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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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the beach (prima parte)

Post n°476 pubblicato il 12 Ottobre 2013 da falco58dgl

Sono successe tante di quelle cose in questi ultimi tre mesi da perderne il conto. Berlusconi si avvia a completare ingloriosamente il suo ciclo, il Mediterraneo è diventato una sorta di cimitero liquido che custodisce centianaia di cadaveri eritrei, somali o siriani, l'Italia galleggia a stento tra crisi economica e pregiudicati che si ostinano a non voler uscire di scena, il mondo intero è percorso da guerre, conflitti etnici e religiosi,  ipotesi di default economico, lotte economiche senza quartiere che preparano i prossimi scenari di miseria e sollevazione popolare.

Però, nonostante questa situazione costituisca il nostro orizzonte quotidiano e non vada rimossa dalla nostra attenzione, ho deciso di riprendere a postare su questo blog, presentando un frammento di racconto. In fondo, questo è un blog di narrativa, la sua ragione di esistere è legata alla pubblicazione di testi, di "finestre immaginarie sul mondo".

 

love

Se ne sta lì, a guardare le macchine che passano sul ponte. Transitano lente, due luci gialle davanti e due punti rossi dietro, come piccole falene riconoscibili nel buio. Il fiume scorre increspato, le rapide disegnano un arco frastagliato a un centinaio di metri. Dietro, una musica sincopata –tromba, batteria e sintetizzatore e una voce che ripete sei o sette parole con intensità crescente-, una birra nel bicchiere di plastica. Si guarda intorno verso le luci della collina. Vorrebbe sentirsi contento, liberare quella sensazione che gli chiude la bocca dello stomaco. Giovanna accanto a lui fissa il fiume assorta e serena. Hanno fatto l’amore due ore prima e lei ha mormorato parole forti, inusuali, mentre il piacere cresceva. Gruppi di persone si muovono sulla riva, lambiscono i tavolini, le sedie a sdraio e gli ombrelloni, incongrui alle undici di sera. Mormora "tutto è perfetto… perfetto", calcando sulle "t", come se volesse convincersi sentendo il suono della parola. Si accende una sigaretta, pensando che fa tutto troppo in fretta, che non riesce a stare cinque minuti senza far nulla, un sorso di birra, una boccata di fumo, uno sguardo, una nota che arriva, ogni cosa senza soluzione di continuità. Gli viene in mente il protagonista di "Rayuela", che, disteso sul letto, non riesce a oziare, deve bere un sorso di birra tiepida, non riesce a seguire il corso dei suoi pensieri. Il corso dei pensieri, solo prima di addormentarsi diventano fluidi, legati da associazioni labili e leggere. Un ragazzo gli chiede una sigaretta. Nel dargliela, sente quasi un moto di fastidio e si chiede perché. Succedesse almeno qualcosa. Ma non sa cosa. Forse è meglio che non succeda nulla, niente che disturbi il suo desiderio di qualche novità. Si guarda intorno, adesso il ponte è quasi vuoto. Solo una macchina, verso un’estremità. Si chiede come si fa a determinare la fine e l’inizio di un ponte, se è solo un punto di osservazione o c’è qualche regola precisa che permette di stabilirlo. "Ce ne andiamo?" la voce di Giovanna lo riscuote. "Solo un attimo, qui si sta così bene" risponde.

***

Marco e Giovanna si alzano senza fretta, si accingono a tornare verso la loro vettura, parcheggiata nella grande piazza che guarda sul ponte. Nel risalire la strada, costeggiando il fiume, lui scorge un piccolo involucro buttato per terra, un oggetto quasi invisibile a quell’ora di notte e con la fioca illuminazione, se non per una linea giallo brillante che disegna un triangolo rovesciato su una copertina marrone scuro. Si china, incuriosito, mentre Giovanna, mormora “ma cosa fai…” e raccoglie un libro che sembra lasciato sul selciato da tanto di quel tempo, che il Tempo stesso se ne è dimenticato.

Fogli ingialliti e quasi espansi dall’umidità, un dorso largo, screpolato, di cuoio duro. Lo apre con cautela e legge il titolo, scritto a caratteri gotici ancora netti e ben delineati, “historia delle legioni et delle schiere degli angeli caduti”. Sotto il titolo cerca di decifrare un insieme di numeri romani che sembra comporre un anno insensato. MCCCLXII. 1362? Quasi cento anni prima dell’invenzione della stampa? Deve trattarsi di un errore, pensa, o forse sono io che mi confondo e leggo male.

