Creato da princepscivitatis il 23/02/2007

Storia & Archeologia

La Storia e l'Archeologia : una passione da sempre! Il luogo di ritrovo per tutti gli amanti di queste discipline meravigliose. Un tuffo nel passato per sognare e vivere esperienze magiche, visitare i luoghi del passato e conoscere i grandi uomini che con le loro imprese hanno segnato la storia dell'Umanità.

 

 

Le migliori pubblicazioni presenti in edicola

Post n°13 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da princepscivitatis
 

Quali sono, mi è stato chiesto, le migliori riviste di settore (storia e archeologia) presenti oggi in Italia?

Vi faccio un veloce elenco delle più importanti e diffuse:

ARCHEOLOGIA VIVA

STORICA

ARCHEO

MEDIOEVO

Per tanti anni ho seguito sia Archeologia Viva che Medioevo (sin dal primo numero); oggi seguo Storica, del National Geographic, ma posso dirvi che sono tutte delle meravigliose riviste.. se avessi la possibilità le acquisterei tutte.. ma il mio portafogli non ne sarebbe contento!

 
 
 

Breve, anzi, brevissima introduzione allo studio storico del Diritto Romano

Post n°12 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da princepscivitatis
 

La storia del diritto dei paesi di tradizione latino-germanica ha, come punto di partenza, il sistema giuridico romano. I principali lemmi giurispubblicistici e giurisprivatistici odierni (potestà, legge, giustizia, giurisprudenza, beni, persona, obbligazioni, contratti, etc.) derivano dal diritto romano, che accanto al diritto naturale e fino alla nascite del Code Civil napoleonico (1804), ha costituito il fondamentale referente di ogni ricerca giuridica.

Per la tradizione giuridica "colta", il diritto romano, soprattutto quello che ha dato origine al sistema del Corpus Iuris Civilis giustinianeo (vedi più avanti), è la fonte per eccellenza, ove l'anteriorità e l'autorevolezza hanno addirittura prevalso sul potere costituito (Thomas).

Il fondamento della normatività del diritto romano sta proprio nella sacertà delle origini dello stesso, nella primordialità che ne legittimava l'intangibilità e la immutabilità. Merito della Scuola Storica del diritto (Von Savigny, 1814) fu quello di aver affermato l'imprescindibile necessità di governare tenendo conto della storia delle istituzioni della società civile, facendo, cioè, della tradizione giuridica romana il riferimento primordiale e legittimante di ogni forma di governo.

Lo studio della tradizione romanistica, reinterpretata e adattata alle esigenze del presente, ha offerto soprattutto nei paesi latino-germanici il modello per la formazione del diritto vigente.

Il Còrpus Iùris Civìlis

Con questa espressione, coniata dal giurista Dionisio Gotofredo alla fine del XVI secolo, si indica l'intera opera realizzata su impulso dell'Imperatore Giustiniano (527-565 d.C.) al fine di raccogliere, in un complesso organico, gli iùra (ovvero i frammenti di opere di giuristi classici; agli scritti dei più famosi giuristi classici, infatti, l'imperatore riconosceva valore di norma giuridica) e le leges (ovvero l'insieme delle costituzioni imperiali, provvedimenti dell'Imperatore, il cui insieme definì, poi, il cd. ius novum) vigenti, operando un armonico raccordo tra tutte le fonti di produzione del diritto romano e tra tutto il relativo materiale legislativo.

Il Còrpus Iùris Civìlis ricomprendeva il Codex Iustinianus, i Digesta Seu Pandèctae, le Intitutiònes e il Codex repetìtae paelectiònis (quest'ultima opera innovava le precedenti).

Tale enorme raccolta normativa rispondeva a delle esigenze pratiche fortemente sentite : di ovviare alla difficoltà di conoscere la plurisecolare produzione legislativa e giurisprudenziale delle epoche storiche precedenti; di sopperire alla mancata conoscenza del latino nelle province orientali e alle incertezze derivanti dalle divergenti dei manoscritti; di porre rimedio agli sconvolgimenti prodotti dalla decadenza del processo formulare (del quale si dirà poi).

L'opera fu compiuta da una commissione di esperti scelti dal curatore dell'itera codificazione, il quaestor sacri palatii Triboniano cui Giustiniano affidò l'incarico il 15 dicembre 530 con la constitutio Deo auctore.

Il Còdex Iustiniànus

Parte del Còrpus Iùris Civìlis, esso consisteva in una raccolta di leges, cioè di costituzioni imperiali comprendente il materiale dei Codici Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano, nonchè le ultime costituzioni imperiali. Della redazione fu incaricata una commissione presieduta dal giurista Giovanni, ex quaestor sacri palatii, da altri sei eminenti funzionari tra cui il già citato Triboniano, nonchè da Teofilo, professore alla facoltà di giurisprudenza di Costantinopoli e da due avvocati.

L'opera, commissionata da Giustiniano nel 528 d.C. con una costituzione "haec quae necessario", venne pubblicata il 7 aprile 529 d.C., con la costituzione "Summa rei publicae" che ne fissò l'entrata in vigore il 16 aprile successivo.

La costituzione affrontò il tema del valore da attribuirsi alle leges non comprese nel nuovo codice : di esse si vietò, infatti, la utilizzazione giudiziale. Il codice non ci è pervenuto nella sua primaria edizione, poichè trasfuso, dopo soli quattro anni, nel Codex repetitae praelectionis.

Il Digesto

Il Digesto (Digèsta Seu Pandectae) è una raccolta di brani dei giureconsulti muniti di ius publicae respondendi (diritto di dare pubblici responsi a questioni di carattere giuridico, facoltà concessa, sin dai tempi di Augusto, ai giuristi di maggior valore, i cui pareri avevano, quindi, carattere vincolante essendo considerati fonti di diritto).

Ai fini di una migliore comprensione dell'ordinamento giuridico, le fonti originarie in esso inserite furono modificate, attraverso la eliminazione di tutto ciò che fosse ormai desueto.

Fu pubblicato il 16 dicembre 533 d.C. con la costituzione Tànta, indirizzata al Senato e a tutto il popolo, nella quale si stabiliva, altresì, che la compilazione avrebbe avuto forza di legge nell'Impero Romano a partire dal giorno 30 di quello stesso mese.

L'opera si articola in cinquanta libri, a loro volta suddivisi in titoli, ognuno dei quali reaca una rubrica con la indicazione dell'argomento trattato.

Le Institutiònes

Costituivano un trattato essenzialmente di diritto, utilizzato in sostituzione delle Istituzioni di Gaio (importante giurista del II secolo d.C.). Vennero pubblicate il 21 novembre 533 d.C. e constano di quattro libri, in conformità con lo schema dell'opera gaiana, e ripartiti in titoli dedicati ai vari argomenti della materia.

Ai fini dell'elaborazione dell'opera, i compilatori attinsero, oltre che alle Institutiones di Gaio, anche alle Res Cottidianae dello stesso autore e ad opere di altri giuristi. A seguito della emanazione della constituzione Tànta, le Institutiones assunsero valore di legge.

 
 
 

Ebla, la "città ritrovata"

Post n°11 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da princepscivitatis
 

La scoperta dell'antica Ebla, nome antico del sito archeologico di Tell Mardikh (Siria del Nord), a circa 55 km a sud di Aleppo, è certamente uno dei maggiori eventi nella storia dell'archeologia del XX secolo.

Dal 1964, una missione archeologica dell'Università di Roma, ha intrapreso lo scavo sistematico del sito, riportando alla luce una serie di testimonianze monumentali, architettoniche ed artistiche, del Bronzo medio I-II (2000-1600 a.C.), diversi settori del Palazzo Reale del Bronzo antico IV A (2400-2250 a.C.), tra cui gli archivi di stato, i resti di un imponente edificio risalente almeno al 2600 a.C.. Sono stati rinvenuti anche numerosissimi oggetti di uso quotidiano e non, tra cui esemplari di statuaria e migliaia di tavolette.

L'insieme degli scavi ha fatto emergere la strattura urbanistica della città, che si presenta come un cerchio circondato da mura, dove si aprino quattro porte disposte a croce, con al centro l'acropoli. questa struttura radiale potrebbe rimandare, secondo gli studiosi, alla concezione cosmica di un universo circolare.

L'esplorazione archeologica ha mostrato che Ebla si sviluppò come centro urbano, stimolata dalla civiltà mesopotamica del periodo di Uruk nel periodo Protosiriano antico (3000 a.C.-2400 a.C.), fino a divenire un centro di grande rilievo nel Protosiriano maturo (2400 a.C.-2250 a.C.), età di massima fioritura della città. la cultura protosiriana matura di Ebla è il prodotto di un autonomo sviluppo storico compiutosi durante la prima metà del III millennio nell'ambiente semitico nordoccidentale della Siria del nord.

