Creato da: contastorie1961 il 11/03/2015
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La Reliquia 2

Post n°15 pubblicato il 11 Aprile 2015 da contastorie1961

Chartres

 

Urla, violenti scrosci di pioggia, fuggi fuggi generale. D’istinto, Lapo si chinò accanto all’uomo e usò il proprio fazzoletto nel tentativo di tamponare la ferita. Ma non era necessario essere medici per capire che non c’era più nulla da fare. 

Un sibilo gli sfiorò il timpano. Gettandosi a terra, rimase immobile per qualche istante. Quando rialzò la testa, ebbe solo il tempo d’intravedere una mano sporgere da dietro un albero. Un altro lampo, un sibilo simile al primo, questa volta molto più vicino. Senza pensarci più di tanto, si rimise in piedi e cominciò a correre all’impazzata. La pioggia, gelida e battente, gli sferzò la pelle, penetrandogli negli occhi sino ad accecarlo. Come un miraggio, la cattedrale gli apparve improvvisamente davanti. Maestosa e terrificante, simile a un mostro marino, sembrava volesse inghiottirlo da un momento all’altro.

-Di qua…di qua!-

Lapo ebbe un istante d’esitazione, si fermò, incerto. Fradicio e confuso, cercò d’individuare la provenienza della voce, un sussurro appena accennato nel frastuono della tempesta. Poi lo vide. A qualche metro di distanza dall’ingresso principale, uno spicchio di luce sembrava fendere il buio come una lama.

-Presto…di qua!-

Scivolando sull’asfalto viscido, riprese la corsa in quella direzione. Quando giunse alla minuscola porticina, una figura alta e imponente si scostò per lasciarlo passare.

-Entri…presto!-

 

Firenze

 

Il vecchio professore richiuse il libro e lasciò la poltrona. Con l’aiuto del bastone, raggiunse la finestra e la spalancò. La brezza della sera fiorentina, l’investì col suo alito tiepido e profumato. Rimase così per qualche istante, assaporando ogni refolo di vento, quindi si portò alla scrivania. Il computer, sempre acceso, proiettò dei bagliori bluastri nella stanza in penombra. Sedendosi di fronte ad esso, fissò a lungo lo schermo, in attesa di una mail che impiegava troppo tempo ad arrivare. I dubbi ricominciarono a perseguitarlo. Aveva fatto bene a fidarsi di Lapo? Era sempre stato un soggetto dalla personalità difficile, sfuggente e riluttante a seguire ogni tipo di regola. Di un’intelligenza al di sopra della media, aveva sempre prediletto gli ideali a una sicura e brillante carriera. Sommando tutto questo, ad una smisurata voglia d’avventura, ci si trovava tra le mani un individuo estroso e poco affidabile. Ma non era solo quello che l’angustiava.

Mentire.

Una cosa che non sopportava e che criticava aspramente negli altri. Eppure, con Lapo, aveva dovuto farlo. E l’aveva fatto con la piena consapevolezza di sapere di mentire. Non era affatto vero che si sarebbe trattato di un compito semplice e senza rischi. La scusa delle proprie condizioni poteva anche essere plausibile, ma la realtà era tutta un’altra cosa. Continuando a fissare lo schermo, si chiese ancora una volta se avesse fatto la cosa giusta, quindi finì per assopirsi.

 

Chartres

 

Appoggiandosi alla parete, Lapo chiuse gli occhi. L’unica cosa che percepì, il battito frenetico del proprio cuore a rimbombargli nelle orecchie. Un istante dopo, la porta si richiuse con un tonfo secco.

-Bonsoir mon amì, benvenuto a Chartres-

Un frate, gigantesco nella propria tonaca intonsa, lo squadrò con un sorriso appena accennato.

-Chi…chi sei tu…che cazzo sta succedendo!-

Il frate, sollecito, si portò l’indice alle labbra.

-Il fatto che l’abbia tirata fuori da una situazione difficile, non l’autorizza a bestemmiare nella casa del Signore-

Disse in tono autoritario.

