La solita fermata della metropolitana

Post n°182 pubblicato il 22 Settembre 2011 da And_But_Not_The_End

Cammino.

Per quelle strade che mi hanno visto crescere, cambiare e in fondo anche rimanere sempre lo stesso. Ancora oggi muovo i miei passi sulle piastrelle della metropolitana: quando ero piccolo dovevo calpestarle una, due, anche tre volte per coprirle tutte, mentre ora basta un singolo movimento del mio piede numero 44.

Stessa fermata, Brenta, stessa strada, stessa via, stesse persone, stessa casa: la vita vuole l'abitudine, noi vogliamo la vita, noi vogliamo l'abitudine.

Per la verità, non ho mai creduto alla proprietà transitiva, men che meno se applicata all'essere umano.

E ho sempre pensato che la matematica fosse un'opinione, un gioco di luci, un'intensa trama di sguardi o più semplicemente un modo soggettivo e diverso di osservare la realtà. Sono le leggi a dare senso ai numeri o sono i numeri a definire il senso delle leggi?

Un po' come l'uovo e la gallina o come l'amore e i sentimenti: io non so chi tu sia, ma so chi voglio che tu sia, chi devi essere per me, per regalarmi quel brivido cui tanto aspiro e cui so che - anche se non lo dai a vedere - in fondo tu stessa muori dalla voglia di arrivare.

Perché l'abitudine non è umana, non c'è desiderio, non c'è voglia di volare, di sognare, di desiderare ardentemente qualcosa che ancora non c'è ma che - cascasse il mondo - prima o poi sarà tra le tue braccia. Un giorno, l'uomo volerà vi dico, perché è nato per ambire al cielo, per non accettare i falsi ma esigere solo videocassette originali Walt Disney Home Video. 

Un brivido, un singolo brivido basta a dare il senso a ogni passo che ora stai percorrendo per uscire dalla metropolitana, gradino dopo gradino. Una persona mi urta con la sua borsa, un'altra mi passa di fianco con quintali di profumo, un'altra ancora mi sorride perché mi scanso leggermente favorendone l'incedere. Chi sono loro non mi è dato sapere, perché alcun senso voglio che abbiano per me: non sono i numeri su cui io ricaverò le mie leggi, non sono le galline da cui mi aspetto uova d'oro.

Un destino che non c'è, un domani tutto da scoprire, un universo di pianeti, stelle, alieni e galassie, buchi neri o spaziotemporali in grado di catapultarti ora qui, ora lì, elettrizzato dalla punta dei capelli fino ai lacci delle scarpe.

Sempre troppo lunghi e sempre lì a raccattare polvere e sporcizia strofinandosi per terra. Ecco, ecco il tuo tutto che si nasconde nella nebbia facendo capolino di tanto in tanto per regalarti qualche momentanea infinita soddisfazione. Quelle che ti strappano sospiri dalla gola, urla, gemiti, vagiti o anche solo quelle due singole lettere che da sole significano più di un intero vocabolario sfogliato dalla A alla Z. Sì... ecco, sì...

Già.

Cammino, mentre la sera lascia il posto alle prime luci della notte, dolce, cara e senza vento.

Ho avuto tutto dalla vita, ho cominciato e portato a termine mille avventure, ho avuto tanti sensi, tanti c'era una volta, tanti lieti e tanti brutti finali, alcuni a sorpresa altri meno.

Sono stato bravo, mi sono meritato tutto ciò che ho avuto e di cui ho goduto. Sono stato bravo davvero.

Bravo Andre.

Ho avuto tanto, tutto dalla vita, ma proprio per questo, non ho ancora imparato quanto - alle volte - possa anche essere bello accettare di rinunciare a qualcosa in nome di un'abitudine. Certo non bella quanto un brivido, ma tremendamente capace di strappare un sorriso che duri anche più di un singolo passo fuori dalla solita fermata della metropolitana.

