Creato da ArtRing il 16/08/2014

Art Ring

spazio di confronto sull'arte

 

 

Inti e la cultura latino americana nella street art

Post n°5 pubblicato il 16 Settembre 2016 da ArtRing
 
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Oggi voglio parlare di uno street artist cileno, Inti Castro, nato a Valparaiso, porto conosciuto nel mondo perché ricco di murales e per le case dai mille colori. L’ambiente stimolante di questa città lo porta già all’età di 14 anni a lasciare il suo segno sulla parete, per entrare a far parte del circolo artistico e per appropriarsi dello spazio pubblico piuttosto che per comunicare un reale messaggio. Dalle prime tags ad oggi Inti ha realizzato più di settanta murales in varie parti del mondo evolvendo il suo stile in un complesso nucleo di personaggi collegati alla cultura latino americano ma non mancando di inserire riferimenti al luogo nel quale opera.

L’universo personale creato da Inti è composto da personaggi ispirati al carnevale dei paesi latino americani, si incontrano quindi il Kusillo di Bolivia, l’Ekeko dell’altipiano e il Kollon del mondo mapuche, includendo simboli dell’iconografia folklorica e popolare. Nella sua arte Inti non vuole includere una critica alla situazione politica e sociale attuale ma semplicemente mostrare il suo mondo fatto di culture originarie, di colori e dell’allegria del carnevale in Latino America. In particolare il carnevale di Oruro in Bolivia, dove i ballerini realizzano costumi con pochi materiali, ed è proprio questa grande creatività che ha portato Inti ad impossessarsi del buffone, il personaggio principale fino a farlo diventare il protagonista delle sue composizioni. Partendo dalla fusione della cultura spagnola con quella precolombiana si sviluppa un lavoro dalla forte carica espressiva e dallo stile palesemente riconoscibile che ha lasciato tracce in varie parti del mondo. In questo caso vorrei analizzare uno dei primi lavori che vede protagonista il Kusillo perché esemplificativo delle opere successive.

Inti realizza un’immagine del Kusillo di enormi dimensioni occupando le pareti esterne di un edificio in via Blanco in Valparaiso. La composizione è suddivisa in tre parti con le gambe nella prima sezione, le scarpe nella seconda e il busto che occupa la terza parete. L’opera è visibile interamente solo dal Mirador Paseo Atkinson nel Cerro Concepción e colpisce per l’uso dei colori forti che contrasta con il costume del Kusillo realizzato con il riutilizzo di vecchi materiali. Ed è proprio questa la metafora sottolineata da Inti che dalla povertà dei materiali si può generare una ricchezza creativa. Il Kusillo inoltre è la figura folclorica che balla improvvisando durante i giorni del carnevale. E’ nella sua natura avere uno stile casuale, muoversi liberamente non seguendo nessuna coreografia e lasciandosi completamente andare alla casualità. Solo al buffone è concesso porre domande al potere e all’autorità senza avere conseguenze. E’ questa personificazione della libertà che ha ispirato Inti, insieme alla possibilità di comunicare aspetti della cultura andina in tutto il mondo.

 

Federica Cupelli

 
 
 

Blu, Cosa pesa di più

Post n°4 pubblicato il 09 Giugno 2016 da ArtRing
 
Foto di ArtRing

In Bolivia, precisamente in Cochabamba si trova l’opera di Blu Cosa pesa di più che occupa l’intera parete di un edificio nel Paseo de las Artes, tra le vie Tarapacá e Jordán. In questa occasione Blu ha realizzato una mano, che per alcuni rappresenterebbe la giustizia boliviana o semplicemente la mano dei potenti che sostiene una gigantesca bilancia. Da un lato c’è un peso boliviano, che è la moneta ufficiale e che corrisponde 0,13 euro e dall’altro un gruppo di persone identificate con una cholita, un lavoratore e un bambino. Nell’ombra si può scorgere il profilo di altre figure che quindi rappresenterebbero l’intero popolo. Il messaggio è più che chiaro: la bilancia pende dal lato del denaro che quindi conta di più della popolazione boliviana.

 

Blu è un artista conosciuto per il suo impegno sociale. La lotta alle disuguaglianze, l’accusa al capitalismo e alla società moderna sono il punto di partenza del suo lavoro. Non è un caso che nel dicembre scorso cancellò due tra i suoi più famosi murales in Curvystrasse, Berlino. In questo suo gesto c’è un segno di protesta al processo di gentrificazione che aveva caratterizzato l’area, prima spazio libero occupato da senzatetto, rifugiati politici, istituzioni culturali e artistiche e locali notturni e poi venduto all’investitore Artur Suesskind per la costruzione di 250 appartamenti e un supermercato. La cancellazione delle sue opere vuole essere una dichiarazione di lotta alla speculazione edilizia e un manifesto dedicato alla città a combattere per preservare la propria fisionomia.