-Mi segua e rimandi le domande a più tardi, avremo tutto il tempo che vuole-

Detto questo, s’incamminò lungo uno stretto cunicolo, chinandosi leggermente per non cozzare contro il basso soffitto.

-Ehi prete! Non ti seguirò sino a che non mi avrai detto in che guaio mi sono cacciato. Mi hanno sparato capisci. Mi hai sentito prete?-

Per nulla impressionato da quello sfogo, il frate continuò nel proprio cammino.

-Mi hai sentito maledizione?-

Ripeté Lapo a voce ancor più alta.

Nessuna risposta, solamente i passi che si facevano sempre più distanti. Trattenendo a stento la rabbia, si staccò dalla parete. Il cunicolo, saltuariamente illuminato da alcune piccole lampadine, parve snodarsi nei meandri della cattedrale come un serpente. Il frate proseguì con passo sicuro, incurante del fatto che Lapo lo seguisse o meno. Dopo un tempo che gli parve interminabile, sbucarono in una stanza arredata in modo spartano. Un letto singolo, affiancato da uno scrittoio, si trovavano addossati alla parete più lontana. Al centro, un tavolino di legno e una sedia rappresentavano l’unico mobilio presente.

-Questa è la mia cella mon amì. Qua potremo parlare indisturbati, ma non voglio bestemmie, vous avez compris?-

Lapo annuì. Ora che poteva osservarlo meglio, il frate era veramente un gigante. Alto più di due metri, aveva spalle larghe e mani enormi. Il volto, incorniciato da un pizzetto ben tenuto, era squadrato e deciso. Il frate gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia, quindi si sedette sul letto, facendolo scricchiolare sotto il proprio peso.

 
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La Reliquia 1

Post n°13 pubblicato il 05 Aprile 2015 da contastorie1961

Chartres, Luglio

L’emozione di scoprire laggiù, di fronte a noi, al di sopra della distesa delle messi, la grande navata e i suoi alti campanili, eguaglia quella del pellegrino che vede le mura di Gerusalemme, o quella del mistico all’apparizione della città celeste, modello ideale della chiesa”

Lapo richiuse il libretto che aveva portato con se dall’Italia. La descrizione della guida era sin troppo precisa, ma lontana anni luce dalla realtà. Nessuna fotografia, neppure la più premiata al mondo, avrebbe mai potuto rendere l’idea della maestosità di ciò che si trovava dinanzi. Le nuvole, basse e nere, proiettarono in quel momento una luce particolare sulla costruzione. La cattedrale di Notre-Dame di Chartres, piuttosto che una chiesa, sembrava molto simile a una fortezza inespugnabile. Le torri campanarie, alte e imponenti, lo lasciarono letteralmente senza fiato. Così come i tre portali della facciata principale, autentici capolavori di una bellezza inimmaginabile. Una folata di vento, violenta e improvvisa, gli strappò il libricino di mano. Chinandosi a raccoglierlo, fu come se l’incantesimo si fosse spezzato, rimandandolo al vero motivo che l’aveva portato in quel luogo. Ex studente d’architettura, attualmente disoccupato, Lapo coltivava un’unica grande passione, ossia tutto ciò che riguardava i Templari e la loro storia. E la cattedrale di Chartres, coi suoi misteri, rappresentava di sicuro il meglio in questo senso. Se tutto fosse andato liscio, una volta assolto il compito, avrebbe potuto tornare. O forse no?

Qualche settimana prima, in un bar di Firenze.

-Ho un affare da proporti ragazzo-

Il vecchio professore lo fissò al di sopra della tazzina fumante. Più vicino agli ottanta che ai settanta, portava pantaloni in flanella e una giacca dello stesso tessuto. Come facesse a resistere, visto che la temperatura sfiorava i trentacinque gradi, per Lapo rimaneva un mistero sin dai tempi dell’università. A mente, l’aveva sempre visto indossare gli stessi indumenti-Sempre tè bollente, eh professore? Una bibita fresca no?- Il vecchio posò la tazza, apparentemente sordo a quelle parole. Trascorso qualche istante, prese il bastone puntandoglielo contro -Vedo che non hai perso l’abitudine di sciorinare le tue pessime battute ragazzo. Vuoi starmi a sentire o no?- Lapo smise di sorridere. Uno scorcio dell’antica autorità, colta nello sguardo dell’anziano, gli consigliò di farlo. E, cosa più importante di tutte, aveva un tremendo bisogno di soldi.