 
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Un'opera d'arte

Post n°181 pubblicato il 27 Giugno 2011 da And_But_Not_The_End

E improvvisamente la tua tela si tinge di bianco. Un colore che porta con sé preoccupazioni, misteri, paure e tensioni: perché basta davvero poco per cambiare tutto. Quell'equilibrio, quel nulla, quella pace che trasmette il più puro e semplice candore può venir perturbata da un singolo puntino di nero.

Figurarsi poi se arriva una pennellata, e dopo la prima un'altra ancora, veloce, rapida, a più tinte, a più mani. E di quel bianco che c'era non rimane che un pallido - per l'appunto - ricordo. Il ricordo indelebile di un'emozione benefica, di un momento che nel suo essere istantaneo racchiudeva i germi della perfezione.

Di quell'estasi in cui non c'è domanda, in cui non c'è ragione, non c'è spiegazione, non c'è motivo. In cui non c'è bianco o nero ma soltanto un'esplosione indefinita di colori, senza che nessuno si palesi ai tuoi occhi, senza che nessuno di loro smetta di essere un fantasma e giunga in scena a presentarsi al tuo cospetto.

Gocciola di rosso sangue il mio dipinto, di quel bianco ormai non c'è che un ricordo tanto indelebile da gridare dietro ogni striscia intensa che dalla cima scivola giù fino al pavimento, lasciandone una rotonda sagoma.

Una lacrima, che scorre e riga il pallido viso di chi ha amato, di chi ancora ricorda e di chi non riesce proprio a dimenticare, a dire a se stesso che la perfezione tornerà, che sarà sempre più vicina e che - forse - non sarà in un semplice quadro bianco ma in una vera e propria opera d'arte. In un misto di luci e ombre, di tinte calde e accoglienti come un profondo abbraccio e di tinte fredde, cupe e rigide, quelle dietro cui però si celano i più violenti e perversi angoli dell'animo umano.

E tu, mia adorata, di che colore sei? Sei forse un nero intenso che tutto assorbe e tutto travolge? Un colore che maschera ogni difetto, che nasconde ogni paura perché soltanto da vicino puoi accorgerti che quel nero non è perfetto.

Oppure sei blu, come il cielo, come il mare, come le lacrime che seguono il sangue e scivolano lungo le pagine bianche della mia opera. O il giallo del sole che sorge, l'arancione e il rosso del crepuscolo e il rosa fresco e aulentissimo dell'aurora del mattino.

Proprio quella che ci piace tanto guardare, mano nella mano, occhi negli occhi e chissà cos'altro ancora. Quel tempo senza tempo in cui nessuno esiste, in cui nessuno vive, in cui padroni sono soltanto quegli occhi che ancora riescono a stare aperti.

Quegli occhi che desiderano ancora fare qualcosa, che non hanno ancora finito, che non si sono ancora saziati della bellezza delle tue forme, del gioco di luce dietro ai tuoi sguardi, delle pennellate di bello e di brutto che svelano il tuo mistero, quello che tu - dietro i tuoi timidi rossori - hai sempre tenuto segreto.

Ma non con me, perché con me non ce n'è più bisogno. Parlami, mia dolce creatura, mia opera d'arte nata da questo incanto di colori, da questo anelito di desiderio che riposa in un singolo, istantaneo e fuggitivo respiro.

Un'altra giornata nasce dietro questa aurora che insieme stiamo guardando: la vedi? È questa la vita, null'altro che questa.

Abbracciami, chiudi gli occhi e fai un singolo, istantaneo e fuggitivo respiro. E poi riaprili, guardami e dimmi che mi ami.

E non dire più nulla, solo baciami, una volta, due, tre, mille e poi ancora cento e poi ancora mille - misero Catullo -. Baciami, tutte le volte che lo riterrai opportuno.

Perché è solo questa la firma perfetta per un'opera d'arte di odio e amore, di sogno e delusione, di desiderio e frustrazione.

La tua, perché sei tu, la mia illusione, quell'illusione che non so fare a meno di dipingere, pennellata dopo pennellata, bacio dopo bacio, tra sangue, lacrime e un amore che non riesce proprio a guardare il nuovo sorgere del sole.

