E dalle macchine per noi, i complimenti del playboy, ma non li cerchiamo più se c'è chi non ce li fa più....cambia il tempo ma noi no. Mody l'aveva presa alla lettera dopo aver conosciuto l'odio post amore abbandonato. E lo aveva trasformato in amore molesto. Per convincerla a tornare con lui aveva pianificato telefonate, lettere, sms, email. Poi cominciato a spedirle fiori, libri, cd, biglietti per il cinema e per il teatro, poi arrivò a far consegnare pizze a domicilio nel cuore della notte, disdire il contratto della luce e del gas, inviare partecipazioni di nozze. Ma non andava a caccia di lepre o fagiani, solo che aveva la stessa ostinata abilità dell'attesa. Le faceva la posta. Era uno stalker.

Da quando qualche notte disturbata la ebbe con incubi di mafiosi che lo convincevano ad entrare in un tunnel bellissimo e pieno di vantaggi, decise che il suo lavoro di impiegato presso una società di sondaggi doveva avere un senso. Un utilità.

La sua vittima non aveva dato il consenso, solo a lei spettava decidere di accettare quelle determinate attenzioni, ritenerle lusinghiere o viverle con ansia. Lui dopo quell'amore finito, prese gli indirizzi della gente che contattava per corteggiare altre vittime, le quali davano risposte negative. Divenne una malattia, Mody non contemplava più il rifiuto. Inutile convincerlo a desistere, gli amici vennero anche meno. Si eclissò. Qualche ragazza provò a dialogare per paura, ma per lui questo gesto era un'attenzione che lei ci stava. Perché un giorno sarebbe stato premiato.

Mody provò a pedinare i nomi di tutte le donne che conosceva con gli exit polls.

Ripensava a quei mattini quando i suoi dirigenti gli diedero un compito. Un congresso aveva commissionato loro un sondaggio per scoprire la ragione per cui i teenager facessero sesso. La risposta fu: perché gli piace. Il costo dello stanziamento per arrivare a questa cifra: 280mila dollari. Per la metà, glielo avrebbe potuto dire anche Mody.

Poi un partito politico aveva chiesto alla gente quanti di loro sarebbero stati favorevoli a una diminuizione delle tasse. L'85% rispose di sì, un trionfo.  Un'industria farmaceutica aveva domandato se la gente avrebbe voluto vivere più a lungo. Il 91% approva. Il restante 9% è evidentemente un po' depresso. Qualcuno aveva domandato anche ai lettori di un quotidiano se stessero soffrendo l'afa: il 93% rispose di sì aprendo un interessante quesito su chi potesse essere quel 7% che invece trovava i 40 gradi confortevoli. Lucertole? Serpenti a sonagli? Commercianti di condizionatori?

Un'altra volta Mody fu costretto a chiedere alla gente se intendesse partecipare a sondaggi. Il 30% degli interrogati rispose sdegnosamente che no, mai e poi mai, a nessun costo, lo avrebbe fatto. Dunque avevano preso parte a un sondaggio per dire che non avrebbero mai preso parte a un sondaggio.

Ecco perché Mody da maniaco cambio carriera. Pubblicò a pagamento su un'intera pagina del corriere l'attività dei suoi pedinamenti. Ma si accorsero del reato, e quindi venne invitato come ospite fisso al Maurizio Costanzo Show.

 
 
 

SFIORIVANO LE VIOLE SULLA SPIAGGIA DI CROTONE, PER LA BRECCIA DI PORTA PIA...

Post n°18 pubblicato il 20 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

Diego sapeva che il ritorno sarebbe stato come un'oliva al frantoio. Ma lui tosto, voleva macerare i ricordi. Cirò, a sira ca sì e a matina ca no. Era risaputo che nella città del vino, i suoi abitanti amavano la luna e non rispettavano i loro impegni. Ma quando era il tempo della vendemmia, mai come allora tutti svegli a tamburellare le cellule cerebrali del mattino A ri cinque a ra pisa, cu ri i forbici e ra spisa. Alle cinque del mattino alla pesa, dove i camion con i compratori avrebbero brecciato le vigne del loro raccolto, pesato la tara, tutti pronti a tagliare e con la colazione di metà mattinata in tasca. Ma Diego per la strada si addormentò.

Sognò senza nebbia, ricordava tutto, persino quando sua mamma al finire dei tredici anni di Diego prima della scelta della scuola superiore, a metà tra lo stupore e lo scontato (perché già poteva aspettarselo) della frase di Diego che poco prima aveva pronunciato, quasi inerme non saper come fare e contentezza, disse E mo? Avete sentito? Come dobbiamo fare?! Diego vuole fare il cantante attore! E a quale scuola dobbiamo mandarlo, ora? Vediamo se esiste un liceo, o...ci sarà un'istituto vicino a Crotone! Lo manderemo a stare con la nonna per tutta la settimana...

