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La cocciutaggine è un arte di pochi! Per questo mi appresto a scrivere un blog! Un blog dove si parlerà non di poker (come qualcuno potrebbe aver capito dal titolo!) ma bensì di avventure della vita quotidiana, a volte anch'essa basata sulla casualità degli eventi, tra filosofie, giochi di parole, intrecci mentali, autofraintendimenti psicologici, pensieri sovrappensiero...insomma, la vita di ogni giorno!

 

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Piccoli racconti della domenica pomeriggio- Interludio n°1: Monologo del poeta innamorato

Post n°35 pubblicato il 15 Maggio 2011 da StevenTheMusician

"Ah, l'amore. Quel gran mistero che avvolge ogni oggetto inanimato e ogni essere con il dono della vita, ogni pietra nel letto di un fiume che scorre da migliaia d'anni senza essersi mai interrotto, ogni foglia che orna quella quercia ogni primavera e l'abbandona solo in autunno per dopo tornare. Un mistero tanto grande quanto affascinante. Ma cos'è in realtà? Che sia il vero senso del nostro esistere? Oppure il modo per dar senso alla morte? Un complesso avvenire di reazioni chimiche tra specie diversamente uguali? Un semplice fenomeno mentale? E' una sensazione, un'emozione che a parole non si può esprimere: l'unica sua forma di espressione è se stesso! L'unico modo per viverlo è saperlo vivere! Ma l'amore è solo questo? Solo e semplice emozione? O è anche un modo di vivere, di vedere le cose, di assaporare gli odori e sentire i sapori, di sentir soffiare il vento tiepido sulla pelle come una carezza e sentire la felicità che sale per lo stomaco arrivando fino al cuore che inizia a battere come i tuoni nel cielo di un temporale estivo, che con la sua pioggia cancella tutti gli errori e tutti i pensieri? Sono anche ferite invisibili, smarrimenti, depressioni, tristezze, giorni di nebbia seguiti da giorni di caldo torrido, senza acqua e senza riposo, senza ombra, senza riparo dal sole che batte sulla testa così fragile e debole nel suo pensare e riflettere. E' come il precipitare in un dirupo senza fine, senza luce; come il freddo nell'inverno, che ti congela le mani, i muscoli e l'anima quando non hai abbastanza vestiti addosso per proteggerti da quel male. Ma tu sai che ti farà del male, eppure vuoi viverlo, vuoi sentirlo, vuoi provarlo perchè vuoi sapere se il tuo cuore può provarlo, può resistergli, può morire per quel sentimento tanto amato quanto odiato, tanto desiderato quanto respinto! Ma ciò che lo rende speciale è che lascia sempre un segno, nel bene e nel male, che dura nelle stagioni, nelle profondità dei mari, nelle alte quote delle montagne, nel caldo e nel freddo, nel cuore e nello spirito. Sopravvive. Sopravvive e insegna. Ci insegna non solo ad andare oltre alle sensazioni fisiche, non solo a vivere, non solo a perdonare, amare, gioire, credere anche in ciò che non si vede e non si tocca. Ci insegna tutto questo e molto di più. Ci insegna che in questo mondo lui serve, perchè il mondo non sopravvive di sola energia fisica, il mondo non sopravvive solamente di calcoli matematici e certezze scientifiche, il mondo non sopravvive solamente con gli ordini giusti di persone giuste. Le parole, i numeri, l'energia: sono tutti fatti d'amore, circondati, contornati e impregnati d'amore. A volte non riusciamo nemmeno a vederlo in questi. Ma c'è: nelle profondità del loro essere, nelle profondità del nostro essere! Perchè anche in noi stessi a volte l'amore non è visibile, ma c'è. A volte lo respingiamo, ma ci sarà sempre. A volte non lo accettiamo, ma ci sarà sempre. A volte lo desideriamo e prima o poi ci sarà. Si tratta di tempo. E il tempo come l'amore non è di materia, e tutto ciò che non è materia non regge alle leggi dell'uomo. L'amore perciò cos'è? Un sentimento? Un'emozione? Un raggio di luce nelle tenebre? L'amore è tutto ciò e nulla di tutto ciò. L'amore va oltre le nostre capacità di comprendere, di sentire, di percepire. L'amore è un elemento della natura incontrollabile, libero, selvaggio. L'amore...è ciò che più serve a questo mondo e a questo cuore che or parla e pieno di speranza lo invoca. E spero giunga prima o poi. E so che giungerà, se pur imprevedibile. Ma non è invisibile agli occhi di chi l'amore lo desidera, di chi lo attende, di chi crede nel suo arrivo. L'amore è tutto e nulla, l'amore è il chiaro e lo scuro, il nero e il bianco, il cielo e la terra, le nuvole e la pioggia, la musica e le parole, il vento e la tempesta. L'amore...è l'amore..."