Ebla fu il centro di un forte potere politico che, controllando le strade per l'approviggionamento del legname dalla Siria e dei metalli dall'Anatolia, si trovò in competizione con lo stato di Akkad in Mesopotoamia. La principale base della ricchezza della città era la distribuzione dei prodotti tessili verso le regioni vicine. Oltre ai numerosissimi rendiconti economici, tra i testi degli archivi di stato sono importantissime parecchie decine di repertori lessicali e di vocabolari bilingui sumerico-eblaita che hanno permesso la comprensione dell'eblaita, lingua semitica con analogie con l'accadico e con le lingue semitiche di nord-ovest.

Distrutta intorno al 2250 a.C. da Naramsin di Akkad, Ebla conobbe una più modesta fioritura nella fase dell cultura protosiriana tarda, tra il 2250 e il 2000 a.C.. Dopo una seconda distruzione verificatasi intorno al 2000 a.C., probabilmente connessa all'emergere della civiltà amorrea, Ebla risorse come uno dei maggiori centri della cultura paleosiriana, dapprima tra il 2000 e il 1800 a.C., probabilmente come stato autonomo, poi, nella fase matura, tra il 1800 e il 1600 a.C., come centro vassallo del grande regno di Aleppo-Yamkhad.

Della grande ciuttà paleosiriana, oltre a notevoli opere plastiche del periodo arcaico, gli scavi hanno portato alla luce numerosi monumenti architettonici. alla fioritura di Ebla paloesiriana pose fine, tra il 1650 e il 1600 a.C., una delle spedizioni dei rei paleohittiti che travolsero le basi delle culture dell'età amorrea, sia in Siria che in Mesopotamia.

Dopo il 1600 a.C. Ebla cessò di essere un grande centro urbano e sulle rovine imponenti si installarono insediamenti assai limitati nell'età aramaica, durante il I millennio, e in età persiana ed ellenistica.

(fonte Enciclopedia Storica Mondadori, Vol. I, Cap. II, Il Vicino Oriente antico)

 
 
 

Il Mulino di Amleto : Saggio sul mito e sulla struttura del tempo

Post n°10 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da princepscivitatis
 

Il mulino di Amleto è uno di quei rari libri che mutano una volta per tutte il nostro sguardo su qualcosa: in questo caso sul mito e sull'intera compagine di ciò che si usa chiamare "il pensiero arcaico". Cresciuti nella convinzione che la civiltà abbia progredito "dal mythos al logos", ci troviamo qui di fronte a uno sconcertante spostamento di prospettiva: anche il mito è una "scienza esatta", dietro la quale di stende l'ombra maestosa di Ananke, la Necessità. Anche il mito "opera misure", con la precisione spietata: non già le misure di uno Spazio indefinito e omogeneo, bensì quelle di un Tempo ciclico e qualitativo, segnato da scansioni scritte nel cielo, fatali perché sono il Fato stesso.

Non tutti sanno che Amleto non nacque della fantasia di Shakespeare e che sue tracce si trovano in innumerevoli tradizioni letterarie precedenti, dalla redazione delle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (ca. 1150 - 1216), da cui attinge Shakespeare, agli Skàldskaparmàl, il saggio di poesia di Snorri Sturluson (1178 - 1241).
Amleto, poi, si chiamava anche Lucio Giunio Bruto in una versione ancora più antica della vicenda, tramandataci da Tito Livio e sotto altri nomi ancora, ma con le medesime caratteristiche, lo ritroviamo facilmente tanto in poemi persiani quanto in racconti popolari ugro-finnici: abbiamo messo le mani su un mito antichissimo.
Confrontando tradizioni diverse, virtualmente globali (avestiche, indu, polinesiane, precolombiane, africane, semitiche e “occidentali”) si scopre che Amleto era proprietario di uno dei tanti “mulini” presenti in tutte queste tradizioni, mulini sfortunati perché la loro macina venne violentemente scardinata e, solitamente, gettata in fondo al mare.
Lo scardinamento del mulino è lo scardinamento dell’ordine cosmico ed è causa di sventure, soggioga l’uomo ad una colpa atavica, genera disastri come Diluvi, caduta degli dei, rivoluzioni delle “età del mondo”. Il mulino altro non è che la volta celeste: da sempre imperniata sul suo “vero” asse, quello dei poli dell’Eclittica, dopo la rottura dei cardini gira come impazzita, con un Polo Nord in eterno mutamento fra le stelle e con le costellazioni perse in un continuo avvicendarsi all’alba dell’equinozio di primavera. In una parola, scopriamo che i miti antichi parlano del fenomeno della precessione degli equinozi.
Può sembrare impossibile che il “mondo arcaico” avesse conosciuto il fenomeno della precessione degli equinozi e l’avesse codificato con un linguaggio tecnico, il linguaggio del mito, ma dopo la lettura del “Mulino di Amleto” impariamo che una simile sorpresa è preparata per chi, per tanti motivi, nutre una profonda ignoranza del mondo e del pensiero arcaico.
Uno dei pochissimi libri capaci di cambiare definitivamente la nostra carezzevole ma falsa concezione di un mondo arcaico “primitivo” e “sprovveduto”, Il Mulino di Amleto va letto, per scoprire finalmente quanto inaspettatamente vasta sia la nostra ignoranza nei confronti di un’antichità e una preistoria che di fatto possedeva una cultura che noi (e già i nostri predecessori dell’antichità classica) abbiamo tristemente perso.
Scopriremo che siamo stati abituati a liquidare le età arcaiche (dal tardo Paleolitico in poi) con pregiudizi e luoghi comuni che, dopo la lettura del “Mulino”, ci appariranno di irrecuperabile ingenuità e falsità e impareremo forse ad apprezzare gli sforzi di chi tenta di carpire dalle poche tracce rimaste ulteriori conoscenze sui predecessori delle civiltà storiche.
L’amante dell’astronomia troverà in questo prezioso volume frequentissimi riferimenti alle stelle e ai fenomeni astronomici e non potrà non approfittarne per riscoprire l’importanza che il cielo ha avuto sulla vita quotidiana dell’uomo fin dalle sue origini.

 
 
 

Sorry!!!

Post n°9 pubblicato il 18 Luglio 2007 da princepscivitatis

Mi dispiace per questa mia lunga assenza... sono stato davvero, ma davvero impegnato!

Ho dedicato un pò più di energie all'altro mio blog, quello della mia Associazione di Tae Kwon Do ( http://blog.libero.it/NewBudospirit/ ) ...

Ho però pronti un paio di articoli molto interessanti di Storia Romana...stay tuned!!!

 
 
 

Alessandro Magno

Post n°8 pubblicato il 26 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

Sicuramente alcuni, entrando nel blog, si saranno chiesti a chi potesse appartenere quel ritratto che figura sotto il titolo.

Bene, si tratta di Alessandro Magno, e quello è una parte del famosissimo mosaico, ritrovato a Pompei nella Casa del Fauno, copia di un celebre dipinto di Filosseno di Eretria ricordato dagli antichi (sec.IV-III a.C.) che raffigura la Battaglia di Isso, dove Alessandro e il suo grandioso esercito macedone sconfissero Dario e i suoi persiani.

Alexandros aveva appena 19 anni quando salì sul trono, dopo che suo padre Filippo fu assassinato il giorno il giorno del suo matrimonio. Da adolescente, quando studiava a Pella, ebbe come Maestro il grande filosofo e scienziato Aristotele, il genio più luminoso dell'antichità, che senza dubbio influì non poco sulla personalità del futuro Re e conquistatore della Persia.

Nel 335 a. C., dopo un anno di regno impiegato a rendere salda la sua posizione di legittimo successore di Re Filippo in Grecia, Alessandro mosse contro i Traci e quindi alla volta del Danubio. Nella velocità e nelle capacità tattiche di cui diede prova in questa spedizione, dimostrò di avere la stoffa del grande stratega. Tra quanti si arresero ed entrarono a far parte del suo sistema di alleanze  nel corso della spedizione sul Danubio vi erano i Celti. Nel frattempo, nella Grecia meridionale le città non avevano pace; alla notizia della presunta morte di Alessandro, Tebe si ribellò aper­tamente. In meno di due settimane, allora, Alessandro piombò su Tebe, in cui compì un vero e proprio massacro. Furono uccisi 6000 uomini e fatti schiavi tutti i superstiti, compresi le donne e i bambini. Atene gli fece pervenire le sue congratulazioni.

Alessandro invase l'impero persiano nel 334, quantunque già l'anno prima vi fosse stata una spedizione di un esercito al comando di un vecchio generale di Filippo. Alessandro passò in Asia dal nord, rese omaggio a Troia, dove fece capire che in certo qual modo egli stava fa­cendo rivivere la poesia omerica, e ottenne una prima grandiosa vitto­esercito persiano presso il fiume Granico, non lontano dal­la costa. Mandò il grosso del bottino a sua madre, prese i prigionieri e gli schiavi da portare in Macedonia, e mandò ad Atene 300 armature persiane. Al governatore macedone cui affidò l'Asia Minore diede il tradizionale titolo persiano di satrapo; vietò il saccheggio e la­sciò i tributi e le imposte così com'erano; era chiaro che aveva inten­deva governare questa terra su basi solide e durature.

