Creato da fedelecarlo il 27/11/2007

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Musica Napoletana DOCG

 

L U N A C A P R E S E

canzone

"Tu, luna luna tu, luna caprese, ca faie sunnà l’ammore ‘a ‘e ‘nnammurate, adduorme ‘a Nenna mia ca sta scetata e fall’annammurà cu’ ‘na buscia ". Sono versi di Augusto Cesareo, scolpiti sul marmo, quelli che accolgono il turista appena approdato a Capri.
E che canzone! Sulla pietra è incisa una delle più belle melodie degli anni Cinquanta
Lanciata da Nilla Pizzi nel 1953, fu rivisitata nel 1960 dalla metallica voce di Peppino Di Capri, che ne fece un successo da hit parade. Vera e propria canzone-monumento, il brano composto da Luigi Ricciardi è il simbolo musicale di un’isola cara al turismo internazionale che, anche grazie a questi piccoli gioielli della creatività, alimenta i propri miti rievocandoli in ogni tempo e luogo.
 Augusto  Cesareo (1905-1961). si guadagnava il lesso come giornalista e dopo aver tenuto sul "Roma" una rubrica che firmava con lo pseudonimo Pickwick e che gli dette una certa notorietà, passò al "Mattino" di Napoli come cronista mondano. Fu anche direttore dell'Ente turismo di Napoli e si dilettava come "paroliere" di canzonette in dialetto napoletano. Peppino Di Capri, che indossava le sue sgargiantissime giacche di lamé luccicanti sotto i riflettori dei night, ci trasmetteva, accompagnato dai suoi "Rockers", le malie del golfo di Napoli cantando: "na fascia 'argiento sott'e Faragliune, e nu mistero 'int'a'sta notte chiara".
Quella lontana sera del 1953,  dal bordo della piscina de “La Canzone del mare”, se ne levarono per la prima volta le note, portate dalla voce di Nilla Pizzi (veramente le cronache dicono che la prima volta, sia stata cantata ad Anacapri, ma a me sembra più suggestivo immaginarla mentre viene presentata complice la protagonista “Luna” proprio accanto al mare, e con sullo sfondo, i Faraglioni).
Augusto  Cesareo e  Luigi Ricciardi, nel 1955, presentarono "Marina Piccola", ma non sfiorarono nemmeno il successo del loro capolavoro in assoluto.

 

 

 
 
 

1600, muore la canzone popolaresca?

Foto di fedelecarlo

Arriva il '600 stracarico di cultura musicale, portando con sè il declino della villanella e l'evolversi e il trasformarsi del madrigale e, da questi, l'avvento del melodramma. Le villanelle concludono il loro ciclo evolutivo nascendo prima anonime e popolare nei "villici" borghi di campagna, poi popolaresche in città e, infine, villanelle auliche d'autore alla "toscanese" nelle Corti dei vari regni, per decadere, definitivamente, venendo meno la spontaneità e la semplicità di quando erano anonime e popolari.
Il '600 dona alla nostra città i tre primi grandi poeti e scrittori: Filippo Sgruttendio da Scafati (?), Giulio Cesare Cortese (1575-1621) e Giambattista Basile (1575-1632). Nelle opere di questi tre grandi poeti del '600 si sente lo slancio puro e ardito del popolo che partecipa, con questa sua lingua corposa e "tosta", a tutta la cultura del tempo, descrivendone la vita, i costumi e offrendoci, così, una viva, diretta, fresca testimonianza di essa. Nonostante la rivoluzione di Masaniello nel 1647, la peste del 1656 e il terremoto del 1688, il popolo, anche in queste tragedie, continuava a cantare per levarsi di
malinconia.


Le opere del Cortese, le dialogate Egloghe del Basile e la 'Ntrezzata dello Sgruttendio prepararono la nascita della Commedia Dialettale e dell'Opera Buffa (1700).
E' anche il secolo di "Michelemma'" e di "Fenesta ca lucive": ognuno cerca di dare una paternità a questi due successi, ma  lo storico Sebastiano Massa dice che, le citate opere, non sono "canzoni popolaresche" bensì dei puri "canti popolari".
Le condizioni sociali e morali del popolo napoletano alla fine del '600 sono disastrose, dopo varie dominazioni straniere la città era caduta nel disordine e nella miseria più nera. Solo dopo il trattato di Acquisgrana (1668) si assicurerà all'Italia di allora, un cinquantennio di progresso e di pace ma subendo, poi, il dominio austriaco. La Napoli di fine '600 e inizio '700 riversa nelle strade la voglia eterna di cantare ballando sfrenatamente le tarantelle, un ballo di moda e, allora, di grande successo.
Il ‘600 è il secolo dei melodramma. L’opera lirica, nata a Firenze nel Carnevale del 1597, rappresentata a Venezia per la prima volta nei 1637, fa capolino a Napoli nel 1651, in un teatrino fatto erigere, nel suo palazzo, per l’occasione, dal Viceré Conte d’Onatte.
Voci sporadiche come quelle di Giulio Cesare Cortese, Sgruttendio e dei girovaghi poeti e musicisti Sbruffapappa, Masto Roggiero ed altri, non bastano a risollevare le sorti della canzone popolaresca.
Giambattista Basile affermava scoraggiato: "Queste canzoni di poeti moderni, che suonano di notte, non toccano il vivo! O bei tempi antichi, o canzoni belle, con parole ben fatte e concetti robusti, o musica da fare sbalordire... Oggi, tu non senti mai una buona cosa!".
Tuttavia, il segno di questo secolo è pur rimasto. E’ la celebre Michelemmà (Michela è mia!), attribuita a quel genio bizzarro  che fu Salvator Rosa, nata dopo la rivoluzione di Masaniello.
Nelle opere coeve del Cortese e del Basile affiora la nostalgia per il bel tempo passato, per le forme antiche e per gli effetti di abbellimento vocale tipici degli stili esecutivi dei musici locali.
Se penuria di canzoni c'è stata, probabilmente lo si deve anche alla mancata ricerca operata all'interno delle opere scritte per il teatro che grande fortuna cominciavano a trovare presso il popolo; cito qualche esempio: "Le figliole che n'hanno ammore" del Cortese, "La rosa", ecc. Altra considerazione importante è che il ‘600, il secolo del Barocco, vede anche la nascita di Pulcinella, di quel grandissimo attore comico che fu Silvio Fiorillo. Vediamo altresì nascere e affermarsi la letteratura in dialetto: il Cortese, con: "Li travagliuse ammure de Ciullo e Perna"; il Basile con "Lo cunto de li cunte" splendida raccolta di fiabe; e lo Sgruttendio (forse "travestimento" dello stesso Cortese) con "la tiorba a taccone": sono i soli a levare coraggiosamente in alto la loro voce