 

                                                                                                           Steven

 
 
 

Leggi e Teoremi alternativi-n°2: Legge di annullamento critiche (o legge del gioco)

Post n°34 pubblicato il 14 Maggio 2011 da StevenTheMusician

Quante volte ci capita di essere ripresi dai nostri genitori e di non poter controbattere alle loro parole dalla sembianza contorta ma correttamente corretta. Quando invece siamo noi figli a fare osservazioni su una cosa fatta sbagliata o male da questi individui, alla fine rimaniamo comunque noi a bocca asciutta e senza parole. Ciò è dovuto alla "legge di annullamento critiche". Consiste in pratica di ribaltare la critica, recuperando vecchi errori del passato nei quali non abbiamo potuto contraddire i genitori. Questa legge è solitamente introdotta dalla parola tipicamente originaria del genitore "Sì, però..." oppure "Sì, ma ti ricordi quando...".

Un'altra applicazione di questa legge è detta "Legge del gioco" perchè usata dall'infanzia e da qualunque bambino nell'ambito ludico, fin dai primi anni di vita intelligente. La tipica argomentazione è la seguente:

  • Facciamo che io ero...
  • Ok, allora io ero...
  • Allora facciamo che io facevo...
  • Quindi io facevo a te...
  • Ma io tanto ero immortale! --> parte annullante
  • ...

Lo stesso schema può essere applicato allo stesso modo da parte dei nostri genitori:

  • Volevo farti notare che...
  • Sì, però... --> parte restitutiva (genitore)
  • No, ma tu hai fatto/detto...
  • Sì ma ti ricordi quando... --> parte restitutiva (genitore)
  • Ma cosa c'entra! Tu hai fatto/detto...
  • Eh, ma io/noi sono/siamo tuo/a/i padre/madre/genitori! --> parte annullante
  • ...

Perciò, senza aver per forza ragione, vincono tutte le battaglie verbali...finchè non gli capiterà di dire "Ma io tanto ero immortale!" perchè non gli servirà a nulla essere stati immortali!!!

 
 
 

Leggi e Teoremi alternativi-n°1: Legge dello spettatore

Post n°33 pubblicato il 14 Maggio 2011 da StevenTheMusician

Avete presente quando andate al cinema o a teatro e guardate gli attori che recitano così bene quei ruoli così eroici, così divertenti, così romantici, così meravigliosi in ogni loro forma? Vi è mai capitato a fine spettacolo di sentirvi totalmente inutili e nulli rispetto a quegli attori che hanno reso la finzione realtà e che vengono acclamati dal pubblico applaudente? E' un fatto psicologico credo. Vedere delle persone fare o dire qualcosa e tu essere fermo, immobile, quasi inesistente per quelle orecchie e quelle bocche. Te ne stai lì, ad ascoltare e ridere, senza influire in alcun modo al proseguire del discorso o della vicenda. E' la cosiddetta "Legge dello spettatore". La persona soggetta a questa legge prova un sentimento simili all'invidia ma meno "cattivo" come pensiero. La persona in questione, vedendo altre persone fare qualcosa per cui vengono acclamati o retribuiti spiritualmente (quindi applausi, risate, complimenti,...) si sente in disparte e vorrebbe essere nei panni di quel qualcuno. Ma consapevole del fatto che non può avvenire ciò, se non in un futuro prossimo (a volte molto lontano), rimane deluso di sé stesso e si sente in una condizione di inutilità e incapacità. Solitamente il tutto è accompagnato dalla sensazione di fallimento che porta il soggetto ad un brevissimo periodo di rinuncia ad attività in cui riesce anche bene perchè concentrato sulla sua inutilità sul quell'ambito preciso. Solitamente però è di breve o brevissima durata...per fortuna!