 
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Una melodia di pianoforte

Post n°180 pubblicato il 30 Maggio 2011 da And_But_Not_The_End

E cammini.

O pedali, o corri, insomma, quello che più ti piace fare.

Ciò che conta è che vai sempre avanti, guardando la strada che scorre e che sembra non avere mai una fine.

Guardi avanti, perché così hai sempre fatto, scandendo i ritmi dei tuoi passi come se fossero dolci note di pianoforte. Di canzoni che in una singola armonia sembrano raccontare così tanto, sembrano riportare alla mente tutto, dal primo sorriso al primo bacio, dal primo sguardo alla prima volta in cui hai pensato che in fondo sì, è Lei, proprio Lei.

E lo hai pensato, le hai sorriso innumerevoli volte sapendo che era Lei. E hai pianto, l'hai guardata mentre piangeva, l'hai guardata mentre dormiva, l'hai guardata mentre con gli occhietti stretti stretti in un momento di paura sembrava così piccola mentre cercava accoglienza lì, tra le tue braccia, tra le tue sicure braccia.

Tutto e niente in così poco tempo, secondi, minuti, ore, giorni e mesi, in un'alternanza di ritmi, di toni, di emozioni: dal suo primo sì al suo primo no, dalla prima volta in cui ti ha voltato le spalle a tutte quelle in cui poi è tornata dicendoti che eri Tu. E lo eri, lei lo sapeva, lei lo ha pensato, in tutte le innumerevoli volte in cui sorrideva sapendo che io ero Lui.

Dal primo ardente fuoco di passione, dal primo battito accelerato del cuore, dalla prima volta in cui Lei ti ha detto ti amo, lo ha detto lo sai? Proprio nel momento più bello, quello in cui entrambi i nostri occhi si aprirono di scatto, in cui i sospiri soffocati si perdevano nell'aria e in cui tu non capivi un cazzo. Perché non capivi veramente un cazzo, non pensavi a nulla, non cercavi nulla, non volevi nulla: avevi già tutto, in quell'istante eterno in cui non c'è perché, in cui una singola nota riesce a regalare un'emozione. Un'emozione che non ti abbandonerà mai..

Cammini incontro a un tramonto che si fa più vicino all'orizzonte, quell'orizzonte che rende ostaggi gli occhi degli amanti, di coloro che immersi in momenti di pura malinconia ricercano ciò che non hanno e guardano lontano. Al cielo, alla terra, al ciglio della strada e a quel puntino laggiù in fondo, quell'ombra che non è nulla ma che un giorno potrebbe diventare - chissà - un tutto e un niente pronto a esplodere in poco tempo, in così poco tempo.

Avere il coraggio di mollare tutto, di rischiare, di buttarsi da un ponte con un elastico sapendo che rimbalzerai mille volte e mille volte ancora. Volerai in alto, amore mio, volerai verso stelle che nessuno ha mai il coraggio di toccare, verso angeli che nessuno ha mai guardato negli occhi, verso pianeti inesplorati che parleranno di te, che ti vedranno arrivare all'impazzata con quel sorriso che mi ha fatto innamorare. Sin dalla prima volta che lo guardai, dopo averlo sognato e desiderato come fosse l'ultima cosa da sognare e desiderare in un'intera vita.

Lo sai, mi manchi, mi manchi mia piccola ombra che custodivi nel tuo mistero il segreto della mia intera esistenza, della ragione - o della non ragione - connessa ad ogni mia singola azione.

Ti voglio.

Ti voglio.

Ti voglio ancora.

Perché non so smettere di volerti, di pregarti di essere ancora una volta il motivo del mio risveglio ogni mattina, di ogni mio sogno notturno, di ogni mio desiderio, di ogni mia speranza, di ogni mia vana illusione, di ogni mia sofferenza. Già, perché io non ho paura di soffrire, ho solo paura di non poterlo fare.