Diego però si iscrisse all'Agraria, perché qualche suo amico lo aveva convinto, senza motivo. Per gioco. Come per gioco, qualche giorno prima di iniziare la scuola, seguì un altro amico iscrivendosi alla Ragioneria. Imparò a coltivare da suo padre, e a far di conto perché ero del segno della Vergine, che sennò aspettando la scuola non avrebbe imparato nulla. Individualista, solitario, rissoso, fascista, poi qualunquista. Voleva far breccia su ogni porta, non solo ogni 20 settembre. Controcorrente, poeta, attento ad ogni particolare, scriveva tanto, ma non numeri. E sognava. Sognava di intervistare. Per strada, al ritorno della vendemmia, mentre ancora dormiva, scoprì per terra il Manuale del Corretto Smentitore. Lo aprì. E lo lesse. 1) Rilasciare la dichiarazione voluta; 2) Attenderne e valutarne gli effetti chiusi in doveroso riserbo; 3) Se le circostanze lo consigliano, diramare la smentita dichiarando che: a) l'attribuzione di notizie apparse sulla stampa è infondata in quanto si tratta di arbitraria manipolazione, b) che si è tratta di volgare strumentalizzazione di una conversazione tra amici. Così Diego imparò a incoraggiare l'uso della smentita perché chi non smentisce in realtà non doveva contare nulla, significava ancora oggi che non gli mettono in bocca niente, è un emarginato. Ad una festa gli indicarono un signore: era uno che aveva dato 29 smentite. Lo guardò, aveva il volto volitivo, come sua madre quando Diego gli disse quale scuola superiore avrebbe voluto fare, quando non voleva mentire a sé stesso, quando non voleva amare la luna. Quell'uomo con occhi di ghiaccio parlava animatamente ma si capiva che avrebbe potuto smentire tutto da un momento all'altro. Se gli avesse chiesto -questo lo conferma o lo smentisce? Questo lo smentisce subito o con comodo?-. E lui da gentiluomo avrebbe potuto rispondere -Questo lo confermo, questo lo smentisco, per quest'altra affermazione, mi perdoni, qui lo dico e qui lo nego-. Che uomini, che statura morale: dichiaravano, negavano di aver dichiarato, ma almeno davano subito il preavviso di smentita.

Quel ragazzo si svegliò. Il Diego di quella vendemmia raccolse. E dopo aver sognato si accorse di aver scoperto le bugie. E visse infelice ma contento.

Per questo da grande si buttò in politica, e questo non era un sogno, ma lo faceva per campare.

 
 
 

LA REALTà è QUELLA CHE SI VEDE?

Post n°17 pubblicato il 19 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

Uccise la nonna di 82 anni a sprangate perchè voleva fare del cinema. Ridotta la pena, ora gira un cortometraggio
Mercoledí 19.09.2007 05:58

Tra 10 anni e 8 mesi Corrado Rigamonti uscirà dal carcere. Dietro le sbarre doveva scontarne 14, ma un patteggiamento in appello gli ha ridotto la pena. Il suo nome non è più agli onori delle cronache, oggi che ha 25 anni. Due anni fa, invece, nel giugno 2005, il suo caso scandalizzò l'Italia. Perchè Corrado aveva un unico grande amore, il cinema. E un'unica grande nemica: la nonna 82enne, Annetta Tentori. Lei glielo ripeteva sempre, al suo nipotino, di trovarsi un'occupazione stabile. Di fare qualcosa di serio. E lui l'aveva fatto, ammazzandola a sprangate nel suo appartamento a due passi dal centro di Lecco dopo l'ennesima reprimenda.

Corrado aveva deciso che sarebbe riuscito - costi quel costi - a realizzare il proprio sogno. Per questo, quel sabato pomeriggio, si era recato nella stanza dove teneva gli attrezzi ginnici, aveva preso una sbarra di ferro e poi si era rivolto con una violenza inaudita contro la vecchietta. Le aveva spappolato il cranio. Poi, afferrato un coltello, aveva fatto scempio del corpo dell'anziana signora, accoltellandola in più parti. Infine, afferrata una sega, aveva anche iniziato a tranciarle la gamba. Ma aveva subito desistito, provando a ripulire la scena del delitto e inscenando una rapina.

Poi, con lucidità, Rigamonti aveva cambiato gli abiti, li aveva lavati, aveva nascosto le armi del delitto. Aveva preso il treno per Bergamo, aveva frequentato delle persone, forse per crearsi un alibi. A scoprire il cadavere della nonnina era stato il padre di Corrado, Mario, divorziato da tempo, che viveva insieme al figlio con l'anziana donna. I carabinieri avevano interrogato Corrado. L'avevano messo sotto torchio e lui aveva confessato tutto. "Mi dispiace", aveva semplicemente detto, alla fine. Poi il processo di primo grado, con la condanna a 14 anni. E infine il patteggiamento in appello e la vita che ricomincia a sorridere.