 
 
 

Note dal taccuino-n°7: Bastardi senza gloria?

Post n°32 pubblicato il 12 Maggio 2011 da StevenTheMusician

Ore 23:19, camera

"Mi rendo conto che alla fine il mondo funziona così: i gentili lo prendono in quel posto, i bastardi si beccano la gloria. E credo abbia sempre funzionato così. O almeno da quando io me ne sono accorto. E' inutile essere generosi con le persone, fare i simpatici e i gentili, non arrabbiarsi e porgere l'altra guancia. Totalmente e univocamente inutile. Alla fine vincono loro: vincono quelli che si comportano da stronzi, che se ne sbattono del resto e pensano solo a sé stessi, che sfuggono alle regole e non subiscono conseguenze, che hanno vita facile senza meritarsela. Questo funziona in tutti gli ambiti sociali: scuola, casa, amici, ragazze/i, ... A scuola chi è il leader, il più "figo" della classe, la figura del boss? Quello che fa il pagliaccio, che fa le stronzate e che non subisce conseguenze. Quello si che è un leader!
In un gruppo di amici chi è il leader, il più "figo" del gruppo, la figura del boss? Quello che va contro le regole, contro la legge, contro le convenzioni di vita.
Se una ragazza deve scegliere tra te, gentiluomo, e lui, bastardo incallito? Chi sceglie?
Potrai dirle tutte le parole gentili che vuoi: lei preferirà le parole aspre del bastardo, del "ribelle". In questo momento mi dispiace anche dover usare questi termini poco eleganti. Ma rendono sicuramente meglio l'idea della rabbia che questo contorto mondo mi crea.
Ormai è inutile fingere. Ho fissuto nella finzione ormai per troppo tempo.

Eppure non posso cambiare. Io sono io e lui è lui. Stop. Punto. Se lui vince devo accettarlo e proseguire, non arrendermi. Non arrendermi a cosa? Non arrendermi alla moda di linguaggio e stile, non arrendermi al comportamento degli altri, non arrendermi alle difficoltà della vita, non arrendermi per qualunque motivo mi possa mandare avanti. Non arrendermi per i miei veri amici, non arrendermi per le persone che sanno apprezzarmi così come sono, senza rifiutarmi, senza contrastarmi; non arrendermi per le persone che amo e che voglio continuare ad amare. Per questo non mi voglio arrendere. E' una scelta controcorrente forse... Ma d'altronde questo è un mondo controcorrente, un mondo dove i matti non sono matti, dove i gentili non sono gentili, dove i bastardi non sono bastardi, dove i ribelli non sono ribelli, dove regna incontrastato il caos dell'opposto, dello specchio. Quindi inutile proseguire? Non lo posso sapere finchè non proseguirò...e lo farò per la mia via..."