-Se c’è da ricavarne qualcosa, sono a sua disposizione-

Dalla tasca della giacca, il professore prese qualcosa -E’ molto particolareggiata, ma solo quando sarai sul posto potrai capire- Sembrava una guida turistica, notò subito Lapo, ed era in lingua francese -Avrai tempo di guardarla più tardi, con calma. Adesso ascoltami bene. Si tratta di un compito semplice ma le mie condizioni, purtroppo, non mi consentirebbero di sopportare un viaggio del genere. Ma ho l’assoluta necessità di recuperare qualcosa di mio- Lapo inarcò un sopracciglio -Mi scusi professore. Ma, da qualche tempo, esistono le poste e addirittura i corrieri, ne ha forse sentito parlare?- Seccato, il vecchio docente picchiò un pugno sul tavolino -E va bene! Sapevo di sbagliarmi rivolgendomi a te. Ma conosco la tua situazione, così come la smania d’avventura che ti ha sempre animato. Mi rivolgerò a qualcun altro, arrivederci!- detto questo, fece per alzarsi -Le chiedo scusa professore- proruppe Lapo alzandosi a sua volta -Non mi permetterò più d’interromperla, la prego- Il professore esitò. Quindi, dopo qualche istante, tornò sui suoi passi -Non si tratta di qualcosa che si possa spedire per posta- riprese leggermente ansante -Ma hai promesso di non interrompermi più, quindi ascolta-

Chartres

Lapo si guardò freneticamente attorno. Le nubi, nel frattempo, si erano fatte più cupe e minacciose. Tra non molto, un temporale estivo avrebbe flagellato la cattedrale e i numerosi turisti presenti 

Sarà lui a contattare te. Gli ho mandato una mail con la tua foto, dovrai solo attendere” Aveva terminato il professore dopo avergli spiegato la situazione.

-Monsieur Barberinì?-

Lapo, nella foga di voltarsi, quasi si slogò il collo. Un uomo, esile e basso di statura, gli si fece incontro senza smettere un istante di guardarsi attorno, circospetto -Sono io, con chi ho il piacere di…Senza smettere di camminare, l’uomo l’afferrò per un braccio e lo trascinò via -Dopo,  monsieur. Adesso dobbiamo toglierci da qui, troppo pericoloso- Lapo non oppose resistenza. Tra l’altro, le prime e fredde gocce di pioggia, iniziarono a bagnare l’asfalto rovente. Ma, fatti pochi passi, l’uomo si fermò di colpo e s’irrigidì. All’altezza del petto, mischiata alla pioggia, una chiazza di sangue andò formandosi rapidamente. Le persone più vicine, e che avevano avuto modo di vedere la scena, iniziarono ad urlare. Preso dal panico, Lapo rimase immobile mentre l’uomo, lentamente, si accasciò a terra.

 
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Galdino (storia di un matto) Fine

Post n°12 pubblicato il 31 Marzo 2015 da contastorie1961

Varcando la soglia di casa, Giuseppe si guardò attorno -Dov’è Galdino?- La moglie lo fissò in modo strano -Come, dov’è. E’ andato al lavoro no? Piuttosto, che ci fai a casa. Non dovevi andare direttamente al cantiere dopo l’incontro coi fornitori?- Giuseppe non rispose -Ma cos’hai?- lo incalzò la donna -Sei sudato, pallido come un fantasma e respiri a fatica. Non ti senti bene? Parla, maledizione!- Senza darle retta, le voltò le spalle e uscì nuovamente. Girovagando a lungo per le vie della città, decise finalmente di recarsi al cantiere. Dinanzi all’ingresso, due gazzelle dei carabinieri bloccavano l’entrata. Un militare, in piedi a fianco della portiera, stava parlando al radiotelefono. Nascondendosi dietro un furgone, rimase in attesa, l’ansia sempre più crescente. Sino a una decina di minuti più tardi quando, scortato da almeno cinque agenti, vide suo figlio venir trascinato verso le automobili.