 

In Sudamerica Blu affronta la tematica sociale allineandosi ai problemi del luogo in cui lavora. In Messico realizza un’enorme bandiera, ma nella sua opera i colori del paese sono il verde rappresentato dai dollari, il bianco dalla cocaina e il rosso dal sangue. L’intera scena è occupata da soldati segnalando come lo stato abbia il controllo del traffico della droga e quindi le mani sporche di sangue.

 

Se in Messico per Blu la problematica è legata alla droga, in Bolivia la sua denuncia si rivolge al governo che è maggiormente interessato al guadagno economico piuttosto che al benessere della sua popolazione. La scelta di dipingere su una parete di mattoni non è casuale, la maggior parte degli edifici in La Paz sono lasciati senza intonaco e osservando la città dall’alto spicca il colore rosso di questo materiale, apparentemente dovuto alla mancanza di risorse economiche. Nell’opera, il disegno appare frastagliato a causa dell’assenza di una superficie liscia come base, questo fa sì che il volto delle persone sia poco distinguibile e quindi risultino prive di identità. L’uso dell’ombra rende il disegno più realistico, creando un’atmosfera di sospensione e sottolineando come si tratti di un momento importante di giudizio. Si può individuare una contraddizione, la moneta cita il motto nazionale la union es la fuerza ma questo non cambia che la popolazione unita posta su una bilancia valga meno del dio denaro.Blu anche in questo caso ha voluto esprimere il suo punto di vista sulla situazione politica. L’arrivo al potere di Evo Morales aveva significato per la popolazione un grande cambiamento, finalmente Bolivia aveva un presidente del popolo che si faceva carico della questione indigena, dei lavoratori e della classe sociale più debole. Nel 2014 quando Blu realizza la sua opera in occasione del BAU (Bienal de Arte Urbano) di Cochabamba, Evo Morales ha otto anni di governo alle spalle. L’aumento del traffico di droga e della criminalità ha reso Bolivia il secondo paese più corrotto dell’America Latina. La brama di potere economico ha portato alla costruzione dell’autostrada Beni-Cochabamba, distruggendo parte del parco Tipnis, riserva ecologica e forestale situata al centro del Paese e alla conseguente repressione delle comunità indigene in marcia verso La Paz. La creazione del fondo indigeno destinato allo sviluppo delle organizzazioni sindacali e contadine in Bolivia era diventato lo strumento per arricchire le casse private di alcuni rappresentanti del governo. Inoltre la gestione di potere, che aveva portato alla modifica della legge costituzionale e quindi alla conseguente possibilità di ottenere il suo terzo mandato, ha trasformato Morales nel presidente che ha governato per più tempo senza alcuna interruzione. E’ in questo scenario che si deve leggere l’opera di Blu, realizzata nel 2014, appena un anno prima del referendum per la rielezione di Evo Morales che terminò con la vittoria dello stesso. Blu si interroga e ci interroga su cosa pesa di più tra il popolo e i soldi per il governo boliviano, dandoci la risposta ma nello stesso tempo non escludendo la possibilità di cambiare l’oscillazione della bilancia, aumentando il “peso” che la popolazione ha all’interno della società.

 

Federica Cupelli

 
 
 

I grattacieli come nuove cattedrali

Post n°3 pubblicato il 21 Ottobre 2014 da ArtRing
 
Foto di ArtRing

Passeggiando per Londra mi sono accorta dell'ultimo cantiere a cui stanno lavorando, l'ennesimo grattacielo dal nome The Pinnacle che, assieme a The Gherkin disegnato da Norman Foster e a The Shard progettato da Renzo Piano, va a completare quella che è stata definita la nuova Gotham City, ispirandosi al film di Batman.

Il nuovo edificio è situato al 22-24 di Bishopgate, nel distretto finanziario della città, e con i suoi 288 metri è destinato a diventare l'edificio più alto della City e il secondo più alto in tutta Europa dopo The Shard. The Pinnacle è stato disegnato dallo studio Kohn Pederson Fox ed è costituito da due differenti mura di finestre, la cui forma ricorda un giornale arrotolato, ma al vertice si innalza in un'unica guglia. La facciata è realizzata usando pannelli curvi che si ispirano alle forme organiche della natura come armadilli, funghi e conchiglie.