 

                                                                                                    Steven

 
 
 

Piccoli racconti della domenica pomeriggio-Il coraggio della paura (Parte III)

Post n°31 pubblicato il 11 Maggio 2011 da StevenTheMusician

Le scarpe blu, ormai grigie per la polvere che vi si attaccava ad ogni passo, scendevano stanche per quelle scale, protagoniste di una notte passata nell'angoscia e nel terrore più totali, nei pensieri più tenebrosi, nei ricordi più nascosti di un passato che sembrava svanito assieme al tempo stesso. Quegl'occhi verdi, appena ripresisi dal pianto, fissavano nel vuoto persi, smarriti, cercando uno spiraglio di luce o un miracolo che la facesse uscire da lì. Arrivò al pian terreno con il fiatone e si sedette sul freddo pavimento per riposare le sue gambe. Il sangue ormai aveva smesso di scendere dalla ferita e c'era solo qualche botta sul ginocchio e sul braccio, per le cadute al primo e terzo piano. Il cuore sembrava essersi rilassato e batteva più lentamente.
Il seminterrato non emetteva alcuna luce, nè rumore, nè aria. C'era solo oscurità, regnava incontrastato il nero, non esisteva colore. Solo una cosa poteva ed era sopravvisuta in quel luogo. Era lì da ormai molto tempo, non ricordava nemmeno da quanto. La sua più grande paura era sempre rimasta lì rinchiusa e ora Azzurra stava per andarle incontro.

Le pareva si chiamasse "nictofobia", ovvero "paura dell'oscurità". Ma la sua non era una fobia, tantomeno una paura. Era il vero e proprio terrore, il panico puro e grezzo per un luogo che non avesse luce al suo interno, che non permettesse il suo passaggio, la sua invasione. Quella notte Azzurra era stata fortunata: la luna era splendente nel cielo e la sua luce bluastra illuminava la casa passando dalle piccole fessure tra le assi che bloccavano le finestre. Quella luce non l'avrebbe accompagnata per quelle scale, poteva aiutarla solo la sua torcia, ancora accesa nella sua mano. Ora i suoi occhi osservavano quelle scale in cemento che si addentravano nell'ade di quella casa, nel suo cuore di oscurità, il suo nucleo primario di nera luce. La porta d'acciaio sembrava essere una sicurezza che teneva ciò che c'era lì dentro isolato dal mondo esterno, quasi come un vaso di Pandora. Ora però Pandora doveva affrontare quel vaso. Azzurra si alzà in piedi e si diresse verso quelle scale. Doveva scendere per circa 5-6 metri per raggiungere lo scantinato. I primi due metri parvero ai suoi sensi la normalità. Fu dopo che avvertì freddo fino alle ossa, un senso di impotenza, di debolezza, anche mentale. Le sue gambe si fermarono quasi in automatico e assieme tutto il corpo di Azzurra. Non riusciva a proseguire, le era impossibile, la paura la immobilizzava e la ragione le diceva di star ferma. Provò con sforzo colossale a fare un altro passo. Il piede scivolò sul gradino e con lui la gamba e la ragazza proprietaria.
Si ritrovò con la testa appoggiata alla robusta porta d'acciaio, dolorante. Era svenuta dopo aver sbattuto la testa contro quella porta e ora le faceva girare tutto attorno a sè. Non appena quella sensazione cessò, si rialzò nuovamente sulle sue gambe. Barcollava ma stava bene. E' da qualche minuto, o meglio, da qualche tempo visto che non sapeva quanto fosse passato, che non guardava l'orologio. Sbarrò gli occhi non appena vide la posizione delle lancette: segnavano le 4:46 del mattino. Era rimasta svenuta per più di tre ore. E mentre guardava la lancetta dei secondi scorrere su quel ticchettare di numeri, questa si bloccò di colpo. Provò a battere qualche colpetto con le dita sul vetro dell'orologio e avvicinò l'orecchio per senitre il ticchettio ripartire. Il tempo era morto. Respirò profondamente per alcuni minuti. Poi appoggiò la sua mano, che aveva ancora del sangue tra le dita, alla porta d'acciaio. Il freddo di quella porta invase i tendini, i muscoli e i nervi della mano, quasi le si stava congelando. Spinse la porta...
L'oscurità era l'unica cosa che la circondava. Le aveva oscurato completamente anche la testa, gli occhi e i pensieri. Cercò in fretta e furia la sua torcia e non appena la sentì tra la mani la accese immediatamente: non ne uscì alcuna luce. Il freddo di quel posto aveva fatto scaricare completamente le batterie. Il cuore iniziò a battere come non mai, l'adrenalina della paura invase ogni muscolo del suo corpo, i denti le battevano, le braccia le tremavano, come le gambe e i pensieri. Si abbandonò alla gravità e si sdraiò su quel pavimento di freddo e grigio cemento, come se sentire che la materia esisteva ancora la facesse stare meglio.