La sua ammirazione per le istituzioni persiane aveva probabilmente origine nel­lo studio comparativo delle istituzioni degli Stati condotto sotto la gui­da di Aristotele. Alessandro rifondò Troia e liberò Sardi, l'antica capi­tale della Lidia e ovunque dimostrò chiaramente la sua seria intenzione di governare­. Ad Efeso restaurò la de­mocrazia, ma impedì ogni sorta di rappresaglia contro il vecchio regime, e inaugurò così una se­rie di liberazioni e di restaurazioni di vecchie città greche. In questo periodo Alessandro cominciò ad essere venerato come un dio. Incontrò qualche difficoltà a Mileto, ma non per mol­to : la città, infatti, cadde presto nelle sue mani, nonostante il forte appoggio della flotta per­siana.

Alessandro decise allora di dividere la sua flotta e di occupare tutti i porti militari del Levante. Nei due anni che seguirono conseguì solo vittorie. Nell'ottobre del 333 a.C. si decise ad affrontare il re dei re, Dario III. I Persiani erano di poco avanza­ti per mare ma Alessandro andava più veloce di loro. Alla vigilia del­lo scontro il re macedone cadde gravemente malato e apprese che Dario si era appostato nei pressi della sua retroguardia. La situazione era dunque critica. A marce forzate il giorno seguente riportò il suo esercito di fronte ai Persiani, che furono costretti ad affrontarlo in una stretta piana costiera. Alessandro ottenne una grande vitto­ria, compiendo un vero e proprio massacro dei Persiani e costrin­gendo Dario alla fuga. Secondo le cifre che ci sono giunte, 110000 Persiani sarebbero rimasti sul campo nel corso della battaglia di Is­so. Da parte macedone vi furono 4000 feriti e, da quanto si apprende dalle fonti, solo 302 morti. Il bottino della vittoria comprese anche la tenda del re e tutti i suoi tesori; Alessandro fece prigioniera anche la regina. che trattò con gentilezza e generosità, insieme alle sue ancelle.

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Alessandro Magno - battaglia di Isso. Mosaico dalla casa del Fauno. È conservato al Museo Archeologico di Napoli.

Mosse quindi verso la Siria, la Fenicia e la città di Tiro, che si ar­rese a lui nel 332 a.C. dopo otto mesi di resistenza; 8000 dei suoi abitanti furono uccisi e 30.000 fatti schiavi. Dopo Tiro, cadde Ga­za, e dopo Gaza fu la volta dell'Egitto. Giunto nella zona del delta del Nilo, Alessandro vi fondò Alessandria e vi celebrò dei giochi secondo il costume greco, rese sacrifici agli dèi egiziani e si fece proclamare re d'Egitto. Visitò quindi l'antico oracolo di Ammone (che divenne «di Zeus-Ammone» per assimilazione con la divinità greca) sito nel deserto libico, nell'oasi di Siwa. Il pellegrinaggio a quel san­tuario era ed è ancora particolarmente difficile e pericoloso. Ales­sandro vi si recò e non rivelò mai il contenuto delle sue interroga­zioni, anche se, da quanto sappiamo, disse di essere soddisfatto dei responsi divini. I suoi soldati, successivamente, pensarono che pro­abilmente il loro capo avesse chiesto se avrebbe governato il mondo, e se tutti gli assassini di suo padre erano stati trovati e uccisi. Può anche darsi che l'oracolo abbia dato conferma al suo segreto desiderio di poter vantare un' origine divina, ovvero che il suo autent­ico padre fosse appunto Zeus-Ammone.

Alessandro si rivolse quindi verso l'interno dell'Asia con un eser­cito di 400.000 fanti e di 7000 cavalieri, attraversò l'Eufrate nel 331 e quindi il Tigri, e presso Gaugamela affrontò per la seconda volta Dario in battaglia. L'esercito persiano era dotato di elefanti, di carri sciti caratterizzati dalle loro alte ruote e di una potente cavalleria costituita da truppe di Asiatici delle steppe, di Persiani, di Babilonesi, ­di Afghani e di Indiani. La battaglia fu lunga e complessa, ma Alessandro vinse, Dario fuggì e Babilonia si arrese.

Alessandro simimpadronì anche di Susa, l'antica capitale dell'Elam, e del palazzo dei vecchi re persiani. L'impero persiano non era certamente finito così; quasi a simbolizzare questa realtà, Alessandro trovò a Susa le statue di Armodio e di Aristogitone, gli uccisori dei tiranni, che erano state portate via da Atene centocinquant'anni prima: le fece immediatamente spedire in Grecia. Nel 330 annientò il potente esercito che difendeva Persepoli.

Difficilmente possiamo esagerare la descrizione del tesoro di Persepoli, i cui pezzi furono portati via con ogni attenzione a dorso di mulo e di cammello.

Poco tempo dopo Alessandro e le sue truppe devastarono il palazzo e lo diedero quasi interamente alle fiamme.

Nei musei persiani alcuni oggetti di lusso rovinati apposta attestano ancora la rabbia e l'arroganza di quella notte. Dario però non volle ancora darsi per vinto e Alessandro lo inseguì a nord verso Ecbatana, capitale della Media, quindi verso l'attuale Teheran e infine ancora più a est. Nel corso di questo inseguimento, però, Dario fu fatto prigioniero da un suo vassallo, il satrapo della Battriana, e fu as­sassinato proprio nel momento in cui stava per cadere nelle mani di Alessandro.

I suoi ultimi difensori furono presi uno dopo l'altro dopo una serie di azioni militari estremamente difficili, che videro ca­dere un numero incalcolabile di soldati. D'altra parte, i Greci so­pravvissuti che si erano arruolati con l'unica prospettiva di andare a combattere la Persia furono rimandati in patria carichi di tesori, in attesa dell'arrivo di truppe fresche. Alessandro intanto aveva adottato alcuni costumi persiani e, come nuovo monarca, aveva cominciato a rispettare i suoi nuovi sudditi; sposò anche una principessa,_indiana, Roxane (nel 327 a.C.), e rivolse le sue mire espansionistiche verso le province più orientali del nuovo impero.

L’impressione era che ­Alessandro e il suo esercito, che andava a poco a poco assottigliandosi, dovessero consumarsi nell' esplorazione e nella conquista dell'Oriente sconosciuto.

Durante la conquista del Punjab Alessandro rimase gravemente ferito nel corso di un assalto che aveva guidato personalmente presso Multan. Le sue truppe non si erano mai rifiutate di obbedirgli, eccetto quando si trattò di avanzare attraverso territori desertici che separano il bacino dell'Indo dal Gange. Alessandro decise di tornare sui suoi passi; sulla via del ritorno perse, però, moltissimi ­uomini. Fu proprio in quella occasione che uccise un suo vecchio generale nel corso di una lite (Clito) dopo averne fatto eliminare un altro accusandolo di alto tradimento (Parmenione); il re aveva spinto il suo esercito ai limiti delle possibilità di resistenza umana e questi limiti erano veramente sorprendenti.

Nel 326 a.C. Alessandro raggiunse nuovamente l’Indo che discese fino alla foce; mentre parte dei soldati al comando del generale Nearco tornava via mare, l'esercito si divise in due tronchi al comando di Alessandro e di Cratero e con grande sofferenza e perdite umane, attraverso regioni desertiche, giunse nel marzo 324 a Susa.

Qui Alessandro, in nome dell'integrazione tra i popoli, fece celebrare le nozze di 10.000 ufficiali e soldati greci con donne persiane e sposò egli stesso una figlia di Dario.

Tornato poi a Babilonia, nel 323 a. C. morì a soli 32 anni, sfinito dalla fatica e dalle febbri.

I suoi ultimi progetti erano stati l'assimilazione delle città, l'unificazione della Grecia e della Persia e una campagna militare verso occidente, oltre la Sicilia, con una flotta di 1000 navi. La tenacia e la foga che avevano ca­ratterizzato la sua folgorante carriera si spensero con lui, ma è curioso il fatto che per tutta una generazione nessuno dei popoli che aveva sottomesso osò ribellarsi. Il fatto poi che il tempo non sia mai ri­uscito a cancellare completamente le sue imprese attesta in modo chiaro ed inequivocabile la lucidità e la saggezza politica di questo grande condottiero e, in particolare, la solidità dell' organizzazione che egli lasciò in Asia.

 
 
 

Due parole su di me ...

Post n°7 pubblicato il 25 Febbraio 2007 da princepscivitatis

Mi sembra doveroso, prima di continuare quest'avventura di questo mio primo blog, descrivermi un pò...

Dunque mi chiamo Davide, ho 31 anni e vivo a Torre del Greco, in provincia di Napoli. Sono avvocato penalista e praticante di Arti Marziali : Tae Kwon Do e Karate Kyokushinkai (della prima disciplina sono anche istruttore).

Vi domanderete cosa c'entri nella mia vita la passione per la storia e l'archeologia : beh, c'entra tanto, eccome!

In verità da grande avrei voluto fare l'archeologo...ma si sa com'è la vita... Tuttavia, parallelamente alla mia attività coltivo la mia passione, amatoriale, per carità, per queste discipline meravigliose.