La capitale inglese come le altri capitali sente l'esigenza di identificarsi con questo tipo di edificio che, nel suo ergersi con imponenza sulla città, trasmette una sensazione di dominio da parte del polo economico che si manifesta su tutta la zona circostante, e che quindi, sembra decidere le sorti della massa degli abitanti.

Questa scoperta mi ha portato alla mente una definizione: "i grattacieli come nuove cattedrali", e mi sono chiesta quanto potesse essere corretta. In realtà questo tentativo di innalzarsi verso il cielo si relaziona alla cattedrale gotica che aveva come obiettivo il raggiungimento di Dio. Al di là del fine puramente religioso che caratterizzava la società del Medioevo, nell'attuale innalzarsi degli edifici, in una corsa al raggiungimento del primato, che viene detenuto, almeno per ora, dal Burj Khalifa di Dubai, con i suoi 828 metri di altezza, trapela l'ossessione umana per la prevaricazione sull'altro e l'ostentazione della ricchezza. Tutto ciò va relazionato alla trasformazione della società che se nel Medioevo vedeva l'ascesa verso Dio come l'obiettivo fondamentale del buon cristiano, oggi la società porta ad individuare nella scalata verso il successo e il raggiungimento del potere, il fine assoluto dell'arrampicatore sociale. La verticalità in entrambi i casi si relaziona al progresso costruttivo e al miglioramento della progettazione edilizia che, nel Medioevo vedeva il cantiere della cattedrale come il lavoro collettivo di un'intera comunità per giungere alla realizzazione di quello che sarebbe stato il simbolo di fede, mentre oggi la progettazione di un grattacielo è frutto di strategie di marketing che vedono l'investimento di un forte capitale, perlopiù straniero, finalizzato alla costruzione di uno colosso di vetro e acciaio che si innalzi con arroganza sulla città, per diventare simbolo della ricchezza finanziaria detenuta solo da pochi.

In questa corsa verso altezze vertiginose e nel tentativo di rendere gli edifici dalle forme sempre più visionarie, in una sorta di gara tra architettura e scultura, bisognerebbe porre l'attenzione sulla possibilità di riportare tutto ad una dimensione più umana, o per meglio dire più "terrena". Interessante sarebbe ripensare lo sviluppo urbano attraverso le piazze, intese nel significato greco della parola, come agorà, ovvero spazio di riunione e confronto dei cittadini. In questo modo non solo la cittadinanza, con i suoi bisogni ed esigenze, verrebbe considerata nella progettazione urbanistica ma si potrebbe coinvolgere la stessa nella sviluppo della città.

Federica Cupelli

 
 
 

Street Art: facciamo il punto.