Una paio di settimane più tardi, stroncata e prostrata dal dolore, la madre di Galdino esalò l’ultimo respiro in un letto d’ospedale. Il suo cuore, già malato, non resse allo stress e all’enormità della cosa.

Da quel momento, Giuseppe si isolò dal mondo. Nonostante le rimostranze dei clienti, perse interesse per il cantiere sino a quando, per forza di cose, dovette chiudere bottega.

 

————-

 

-Perché mi guardi così papà. Io sono felice di rivederti, tu no?- Nonostante il caldo atroce, Giuseppe rabbrividì -Miriam, inutile che te lo presenti vero? Sei la nostra vicina, lo conoscerai di certo!- La donna, pallida da far paura, esibì un sorriso forzato -Io…si…certo…come sta signor Giuseppe?- Il vecchio cercò di mettersi a sedere, inutilmente -Non sforzarti papà. Ci sono io adesso, te lo devo ripetere ancora?- Avvicinandosi al letto, Galdino lo prese per le ascelle e lo sollevò bruscamente. Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. -Bene. Adesso sei comodo. Così potrai ascoltare quello che voglio raccontare a Miriam. Sei d’accordo vero?- Giuseppe si accasciò sul cuscino.

———-

 

-Ha un quarto d’ora a sua disposizione, lo tenga bene a mente- lo istruì la guardia. Giuseppe varcò la soglia della cella col cuore in gola. La stanza, grigia e fredda, conteneva solo un tavolo e due sedie, entrambe ben fissate al suolo. Dopo averne occupato una delle due, rimase in attesa. Trascorse circa un quarto d’ora, quindi la porta si aprì nuovamente. Galdino, ammanettato mani e piedi, si trascinò con difficoltà verso la sedia libera. L’agente che lo scortava, dopo averlo aiutato a sedersi, fece per andarsene -Non può liberarlo?- chiese timidamente Giuseppe. L’uomo non rispose nemmeno, limitandosi a richiudersi la porta alle spalle -Ciao papà- Giuseppe deglutì -La mamma non ha sofferto vero? Dimmi che non ha sofferto- chiese con un fil di voce. Quindi iniziò a tremare -No, non si è nemmeno accorta, stai tranquillo- mentì il padre. Galdino sembrò rilassarsi, sorrise.Trascorsero quindi diversi minuti, durante i quali nessuno dei due proferì parola. Fu Galdino a interrompere quel silenzio.

-Perché l’hai fatto papà? Io…io adesso ho paura a dire quello che ho visto, cosa devo fare?- Giuseppe avvertì una fitta allo stomaco, lo fissò Infermità mentale” Due parole che, improvvisamente, lo risollevarono. Se la sarebbero cavata, entrambi. Alzandosi, mise una mano sulla spalla del figlio -Ce la faremo, fidati di me figliolo- Detto questo, si avviò verso la porta -Aprite, ho finito- picchiando i pugni sul freddo metallo.

———-

 

-Io non volevo crederci sai Miriam?- La donna lo guardò senza capire -Ho tenuto questa cosa per tanto tempo, non me ne sono mai separato, neppure per un minuto- Il braccialetto, di semplice cuoio, appariva logoro e sbeccato in diversi punti. I nodi, intrecciati, terminavano formando due lettere: G e F -Gliel’aveva regalato la mia mamma- proseguì Galdino tra le lacrime -Solo che l’ho trovato vicino a tua figlia, Miriam. E non doveva essere la, vero papà?-Sempre più sofferente, Giuseppe chiuse gli occhi -Perché l’hai fatto papà? Io…io non l’avrei mai rivelato a nessuno. Ma anche tu non hai mai detto nulla e…e mi hai lasciato solo in quel posto…perché?- Miriam s’irrigidì. Quelle semplici parole, la colpirono con la forza di un maglio. Come una furia, si avvicinò al letto afferrando Giuseppe per la giacca del pigiama -Tu…sei stato tu, maledetto!- Scosso da violenti singhiozzi, Galdino non ebbe alcuna reazione -Perché…perché…- continuò a ripetere dondolandosi sui talloni. Nemmeno si accorse di Miriam che, svelta, gli tolse l’arma di mano.

