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Messaggio N° 17 |
5 Aprile 2006 |
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Il 5 aprile è il 95° giorno del Calendario Gregoriano (il 96° negli anni bisestili). Mancano 270 giorni alla fine dell'anno.
Benché fosse sposato e padre di due figli, Wilde aveva segretamente (come tutti gli omosessuali dell'epoca, del resto) un'intensa vita omosessuale extraconiugale. Fino a quando si limitò ad avventure con ragazzi proletari, la società chiuse un occhio, ma la situazione precipitò quando Wilde iniziò una relazione con il figlio di un Lord, Alfred Douglas. Il padre di Alfred (John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry), contrario alla relazione del figlio, insultò pubblicamente Wilde come sodomita. Wilde, spinto da "Bosie", che voleva vendicarsi del padre, lo querelò per diffamazione, ma gli avvocati del marchese riuscirono rapidamente a rovesciare la situazione, chiamando a testimoniare prostituti con cui Wilde aveva avuto rapporti sessuali. Lo scrittore divenne così, da querelante, imputato di gross indecency ("grave immoralità", eufemismo per indicare l'omosessualità, che era illegale). Il processo si concluse con la condanna di Wilde a due anni di lavori forzati, la bancarotta, e la rovina definitiva della sua carriera. Durante il processo fu letta una poesia di Alfred Douglas, intitolata "Two Loves", "Due amori", che si conclude con il celebre verso in cui l'"Altro Amore" dichiara: Io sono l'Amore che non osa dire il suo nome. A Wilde fu rinfacciato di aver appoggiato "The chamaleon", la rivista che aveva pubblicato "Two Loves". Wilde si difese affermando che: l'Amore, che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare... Non c'è nulla di innaturale in ciò. Il Giudice Wills pronunciando la sentenza (il massimo della pena prevista dalla legge), per nulla impressionato da tale difesa dell'amore omosessuale, affermò però che le persone che fanno cose di questo genere devono essere immuni da ogni senso della vergogna, e non si può produrre alcun cambiamento su di loro. Durante il processo e durante il periodo di lavori forzati, "Bosie" restò vicino a Wilde, che però si sentì tradito da lui e scrisse in carcere una lunga requisitoria contro l'amato e i suoi capricci passati, il celebre De profundis (tuttavia, dopo la liberazione i due si rappacificarono e vissero assieme per qualche tempo a Napoli). Wilde fu portato prima alla prigione di Wandsworth, a Londra, e poi al Reading Gaol. Quando alla fine, dopo 19 mesi di detenzione, gli fu consentito di avere carta e penna, Wilde era ormai diventato incline a opinioni opposte riguardo alle possibilità dell'uomo di raggiungere la perfezione. Fu in questo periodo che egli scrisse il citato De profundis (1900). In esso confessò: Tutto nella mia tragedia è stato orribile, mediocre, repellente, senza stile. Il nostro stesso abito ci rende grotteschi. Noi siamo i pagliacci del dolore. Siamo i clown dal cuore spezzato. In carcere Wilde scrisse anche La ballata della prigione, che esprimeva la sua preoccupazione per le disumane condizioni di prigionia. L'opera, considerata una delle migliori di Wilde, ebbe un enorme successo, ma i proventi furono assorbiti in gran parte dai debiti derivanti dal fallimento, e giovarono poco a Wilde.