Tra poco più di 10 anni sarà fuori. E potrà fare del cinema. Anzi. Lo sta già facendo. Presso la comunità di recupero "Il Montello" di Serravalle, in provincia di Alessandria, ha cominciato a realizzare le sue aspirazioni girando un cortometraggio scritto e sceneggiato da lui insieme ad un altro giovane detenuto. Il Tribunale è stato clemente: il nullaosta ai quattro giorni di riprese è stato concesso dal Presidente della Corte d'Assise d'Appello di Milano.

Ma non è finita. Perchè Corrado Rigamonti potrebbe partecipare addirittura ad un concorso nazionale di cinematografia che si svolgerà a Roma nel prossimo autunno. Rigamonti, in questo suo debutto, non si è limitato ad assistere dietro alla macchina da presa nelle vesti d'autore, ma ha fatto lo sceneggiatore e interpretato uno dei ruoli principali della storia intitolata 'A-more' e che ruota intorno a due ragazzi innamorati della stessa ragazza.

 
 
 

Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 16 Settembre 2007 da polystyrene
 


Clown - Poly©


 
 
 

DEVO PUR DIFENDERMI ANCHE IO COME UNO SPARRING PARTNER

Post n°15 pubblicato il 08 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

Durata del video, 2min e 55 sec. Per capire i pugni presi.

Mitijo quel lontano giorno d'estate mi suonò al citofono. Scendi, devo parlarti. C'è qualcuno in casa? (che sappia che t'ho cercato?). Passammo un pomeriggio di inizio giugno a gustarci il silenzio che i Mondiali di Calcio regalavano alle Cascine. E parlammo di noi, della nostra amicizia. Ma voleva confidarsi, Mitijo. Di quello che avevo già visto a tavola, a pranzo di un amico del suo ragazzo, mentre usciva dalla stanza preoccupata e mentre lui la strattonava. Già non era un'aria digeribile. Ma accasciammo le nostre bici sul prato ed io vedevo solo il cielo. Sai, non va bene tra me e Federico. Che poi, a chiamarsi Federico! Come in quella canzone di Ivan Graziani, Canzone triste, dove Federico Il Barbarossa l'irlandese buttava giù con rabbia i suoi disegni da Ponte Vecchio -io sono nato da una conchiglia, diceva, la mia casa è il mare con un fiume no, non la posso cambiare- e se ne sarebbe tornato in Irlanda con la sua laurea in Filosofia e una donna da condividere fra te e me. Ma non era il caso di Mitijo. Anche per lei era nell'aria un ritorno in Giappone, i suoi le avevano già spianato la strada in un lavoro statale d'insegnamento tramite amicizie con l'Imperatore.

Sai, Manfredi, mi fa Mitijo, non va bene fra me e Federico, ma non sono i soliti problemi di cui ti dico sempre, sì va be' stiamo insieme per forza di cose, e giù a frasi fatte! Noia, anni. Ma più di ogni altra cosa che mi disturba è che è stato messo in mezzo qualcuno che non c'entra niente.

Guardavo il cielo. La sua mano giocava coi fili d'erba e mi chiamava. Io sorridevo come Roberto DeNiro alla fine di C'era una volta in America fumato d'oppio, illudendomi che la vita non è una gran puttanata di rifiuti, e un'amicizia che si tiene ben salda perché vissuta per strada. Vedevo le nuvole come Totò e Ninetto Davoli e Franco e Ciccio marionette shakespeariane in mano a Modugno. Dai, dimmi qualcosa, Manfre'! Respirai forte, non ce la facevo a dirlo. Aspettai, dillo ora Manfredi! E' il momento. Pausa.

Mitijo! C'entro io tra di voi? E lei inghiottì l'aria, sollevò la testa per dire sì con calma. Non saprà mai, né tanto meno se lo chiese allora, perché doveva aspettarsi questo mio lume di faro, questo mio sospetto. Ed io continuai a guardare il cielo, singhiozzai e piansi a dirotto.