Lo sparo, rimbombò assordante nella piccola stanza, tanto da coprire i rumori provenienti dall’esterno. Fissando la testa del padre ridotta a brandelli, Galdino si zittì di colpo mentre Miriam, le braccia lungo i fianchi, lasciò cadere la rivoltella sul pavimento. Dopo un tempo che parve interminabile, si voltò verso Galdino. Prendendolo per mano, si diresse verso la porta.

-Andiamo. Adesso è finita. Ora sei finalmente libero-

 
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Galdino (storia di un matto) Nono Capitolo

Post n°11 pubblicato il 28 Marzo 2015 da contastorie1961

Distante qualche centinaio di metri, l’abitazione di Galdino appariva deserta. Nessun movimento sospetto, nessun veicolo, nulla che potesse segnalare la presenza di qualcuno. Inoltre, vi si poteva arrivare da tre direzioni diverse, ed era impossibile farlo senza passare inosservati, se non dal retro. -Meglio proseguire a piedi. Non sappiamo chi vive nella casa a fianco, non possiamo rischiare di coinvolgere altri innocenti. Il rumore delle automobili poi, potrebbe metterlo sull’avviso nel caso che…- Fu l’ispettore Bardella a terminare la frase per lui -Nel caso che quel pazzo sia arrivato prima di noi, capo? Non oso pensare alla reazione del padre, potrebbe accadere qualsiasi cosa-

Il cellulare di Vinci iniziò a squillare. Dopo aver ascoltato per qualche istante, il commissario lo ripose in tasca -Era Dordoni. La direttrice è in sala operatoria, ma sembra che il peggio sia passato- e prima che l’ispettore potesse replicare, indicò l’abitazione.- E adesso andiamo, Bardella. Abbiamo perso anche fin troppo tempo- Tenendosi bassi lungo il ciglio della stradina, i due poliziotti si avviarono verso la casa.

-Fermati!- Col fiato corto, sempre più sudato e sofferente, Galdino raggiunse la donna -Ora riconosco il posto. La mia casa si trova dietro quella curva, sono sicuro!- Miriam abbozzò un timido cenno d’assenso -Bene. Stammi vicina e non ti accadrà nulla, voglio solo arrivarci e poi ti lascerò libera. Anche se non dovrai fare molta strada vero?- sogghignò soddisfatto -Pensavi davvero che non ricordassi che sei la mia vicina? Volevo bene a Michela, era bella Michela-Grosse lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance. Sussultò, scosso da brividi improvvisi e violenti -Ma ora sono qua. E chi deve pagare pagherà…ah ah ah, ho fatto anche la rima… ha ah ah ah…- Terrorizzata, Miriam arretrò di qualche passo. Ma fu una mossa inutile. Galdino l’afferrò per un braccio, torcendolo in maniera violenta e dolorosa -Ho cambiato idea. Voglio che qualcuno veda, che qualcuno senta. E tu sarai il mio pubblico, andiamo!-Incapace di contrastare quella furia, Miriam iniziò a pregare.

-Appare tutto troppo tranquillo, e la cosa non mi piace per nulla- Bardella, qualche metro più avanti del commissario, si appoggiò a un albero -Non vedo nessuna automobile parcheggiata. E non credo che l’infermiera venga ad assistere il padre a piedi. Dobbiamo entrare capo, non c’è altra scelta- Questa volta, l’impazienza e l’irruenza di Bardella non sembravano affatto fuori luogo -Ok. Vai avanti. Solito sistema, ti copro io- L’ispettore sembrava non aspettare altro. Curvandosi in avanti, iniziò a coprire gli ultimi metri di corsa, la pistola tenuta con due mani a fianco della testa. Lo sparo echeggiò come una frustata nel silenzio della campagna. Piroettando su se stesso, Bardella si accasciò al suolo rimanendo immobile. Colto di sorpresa, il commissario si gettò a terra, quindi scaricò l’intero caricatore dinanzi a se, alla cieca.