Ogni sua speranza di tranquillizzarsi fu vana: rumori provenivano dal fondo della stanza. Si avvicinavano a lei. Lenti. Ma decisi. Quasi a sapere chi lei fosse. Azzurra voltava la testa di scatto in tutte le direzioni cercando di capire da dove venissero quei sinistri rumori. Non le servì più. I rumori erano ora cessati e qualsiasi cosa fosse stato ora era davanti a lei. E sembrava respirare. Lentamete. Affannosamente. "Chi sei?" le due semplici parole le uscirono con un filo di voce e con la paura nel suo timbro. "Sono tutto ciò che ti circonda in questo istante, ciò che hai cercato di mandar via dalla tua mente, ciò di cui hai paura da quando ti chiudesti qui dentro, tanti anni fa...io...sono l'oscurità...". La voce rauca e profonda che pronunciava queste angoscianti parole che echeggiavano in quel posto dimenticato da esseri umani e animali sembrava provenire da ogni direzione, spostandosi velocemente da un angolo della stanza all'altro. "Ora sei mia prigioniera...e non c'è arma che ti possa difendere da ciò che non è materia..." Un brivido passò per tutte le membra che componenvano Azzurra. Una forza la sollevò per il collo e la stava soffocando. Agonizzante, dolorante emetteva urli soffocati, cercando l'aiuto che non si sarebbe comunque aspettata. Il suo esile collo veniva stretto sempre di più. La sua paura stava vincendo su di lei. Era finita...era finita...
Gli occhi di Azzurra intravidero una scritta fluorescente che faceva capolino dal manico della torcia.  Capì cosa doveva fare. "Non...c'è arma ma...teriale che ti...possa sovrastare" disse con parole soffocate "ma non esistono...solo armi...materiali..." Pronunciò quelle parole:

"E la luce risplende tra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno ricevuta"

La torcia emise una luce di tale potenza da illuminare a giorno tutta la stanza e abbagliò tutto ciò che c'era in quella stanza, compresi gli occhi di Azzurra. Quella luce invase il suo viso e la sua vista. Non vide più nulla...

 