Piansi pensando a quando incontrai la prima volta Federico, per strada. La nostra amicizia era petto a petto. Ma lei mi aiutò, mi disse, cerchiamo di mettere insieme le nostre forze. Perché la prendi così? Abbracciandomi come non aveva fatto mai. Non facciamoci vedere insieme, altrimenti diamo ragione ai pettegolezzi di chi gli ha detto, e non so chi, Federico stai attento il Mercoledì, ci sono troppi cani all’osso. E il tarlo della gelosia lo rosicchiò, lui le controllò il dettaglio chiamate del telefono tramite il suo sito internet ricordandone la password, fece due per tre e le chiese dettaglio del perché e del per come io e lei eravamo sempre così affiatati quando andavamo il mercoledì al circolo del cinema d’autore italiano. Già quell’amico, dove andai a pranzo quel maledetto giorno di giugno, mi mise in guardia di discussioni origliate su gelosie. Già mesi prima, su un porto del Sud dove eravamo andati insieme al gruppo del circolo, Mitijo mi chiese perché le parlavo poeticamente e cosa volevan dire quei messaggi via posta elettronica, intercettata da Federico, è chiaro. Lei mi tranquillizzò, ma io scemo per com’ero non capii che voleva sondare i malumori, pensai che non potevo tradire un amico per quanto lei mi attraesse. Ma quei giorni di giugno comunque seguirono incorciati dalla mia angoscia e dalla mia furia, nell’ansia di raccontare tutto a Federico che io non c’entravo niente, e molti mi dicevano di farmi i fatti miei, di non entrare in merito e di non creare il motivo della separazione, lasciamo che siano altri i veri motivi che in realtà erano tra di loro e non le scuse messe lì a cause.

Dopo giorni lunghi Federico scrisse una lettera a Mitijo. Lei mi diceva tutto e forse sbagliava a coinvolgermi. Ma sapemmo stare in silenzio. Federico la abbandonava perché non andava bene tra di loro, per i motivi che sapevamo ormai, ma io non venni citato. Anche per lei era un lascito con rabbia, l’aveva voluta anche lei la fine di questa storia. Io ufficialmente lo venni a sapere da mio fratello e dopo qualche giorno mi diressi verso Federico, dicendogli, mio fratello mi ha detto questo e questo…ma ora non buttarti giù, riprenditi, esci. Lui era imbarazzato, sul letto, suonava. Accanto un libro di filosofia. Poi ci licenziammo e da allora è sempre freddo e formale il nostro vedersi. Non ci confidiamo più. Per quanto quelle sere prima che decisero la fine, io già sapevo tutto e ci guardavamo negli occhi in lacrime tutti e due e giocammo a pallone, io fingevo e lui forse si sentiva in colpa, ma ero un pessimo attore, non per lui. Perché me lo ricordo quel dribbling e quell’abbraccio, col mio Federico, dopo una partita dell’Italia, al buio di un giardino con tanti amici, al buio di una sera di Firenze tra l'edilizia anni 60. La vittoria ci faceva giocare. Ora non ci confidiamo più, ma siamo sereni dopo quella vittoria del nostro silenzio.

Il luglio passò e con Mitijo decisi che era ora la prendessi tanto che volevo farmela. La abbracciai una sera sul lungarno. Con una storiella dell’antica Grecia. Apollo innamorato di una ninfa, rincorrendola e non riuscendo ad acciuffarla le urlò –ti prego, corri un po’ meno ed io correrò alla tua stessa maniera-. Mitijo dell’antica grecia conosceva il cartone animato del suo paese, Pollon. Forse se io, Manfredi, avessi avuto il talco che donasse l’allegria a quest’ora avremmo dato ragione a Federico che già non si sentiva più, già era in bella compagnia. E lei cambiò, si allontanò, strammò, si accorse che Federico aveva ragione sul mio conto. Ma io ero sempre stato leale, e lei lo seppe per sempre. Perché Mitijo mi vuole ancora bene, oggi, me ne ha sempre voluto, anche quando rifiutò i miei baci per amare le distanze che l’avrebbero sanata.

L’anno dopo Mitijo baciò un mio amico, di ritorno dal Giappone. Lui fu leale a dirmelo, sin dai corteggiamenti iniziali di lei e lei fu dura con me, me lo disse chiaro e tondo, non sono fatti tuoi Manfredi, mi dispiace, io sono libera. E quel mio amico mi chiese se per caso c’ero rimasto male, lì per lì dissi di sì ed era vero, ma mi chiese se era una ragazza da sposare, da poter portare avanti un cammino. Per lui non era proprio cosa, ed io gli dissi –caro amico vero, volevo solo farmela-. Girando l’angolo del lungarno per andare a recitare Dante, piansi.

Ho ricevuto una telefonata di Mitijo e un carteggio. E pensare che credevo avessi riaperto una porta, richiamandomi, ci sono rimasta male che non mi hai riconosciuta, ti voglio bene, ci tengo a te e non voglio perderti. E con quello che mi hai ridetto ora, con tutto quello che mi hai fatto credere, ora non mi conosci, aspetta pure quello che mi hai chiesto. Che cosa? Le avevo detto al ritorno a Firenze -Certo che però una scopatina ci stava proprio, visto il periodo di esplosione di ormoni- che impazziva lungo l’Italia dei Mondiali in Germania. E lei mi ha detto, stai esagerando, te li scordi i semi di peperoncino giapponese per il tuo orto.