-Getta la pistola o la faccio fuori come il tuo amico, svelto!- Facendosi scudo col corpo di Miriam, Galdino sbucò da una macchia di cespugli -Buttala ho detto!- Pur riluttante, il commissario lanciò l’arma a qualche metro di distanza -Bravo, vedo che sei un tipo che capisce, bravo…bravo- Passando a fianco di Bardella steso a terra, si fermò -E’ solo un graffio, non morirai-Toccandosi la gamba ferita, l’ispettore lo fissò con rabbia -Se le fai del male ti ammazzo, bastardo!- ringhiò. Galdino ricambiò lo sguardo, sembrava rattristato -Io non voglio fare del male a nessuno. Tu sei cattivo come Onofrio, lo leggo nei tuoi occhi. Ma non è te che voglio, presto sarà tutto finito-Chinandosi a raccogliere l’arma persa dal poliziotto, diede quindi un bacio sulla guancia di Miriam -Siamo arrivati, adesso possiamo entrare- Un istante più tardi, la porta si richiuse alle loro spalle.

Giuseppe si agitò tra le lenzuola. Linda era in ritardo, cosa inusuale per lei. Ma, ciò che lo preoccupava di più in quel momento, erano stati gli scoppi che aveva sentito provenire da fuori. Cosa poteva essere stato? Le tende, spesse e scure, gli impedivano di vedere all’esterno. E poi, senza l’aiuto dell’infermiera, scendere dal letto sarebbe stata un’impresa ardua. Il cellulare, appoggiato sul comodino, era a portata di mano. Ciò nonostante, decise di aspettare ancora un poco. Linda si adirava parecchio se veniva chiamata per nulla.

La porta della camera si aprì col solito, acuto cigolio. Giuseppe si rilassò. Come sempre, aveva tratto conclusioni ancor prima di… -Ciao papà- L’anziano sbiancò in volto e le labbra, secche e screpolate, iniziarono a tremare -Hai visto chi ti ho portato? E’ Miriam, la mamma di Michela. La nostra vicina!-esclamò Galdino. La donna fece un passo in avanti, gli occhi sgranati e colmi di terrore -Bu…buongiorno sign…signor Giuseppe. Io…io…- Bruscamente, Galdino la scostò di lato-Mio Dio papà, come sei conciato! Ma non ti devi preoccupare. Ci sono io adesso, dopo tanto tempo-

 
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Galdino (storia di un matto) Ottavo Capitolo

Post n°10 pubblicato il 21 Marzo 2015 da contastorie1961

Campi. Nient’altro che campi coltivati e alberi, dappertutto. Esausto, Galdino si fermò a prendere fiato. Non era affatto pentito di aver liberato il dottore e la signora. Alla fine, gli sarebbero stati solamente d’impaccio. E poi, non voleva che la signora morisse, anche se lo aveva sempre trattato male. Voltò la testa di scatto. Un rumore, un movimento colto con la coda dell’occhio.

-No! Non è possibile, non può essere, Galdino?!- La figura si materializzò subito dopo, laddove un sentiero tagliava il campo come una ferita aperta. D’istinto, Galdino alzò la pistola. La donna poteva avere tra i cinquanta e i sessant’anni, impossibile stabilirlo con esattezza. Portandosi le mani alla bocca, lasciò cadere la borsa che stava trasportando. Una bottiglia si ruppe nell’impatto, mentre alcuni filoni di pane, fuoriusciti da un sacchetto marrone, rotolarono nell’erba. In un istante, Galdino le fu davanti.

-Io…io non ti conosco, eppure…eppure c’è qualcosa che…- Tremando vistosamente, la donna arretrò di qualche passo. Fu un sasso di discrete dimensioni a tradirla. Urtandolo, perse l’equilibrio rovinando al suolo. La gonna al ginocchio le risalì alla vita, mostrando gambe magre e bianchissime -Michela!-

Il nome uscì dalle labbra di Galdino come un tuono. Incredulo e spaventato, la raggiunse chinandosi al suo fianco -No, non accadrà un’altra volta- quindi, con estrema delicatezza, le sistemò la sottana aiutandola poi a rialzarsi.