Spero di farlo dedicando un pò più di tempo a partire dai prossimi mesi, quando avrò terminato gli esami per l'abilitazione della professione. 

Mi piacerebbe partecipare a qualche campo archeologico estivo, del tipo di quelli organizzati da Archeologia Viva (rivista che seguo, anzi, seguivo, da quando avevo 12 anni! e che adesso, purtroppo, ho dovuto mettere da parte per far spazio alle riviste di aggiormanento per la professione...).

Insomma, su questo blog inserirò tutto quello che riuscirò a fare attraverso le mie letture e i testi in mio possesso, cercando anche di aggiornare sulle recenti scoperte archeologiche.

La storia e l'archeologia sono due discipline da sostenere nel nostro Paese, che potrebbe vivere di rendita se solo seriamente si attivasse per una concreta valorizzazione del nostro patrimonio storico e culturale.

Spero inoltre di fare la conoscenza di tanti altri appassionati come me e magari anche di esperti che mi possano consigliare la strada giusta da seguire.

Un saluto!

Davide.

 
 
 

Che cosa è l'Archeologia?

Post n°6 pubblicato il 25 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

Sono uno stoico ... e così, nonostanze la influenza che mi affligge da venerdì scorso, mi sono messo comunque al lavoro...

Buona lettura.

L’archeologia è scoperta dei tesori del passato, lavoro meticoloso di un analista scientifico, esercizio di immaginazione creativa. Ma è anche il cosciente sforzo interpretativo attraverso cui si arriva a comprendere che cosa tutto ciò significhi nella storia dell’umanità.

L’archeologia è, al tempo stesso, attività fisica sul campo e attività intellettuale svolta nello studio o in laboratorio. Ciò sicuramente costituisce parte della sua grande attrattiva : l’archeologia è ricerca emozionante della conoscenza su noi stessi e sul nostro passato.

In questo senso l’archeologia è anche intesa come antropologia : antropologia è, in senso lato, lo studio dell’umanità, dei caratteri fisici dell’uomo in quanto animale e dei caratteri non biologici, esclusivi dell’uomo, quelli che chiamiamo cultura : “conoscenza, fede, arte, costumi, leggi, usanze e tutte le altre capacità e abitudini acquisite dall’uomo come componente della società”; così, nel 1871, Edward Taylor, sintetizzò il termine “cultura”.

Orbene, se l’archeologia si occupa del passato, sotto quali aspetti essa differisce dalla storia?

In senso lato, come l'archeologia è un aspetto dell'antropo­logia, così è anche parte della storia, con ciò inten­dendo l'intera storia dell'umanità fin dai suoi inizi oltre 3 milioni di anni fa. Infatti per oltre il 99% di questo enorme arco di tempo l'archeologia - cioè lo studio della cultura materiale del passato - è la sola fonte importante di informazioni, se si esclu­de l'antropologia fisica, che concentra l'attenzione più sul progresso biologico che su quello culturale del genere umano.

Le fonti storiche tradizionali cominciano solo con l'introduzione della scrittura intorno al 3000 a.c. in Asia occidentale, e notevolmente più tardi nella maggior parte delle altre aree del mondo (per giungere, per esempio, al 1788 d.C. nel caso del­l'Australia). Comunemente si distingue tra la prei­storia - il periodo precedente le testimonianze scritte - e la storia in senso stretto, cioè lo studio del passato basato sulle testimonianze scritte.

L’archeologia può dare un grande contributo anche alla conoscenza di quei periodi e luoghi per i quali esistono documenti, iscrizioni e altre testimonianze scritte. Piuttosto spesso è proprio l'archeologo a prendere in considerazione in primo luogo questo tipo di testimonianze.

Dato che l'obiettivo dell'archeologia è la cono­scenza dell'umanità, essa è dunque una disciplina umanistica, uno studio dell'uomo. E poiché è inte­ressata al passato dell'uomo, è una disciplina sto­rica. Ma essa differisce dallo studio della storia scritta - sebbene usi testimonianze scritte - in un punto fondamentale: il materiale che gli archeolo­gi rinvengono non ci dice direttamente che cosa pensare. I documenti storici scritti fanno afferma­zioni, presentano opinioni, comunicano giudizi (sebbene tali affermazioni e giudizi debbano esse­re essi stessi interpretati). Gli oggetti scoperti da­gli archeologi, invece, di per se stessi non dicono nulla e siamo noi, oggi, a dover dar loro un senso. Da questo punto di vista la pratica dell'archeolo­go è piuttosto simile a quella dello scienziato. Lo scienziato raccoglie dati, conduce esperimenti, formula un'ipotesi (una proposizione per spiegare i dati), verifica l'ipotesi rispetto a ulteriori dati, e infine costruisce un modello (una descrizione che riassume in modo soddisfacente la regolarità os­servata nei dati). L'archeologia, da molti punti di vista, compie un percorso assai simile. L'archeolo­go deve sviluppare un'immagine del passato, così come lo scienziato deve elaborare una visione coe­rente del mondo naturale, che non si trova già pronta.

L'archeologia, in breve, è al tempo stesso una scienza e una disciplina umanistica. Questo è uno dei motivi del fascino dell' archeologia: essa riflette l'ingegnosità dello scienziato moderno così come quella dello storico moderno. I metodi tecnici usati dalla scienza archeologica sono i più ovvi, dalla datazione con il radiocarbonio allo studio dei resi­dui di cibo nel vasellame.

Ugualmente importanti sono i metodi scientifici d'analisi e di deduzione. Alcuni autori hanno parlato della necessità di defi­nire una distinta teoria intermedia (Middle Range Theory, teoria del campo intermedio), intendendo con ciò un distinto corpus di idee, per colmare la lacuna tra i dati archeologici grezzi e le osservazio­ni e le conclusioni che si possono dedurre da quei dati. Questo è un modo di vedere la questione. Ma non è necessario fare una così netta distinzione fra teoria e metodo. Il nostro obiettivo sarà quello di descrivere chiaramente i metodi e le tecniche usate dagli archeologi per indagare il passato. I concetti analitici dell' archeologo costituiscono una parte della serie di approcci al problema, così come lo sono gli strumenti usati nel laboratorio.

L'archeologia moderna è una grande Chiesa che comprende numerose differenti «archeologie», le quali però sono unite tra loro dai metodi e dagli approcci che condividono, descritti a grandi linee in questo libro. Abbiamo già attirato l'attenzione sulla distinzione tra l'archeologia del lungo perio­do della preistoria e quella dei tempi storici. Spes­so questa distinzione cronologica è accentuata da ulteriori suddivisioni, cosicché esistono archeologi specializzati nei periodi più antichi (il Paleolitico, prima di lO 000 anni fa) o in quelli più recenti (le grandi civiltà delle Americhe o della Cina; l'egitto­logia; l'archeologia classica dell' antica Grecia e di Roma).

Uno dei maggiori sviluppi degli ultimi due o tre decenni è il fatto che ci si è resi conto che l'archeo­logia può contribuire molto alla conoscenza della preistoria e della storia antica, ma anche a quella di periodi storici più recenti. In America Setten­trionale e in Australia l'archeologia storica - cioè lo studio degli insediamenti coloniali e post-colo­niali in quei continenti - si è molto sviluppata, analogamente a quanto è accaduto in Europa per l'archeologia medievale e post-medievale, cosicché quando si tratta dell'insediamento coloniale di Ja­mestown negli Stati Uniti o del Medioevo di Lon­dra, Parigi e Amburgo, l'archeologia diventa una fonte primaria di dati.

Queste suddivisioni cronologiche sono trascese da specializzazioni che possono offrire contributi a molti diversi periodi archeologici. L'archeologia ambientale è una di queste branche, in cui archeo­logi e specialisti di altre scienze studiano l'uso di piante e animali da parte dell'uomo, nonché il mo­do in cui le società del passato si sono adattate a un habitat che cambiava continuamente. L'ar­cheologia subacquea è un'altra di queste branche, che richiede grande coraggio e abilità. Negli ultimi trent'anni essa è divenuta un'attività altamente scientifica, in grado di salvare dall' oblio alcuni pe­riodi del passato sotto forma di relitti di navi che hanno gettato nuova luce sulla vita antica, tanto sulle terre emerse come sui mari.

Anche l'etnoarcheologia, come abbiamo appena visto brevemente, è un'importante specializza zio­ne della moderna archeologia. Oggi ci rendiamo conto che siamo in grado di spiegare i reperti ar­cheologici - vale a dire ciò che troviamo - soltanto se riusciamo a spiegare nei particolari il modo in cui si sono formati. I processi di formazione dei re­perti archeologici sono ora oggetto di intensi studi. E in questo senso che l'etnoarcheologia ha avuto i dovuti riconoscimenti: lo studio dei popoli viventi e della loro cultura materiale, allo scopo di miglio­rare la spiegazione dei reperti archeologici. Per esempio, lo studio delle pratiche di macellazione adottate da cacciatori-raccoglitori viventi, intrapre­so da Lewis Binford presso gli eschimesi Nuna miut dell'Alaska, ha offerto al ricercatore molte idee nuove circa il modo in cui il reperto archeolo­gico può esser si formato, permettendogli di sotto­porre a una nuova valutazione i resti ossei di ani­mali mangiati dai primi esseri umani altrove nel mondo. E tali studi non sono limitati a semplici co­munità o a piccoli gruppi. A Tucson, in Arizona, il Garbage Project (letteralmente: «Progetto spazza­tura»), allestito da William L. Rathje, prevede la raccolta della spazzatura dai bidoni di un settore della città e l'attento esame in laboratorio di tutto ciò che vi è contenuto.