Post n°2 pubblicato il 18 Settembre 2014 da ArtRing
 
Foto di ArtRing

A cavallo tra arte ufficiale e arte misconosciuta viaggia un'affascinante forma di espressione artistica contemporanea grazie alla quale lo spazio urbano diventa un laboratorio artistico.
Street Art è un termine che vuole indicare il radicale mutamento di un contesto in cui per secoli l'arte era stata collocata.
La lotta dei segni pian piano dalla tela si trasferisce all'interno di un nucleo urbano ramificandosi e contaminando lo spazio che ben presto può essere fruito alla stregua di un museo a cielo aperto. 
Il fenomeno Street Art è stato spesso sottovalutato, associato a pratiche illegali e ridotto a semplice espressione creativa di una determinata cultura giovanile. Semplificazioni che non portano alla luce gli aspetti più profondi di questa espressione. Alla base del fenomeno vi è infatti un intento comunicativo molto forte (si parla anche di social art o community art) che nasce nel clima soffocante dei grandi agglomerati urbani in un momento in cui per avere diritto di parola diventa necessario metamorfizzarsi con la metropoli. All'interno di quest'ultima, la Street Art agisce come specchio della molteplicità delle relazioni collettive, diventa uno strumento di mediazione per l'arcaico principio di aggregazione comunitaria, in grado di svolgere un ruolo attivo nelle dinamiche culturali e sociali del luogo in cui si colloca, per preservarne la specificità, la storia, la memoria, il significato conferitogli dalla gente che lo frequenta, i contenuti simbolici o psicologici; un'arte pubblica, espressione informale, strumento di comunicazione di massa diretto verso un pubblico esteso e variegato.
Le opere sono pensate appositamente per il luogo, ossia sono site-specific, e non sono staccate da esso da alcun piedistallo: la Street Art inizia infatti ad essere realizzata soprattutto a partire dalla crisi della concezione urbanistica moderna, e si allontana sempre di più dall'idea di monumento proprio perchè ha fini comunicativi e mai celebrativi.
La stada è un luogo pubblico ed in quanto tale appartiene alla collettività, è accessibile ad una larga maggioranza di persone ed è aperto a molteplici modi d'uso e di senso. In esso non si assumono ruoli predefiniti che condizionano la visione, come nel museo.
In questo panorama bisogna cogliere nella definizione di "pubblico" non soltanto un'indicazione di luogo, quanto la dimensione sociale e politica di un vivere collettivo diversificato e complesso.
"Un lavoro ha la possibilità di essere pubblico quando riesce a comunicare contenuti accessibili alla comunità alla quale decide di parlare e non si ferma a questioni puramente linguistiche."
Sorta a cavallo tra XX E XXI secolo, la Street Art si è diffusa dovunque qualsiasi gruppo sociale o comunità sentisse la necessità di affermare la sua presenza in una società considerata ostile o indifferente. Per questo motivo ha suscitato atteggiamenti come l'indignazione (oltre che ammirazione ed emulazione) disponendo di un pubblico potenzialmente enorme. Le attività artistiche di strada nelle varie forme hanno luogo oltretutto in una dimensione comunicativa potenzialmente globale.
E' opportuno prestare maggiore attenzione alla "selva di segni" che quotidianamente si riproduce e ci rincorre, mantenendo vivo l'interesse e soprattutto lo sguardo verso i luoghi in cui viviamo. Del resto le città completamente vergini (o monocolore) costituiscono una visione distorta della realtà: i luoghi vissuti sono sempre stati segnati. I muri abbandonati, i vagoni dei treni, le aree dismesse delle periferie sono spesso pagine da leggere pregne di significati.

Antonella Capano                                  

 
 
 

L'arte come un ring

Post n°1 pubblicato il 16 Agosto 2014 da ArtRing
 
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Mi piacerebbe aprire questo blog spiegando le ragioni del titolo. Il termine ring, che viene ricondotto allo spazio in cui si affrontano due pugili, può essere interpretato, metaforicamente, come luogo di dibattito, in questo caso come spazio di confronto sull'arte. In realtà, nel termine ring c'è un riferimento all'attività di Jackson Pollock che, ad un certo punto della sua produzione, percepisce la tela come un ring, un campo di battaglia, considerandola come metafora stessa dell'esistenza. La tela, con Pollock, si trasforma in un'arena in cui agire, superando la tradizionale concezione di supporto su cui disegnare, riprodurre o inventare, per diventare risultato di un processo, tanto fisico quanto mentale. Pollock si "cala" nella pittura, lasciandosi dietro cavalletto, tavolozza e pennelli, per stabilire un rapporto quasi primordiale con l'arte, in cui iniziano a fluire oggetti della vita, come sabbia, frammenti di vetro e sigarette. Inizia l'incontro tra le materie che lo porta a stabilire un contatto con l'arte, è in quest'azione gestuale che procede riuscendo ad intuire il punto al quale è arrivato solo in un secondo momento. In questa operazione non si preoccupa di modificare o distruggere un'immagine, perchè l'arte ha una sua vita che quindi, cambia e si trasforma. Pollock, elimina ogni distinzione tra arte e vita, ma non attraverso la rinascimentale concezione dell'opera d'arte come finestra aperta sul mondo, quanto piuttosto considerando la tela come spazio reale. Questa idea di arte lo porta a porre direttamente la tela sul pavimento, a girarci intorno, a lavorare su tutti i lati, ad essere dentro l'arte. All'interno di questa visione si inserisce il dripping, la tecnica di sgocciolamento della pittura da lui inventata, che coincide con questa necessità di adesione allo spazio reale e nello stesso tempo rivela come l'opera d'arte sia il risultato di un processo, le cui tracce, rappresentate da reticoli, schizzi e grovigli, danno vita ad uno spazio omogeneo, pur essendo diverso in ogni suo centimetro. 

L'arte quindi può essere percepita come un ring, come lo spazio quadrato in cui si svolgono gli incontri o "scontri", in cui ognuno può "fare a pugni" con una concezione tradizionale e quindi troppo radicata nell'immaginario comune. Ciascuno può ribellarsi alle convenzioni, ribaltando la prospettiva di creazione dell'opera d'arte. Ognuno è libero di esprimere la propria opinione, perchè nessun altro settore è così aperto alle differenti interpretazioni come quello dell'arte. 

Federica Cupelli

 
 
 

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