Two Loves Reprinted from The Chameleon, December 1894. See highlighted lines. I dreamed I stood upon a little hill, And at my feet there lay a ground, that seemed Like a waste garden, flowering at its will With buds and blossoms. There were pools that dreamed Black and unruffled; there were white lilies A few, and crocuses, and violets Purple or pale, snake-like fritillaries Scarce seen for the rank grass, and through green nets Blue eyes of shy peryenche winked in the sun. And there were curious flowers, before unknown, Flowers that were stained with moonlight, or with shades Of Nature's willful moods; and here a one That had drunk in the transitory tone Of one brief moment in a sunset; blades Of grass that in an hundred springs had been Slowly but exquisitely nurtured by the stars, And watered with the scented dew long cupped In lilies, that for rays of sun had seen Only God's glory, for never a sunrise mars The luminous air of Heaven. Beyond, abrupt, A grey stone wall. o'ergrown with velvet moss Uprose; and gazing I stood long, all mazed To see a place so strange, so sweet, so fair. And as I stood and marvelled, lo! across The garden came a youth; one hand he raised To shield him from the sun, his wind-tossed hair Was twined with flowers, and in his hand he bore A purple bunch of bursting grapes, his eyes Were clear as crystal, naked all was he, White as the snow on pathless mountains frore, Red were his lips as red wine-spilith that dyes A marble floor, his brow chalcedony. And he came near me, with his lips uncurled And kind, and caught my hand and kissed my mouth, And gave me grapes to eat, and said, 'Sweet friend, Come I will show thee shadows of the world And images of life. See from the South Comes the pale pageant that hath never an end.' And lo! within the garden of my dream I saw two walking on a shining plain Of golden light. The one did joyous seem And fair and blooming, and a sweet refrain Came from his lips; he sang of pretty maids And joyous love of comely girl and boy, His eyes were bright, and 'mid the dancing blades Of golden grass his feet did trip for joy; And in his hand he held an ivory lute With strings of gold that were as maidens' hair, And sang with voice as tuneful as a flute, And round his neck three chains of roses were. But he that was his comrade walked aside; He was full sad and sweet, and his large eyes Were strange with wondrous brightness, staring wide With gazing; and he sighed with many sighs That moved me, and his cheeks were wan and white Like pallid lilies, and his lips were red Like poppies, and his hands he clenched tight, And yet again unclenched, and his head Was wreathed with moon-flowers pale as lips of death. A purple robe he wore, o'erwrought in gold With the device of a great snake, whose breath Was fiery flame: which when I did behold I fell a-weeping, and I cried, 'Sweet youth, Tell me why, sad and sighing, thou dost rove These pleasent realms? I pray thee speak me sooth What is thy name?' He said, 'My name is Love.' Then straight the first did turn himself to me And cried, 'He lieth, for his name is Shame, But I am Love, and I was wont to be Alone in this fair garden, till he came Unasked by night; I am true Love, I fill The hearts of boy and girl with mutual flame.' Then sighing, said the other, 'Have thy will, I am the love that dare not speak its name.'
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Inviato da LaBigaAlata @ 10:12
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Messaggio N° 16 |
17 Marzo 2006 |
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Il 17 marzo è il 76° giorno del Calendario Gregoriano (il 77° negli anni bisestili). Mancano 289 giorni alla fine dell'anno. Marcus Lucius Aurelius Aelius Commodus Antonius viene proclamato imperatore di Roma . La sua ascesa venne letta dal popolo romano come presagio di fortuna... ben presto si ricredettero. Portato "sotto le luci della ribalta" da Ridley Scott si dimostrò ben presto l'opposto del padre. Dedito agli eccessi e scarsamente portato agli affari di stato, aveva la passione dei combattimenti dei gladiatori al punto di entrare egli stesso in arena vestito da gladiatore. Non solo questo era considerato scandaloso ( i gladiatori erano considerati il gradino più basso della scala sociale ) ma le sue performance erano degne di Mister Bean... entrava nell'arena armato fino ai denti si vantava di aver ucciso 12.000 di quelle "belve feroci" che erano gli altri gladiatori... peccato che quest'ultimi fossero dotati di spade di legno. Forte del suo "valore" di guerriero ad ogni uccisione pretendeva 1.000.000 di sesterzi. Ma i suoi danno non finoscono di certo qui tanto che alla sua morte avvenuta per strangolamento il Senato proclamò la damnatio memoriae e pronunciò una preghiera di ringraziamento: «Al nemico della patria siano tolti gli onori, al parricida siano tolti gli onori, il parricida sia trascinato via. Il nemico della patria, il parricida, il gladiatore sia fatto a pezzi nello spogliatoio. Nemico degli dèi, carnefice del senato, nemico degli dèi, assassino del senato: nemico degli dèi, nemico del senato. Il gladiatore allo spogliatoio. Colui che ha ucciso il senato, sia gettato nello spogliatoio: colui che ha ucciso il senato sia trascinato con l'uncino: colui che ha ucciso degli innocenti, sia trascinato con l'uncino: nemico e parricida, sì, sì! Colui che non ha risparmiato neppure i parenti di sangue, sia trascinato con l'uncino. Colui che fu sul punto di ucciderti1, sia trascinato con l'uncino. Hai temuto con noi, sei stato in pericolo con noi. Perché possiamo essere salvi, Giove Ottimo Massimo, salvaci Pertinace. Viva la fedeltà dei pretoriani! Viva le coorti pretorie! Viva gli eserciti romani! Viva la rettitudine del senato! Il parricida sia trascinato. Ti preghiamo, Augusto, il parricida sia trascinato. Questo chiediamo, il parricida