Questo lavoro piuttosto in­grato, condotto con metodologia prettamente ar­cheologica, ha fornito informazioni preziose e inat­tese sulle modalità di consumo della moderna po­polazione urbana.

Se l’obiettivo dell’archeologia è conoscere il passato del­l'uomo, resta il problema importante di che cosa si spera apprendere. Gli approcci tradizionali tendevano a individuare l'obiettivo dell'archeo­logia principalmente come la ricostruzione di un puzzle: un pezzo dopo l'altro pezzo. Ma oggi non è più sufficiente limitarsi a ricreare la cultura ma­teriale delle epoche passate o a completare l'im­magine di quelle più recenti. È stato definito un ulteriore obiettivo, cioè «la ricostruzione del mo­do di vita delle persone che produssero i resti ar­cheologici».

Noi siamo certamente interessati ad avere una chiara immagine del modo in cui gli uomini vivevano e sfruttavano il loro ambiente ma desideria­mo anche conoscere perché essi vissero in quella maniera perché adottarono quei modelli di com­portamento e in che modo la loro vita quotidiana e la loro cultura materiale giunsero ad assumere proprio quella forma. Noi siamo interessati insom­ma a spiegare i cambiamenti.

Questo interesse per i processi di mutamento culturale è giunto a defini­re il concetto di archeologia dei processi culturali (o archeologia processuale).Essa procede ponendo una serie di domande, così come uno studio scientifico procede definendo l'obiettivo della ricerca, formu­lando le domande e cercando di fornire loro una risposta.

Ci sono molte grandi questioni che sono oggi al centro dell'attenzione. Vorremmo per esempio co­noscere le circostanze in cui fecero la loro compar­sa i nostri primi progenitori. Ciò accadde davvero in Africa, e solo in Africa, come oggi sembra essere effettivamente accaduto? E i primi uomini erano veri e propri cacciatori o consumavano semplicemente prede uccise da altri animali? Quali furono le circostanze che permisero l'evoluzione della sot­tospecie Roma sapiens sapiens a cui noi appartenia­mo? In che modo si può spiegare la comparsa del­l'arte paleolitica? Perché questa si trova solo in aree così limitate? Come avvenne il passaggio dal­la caccia-raccolta all'agricoltura in Asia occidenta­le, in Mesoamerica e in altre parti del mondo? Per­ché ciò accadde nel corso di appena pochi millen­ni? Come possiamo spiegare il sorgere delle città, in maniera piuttosto indipendente, in diverse parti del mondo? La serie delle domande potrebbe con­tinuare, e oltre a queste questioni generali ne esi­stono di più specifiche.

Insomma l’archeologia vuol conoscere il perchè una determinata cultura abbia assunto proprio quella forma, in che modo siano emerse le sue pe­culiarità e in quale misura esse abbiano influenza­to gli sviluppi successivi.

 (tratto e adattato da “Archeologia. Teorie. Metodi. Pratica.” – di Colin Renfrew e Paul Bahn. Ed. Zanichelli)

 
 
 

Maledetta influenza...!

Post n°5 pubblicato il 25 Febbraio 2007 da princepscivitatis
Foto di princepscivitatis

Stavo scrivendo un articolo su cosa sia l'archeologia ... ma da venerdì sono bloccato a letto con una febbre a 38 1/2 39° ...

Spero di rimettermi presto e di ritornare al mio nuovo blog quanto prima...

Un saluto!

Davide.

 
 
 

Iniziamo dal mio nick : Princeps Civitatis

Post n°4 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

Princeps (Civitatis) (lett. "il Primo" [della Città]), fu il titolo attribuito ad Ottaviano Augusto nel 28 a. C. dal Senato, che lo proclamò, appunto, princeps (da primus capio : colui che prende il primo posto) senatus, ossia primo tra i suoi membri (tra i membri del Senato). In età repubblicana tale titolo era conferito al censor segnalatosi per il suo comportamento saggio ed onesto.

Il titolo, per altro, acquistava un significato politico molto più pregnante ed autoritativo rispetto a quello assegnatogli in epoca repubblicana, trovandosi Augusto in una posizione di dominio unica per l'ampiezza dei poteri posseduti. Ad esso si aggiunse, un anno dopo, a seguito della seduta senatoria del 13 gennaio 27 a. C., l'attributo di Princeps Universorum, ossia primo fra tutti.

Pur non essendo un titolo ufficiale, di esso si appropriarono in seguito i suoi successori, per indicare la propria poszione di supremazia. Da tale espressione derivò certamente il termine Principatus con cui si designò la nuova forma di governo instaurata, caratterizzata dalla compresenza delle vecchie istituzioni a carattere autoritario.

Da Settimio Severo (193-211 d.C.) in poi, gli imperatori assunsero, in luogo di princeps, il titolo di dominus (signore).

immaginedisplay:block;text-align:center;margin:2px auto;Cesare Ottaviano Augusto

 
 
 

Per iniziare : cos'è la Storia. A cosa serve? (parte seconda)

Post n°3 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

(seconda parte)

STUDENTESSA : Studia la Grecia che ha poche fonti, rispetto ad uno storico che studia il nazismo in un momento in cui le fonti poi sono troppe forse, c'è una pluralità di visioni o magari la storia recente di venti anni fa? Qual'è la differenza?

CANFORA : La differenza l'ha espressa bene un personaggio, che fu Segretario di Stato negli Stati Uniti d'America al tempo di Nixon negli anni Settanta, che si chiama Henry Kissinger, che era un signore - credo ancora noto -, che ha scritto un bellissimo libro, - e' un conservatore, uno che sa il fatto suo, come si suol dire -, Gli anni della Casabianca. Lui era uno storico, un professore di storia, che ha fatto il politico; come Tucidide, come Machiavelli. E dice, a un certo punto, nella Prefazione del suo libro, che lo storico della contemporaneità, trovandosi purtroppo dinanzi ad alcuni milioni di documenti, dovrebbe bruciarne la gran parte. Naturalmente è una battuta di spirito. Cosa vuol dire? Vuol dire che ardua è la fatica di colui che su poche fonti superstiti cerca di raccontare come è andata - ed è il caso della storia antica soprattutto, già per l'età medioevale è diverso -, così grave è quella fatica, altrettanto lo è quella di colui che si trova dinanzi a una massa sterminata, anche insignificante, di documenti. Perché? Perché le cose più importanti probabilmente non passano neanche da un documento scritto. Cioè noi possiamo avere gli atti di un'ambasciata, di un ministero eccetera, però poi la guerra arabo-israeliana del '73 si fermò per una telefonata che le due grandissime potenze del momento ebbero modo di farsi per arrestare il conflitto. E allora quella telefonata è un documento che purtroppo non è affidato ad una registrazione, men che meno ad una scrittura, che vale milioni di documenti utili. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che lo storico antico dovrebbe ciclicamente fare il mestiere dello studioso di storia contemporanea e viceversa. Perché le due cose, tutto sommato, sono educative, ci insegnano a ridimensionarci, a capire meglio, e se vuole, anche a non feticizzare il risultato. Come si traduce, sempre da capo, i poeti? Si scrivono sempre da capo poesie. No, non è che Petrarca e poi basta. Ogni poeta lirico vivente ha bisogno di scrivere una poesia. Si continuerà sempre a cercare di raccontare meglio il passato.

STUDENTE: Professore, come nelle precedenti puntate, abbiamo effettuato delle ricerche su Internet sull'argomento di cui si parlava. Mi sono divertito a cercare le posizioni di vari pensatori riguardo all'utilità e all'uso, della storia. Una posizione che mi è sembrata interessante è quella di un teorico dell'Ottocento che vede appunto nella continuità del pensiero umano l'utilità della storia. Inoltre, sul sito della Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, ho trovato al riguardo un aforisma di Duby, che appunto ci dice che: "La storia è sempre stata manipolata. Ma io penso che il dovere degli storici sia sempre quello di rettificare queste manipolazioni". Lei è d'accordo con questa affermazione di Duby?