Io ci credo, e tu?

E tu Andre, ci credi ancora? Torna da me piccolo Andre, che credevi nella libertà, che credevi nel fatto che ogni giorno potesse raccontare una storia, che credevi nei c'era una volta e nei lieto fine, pur sapendo che in realtà non sarebbe mai andata così. Ma bastava una sola nota, una singola emozione per farti credere che in realtà ne era valsa la pena - e cazzo se ne è sempre valsa la pena.

Cammini.

E i pensieri scorrono come le tacche bianche di una strada in cui è possibile sorpassare. La gente accosta, abbassa il finestrino e ti guarda: tu che a piedi nudi sull'asfalto procedi un passo alla volta, senza fretta, sapendo che di chilometri ne hai fatti e che tanti ancora ne dovrai fare per arrivare dove vuoi. Perché la tua meta è ovunque e in nessun luogo, è in un istante proiettato nell'eterno, è in un sorriso, in un abbraccio, in un bacio sulla guancia che ti fa arrossire o in una semplice carezza di qualcuno che - in questo o quel momento - è Qualcuno.

Perché di chilometri ne hai fatti, senza dimenticarti di ogni singolo passo, di ogni sguardo, ogni volto, ogni occasione... di ogni singola nota di questa melodia di pianoforte, in grado di incantare ogni animo, in grado di ridare vita a tutto e niente, in grado di rigare di lacrime le guance di chi aspetta una nuova carezza.

Ogni singola nota, di una melodia triste... ma bellissima.

Di fronte a cui ogni altra parola è davvero di troppo.

 
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Il silenzio della bellezza

Post n°179 pubblicato il 19 Febbraio 2011 da And_But_Not_The_End

La bellezza è negli occhi di chi guarda.

Da lontano, in silenzio, senza dare alcun cenno della propria esistenza.

Sei lì, così vicino e così lontano, così pronto a tenderle la mano in cenno di saluto ogni volta che Lei, sì, proprio Lei, si accorge che la stai guardando. Ed è vero, tu la guardi.

Ogni giorno, ogni volta, ogni momento.

E pensi che è bella, bella davvero.

Perché senza ragione.

Non sai chi sia, cosa faccia, dove vada. Non sai se domani sarà ancora qui, se sarà qui per farsi guardare da te, se sarà qui per regalare ai tuoi occhi un altro spettacolo.

Ma la guardi, sempre.

E ti perdi nei suoi sorrisi, immaginando che siano per te, sognando mondi lontani, universi in cui tu potrai essere il suo eroe.

In cui il Titanic non affonderà e tu dicendole di fidarsi di te la salverai e salverai te stesso. In tutti i modi in cui una persona può essere salvata.

E tornerai a guardarla ogni mattina, quando si sveglia e ti dice che è brutta e che non devi guardarla.

Nulla di più brutto c'è, che di levare lo sguardo dalle meraviglie di un'emozione.

Ti ricordi? Da bambini ascoltavamo favole, guardavamo cartoni animati, fingevamo di essere questo o quel personaggio e io ti dicevo sempre che tu eri più simile a Maga Magò che a una principessa.

Lo dicevo solo per farti arrabbiare, ma la magia la creavi davvero.

Con quegli occhi celesti, color del mare, in cui ancora adesso mi perdo senza che tu te ne accorga.

Perché io ti guardo, ti guardo sempre e in quegli occhi rivivo i miei sogni. Quelli con cui sono nato e cresciuto, quelli che raccontavo alle stelle in notti di luna piena, quelli che mi hanno fatto volare alto, cadere in basso, pensare che era davvero finita e poi accorgermi che in fondo finita davvero non lo è mai.

Io ti voglio, mio sogno di questa notte, di questa e di tante notti addietro e di tante altre ancora avanti.