 
 
 

Filottete era un guerriero anche lui col pallino del punto vulnerabile: fondò Krimisa.

Post n°14 pubblicato il 05 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

TUTTO QUELLO CHE AVREI VOLUTO SAPERE DA UN PILOTA E NON HO MAI OSATO CHIEDERE.

 

Fu a questo punto che vide un movimento di raggi di luce.

Un uomo agitava due palette luminose,

come quelle dei capistazione. (Italo Calvino in Marcovaldo,1966)

Negli aeroporti non riesci a raggiungere la toilette o la cabina del telefono,

se si trovano a livelli diversi da quelli in cui sei sbarcato.

                                                                                                 (Pier Vittorio Tondelli in Camere separate, 1989)

 

Clicca su queste IMPRESSIONI DI SETTEMBRE: LA MUSICA DI QUANDO ANCORA NON ERO NATO AL MONDO.

Per chi s'interessa ai diari di un guerriero che fondò le colonie magnogreche, oggi scontro di Ndranghete. Per chi s'interessa di punti vulnerabili che non siano talloni d'Achille. Sono qui a raccontare ancora.

Partire per Lagos in Nigeria. Alcuni reportage affermano che se si atterra di notte si consiglia di non uscire dalla sala d’attesa. Bande di tagliagole tendono agguati sull’unica strada che conduce in città. Ogni qualvolta i passeggeri smettono di affrontarla i tagliagole vengono a prenderli direttamente in aeroporto. Si può trovare gente legata alle proprie valigie e ai bambini con giri di nastro adesivo. A volte i tagliagole entrano con cittadini americani e valigia striscianti il corpo per terra, perché il loro coltello intima di amputargli la mano. I poliziotti fumano e ridono. Un diplomatico e magari altri due vendono visti ai trafficanti di prostitute.

Partire per Panama. Situazione.

Il mare è pulito, il cielo terso e le spiagge sono curiosamente frequentate da una colonia di nudisti e nudiste svedesi. Il problema è tornare. I voli non sono regolari. O meglio, lo sono, ma un unico aereo serve le diverse isole e quando si riempie tira dritto. L’aeroporto è una striscia di sabbia, quattro tronchi, una lamiera di eternit.

Partire per Bangkok. Storiella vera.

Un giornalista in attesa di un volo vaga per il Duty-Free dell’aeroporto tailandese con il bagaglio a mano a tracolla. Il computer lo rende pesante. Lo posa a terra mentre guarda lo scaffale dei Dvd. Una gentile signorina richiama l’attenzione del distratto giornalista. “Stai molto attento, non ti distrarre mai dalla tua borsa”. La solleva e gliela porge. “Potrebbero approfittarne per metterci dentro qualche sostanza proibita e farti finire nei guai”.

Lui, da bravo giornalista, ha l’impressione che, nel dirlo, lo avesse fatto. Che mentre una mano solleva l’altra infila qualcosa nella tasca esterna posteriore, a lui non visibile. Lui la ferma, controlla: è così. E le restituisce il pacchetto. Cortesemente lei ringrazia. E mentre lui s’imbarca la vede in lontananza. Cerca ancora qualche altro viaggiatore occidentale da salvare da trent’anni di vita confortevole e noiosa in cambio di una galera eroica tailandese. 

Mi mancano i lunghi viaggi in autostrada, dove ad un Autogrill tra il Lazio e l’Umbria mangiai tempo fa uno dei prosciutti crudi più buoni che il mio palato abbia mai goduto. Scoprii che Norcia non è solo una meta di pellegrinaggio. Vi tornai, e il miracolo non si compì. Quelle strade sono fatte per i topi che fiutano la tana, per esperimenti empirici, per gli animali metropolitani che nei distributori automatici sanno distinguere al volo ogni bottone, riescono a riconoscere, orientarsi tra svincoli e segnali verdi e segnali blu, corsie, direzioni, distanze, limiti di velocità, fari, intemperie, nebbie, e lampi gialli. Che prevedono e correggono l’errore. Attirandoti con leccornie. Negli aeroporti, invece, non ci sono spacciatori, borseggiatori e stupratori. E camionisti da fumetto, né venditori ambulanti che friggono musica e patatine, né vu cumprà, né lavavetri e racket minorile annesso. E non ci sono i baracchini dove si smerciano gli untuosi panini con la porchetta né si intravedono, pur fra tante botteghe, i boss del pizzo. In aeroporto nessuno grida, i materiali di alta architettura splendono, l’aeroporto è l’Occidente nei suoi valori più alti: la libertà di movimento, la velocità, la bellezza. Sono appunto i valori simbolo che eccitano i terroristi che scambiano per eresia l’innovazione. Solo perché non vengono difesi dai disoccupati napoletani che, su questo rimpiango solo i treni espressi a lunga percorrenza, con la scusa avrebbero venduto a metà prezzo anche il Corriere, i cannoli e le sfogliatelle.