CANFORA : Ma io non sono d'accordo su quasi nulla di quello che lei ha detto. Scherzo solo in parte. Riguardo alla continuità del pensiero umano, quello uno la può mettere alla prova anche studiando la matematica, la fisica, la pittura. E' la continuità e diciamo che forse, in rebus ipsis, nel fatto stesso che noi siamo qui, altri saranno qui fra due secoli. Quanto a Duby dice in modo simpaticamente assiomatico, tutto sommato, quello che il vecchio Ecateo di Abdera, che è un signore, vissuto molto prima di Duby, molto, ai tempi della rivolta ionica, VI° secolo avanti Cristo - e già rispetto agli Egizi era un bambino, gli Egizi erano molto più vecchi di lui - dice: "Io non voglio raccontare la storia che mi hanno tramandato, ma come è parsa a me", ed è l'atto della soggettività, del fatto che il singolo si propone come filtro rispetto ad un autorità consolidata, la storia dei re. Se c'è una morale di tutto questo nostro discorso è che non possiamo mai accettare quello che ci viene fornito dall'alto autoritativamente. Dobbiamo guadagnarci sempre criticamente o opponendo la nostra critica a quello che ci viene fornito, le nostre verità. Quindi una lotta perenne. Il sapere è un conflitto.

STUDENTE: Professore, ma allora quand'è che finisce il nozionismo e comincia la storia?

CANFORA : Non c'è nessuna distinzione. Anzi, la parola nozionismo è una parola stolta, inventata dai pedagogisti, che sono delle simpatiche comunità di persone, che non producono, secondo me, utili suggestioni, perché "nozionismo" è un termine che vuole gettare il discredito sull'informazione concreta. Senza informazione concreta c'è la pura chiacchiera. Naturalmente "nozionismo" vuol dire che uno deve memorizzare centinaia di date? Non è vero, non è vero, perché intanto un dato è interessante in quanto io capisco come me lo sono guadagnato. A quel punto divento un essere vivente. Non è più una parola stampata in nero in una pagina che io detesto.

STUDENTE: Finora abbiamo parlato a lungo dei limiti della storia, limiti che per la storia antica son soprattutto di unilateralità delle fonti e per quella più recente di mistificazioni. E tra gli altri limiti c'è quello di una incompletezza della storia. La storiografia tradizionale ci ha offerto soprattutto una storia di battaglie. La mia domanda è in quali direzioni ci si può muovere per fare della storia più completa, senza arrivare con questo a quello che è un altro mito, forse a una semplificazione della storia a misura d'uomo, come volevano gli antichi, la storia specchio dell'umano. Però, in questo senso, perché la storia possa aiutare in modo maggiore a capire come è fatto l'uomo, anche viceversa capire l'uomo per capire la storia. E questa è un'altra questione.

CANFORA: Mah, la storia a misura d'uomo. Tanto forse bisognerebbe sgomberare il terreno da un equivoco. Lei ha certamente in mente - ma forse mi sbaglio, comunque azzardo che Lei abbia in mente, un racconto di Borges, di questo straordinario narratore argentino, I cartografi dell'Impero, i quali - nel romanzo di Borges - cercarono di fare una carta geografica perfetta di un immaginario Impero, che per essere perfetta era grande quanto l'Impero e quindi non serviva a niente, perché si estendeva quanto si estendeva l'area geografica che voleva descrivere. E' una metafora che vuol dire che la totalità delle conoscenze per l'assoluta oggettività è un'illusione, cioè finisce con l'essere la realtà stessa. Quindi togliamoci dalla testa questo risultato, che comunque è reso impossibile dai limiti pratici. La ragione per cui la storia è malvista dai potenti, è nel fatto che essa aiuta la gente a capire un po' di più. C'è un aneddoto raccontato dalle Cronache Cinesi, secondo cui l'imperatore, che costruì La Grande Muraglia, e quindi siamo nel III° secolo avanti Cristo, vietò la circolazione dei libri di storia e di poesia, su consiglio di un suo consigliere sciagurato, il quale portò questa motivazione: "Se i sudditi sanno che cosa succedeva sotto l'imperatore precedente, e poi sotto l'altro imperatore ancora precedente, possono fare un confronto". Quindi bando ai libri di storia. L'imperatore vigente è l'unico parametro possibile. Va bene? Questo è un aneddoto, più o meno veridico, che rende bene poi il concetto per cui, come dicevo prima, la storia non è amata dai potenti. Però, come tutte le cose ineliminabili, può anche essere corteggiata, per cui i potenti possono interferire nella sua costruzione. Quindi diciamo che è un mestiere difficile, criticabilissimo, ma indispensabile.

STUDENTESSA: Buongiorno. Prima parlava di interpretazione dei telegiornali, importanza dei mass-media. Allora io volevo sapere, se c'è un legame tra la storia contemporanea e i mezzi di comunicazione.

CANFORA: C'è un legame fortissimo. Basta pensare che gli Archivi della RAI sono tra le fonti più importanti per lo storico, purtroppo sono tenuti male.

STUDENTESSA: Quindi probabilmente fra cinquant'anni, per esempio, i ragazzi come noi studieranno maggiormente le cose che appaiono sui telegiornali o sui giornali o sugli altri mezzi di informazione.

CANFORA: Alla stessa maniera che noi studiando il secolo passato, e intendo il XIX°, anche se questo è già finito praticamente, devono scorrere collezioni e collezioni di giornali che sono i mass-media dell'epoca, ben sapendo quanto valgano, ma purtroppo non potendone fare a meno. No, non scherzo, quando dico che gli archivi della RAI saranno una delle fonti più importanti e speriamo che non siano poi così caduche, perché lei sa che è un materiale che può rovinarsi facilmente. Tanto tempo fa mi è capitato di fare, di curare una certa trasmissione sul cinquantenario della Repubblica Italiana e volevamo attingere agli Archivi televisivi, dei primissimi tempi della televisione italiana, c'era l'immagine, ma non c'era più l'audio. E quindi era una fonte poco, anzi per nulla utilizzabile. Bisogna rassegnarsi a questo. Come nelle biblioteche l'umido e i topi hanno distrutto un sacco di libri importantissimi, così anche questi documenti di tipo nuovo sono soggetti all'usura. Ma questo non significa che non si debbano desiderare, mettere a frutto, e così via. Anzi è uno di quei casi in cui la materia è così vasta che poi bisognerà trovare tecniche per selezionarla.

STUDENTE: Professore, scusi eh! Ma noi studiamo la storia, bisogna studiare la storia per non commettere gli errori del passato. Ma perché tuttora si commettono, cioè ancora ci sono guerre civili? Forse non è stata ben compresa, non è stata ben studiata?

CANFORA: Ma perché i fatti sono il frutto non soltanto dell'atteggiamento mentale delle persone, ma anche dei loro interessi. Tantissime persone, come si usa dire, sanno bene che cosa sarebbe giusto fare, ma fanno il contrario per ragioni concrete, interessi e così via. Stiamo banalizzando sia la formulazione che la mia, sono molto, diciamo, semplificatorie, però rendono bene il concetto. Non è lineare questo procedimento, ma questo vale anche per la predicazione religiosa, perché i principi delle grandi religioni del mondo sono dei principi sani, etici. E come mai poi non si traducono in opere e il crimine c'è ugualmente? Perché c'è un divario fra quello che è giusto pensare, che ci spiegano che è giusto pensare, e poi quello che concretamente si fa, appunto per una serie di ragioni empiriche, per lo più i grandi interessi egoistici. L'egoismo è una delle molle della storia umana. Mi pare che con questa triste conclusione potremmo anche porre un termine ai nostri pensieri. Il fatto che nonostante tutto - appunto, lei l'ha detto in modo un po' semplificatorio - non basta, è utile, ma non basta. Questa è, diciamo, la morale di questo mestiere.

STUDENTESSA: Professore mi chiedevo quale fosse la Sua visione personale della storia, se è ciclica o lineare, se veramente possiamo imparare qualcosa, perché comunque la natura umana rimane uguale a se stessa pur cambiando le circostanze oppure è assolutamente impossibile proprio perché nessun momento è uguale a un altro?

CANFORA: Alla fine, perché presumo che siamo verso la fine, la domanda più importante del mondo - mi permetto di chiosare -, anzi una domanda non solo importante, ma imbarazzante, perché se io fossi molto meno anziano di quello che sono direi: ma la storia è lineare, è un progresso perenne verso modi di organizzazione della società sempre più elevati. A grandi linee forse è ancora così, ma io lo credo sempre meno. Poi noi abbiamo in realtà uno spezzone piccolissimo, noi conosciamo la storia di qualche migliaio di anni, malissimo quella più vecchia, un po' meglio questa, mentre è una storia lunghissima, quella che abbiamo alle spalle, e forse anche quella che abbiamo davanti, ma non vedremo. Allora fare una regola da un campione così piccolo, forse è un azzardo. Col tempo, mi sono convinto che sostanzialmente l'ottimismo unilineare è fallace, cioè è un'illusione, però il ciclo, perché l'alternativa è il cerchio - come dice Machiavelli, per il fatto che si ripete - non si ripete mai uguale. Quindi tra le due alternative ce n'è una terza: che certo si torna, ma si torna in modo differente. E questo fa ben sperare.

 
 
 

Per iniziare : cos'è la Storia. A cosa serve?

Post n°2 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

Come inizio mi sembra opportuno chiarire subito un concetto fondamentale : cos'è la Storia e a cosa essa serve.