Ti voglio tutta per me, per guardare ancora il tuo corpo, guardare le tue mani che gesticolano, le tue labbra che si inarcano in un sorriso di cui magari non saprò mai il perché, di cui ignorerò per sempre la matrice, ma di cui amerò - davvero tanto - ogni singola sfumatura. Guardare i tuoi capelli color dell'oro mescolarsi alle tinte calde del sole, farmi volare in alto come un Icaro che del terreno non sa più accontentarsi e vuole di più. Ancora e ancora di più.

Quei capelli che rivedi ovunque, ti avvicini, sei tu. No, non lo sei, ti volti ed eccoli, ancora lì, sto arrivando, corro, mi avvicino di nuovo e no. Nemmeno qui sei tu.

Eppure ci sei, ovunque, in ogni luogo, in ogni momento, in un'ubiquità divina che solo quelle quattro ciocche di capelli dorati possono avere.

Non ti dirò mai ciao, non rivolgerò a te parole, richieste, sguardi imploranti né pensieri tormentosi: mi limiterò a guardarti, sognando il nostro futuro, sognando tutte le volte in cui quei sorrisi saranno miei, perché avrò fatto il cretino e - credimi - lo so fare davvero bene.

E sognerò quelle notti insieme, baciati dalla luna e dalle stelle, quelle notti in cui ogni respiro sfuma in un concerto di sensazioni che - grazie - parlano e non parlano da sole. Quella prima volta, cui segue una seconda, una terza, una quarta e ancora, ancora e ancora. Grazie, grazie davvero.

Ma anche quando mi cucinerai i peperoni, senza sapere che li detesto, mi farai il solletico, senza sapere che non lo soffro. E mi sorprenderai - vero? - perché amerai il mio sguardo - sempre un po' assonnato - che ti dirà che sei bella.

E ancora i film sotto le coperte, quelli in cui tu mi consolerai perché in certe occasioni io ancora piango come un bambino, quelli in cui invece ci prenderemo in giro - come facevamo sempre - dicendoci ecco guarda, tu sei quello lì. E tu invece quella lì.

Noi siamo quelli lì.

Ma anche questi qui, talmente belli, talmente meravigliosi, talmente lontani e vicini da far sembrare ogni singolo sorriso una storia da raccontare, una favola nuova da iniziare con un c'era una volta.

Parole, portate via dal vento, desideri, raccontati ad anime che vagano in cerca di una via, occhi stanchi e affaticati di guardare da lontano colei che è bella, in tutti i modi in cui una persona può essere bella per qualcuno.

Bella al punto da regalare sogni, da dare vita a un tutto e un niente, che non ha ragioni per esistere, ma esiste eccome.

E - cazzo - è dannatamente bello.

Svegliarsi la mattina con un sogno dedicato a te, che nemmeno esisti, che racconta dei tuoi occhi, dei tuoi sorrisi e di tutte le volte e di tutti i modi in cui io riuscirò ad essere tuo. Il tuo eroe, il tuo protagonista, il tuo bello da guardare da lontano, il tuo nuovo e ritrovato c'era una volta.

Riapro gli occhi questa mattina, io non so chi tu sia, non so chi tu possa o voglia essere, non so se mai ti troverò, ti incontrerò o potrò anche solo guardarti, da lontano, in silenzio, senza darti alcun cenno della mia esistenza.

Io non lo so.

Se tu lo sai, se tu mi guardi, se tu mi sogni riaprendo gli occhi ogni mattina, tendi la mano in cenno di saluto. Perché il sorriso che vedi, il mio sorriso, in questo momento parla di te.

 
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Anche stasera piove sulla mia finestra

Post n°178 pubblicato il 25 Settembre 2010 da And_But_Not_The_End

Pioggia.

Lacrime che rigano le finestre, quelle finestre, quelle da cui tu hai guardato tante cose, tante persone, tante vicende succedersi a ritmo incessante nella tua mente dopo che tu, sì, proprio tu, le avevi vissute.

Quante volte.

Aggrappato alla tenda ascoltavi il rumore della pioggia, scorgendo in lontananza i fari di un'auto all'inizio della via. E li aspettavi, sempre più vicini, pronti ad inondare la tua stanza di luce per un attimo, quell'attimo in cui chiudendo gli occhi tutto riaffiora e poi il buio.