A questo penso, mentre si avvicina la stagione dei bilanci. Gli stormi ripartono. Le mie lenti dovranno vedere oltre quelle distanze, nebbie, fulmini. Non mi farò infinocchiare dal senso di inferiorità che prende al maschio medio adolescente: proporre alla propria donna di partire per le Favelas in Brasile a vedere i killer di 8 anni e le prostitute di 13 e gli spacciatori di 15, ricordarle anche quanto Nietsche disse di Shakespeare e cioè “quanto quest’uomo avrà dovuto soffrire per apparire un buffone!” e poi sussurrarle nell’orecchio “ti voglio leccare la fica!” mentre lei fuggirà col primo bravo ragazzo se non con un delinquente. No, Panama, Nigeria o quant’altro. Bisogna andare oltre le distanze, vedere oltre quel volo che non abbiamo mai avuto modo di trovare il coraggio per giustificarne la partenza.

Churchill passava metà del suo tempo a perdere i suoi occhiali e l’altra metà a cercarli. Gli occhiali, qualcuno glielo diceva, prima o poi spariranno. E anche i bagagli. E’ il destino di tutto quel che troppo facilmente si perde. Come il destino di tutto quel che per poco si riesce a conservare, nel proprio fagotto di esperienze. Contenuti da vedete e toccare.

Bagaglio e lenti. Quando ognuno di noi li perde, le condizioni meteorologiche sicuramente se la ridono: attenzione, non sto chiedendo di raccontarmi che tempo faceva quando successe a ognuno di voi. Avete mai pensato se alcune lacrime da ritorno da vacanza e che spesso confondiamo con la prima pioggia rinfrescante e pulitrice non oliavano abbastanza ingranaggi di nostri proponimenti di Settembre? Come abbiamo fatto a ritrovarli?

E’ così, ci sono attese, ritardi, complicazioni, imprevisti, pernottamenti coincidenze e scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede – cantava Montale e non Baglioni – ho sceso un milione di scale dandoti il braccio e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino… con te le ho scese non già perché con quattr’occhi forse si vede di più, ma perché le sole vere pupille erano le tue.

Non è solo l’amore o il riuscire a fare quello che voglio nella vita, ma è quello che avrei voluto dimostrare che ancora non trovo.

Purtroppo quello che uno vede realmente e quello che immagina, si mischia nella mente. Ognuno crede di dire la verità, ma è solo una propria versione (Finale apparizione del giovane Gabriele Lavia nella Torino di Profondo Rosso dopo aver risposto da ubriaco al grido di una donna nel buio col suo “…brindo a te, vergine stuprata!”).

p.s. Buon Compleanno, Emanuele.

La musica di quando non capivo come finiva un'estate

 
 
 

LA NUOVA MISERIA E NOBILTA'

Post n°13 pubblicato il 13 Agosto 2007 da Manfredi.E
 

 

Ma sì, è Agosto. Ecco il loco ove ti convien che di fortezza t’armi. Che l’inferno boschivo di qualche agente forestale interessato al suo posto di lavoro non venga ripreso, filmato, è anche possibile. Ma qualcuno avrà letto qualcosa di giusto prima di fare l’esempio di cui sto per narrare. Avrà letto invece che proprio lì si è candidata Hillary Clinton, avranno letto che lì si è messo a ragionare Obama, avranno letto che così in Francia si arriva pure all’Eliseo, avranno letto che ogni anno ci sono 30 milioni di nuovi iscritti, che c’è un Tizio “top rated”, un Caio “most discussed”, un Sempronio “top favorites”, un Sarkozy “most linked”, un altro “most responded”. Avranno letto che bisogna avvicinarsi ai cittadini, che bisogna rivoluzionare la democrazia, svecchiare la politica, rivolgersi ai giovani, condividere, aggregare, e tutte queste frasi fatte come a parlare “a culo di Giovanna”…Insomma, qui cari signori, serve un video. Così avranno detto, tra un incendio e un altro. Serve You Tube. E così ha fatto Enrico Letta per la sua candidatura, così ha fatto DiPietro, così Capezzone, così Sarkozy, così come continua a fare la Merkel e tanti altri.

Avrà ragione Aldo Grasso, il critico televisivo, secondo il quale purtroppo non sei proprio nessuno se sul cellulare non hai una basilica che crolla, se non hai una tragedia da documentare, uno tsunami da raccontare, un attentato da esorcizzare o magari un divorzio da riportare? E funziona così, la sindrome dell’esclusivo, il desiderio dell’online, l’adrenalina del “live”. Attienti ben, ché per cotali scale, conviensi dipartir da tanto male? Perché se prima dell’immagine c’era il terrore, se prima, di fronte al proprio volto su uno schermo, c’era la sacralità, ora l’immagine non la si doma più, ora invece si prova a trovare un po’ di carisma con un video, si pensa di diventare veri politici con YouTube e si pensa che sia necessario fissare il proprio volto da qualche parte e si pensa che bisogna immortalarlo, quello scalpo. Che bisogna filmarlo.