Ho letto al riguardo, ma fra tutti gli scritti uno, per semplicità e profondità allo stesso tempo, mi è sembrato fare al nostro caso : un bellissimo colloquio fra Luciano Canfora, sicuramente uno tra i maggiori storici del nostro Paese e i suoi studenti

 (http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Canfora)

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Ve lo riporto per intero :

27 febbraio 1998

CANFORA : Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il liceo, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, cioè in un'epoca di grandi contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi, drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio, senza una buona attrezzatura, non si può condurre e allora il lavoro che faccio è un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo più tratta.

Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé. L'affermazione, almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei più, ma non di tutti.

Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero razionale, che impedisce di seguire gli istinti più profondi e vitali della natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire, comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura alla politica. Quest'ultima, in particolare, è costantemente soggetta alle interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso politico della storia. Qui il rischio della mistificazione è sempre in agguato. Sicuramente però lo studio della storia può aiutare a interpretare correttamente il presente. Non a caso alla storia, e al rigore analitico che essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il mito, cercando, in presunte età dell'oro - la mitologia germanica per il nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chissà se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di più allo studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi, forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile.

La scheda che abbiamo visto ovviamente è molto schematica, com'è naturale nelle schede, però ha un elemento, un filo conduttore. Mette insieme una serie di scene; dal cesaricidio, l'ammazzamento di Giulio Cesare in Senato - un pezzo di Shakespeare, naturalmente ridotto al cinematografo con Marlon Brando nella parte di Marcantonio, molto giovane naturalmente - e arriva fino alla Seconda Guerra Mondiale, direi - almeno se abbiamo visto con attenzione -, attraverso una serie di tappe che sono violente. Direi che non c'era nessuna scena tranquilla, rassicurante, in quel rapido, in quella carrellata che abbiamo visto, e scene violente, direi quasi esclusivamente di guerra, tranne una testa, infilata su una picca, di una signora, che poteva essere per esempio la principessa di Lamballe, un amica di Maria Antonietta, che fu trucidata in malo modo, durante le cosiddette Stragi di Settembre, nel 1792, momento cruciale della Rivoluzione Francese, alla vigilia della battaglia di Valmy e della proclamazione della Repubblica, appunto, della Prima Repubblica francese. Ma era una scena che voleva rappresentare le rivoluzioni. Le rivoluzioni peraltro sono l'altra faccia, diciamo così, della conflittualità, per lo più bellica, di cui la storia si occupa. Intendo dire, la storia scritta, la storia che si raccoglie nei libri, nei trattati, nelle storie universali. E' una storia tutta occidentale, anche questo va detto, nel senso che si va dall'antica Roma alla guerra ultima, attraverso scene che riguardano l'Europa, l'Europa come centro del mondo. Anche questa è una scelta, una scelta che ha la sua ragion d'essere nel fatto che l'Europa ha dominato gran parte del pianeta in vari momenti e dopo le grandi conquiste coloniali, dopo la scoperta del nuovo mondo, eccetera, in modo sempre più violento, sempre più continuativo, tanto che noi oggi continuiamo a pensare i fatti sempre dal nostro angolo visuale. Faccio un esempio così, che credo di attualità. Si dice spessissimo: la fine del Comunismo. Questa è una frase che ritorna spessissimo, direi quasi di senso comune ormai. E' un po' buffa come espressione, intendendo per comunismo una organizzazione statale, che si definisca tale, poi la filosofia del comunismo come astrazione è un altro fatto. Ora esso è finito certamente in Europa, ma non in Asia, per il fatto stesso che esiste un grande paese di quasi due miliardi di abitanti, sui prossimi sei miliardi sulla faccia della terra, che si autodefinisce a torto o a ragione, questo è un altro paio di maniche, "comunista". Ora in Europa - mettiamo insieme tutti quanti i paesi d'Europa - ci saranno trecento milioni di persone, importantissime, ricche, decisive, però sono un paio di città cinesi messe insieme, tre quattro, città non di più.

STUDENTE : Tutti e due i miliardi sono comunisti?

CANFORA : No, non sto dicendo ora nulla di specificamente fazioso. Voglio dire, la formulazione è una formulazione eurocentrica. Questo ha una sua spiegazione naturalmente, nel senso che l'Europa è una parte molto importante del mondo, una delle parti più ricche. Le guerre che si combattono nel resto del mondo, si combattono con armi fabbricate per lo più in Europa, per esempio a Brescia. Va bene? E quindi vuol dire che è un posto che conta parecchio. Grandissima produttrice di cultura, ma anche grandissima distruttrice di altre culture, quelle americane e precolombiane, per fare un esempio. Ma insomma si potrebbe parlare anche dell'Africa, che aveva delle sue culture, che sono state stritolate dalla dominazione coloniale, eccetera, eccetera, eccetera. Tanti continenti si sono risvegliati, in antitesi alle culture di provenienza europea. E così via. Per dire, una scheda che - ora la stiamo massacrando, ma insomma ingiustamente - che ha fatto da cavia ai nostri pensierini, alle nostre riflessioni per i suoi difetti utili alla nostra discussione. Utili perché? Perché ci aiutano, questi difetti, a chiederci che cosa poi effettivamente questo mestiere di storico, di studioso di storia, di narratore di storia deve cercar di fare e di essere. Per esempio, in questo nostro secolo, si è presentata come una grande novità storiografica il fatto che un rivista importantissima francese, degli anni, tardi anni venti, che si chiama Les Annales, di cui ogni tanto sentite parlare, a scuola, più o meno attentamente, ha imposto all'attenzione il fatto che la storia non si occupa solo delle battaglie o delle guerre o delle rivoluzioni, ma anche della pace, della produttività umana, di tutti gli altri aspetti dell'esistere, dei sentimenti, no, i quali non hanno una storia proprio a tutto tondo, però anch'essi sono nella storia e quindi si trasformano, si trasformano perché si intrecciano con la moralità media. La moralità media influenza i sentimenti e il loro manifestarsi. La moralità media è un pezzo dell'evolversi della storia, come è chiaro. E quindi anche i sentimenti non sono dati come fuori del tempo, sono nel tempo. Ecco questa storiografia, detta de Les Annales, è entrata in collisione con la Storia Battaglia, l'Histoire Bataille, come si dice in francese, quasi a voler significare che quella era angusta e unilaterale - ed era vero. Solo che questo è un pensiero molto più vecchio de Les Annales, perché questi due storici che sono qui rappresentati in questo pannello, uniti in modo artificiale, è un'erma, come si dice, bifronte, con due teste unite, uno, questo, si ritiene che sia Tucidide che ha raccontato la storia della guerra del Peloponneso, quell'altro si ritiene che sia Erodoto, e ha raccontato tutto, non solo la storia delle guerre persiane, come molti pensano. Ha raccontato tutto. Ha raccontato i templi egizi come erano fatti, le mura di Babilonia, gli usi funerari dei popoli, degli Indiani, eccetera. Davvero c'è tutto. Ecco quel signore, che appunto dovrebbe essere Erodoto, diciamo, in quell'erma bifronte, è un antenato de Les Annales, perché nel suo librone di nove libri, secondo la nostra divisione affermatasi nell'antichità, c'è molto più delle battaglie. Invece questo signore qui, cioè Tucidide ha raccontato la storia di una guerra - almeno si proponeva di farlo, poi pare che non l'abbia neanche finita -, nella quale ci sono, oltre la guerra, soltanto le rivoluzioni, perché la sua idea è che la guerra civile, lo scontro delle fazioni e la guerra politica, la guerra guerreggiata con le armi, si intrecciano, spesso si intrecciano. Ed è vero. Anche la nostra esperienza - la Guerra Mondiale per l'Italia - è finita con una guerra civile negli ultimi diciotto mesi. Ma anche la Guerra del Peloponneso è finita ad Atene con una guerra civile. Ve bene, di lì discende il moderno modo di scrivere la storia, cioè da questa grande opera esemplare, che Tucidide ha abbozzato. Nell'inizio di essa lui spiega che lo fa perché può servire al politico, anche in prosieguo di tempo, quella lezione tecnica, quell'insegnamento specifico che è contenuto nella sua opera. E' lì che nasce l'idea che la storia serve alla politica o detto in maniera banale, perché è una banalizzazione che Tucidide avrebbe respinto e orripilato, che è maestra di vita. Ecco, questa è, non voglio dire che è una sciocchezza, ma è una semplificazione grossolana di quell'altra idea che è molto più sottile, che cioè il politico di professione, quello che si sporca le mani e fa questo mestiere tremendo che è il politico, che si occupa degli altri, con una dose di ambizione evidentemente perché altrimenti non lo farebbe, ma si occupa degli altri.

STUDENTESSA: Le volevo chiedere: quanto noi possiamo credere veramente alla storia, che per esempio studiamo a scuola. Io ho l'impressione che a noi arrivi sempre e comunque una visione molto parziale dei fatti storici, perché se leggiamo i resoconti di chi la storia l'ha vissuta in quel momento, per forza di cose, deve essere una versione parziale, perché influenzata dalle proprie idee su quello che gli sta succedendo intorno. Uno storico che successivamente si ritrova in mano documenti o fotografie non era lì e quindi non può raccontarci veramente che cosa è successo.