Il nulla.

Quel solito nulla che rende rumoroso ogni minimo respiro, che rende insopportabile ogni lampo, che rende vano ogni tuo gesto, ogni tuo sogno, ogni mano protesa sulla tua finestra - sempre quella - aspettando che una nuova macchina illumini ancora la tua stanza in questa notte densa di nubi e avara di luna e stelle.

Ma ogni macchina arriva, rombando, anche con la pioggia - perchè in questa via evidentemente non si riesce proprio ad andare piano -, un colpo d'acceleratore e poi via, verso nuove finestre, verso nuove anime perdute che non aspettano altro che di sentirti accostare al marciapiede per tirare un sospiro di sollievo.

Ah, che bella la luce, mia meravigliosa luce.

Eppure, sembrava tutto diverso, questa volta sì, tutto diverso. Eri convinto anche tu vero? Io lo so, vetro della mia finestra, specchio di tanti racconti che ancestrali come pergamene verranno - forse - un giorno srotolati da chissà chi altro ancora. E verranno sognati, immaginati, saranno testimonianze indelebili di chi alle parole fa seguire dapprima semplici cenni delle mani a indicare una nuova via da in-seguire e poi ampie falcate, passi rapidi e spediti, perchè non ce la fai proprio ad aspettare.

Devi andare avanti.

E non ti devi fermare a pensare a cosa potrà mai essere, no, non tu. Non l'hai fatto mai, sin dalla prima volta che in questa casa hai guardato fuori da quella stessa finestra e hai pensato che sì, ne era valsa davvero la pena.

Non fraintendiamoci, la vista dalla mia finestra è abominevole, ma che importa. I tuoi occhi vedono oltre, i tuoi occhi sono diversi, sono - forse - fatti male: non c'è grigio ma colore, niente realtà ma fantasia, niente tempo che non passa mai, ma secondi che scorrono incessanti, che si trasformano in piccole lucciole da rincorrere, da tentare di afferrare, come quando eri piccolo e saltellavi inseguendole a destra e a manca in un'infinita distesa verde speranza, fino a tarda notte.

Quando non ce la facevi più e crollavi - a volte direttamente nell'erba - con il sorriso di chi per un altro giorno aveva trovato la propria strada.

Questo eri tu. Lo eri davvero.

Una stanza e una finestra, quante cose possono vedersi da qui.

E tu, tu che forse non sentirai mai i miei respiri affannosi, tu che forse sì, sei già passata oltre, perchè la tua macchina o la tua moto - per quanto da rottamare possa quest'ultima essere -, il tuo autobus o il tuo treno - in ritardo o in orario, chi può dirlo - in questa via non riescono proprio a calcare il freno, lasciare accesi i fari e da laggiù guardarmi, sorridermi e gridarmi che sì, questa luce che ora illumina la mia stanza sei tu.

Tu non te ne andrai.

No, non questa volta.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura.

La finestra, segnata dalla pioggia, si chiude, ancora una volta, per un'altra notte che riposa in attesa di un altro domani. Un altro domani fatto di sogni da raccontarti, di parole in cerca di un perchè, di luci fugaci che scompaiono in un attimo e di ulteriori snervanti attese.

Ti butti sul letto. Anche il soffitto reca la scritta "C'era una volta", materializza immagini, volti, parole, le tue parole. E tu ammirandolo capisci che no, anche questa notte - come tante altre - in realtà non se ne andrà tanto presto.

Non c'è luce in questa notte, non la tua, che hai già lasciato affrettando rapidamente il passo questa via, la mia via.

E dalla selva oscura che tu hai creato, di parole, illusioni e sogni, non v'è possibile ascesa verso il Paradiso e il suo celestiale cielo: vi è solo un Inferno, un Inferno di solitudine, delusioni e notti, come questa, in cui il buio e le ombre non dormono mai.

 
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