Poi scorge tra la M e la prima C una D semicancellata, che forma un più rassicurante 1862. “Quando il Santo Uffizio decise di porre fine alle empietà dei posseduti da Satana che infestavano le contrade dell’augusta Taurinus…”. La scrittura in un italiano quasi moderno lo incuriosisce, prova a guardare l’indice facendo attenzione a sfogliare il libro con cautela, come se temesse di vederlo decomporre e trasformarsi in un mucchietto di polvere.

Il Necronomicon, gli adoratori del Maligno, i processi per stregoneria, il triangolo della magia bianca, il triangolo della magia nera e, in fondo, “la historia di Dafne, ovvero come riuscire a vincere la morte”. Pensa che è la solita vicenda, Torino incardinata tra il triangolo delle città della magia bianca e quello della magia nera, i rituali del Musinè, gli adepti di questa città algida e doppia ai riti segreti che mescolano ricerca di conoscenza e invocazioni ai principi oscuri, -ma il Necronomicon, si chiede, non è stato inventato da Lovecraft sessanta anni dopo la pubblicazione di questo libro?-, sale in macchina assorto, guidando verso casa e sbirciando ogni tanto verso l’oggetto che giace sul sedile posteriore.

***

Arriva a casa e, nell’accendere la luce dell’ingresso, teme per un attimo di trovare presenze malevoli nascoste negli angoli della casa. Scaccia il pensiero, sorride e ritrova il tranquillo disordine dell’appartamento. Vorrebbe dare un ‘occhiata al libro che ha animato una serata già prevista in tutti i suoi momenti, ma Giovanna lo abbraccia e gli dice con voce ferma “buttalo, Marco, disfati di quella cosa”. Capisce che ha ragione, anche se non sa perché. Ma si oppone, scherzando sulle sue paure irragionevoli. Mette il volume su un ripiano alto della libreria, dove colloca le cose lette da tempo. Prima di andare a letto, prova a dare un bacio a Giovanna, ma lei si scosta quasi bruscamente. Sprofonda nel sonno pensando al ponte che unisce le due rive del fiume.

***

Quando legge il libro, rimane perplesso. Sembra scritto da un frate con la vocazione di un ragioniere. Le persecuzioni verso i posseduti da Satana sono narrate con uno stile freddo e piatto, che unisce brani di processi realmente avvenuti con sproloqui apologetici sul Sant’Uffizio e la necessità di ripristinare la vera fede. Anche il tema della città magica viene trattato come una composizione accademica, senza pathos e con una prolissità disarmante.

I due fiumi, il Po e La Dora, che scorrono ad anello intorno alla città, incarnando il principio maschile e quello femminile, la “vallis occisorum” in prossimità del luogo delle esecuzioni, la necropoli sotterranea che scorre tra Corso Principe Eugenio e via San Donato, l’aiuola centrale di piazza Statuto che cela la porta dell’Inferno, attraverso il sistema di fogne nere della città, la Fontana Angelica che rappresenta la Porta verso l’Infinito, la Santa Sindone che "racchiude nel suo seno i quattro elementi che compongono l’Universo: Terra, Fuoco, Aria e Acqua. E’ nata dalla Terra come un fiore di lino, è stata tessuta dall’uomo, ha viaggiato attraverso l’Acqua, attraverso l’Aria, ossia il tempo, mentre il Fuoco è Cristo medesimo, è la luce, la conoscenza... Nessun incendio potrà mai distruggerla, perché il fuoco è già in essa. Tante volte il fuoco l’ha sfiorata, ma la Sindone ha sempre vinto".

Trova solo un po’ di interesse quando l’autore -un certo Augusto De’ Renzi- cita, in modo reticente e censurato, alcune formule del Necronomicon, alludendo però alla loro empietà blasfema e non al loro potere. Marco sfoglia infastidito le pagine, attratto solo dalla loro solidità coriacea, s’arresta nell‘ultima parte, che parla di Dafne e di come riuscì a sfuggire alla morte. Sembra scritto da un’altra persona. Inizia a leggere, rapito dal ritmo

(fine prima parte)

 

 

 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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