sia trascinato. Esaudiscici, Cesare: i delatori in pasto ai leoni! Esaudiscici, Cesare: Sperato in pasto ai leoni! Viva la vittoria del popolo romano! Viva la fedeltà dei soldati! Viva la fedeltà dei pretoriani! Viva le coorti pretorie! Dovunque statue del nemico pubblico, dovunque statue del parricida, dovunque statue del gladiatore! Le statue del gladiatore e del parricida vengano abbattute. L'uccisore dei suoi concittadini sia trascinato, l'assassino dei suoi concittadini sia trascinato. Le statue del gladiatore siano abbattute. Salvo te, siamo salvi e sicuri noi pure, sì, sì, ora sì, ora in modo degno, ora sì, ora da uomini liberi! Ora siamo tranquilli: ai delatori il terrore! Affinché noi siamo tranquilli, terrore per i delatori! Affinché siamo salvi, via i delatori dal senato, il bastone per i delatori! Salvo te, i delatori in pasto ai leoni! Con te imperatore, il bastone per i delatori! Del gladiatore parricida sia cancellato il ricordo, del gladiatore parricida siano abbattute le statue. Del sozzo gladiatore sia cancellato il ricordo. Il gladiatore allo spogliatoio! Esaudiscici, Cesare: il carnefice sia trascinato con l'uncino. Il Carnefice del senato sia trascinato con l'uncino secondo l'uso dei padri. Più crudele di Domiziano, più turpe di Nerone. Così ha agito, così venga trattato. La memoria degli innocenti sia onorata. Restituisci gli onori agli innocenti, te ne preghiamo. Il cadavere del parricida sia trascinato con l'uncino, il cadavere del gladiatore sia trascinato con l'uncino, il cadavere del gladiatore sia gettato nello spogliatoio. Interrogaci, interrogaci, tutti proponiamo che sia trascinato con l'uncino. Colui che ha ucciso tutti, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha ucciso gente di ogni età, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha ucciso senza distinzione di sesso, sia trascinato con l'uncino. Colui che non ha risparmiato neppure il suo sangue, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha spogliato i templi, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha annullato i testamenti, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha spogliato i vivi, sia trascinato con l'uncino. Siamo stati schiavi dei suoi schiavi. Colui che si è fatto pagare per concedere la vita, sia trascinato con l'uncino. Colui che si è fatto pagare per concedere la vita e non ha mantenuto la parola, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha venduto il senato, sia trascinato con l'uncino. Colui che ha sottratto ai figli l'eredità, sia trascinato con l'uncino. Via dal senato le spie! Via dal senato i delatori! Via dal senato i corruttori di schiavi! Anche tu hai avuto paura assieme a noi, sai tutto, conosci i buoni e i malvagi. Tu sai tutto, rimedia tu a tutto; noi abbiamo temuto per te. Felici noi, ora che ti abbiamo visto sul trono! Esponi, esponi i capi d'accusa contro il parricida, interroga ad uno ad uno. Chiediamo la tua presenza. Gli innocenti sono rimasti insepolti: il cadavere del parricida sia trascinato con l'uncino. Il parricida ha disseppellito i morti: il cadavere del parricida sia trascinato!». ( tratto da la Historia Augusta)
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Inviato da LaBigaAlata @ 12:55
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Messaggio N° 15 |
14 Luglio 2005 |
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In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale
verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono
in pericolo la continuazione stessa dell'esistenza dell'umanità,
noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo
affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro
obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e
li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione
di tutte le questioni controverse tra loro.
Nella tragica situazione in cui l'umanità si trova di fronte noi
riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi in conferenza per
accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di
distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del
progetto annesso. Parliamo in questa occasione non come membri di
questa o quella Nazione, Continente o Fede, ma come esseri umani,
membri della razza umana, la continuazione dell'esistenza della quale
è ora in pericolo.
Il mondo è pieno di conflitti e, al di sopra di tutti i
conflitti minori, c'è la lotta titanica tra il comunismo e
l'anticomunismo. Quasi ognuno che abbia una coscienza politica ha preso
fermamente posizione in una o più di tali questioni, ma noi vi
chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di
considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una
storia importante e della quale nessuno di noi può desiderare la
scomparsa.
Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello a un
gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono i pericolo e se
questo pericolo è compreso vi è la speranza che possa
essere collettivamente scongiurato. Dobbiamo imparare a pensare in una
nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono
essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo,
perché non vi sono più tali passi; la domanda che
dobbiamo rivolgerci è: "quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?".
L'opinione pubblica e anche molte persone in posizione autorevole non
si sono rese conto di quali sarebbero le conseguenze di una guerra con
armi nucleari. L'opinione pubblica ancora pensa in termini di
distruzione di città. Si sa che le nuove bombe sono più
potenti delle vecchie e che mentre una bomba atomica ha potuto
distruggere Hiroshima, una bomba all'idrogeno potrebbe distruggere le
città più grandi come Londra, New York e Mosca. È
fuori di dubbio che in una guerra con bombe all'idrogeno le grandi
città sarebbero distrutte; ma questo è solo uno dei
minori disastri cui si andrebbe incontro.
Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse
sterminata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi dal
colpo; ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l'esperimento di Bikini,
che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la distruzione su
un'area molto più ampia di quanto si supponesse. È stato
dichiarato da una fonte molto autorevole che ora è possibile
costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che
distrusse Hiroshima.
Una bomba all'idrogeno che esploda vicino al suolo o sott'acqua invia
particelle radioattive negli strati superiori dell'aria. Queste
particelle si abbassano gradatamente e raggiungono la superficie della
terra sotto forma di una polvere o pioggia mortale.
Nessuno sa quale ampiezza di diffusione possano raggiungere queste
letali particelle radioattive, ma le maggiori autorità sono
unanimi nel ritenere che una guerra con bombe all'idrogeno potrebbe
molto probabilmente porre fine alla razza umana.
Si teme che, qualora venissero impiegate molte bombe all'idrogeno, vi
sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza, mentre
per la maggioranza sarebbe riservata una lenta tortura di malattie e
disintegrazione.
Molti ammonimenti sono stati formulati da personalità eminenti
della scienza e da autorità della strategia militare.
Nessuno di essi dirà che i peggiori risultati sono certi:
ciò che essi dicono è che questi risultati sono possibili
e che nessuno può essere sicuro che essi non si verificheranno.
Non abbiamo ancora constatato che le vedute degli esperti in materia
dipendano in qualsiasi modo dalle loro opinioni politiche e dai loro
pregiudizi. Esse dipendono solo, per quanto hanno rivelato le nostre
ricerche, dalle estensioni delle conoscenze particolari del singolo.
Abbiamo riscontrato che coloro che più sanno sono i più
pessimisti.
Questo, dunque, è il problema che vi presentiamo, netto,
terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure
l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?
È arduo affrontare questa alternativa perché è
così difficile abolire la guerra. L'abolizione della guerra
chiederà spiacevoli limitazioni della sovranità
nazionale, ma ciò che forse ostacola maggiormente la
comprensione della situazione è che il termine "umanità"
appare vago e astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il
pericolo è per loro, per i loro figli e i loro nipoti e non solo
per una generica e vaga umanità.
È difficile far sì che gli uomini si rendano conto che
sono loro individualmente e i loro cari in pericolo imminente di una
tragica fine.
E così sperano che forse si possa consentire che le guerre
continuino purché siano vietate le armi moderne. Questa speranza
è illusoria.
Per quanto possano essere raggiunti accordi in tempo di pace per non
usare le bombe all'idrogeno, questi accordi non saranno più
considerati vincolanti in tempo di guerra ed entrambe le parti si
dedicheranno a fabbricare bombe all'idrogeno non appena scoppiata una
guerra, perché se una delle parti fabbricasse le bombe e l'altra
no, la parte che le ha fabbricate risulterebbe inevitabilmente
vittoriosa.
Sebbene un accordo per la rinuncia alla armi nucleari nel quadro di una
riduzione generale degli armamenti non costituirebbe una soluzione
definitiva, essa servirebbe ad alcuni importanti scopi.
In primo luogo ogni accordo tra est e ovest è vantaggioso in
quanto tende a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo,
l'abolizione delle armi termonucleari, se ognuna delle parti fosse
convinta della buona fede dell'altra, diminuirebbe il timore di un
attacco improvviso del tipo di Pearl Harbour che attualmente tiene le
parti in uno stato di apprensione nervosa.
Saluteremo perciò con soddisfazione un tale accordo, anche se
solo come primo passo. La maggior parte di noi non è di
sentimenti neutrali, ma come esseri umani dobbiamo ricordare che
affinché le questioni fra Est e Ovest siano decise in modo da
dare qualche soddisfazione a qualcuno, comunista o anticomunista,
asiatico, europeo o americano, bianco o nero, tali questioni non devono
essere decise con la guerra.
Desideriamo che ciò sia ben compreso sia in oriente che in
occidente. Se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo
progresso in benessere, conoscenze e saggezza. Vogliamo invece
scegliere la morte perché non siamo capaci di dimenticare le
nostre controversie?
Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate
la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di
farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti
è davanti a voi il rischio della morte universale
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Inviato da LaBigaAlata @ 23:27
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Messaggio N° 14 |
12 Luglio 2005 |
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Dove vai? chi ti chiama Lunge dai cari tuoi, Bellissima donzella? Sola, peregrinando, il patrio tetto Sì per tempo abbandoni? a queste soglie Tornerai tu? farai tu lieti un giorno Questi ch'oggi ti son piangendo intorno? Asciutto il ciglio ed animosa in atto, Ma pur mesta sei tu. Grata la via O dispiacevol sia, tristo il ricetto A cui movi o giocondo, Da quel tuo grave aspetto Mal s'indovina. Ahi ahi, né già potria Fermare io stesso in me, né forse al mondo S'intese ancor, se in disfavore al cielo, Se cara esser nomata, Se misera tu debbi o fortunata. Morte ti chiama; al cominciar del giorno L'ultimo istante. Al nido onde ti parti, Non tornerai. L'aspetto De' tuoi dolci parenti Lasci per sempre. Il loco A cui movi, è sotterra: Ivi fia d'ogni tempo il tuo soggiorno. Forse beata sei; ma pur chi mira, Seco pensando, al tuo destin, sospira. Mai non veder la luce Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Che reina bellezza si dispiega Nelle membra e nel volto, Ed incomincia il mondo Verso lei di lontano ad atterrarsi; In sul fiorir d'ogni speranza, e molto Prima che incontro alla festosa fronte I lùgubri suoi lampi il ver baleni; Come vapore in nuvoletta accolto Sotto forme fugaci all'orizzonte, Dileguarsi così quasi non sorta, E cangiar con gli oscuri Silenzi della tomba i dì futuri, Questo se all'intelletto Appar felice, invade D'alta pietade ai più costanti il petto. Madre temuta e pianta Dal nascer già dell'animal famiglia, Natura, illaudabil maraviglia, Che per uccider partorisci e nutri, Se danno è del mortale Immaturo perir, come il consenti In quei capi innocenti? Se ben, perché funesta, Perché sovra ogni male, A chi si parte, a chi rimane in vita, Inconsolabil fai tal dipartita? Misera ovunque miri, Misera onde si volga, ove ricorra, Questa sensibil prole! Piacqueti che delusa Fosse ancor dalla vita La speme giovanil; piena d'affanni L'onda degli anni; ai mali unico schermo La morte; e questa inevitabil segno, Questa, immutata legge Ponesti all'uman corso. Ahi perché dopo Le travagliose strade, almen la meta Non ci prescriver lieta? anzi colei Che per certo futura Portiam sempre, vivendo, innanzi all'alma, Colei che i nostri danni Ebber solo conforto, Velar di neri panni, Cinger d'ombra sì trista, E spaventoso in vista Più d'ogni flutto dimostrarci il porto? Già se sventura è questo Morir che tu destini A tutti noi che senza colpa, ignari, Né volontari al vivere abbandoni, Certo ha chi more invidiabil sorte A colui che la morte Sente de' cari suoi. Che se nel vero, Com'io per fermo estimo, Il vivere è sventura, Grazia il morir, chi però mai potrebbe, Quel che pur si dovrebbe, Desiar de' suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo Rimaner di se stesso, Veder d'in su la soglia levar via La diletta persona Con chi passato avrà molt'anni insieme, E dire a quella addio senz'altra speme Di riscontrarla ancora Per la mondana via; Poi solitario abbandonato in terra, Guardando attorno, all'ore ai lochi usati Rimemorar la scorsa compagnia? Come, ahi, come, o natura, il cor ti soffre Di strappar dalle braccia All'amico l'amico, Al fratello il fratello, La prole al genitore, All'amante l'amore: e l'uno estinto, L'altro in vita serbar? Come potesti Far necessario in noi Tanto dolor, che sopravviva amando Al mortale il mortal? Ma da natura Altro negli atti suoi Che nostro male o nostro ben si cura.
Giacomo Leopardi |
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Inviato da LaBigaAlata @ 11:33
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Messaggio N° 13 |
6 Luglio 2005 |
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Profumo esotico Quando, una calda sera d'autunno, ad occhi chiusi io respiro l'odore dell'ardente tuo seno, vedo innanzi spiegarmisi un paese sereno che un sole eterno abbaglia coi suoi fuochi diffusi: pigra isola dove rigoglioso il terreno nuovi alberi germina, dai bei frutti dischiusi; snelli han gli uomini i corpi, ma alle fatiche adusi; delle donne sorprende l'occhio limpido e pieno. Dall'odor tuo guidato a cieli più soavi, ecco m'appare un porto popoloso di navi, cui trema ancor la chiglia del travaglio dell'onda, mentre il forte profumo dei tamarindi in fiore, che col vento mi giunge e le nari m'inonda, al canto delle ciurme mi si mesce nel cuore.
Charles Baudelaire |
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Inviato da LaBigaAlata @ 10:43
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