 

Perché tu comunque sei lì, in diretta. Sei lì e sei qui. Come avere l’ubiquità di Gasparri. Sei accanto l’uragano reality. Quell’immagine può servire per beccare un terrorista, per incastrare un ladro, per arricchire i siti dei giornali. Ma non si dice mai “hai visto che bel video che ha fatto su YouTube” ma si dice solo “Visto? Ha fatto un video su YouTube”. Che c’era dentro? E chi se lo ricorda? Ed è per questo che un lama ballerino vale di più di un video sul Partito Democratico. O un bambino in tribunale vale più di un politico. Bisogna armarsi di fortezza, coraggio, per vedere cose sorprendenti in questo ultimo canto dell’inferno, diceva Dante.

 

E il Marchese Frescobaldi? Quanto poteva valere se lo avessi filmato? Mi spiego. Fu prima di concludere il mio maggio primaverile, prima che la mia estate mi avesse fatto conoscere quel bellissimo inferno che è stata per me l’animazione turistica, finzione teatrale quotidiana dal metodo scientifico all’interno dell’industria del divertimento. Successe questo quel giorno: non solo a Firenze . Diceva Ezra Pound, che tutto quello che doni è eredità e che sarà tuo per sempre. E successe che all’improvviso in tutta la città rinascimentale italiana per eccellenza, gente qualsiasi aveva donato il proprio amore per quella magnifica opera poetica, amata anche dagli ignoranti, che è La Divina Commedia di Dante Alighieri. L’ultimo canto dell’Inferno era destinato ad esser recitato ai passanti nella corte di un palazzo bellissimo. Così come Bruto, Cassio, Giuda, i traditori di Cesare e Cristo, scontavano lo scherno capovolti e mangiucchiati da Belzebù, io e la mia collega teatrante avevamo motorini e scooter che rombavano tra i gruppi di turisti ignari, non era camminata di palagio là v’eravam, ma natural burella ch’avea mal suolo e di lume disagio scoprimmo più tardi almeno sotto il bell’arco con due colonne. Ci mancò la terra, infatti. Seduta dietro una porta vi era una della famiglia dei marchesi Frescobaldi (penso che l’epiteto “marchesi” faccia parte del cognome poiché per la Costituzione italiana i titoli nobiliari antecedenti il 28 ottobre 1922 sono aboliti), cotale, dicevo, era seduta a far da guardia al suo museo di cose inutili e a fare cose inutili: non l’enigmistica, scienza cui mi inchino ché almeno aguzza l’ingegno, ma inutile era lo sforzo per lei di riuscire a risolverla. Li per lì lo notai perché la guardiana coi capelli bianchi non si degnò di alzarsi ad ascoltare gli ospiti che in quel momento, e in contemporanea in tutti gli angoli storici della città, esprimevano l’attualità di Dante anche negli appartamenti dello stesso palazzo Frescobaldi, ma chiuse le porte del suo museo inutile di lì a poco rientrando nelle sue stanze. Senza un minimo sorriso o gratitudine o inchino o applauso o parvenza di spettatrice.

Pensavo avesse un malore ma poco più tardi capii che era un vizio di famiglia: in altri tempi invece i nobili, per l’appunto altro tipo di persone naturellment, avrebbero gradito cotanta festa in casa loro. Arriva proprio lui, dunque forse il marchese Frescobaldi in persona o un suo paggio in Maserati di ritorno forse dagli assaggi del vino della casata. Dove per tutte le strade di Firenze, i toscanacci, gli anziani, i contadini, i bottegai, i professori, i ragazzi, le casalinghe si facevano ascoltare dai passanti e anche dai motorini silenziosi, tra le logge, gli antri, i vicoli, le chiese….nel nostro angolo rombava invece il motore della fuoriserie e della manovra che durava tanto ma proprio non gli riusciva di entrare, sì perché una brusca curva avrebbe graffiato la sua carrozza per entrare nell’antro di servizio. E mentre pensavo ai traditori accanto Satana, pensavo agli scherzi di un altro traditore, il destino, pensavo a Mitijo, -storia sui prossimi schermi qui su Acume di un Agrume- pensavo alla storia DI NOI TRE di De Carlo e di una donna, più che contesa tra due, ma che scelse piuttosto l’altro amico arrivato dopo, come da copione; pensavo all’altro che sincero e leale mi rivelò il suo breve inciucio, che non era nel copione; pensavo a lui che ci tenevo venisse, pensavo a quella cosa finita lì e alla nostalgia dei tempi passati insieme a sognare di veder realizzate le nostre sceneggiature, pensavo più che a Jules e Jim alla imprevedibilità piuttosto e alla caparbietà delle donne, pensavo alla gelosia che è una forma di invidia, pensavo all’invadenza di quella storia che poteva finire con una scopata desiderata e rubata, pensavo a rassicurazioni del genere dopo aver fintamente sofferto o forse a quel finché Ataualpa o qualche altro Dio non ti dica descansate nino che continuo io, che Paolo Conte mi aveva insegnato, pensavo alla cecità come quel personaggio del libro di Saramago che all’improvviso in auto diventa cieco e vede tutto bianco luccicante, pensavo, tremando, all’indifferenza, ed ebbi appunto un lampo di fuoco. Pensai al sorriso pacifico che l’intuizione fiorentina degli Amici Miei riconosce in realtà la qualità di genio davanti a chi o un qualcosa che gli volta le spalle: il genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Come il cinese in piazza Tienanmen davanti il carro armato, solo, pensando al destino traditore, col cuore infuocato gridai al Frescobaldi o simile, d’indicazione geografico tipico, bloccandolo:  Com’io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, però ch’ogne parlar sarebbe poco. Io non morì e non rimasi vivo, pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno. S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto.