-Ciao Miriam, come stai?- Ancora tremante, la donna cercò di articolare qualcosa, l’aveva riconosciuta nonostante il lapsus. Gli occhi bassi, Galdino rimise la pistola in tasca-Quelli la mi sono appresso. Ma io devo fare una cosa, mi vuoi aiutare?-La mente di Miriam, frastornata e confusa, sembrava non voler elaborare ciò che le stava accadendo. Dopo anni di silenzio, dopo aver versato tutte le lacrime che aveva in corpo, e dopo aver sepolto un marito, straziato dal dolore e dalla malattia. Non era possibile. Il destino non poteva accanirsi in quel modo contro di lei. Quante probabilità c’erano di ritrovare l’assassino della propria, unica figlia, nel bel mezzo della campagna, ventidue anni più tardi?

-Ascoltami Galdino…- riuscì finalmente a dire-Non ti denuncerò. Se mi chiederanno di te, dirò che non ti ho mai visto. Ma lasciami andare, ti scongiuro- Galdino l’osservò meglio. La somiglianza con Michela, in quel volto sconvolto e sofferente, gli apparve in tutta la sua nitidezza -Non sono stato io, Miriam- La donna lo guardò stranita, le unghie a scavarsi solchi nei palmi sudati -Non importa ora, è passato tanto tempo. Lasciami andare, ti prego-Galdino parve non averla nemmeno udita, lo sguardo sempre fisso al suolo-Non sono mai stato bravo con i ragionamenti. Ma, restando chiuso la dentro, ho capito. Anche se non volevo capire, mi sembrava una stupidata- Ancor più confusa, Miriam decise di lasciarlo parlare. Forse, in quel modo, sarebbe riuscita a venirne fuori.

-Ed è per questo che sto andando la. Per sapere, per chiedere il motivo, perché…perché…perché…-Prendendosi la testa tra le mani, si mise sulle ginocchia, quindi iniziò a dondolarsi lentamente-Perché…perché…-Rimase in quella posizione per qualche minuto. Quando si rialzò, le guance erano rigate di lacrime-Avevo due persone con me sai? Però ho preferito lasciarle andare, una stava poco bene. Ma ora ho trovato te, Miriam. Mi sono perso, e tu mi aiuterai a ritrovare la strada di casa. Vero che lo farai?-Il cuore della donna perse un paio di battiti. Si rese conto, suo malgrado, che non avrebbe avuto via di scampo. Doveva assecondarlo. Annuendo impercettibilmente, cercò di tenere il tono di voce il più suadente possibile-La tua abitazione non è molto lontana. Seguendo questo sentiero, ci si arriva in poco tempo. Però mi devi promettere che, una volta a casa, mi lascerai andare. Va bene?-

Le due proprietà erano confinanti e isolate, ma questo Galdino sembrava non ricordarlo. La speranza di Miriam, una volta giunti, era quella di saltare in auto e fuggire il più lontano possibile. Vivendo sola, nessuno avrebbe potuto aiutarla. Tanto meno Giuseppe, il padre di Galdino, invalido e assistito saltuariamente da un’infermiera. Schermandosi il volto dal sole accecante, raccolse la borsa e lo guardò. Per quale dannato motivo, quel giorno, aveva deciso di andare a far provviste al piccolo spaccio piuttosto che al supermercato?-Possiamo andare se vuoi, ma non mi hai ancora risposto-

Asciugandosi la fronte madida di sudore, Galdino fece qualche passo-Non so, Miriam. Fa caldo e voglio andare a casa, muoviamoci-La donna, inizialmente, non si mosse. Ma le bastò uno sguardo al suo volto per farle cambiare idea. L’espressione contrita e sofferente, simile a quella di un bambino che si è appena sbucciato le ginocchia, aveva lasciato il posto a quella risoluta di un uomo deciso a tutto. Dandogli le spalle, si avviò lungo il sentiero. Nonostante il caldo, il gelo l’investì da capo a piedi. Cosa sarebbe accaduto una volta arrivati?

 
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