CANFORA : Beh, questa è già enorme, e ben venuta anche, per varie ragioni. Ben venuta nel senso che ci offre lo spunto per sfatare un mito, che cioè soltanto la storia sia - la storia come storiografia, come racconto -, sia una peccatrice sul piano della oggettività. Non è vero. Tutte le discipline sono peccatrici da questo punto di vista, tutte. Anzi la fisica più moderna ci spiega che lo strumento che osserva la microrealtà, la realtà atomica e subatomica, lo strumento, modifica l'oggetto osservato. Ora questo è agghiacciante, nel senso che tale modificazione, indotta dallo strumento, dovrebbe portarci a una grande prudenza nella accettazione dei risultati di quella osservazione. Infatti le interpretazioni dell'universo che la fisica vivente ci fornisce sono varie e tra loro diverse. Le ipotesi creazioniste o non creazioniste si affrontano nel pensiero fisico, nella riflessione dei grandi fisici, oggi, tanto quanto nella mente più semplice, diciamo così, meno attrezzata di strumenti di osservazione dei filosofi della Grecia antica. E quale più chiaro esempio di non oggettività, di apertura verso risposte diverse, a partire da dati opinabili, di quello che le ho appena detto? Orbene, a questo punto la storia non è la colpevole di un racconto in cui chissà se debbo credere. E uno dei tanti casi in cui noi cerchiamo di conoscere, in questo caso il passato, nell'altro caso la realtà fisica, e non siamo in grado ovviamente di conoscerla in modo totale compiuto e definitivo, perché nulla in questo mondo accade in modo definitivo.

STUDENTESSA : Ma in questo senso allora come fa a diventare lo strumento per capire meglio il passato e quindi vivere il presente, in maniera più consapevole. Nel senso che comunque, lo ha detto Lei, non esiste una oggettività assoluta, e quindi abbiamo interpretazioni diverse anche adesso. Pensiamo al revisionismo, pensiamo all'uso politico che anche viene fatto della storia.

CANFORA : Questa domanda è bella, perché dimostra che il bisogno, evidentemente intimo, di ciascuno di noi, mi metto senz'altro con gli altri, coi presenti in questo bisogno, è un bisogno di assolutezza. No? Cioè o mi date un prodotto assolutamente risolutivo o non lo voglio. Questo è l'anticamera diciamo della sua domanda. Ed è apprezzabile, nel senso che indica che la spinta è sempre una spinta di conoscenza compiuta, una conoscenza soddisfacente. Però, una volta che sia assodato che si tratta di una conoscenza provvisoria e sempre in grado di essere migliorata, uno si rassegna a questo fatto e la pratica ugualmente, sapendo che l'alternativa è l'ignoranza totale, che è molto peggio. Naturalmente io sono, come dire, tra gli studiosi di storia, che meno prova disagio dinanzi alla parola "revisionismo". E' convinzione comune che "revisionismo" è di destra e "non revisionismo" è di sinistra. Questa è una stupidaggine. Il "revisionismo", poi, oltre tutto, non vuol dire negare i fatti. Ci sono alcuni pazzi - pochi - i quali negano che ci siano mai stati i campi di concentramento. Va bene, ma sono confutabili col fatto stesso della loro ignoranza e dell'esistenza di documenti inoppugnabili. "Revisionismo" è un'altra cosa. "Revisionismo" vuol dire che, ad ogni ondata di documentazione nuova, io capisco meglio e riaggiusto la ricostruzione che ho fornito. Quindi son due cose completamente diverse. E, in questo caso, il mestiere di storico è un rivedere continuamente - in buona fede sperabilmente, sulla base di una documentazione che si allarga e che però non va presa come un feticcio - le acquisizioni precedenti. In questo lavoro consiste un tirocinio di capacità critica, che serve comunque, direi, per fare un esempio ovvio, a leggere un giornale. Cioè, lei mi potrebbe rispondere: "Ma io non leggo il giornale". Ma anche se patisce il telegiornale, che è ormai diventato una specie di varietà, va bene, puntualmente lo deve interpretare. E capire perché un certo fatto ha uno spazio di pochi secondi e un altro fatto ha un ampio spazio e un altro fatto non appare per nulla e io lo apprendo da un'altra fonte. L'abitudine alla critica consente di capire il telegiornale. E dunque, se questa abitudine poi ha come scotto da pagare il fatto che è una critica sempre aperta, ben venga.

STUDENTE : Professore, scusi, ma per arrivare alla storia intesa come un sapere assolutamente oggettivo, almeno umanamente oggettivo, potrebbe bastare la conoscenza del fattore conoscitivo deformante, derivante dalle particolare influenze dello storico, e quindi che determinano la sua interpretazione?

CANFORA : In realtà non è quello il fattore deformante. Quello c'è, c'è sempre, ma è un malanno secondario, diciamo. Il vero fattore deformante è che i documenti sono casualmente accessibili. Anzi, facciamo un esempio, così ci capiamo meglio. Noi possiamo raccontare, con un certo fondamento documentario, abbastanza soddisfacente, per lo più epoche che si sono concluse, magari in modo traumatico, lasciando gli archivi a disposizione degli studiosi. Noi studiamo abbastanza bene la storia, per esempio, del nazismo, perché, nel suo crollo, i grandi archivi che il Terzo Reich aveva caddero in mano degli Americani, degli Inglesi e dei Sovietici, i quali hanno - e qui interviene, da capo, una manipolazione - messo a disposizione, in tutto, in parte, eccetera, questi documenti, i quali sono la base necessaria per parlare di quella età. Ma noi non riusciamo a raccontare in maniera accettabile, da un punto di vista della veridicità, la storia dell'Italia repubblicana. Io sono un po' più vecchio di voi, ma tutti abbiamo memoria del fatto che per una lunga fase della nostra storia repubblicana di questo cinquantennio, che abbiamo alle spalle, in Italia c'è stata una misteriosa incombente catena di stragi, di violenze, di attentati. Le vere ragioni di tutto ciò noi non le conosciamo in modo documentario. Le possiamo immaginare. Alcuni le congetturano in un modo, altri in un altro. Perché? Perché gli archivi di uno stato, vivente non sono a disposizione degli studiosi. Lei non può andare al Ministero degli Interni e dire: "Voglio vedere gli archivi del Viminale fino all'ultima carta e raccontare quello che è successo al tempo del cosiddetto golpe, non realizzato, ma fallito, di Borghese, nel 1970. Questo non lo può fare. Naturalmente gli stati moderni hanno anche l'abitudine di mettere ogni tanto a disposizione i documenti. Tutti dicono, per esempio, che una delle organizzazioni più misteriose sulla faccia della terra sia la C.I.A. che è una grande potente agenzia di informazione diciamo coessenziale alla politica degli Stati uniti d'America. Tutti i grandi stati hanno, un'agenzia di questo genere. La C.I.A. è così intelligente da mettere a disposizione una parte dei documenti del passato. Trent'anni fa, vent'anni fa. Però li screma, cioè li sceglie. Cioè il soggetto stesso che io dovrei studiare mi dice: "Tu puoi leggere questo, ma non questo". Naturalmente meglio quello di niente. Ma io so benissimo che questo, questa porzioncina più o meno ampia di documenti, potrebbe addirittura portarmi fuori strada. Ecco io vi ho descritto il vero problema, dinanzi al quale i veri studiosi di storia si trovano. Risposta: "Studiamo il passato più remoto, perché lì siamo tranquilli, nessuno ci viene a togliere i documenti". Non è vero, perché lì c'è stata una tale distruzione, dovuta al tempo, che la nostra ricostruzione è purtroppo, per definizione, unilaterale. Noi raccontiamo la storia delle Guerre del Peloponneso perché costui ha scritto un'opera che la racconta, però vorremo avere anche il racconto di un altro, di tutt'altra città, di tutt'altra provenienza. Non abbiamo nessuno storico spartano, per esempio, che ci dica i fatti di quella guerra. Lui era ateniese, era un uomo di grande equilibrio probabilmente, almeno lo dice di se stesso. Noi gli dobbiamo credere. Però non ci basta. E' come se della Seconda Guerra Mondiale noi avessimo soltanto le Memorie di Churchill, per esempio, che fu un grande statista, un grande scrittore. Però accanto a quelle memorie c'è una miriade di documenti che le mettono in crisi.

(fine prima parte)

 
 
 

Benvenuti in ArcheoEStoria!

Post n°1 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da princepscivitatis

Benvenuti in ArcheoEStoria!

Questo è un mio blog dedicato alle mie due grandi passioni di sempre : la Storia e l'Archeologia.

Verranno trattati argomenti che andranno dalla storia antica a quella medievale a quella moderna; dall'acheologia classica, a quella medio-orientale ed orientale, con testi estratti dai più importanti titoli di queste affascinanti discpline!

Dimenticavo : essendo il sottoscritto anche un avvocato, sarà dato spazio anche a un pò di storia del diritto, sia romano sia italiano.

Spero apprezzerete!

A presto!

Davide. 

 
 
 

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