La luce invase il suo viso e la sua vista e la destò da quel sonno profondo e improvviso della sera prima. Le ante della finestra erano rimaste aperte e la luce la abbagliava i suoi occhi verdi che erano ancora stanchi e scioccati, ancora appartenenti all'incubo. Non riusciva ancora a distaccarsi dalla finzione di quel sogno e tornare alla realtà. Non riusciva a distinguere le due facce. Guardò l'orologio al suo polso per trovare un legame con la realtà: le lancette indicavano le 4:46:23. Si voltò di scatto e guardò il chiodo appeso al muro viola: pendeva una chiave luccicante e argentea. Si mise a toccare il suo corpo: non c'era alcuna ferita sulla gamba, ne tantomeno polvere sui suoi vestiti e sulle sue scarpe, ancora dello stesso blu. Riniziò a respirare normalmente, chiuse gli occhi e si sdraiò con le mani sulla fronte. Aveva ripreso il contatto con la realtà.
Riaprì gli occhi, si alzò e si diresse in cucina. Aprì il terzo cassetto a destra e ne estrasse una piccola valigetta a combinazione. Inseri le 4 cifre. La aprì. Tiro fuori tutti i coltelli e le forbici che c'erano dentro, mettendoli nel cassetto. Man mano che li prendeva in mano sentiva un senso di liberazione: poter finalmente usare quei coltelli senza avere il terrore di tagliarsi. L'incubo non era stato vano.
Prese il telefono e chiamò una sua amica dell'università, Angelica. Parlò con lei in fretta per l'agitazione e la felicità, per la sua rinascita spirituale. Non si capì bene quello che disse, solo poche parole erano chiare: stasera, film horror, cucino io, avvisa Sebastian. Poi attaccò il telefono concludendo la chiamata con: "Scusa ora devo andare perchè ho un ULTIMA cosa da fare! A stasera!"
Il chiodo sul muro dipinto di viola ora era vuoto e l'automobile era accesa. Le strade erano deserte, come ogni domenica mattina che si rispetti. I bar iniziavano ad aprire ora, quindi, pensò, dovevano essere circa le 7:30. Quella notte aveva dormito tantissimo, come mai aveva fatto prima. La radio trasmetteva ora la sua canzone preferita, "Every breath you take" di Sting & The Police. Non poteva esserci mattino migliore per ascoltarla. Il rumore dello sterrato però copriva i suoni di quella splendida canzone, ma non riusciva a coprire i gioiosi, energetici e forti pensieri di Azzurra. Arrivò alla fine del vialetto. Davanti a lei ora si trovava la casa. Illuminata dal sole appariva in modo del tutto diverso rispetto a come se la ricordava (o meglio dire, come se la ricordava dal sogno?): l'intonaco blu delle pareti esterne si vedeva molto chiaramente, ancora brillante malgrado gli anni passati. Intanto tra gli alberi che circondavano quella casa si sentiva il cinguettare dei passeri. In lontananza una campana rintoccava: erano le 8. Un lieve e tiepido vento le soffiava tra i capelli neri scompigliandoli. Andò verso la porta. Inserì le chiavi nella serratura. Il pomello d'ottone brillava alla luce del sole. Girò la chiave con fatica, gli ingranaggi erano un pò arrugginiti, ma dopo 4 faticose mandate la porta si aprì. Con la mano la spinse delicatamente. Nessun cigolio sinistro echeggiò per l'atrio polveroso. I raggi del sole passavano dalle finestre senza ostacoli, senza assi di legno che le copriva, nessun sigillo. Si guardò attorno nell'atrio e stette in ascolto: la circondava solo il silenzio della natura. Non il vero e proprio silenzio, quello fastidioso che ti ronza nelle orecchie. Il silenzio della natura. Durò poco perchè dopo pochi secondi le squillò il telefono. Lo estrasse e guardò il nome che compariva sullo schermo: Sebastian. Rispose.
"Pronto Sebastian! Hai ricevuto il messaggio da Angelica?"
"Sisi l'ho ricevuto. Anche se mi pareva un pò confusa per le tue parole. Stai bene?"
"Sto più che bene...ho avuto un'esperienza simile alla tua e ora sono una persona nuova!"
"Sono contento per te! Raccontami tutto"
"Non servono tante parole per descriverlo: ho semplicemente avuto il coraggio per affrontare le paure, il coraggio per provarle, il loro coraggio...il coraggio della paura!"

Le paure fanno parte di ognuno di noi, fanno parte del nostro essere, fanno parte della nostra vita. Ma quando queste non ci permettono di viverla dobbiamo avere il coraggio di ammettere di avere queste paure ed affrontarle. Spesso infatti per l'orgoglio, per stare in un gruppo di amici, per essere apprezzati dagli altri o per farsi ammirare si finge il coraggio. Ma nemmeno il vero coraggio. Il coraggio sta nell'affrontare le proprie paure senza guardarsi indietro, ma fissandole dritte in faccia e liberandosi di queste. Anche se una parte di loro rimane sempre, ed è quella parte che prende il nome di "precauzione".
La paura è tutto questo e nulla di tutto questo, è semplice illusione e complessa realtà...come tutto ciò che l'uomo prova, tutto ciò che l'uomo crea nei suoi sentimenti, tutto ciò che l'uomo non capisce. La paura è l'arma contro il male, la luce il suo coraggio.

 

                                                                                                       Steven

 

 
 
 
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Data di creazione: 12/02/2011
 

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