 

Ma io tutto questo non l’ho filmato. E questa volta non ce n’era bisogno. Perché nel cinema era già stato impresso così. E così fu anche tra la gente che acclamò, quel giorno a Firenze davanti palazzo Frescobaldi. Nel video, il perché.

                

 
 
 

COSì COME I FILM NON SONO LA VITA...

Post n°12 pubblicato il 16 Maggio 2007 da Manfredi.E
 

Per un banchiere è meno grave scappare con la cassa che parlare con un giornalista. L’avesse scritto Oscar Wilde sarebbe solo una battuta divertente, invece lo ha detto Enrico Cuccia, leggendario presidente di Mediobanca, e in tutta la sua lunga vita non si è mai smentito. Né ha scritto libri o fatto conferenze. La figura dell’anziano signore che percorre a piedi, curvo, le strade di Milano, senza mai degnare di uno sguardo né rispondere al cronista, che lo segue e lo bersaglia di infinite domande, è una vera icona della storia della comunicazione d’impresa. Errò solo col sosia di Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio, salutandolo per cortesia ma mandato da Striscia la Notizia.

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 Ma perché fare qualcosa se poi non la comunichi? Si chiedeva un personaggio di un film di Woody Allen. Ma questa è una battuta. Invece il punto centrale è che non comunicare vuole dire fare una cattiva comunicazione. Il banchiere in realtà dava un messaggio. Se c’è per esempio un silenzio stampa e poi affermare ai giornalisti –non posso parlare-, già si sta violando lo stesso silenzio perché si presuppone ci sia un motivo o un’oppressione che spinge dietro a non poter parlare. E via discorrendo.

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In tempi di boom di Neorealismo J.L.Godard diceva che ogni immagine è bella non perché sia bella in sé, ma perché è lo splendore del vero.

Oggi invece i filtri, non solo quelli fotografici di albe e tramonti o di piogge e nebbie, luci o ombre, quelli, sono i veri prestigiatori. Andiamone alla ricerca, andiamo a caccia. Questo video è un esempio di partenza.

                     

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 16 Maggio 2007 da Manfredi.E
 

23 sono i cromosomi umani, 23 sono i gradi dell'inclinazione dell'asse terrestre, 23 è il numero delle coltellate ricevute da Giulio Cesare, 2012 (20+1+1=23) è l'anno della fine del mondo secondo i Maja, 2:3 fa 0,666, il numero del diavolo, così è 23 la somma di comodo delle cifre della data dell'affondamento del Titanic e di nascita e morte di Kurt Cobain. Se è per questo anche la frase filmastro troppo faticoso e mi sono fracassato le p... hanno 23 lettere. Non comprerò libri usati per non incappare in incubi di water e gabinetti di consiglio con in mano vecchie numerologie che mi portino a grattarmi le palle, che i pruriti mi bastano.

Sì, pruriti, e pensare che la faccia di gomma del cinema americano, Jim Carrey, ha veramente la fissa per il numero 23. Ma comunque, dicevo, pruriti. Mentre MiTiJo è andata a vedere al cinema LE VITE DEGLI ALTRI dicendo che andava a vederlo con sua cugina, o forse era l'altra mia amica che mi mentiva sapendo che non andava con sua cugina, io avevo una fissa. Una fissa per le vite degli altri. Non mi trovo a interrogare come un poliziotto di stato comunista, non mi trovo a condurre una doppia vita, non ho microfoni e cimici piazzate per ascoltare gli amici traditori, non voglio sapere se un sospetto sta mentendo.

Ecco, un prurito. E' sapere troppo.

       

 
 
 
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