 

 

 

 

 

 
 
 

Ddoie stelle 'e Napule

festival di Napoli

Siamo nel 1955. Terza si classificava 'E llampare (A. Gargiulo e G. Spagnolo) interpretata da Tullio Pane e Gino Latilla
Al secondo posto Ddoje stelle so' cadute ancora cantata da Sergio Bruni in coppia con Achille Togliani
Vince la canzone 'E stelle 'e Napule (Michele Galdieri e Giuseppe Bonavolontà) da  Gino Latilla e Carla Boni (che cantarono in coppia) e da Maria Paris.

Gino Latilla, figlio del cantante degli anni trenta Mario Latilla, segue le orme del padre cantando sin da bambino. Nel 1948 debutta al Manzoni di Bologna e negli anni seguenti il suo impegno artistico si estende con successo all' Europa, nel 1952 si reca in America ottenendo entusiastica accoglienza fra gli italiani emigrati.
Torna in Italia e nel 1958 si sposa con la cantante Carla Boni da cui successivamente, in tempi recenti, si separerà.
Numerosi i suoi successi, riscossi nelle varie edizioni del Festival di Sanremo, da Vecchio scarpone (1953, con Giorgio Consolini) al doppio trionfo del 1954 con Tutte le mamme (insieme a Consolini) ed ...E la barca tornò sola (con Franco Ricci), rispettivamente prima e terza classificata.
Colse l'ultimo trionfo, in coppia con la moglie, al Festival della canzone napoletana del 1961, con Tu sì comm'a 'na palummella, bissando il successo ottenuto nel '55 appunto.
Negli anni Settanta abbandona temporaneamente l'attività, diventando funzionario e poi dirigente della Rai a Firenze. Torna a cantare negli anni Ottanta formando il gruppo Quelli di Sanremo con Nilla Pizzi, Giorgio Consolini e Carla Boni.
Il suo nome compare sulla lista degli iscritti alla loggia massonica P2.

Maria Paris (Napoli, 6 agosto 1932). Ha partecipato a 12 Festival di Napoli salendo cinque volte sul podio con due vittorie, due secondi e un terzo posto.
Tra i suoi grandi successi, si ricordano le interpretazioni di: Canzona appassiunata, Che t'aggia dì, Tuppe-tuppe, marescià!, Cavalluccio e mare,  Core bersagliere, L'addio, È Frennesia, Mandulinata a Napule, A cartella e rendita, Passione, Tammurriata d'autunno, Nu poco e sentimento, Tarantella internazionale, Ciento catene, Totonno o piscatore, A bonanema e l'ammore, Freva 'e gelusia, 'A cartulina e Napule, Munasterio e Santa Chiara ed O  cunto e Mariarosa.
Maria Paris lavora anche al cinema e in tv. Tra i ruoli di maggior rilievo: Te sto aspettanno e Tuppe-tuppe, marescià!.

La cantante Carla Boni, al secolo Carla Gaiano, dopo svariati concorsi nel 1951 entra stabilmente nell'organico dei cantanti della nel RAI. Vince il Festival di Sanremo nel 1953 con Viale d'autunno in coppia con Flo Sandon's ottenendo così un'enorme popolarità. Nel 1955 vince appunto il Festival di Napoli con E stelle 'e Napule in coppia con il futuro marito Gino Latilla. Nel 1956 porta al successo la celebre Mambo italiano mentre l'anno successivo ottiene un altro exploit al Festival di Sanremo con Casetta in Canadà . In totale la cantante collezionerà 5 presenze al Festival di Sanremo (dal 1953 al 1961) ed altrettante al Festival di Napoli (dal 1952 al 1962), oltre a partecipazioni ad altre rassegne musicali del periodo es.Canzonissima, Un disco per l'estate 1964 ecc.

Musicista, paroliere e compositore, Giuseppe Bonavolontà, fu uno dei più famosi compositori e parolieri che l’Italia abbia mai avuto. Fu, infatti, tra i protagonisti della creazione e dell’ascesa di una musica leggera squisitamente italiana, scevra da i canoni d’oltremanica e d’oltre oceano.
Bonavolontà nacque a Marigliano il 3 febbraio 1886 e frequentò il conservatorio "San Pietro a Majella" di Napoli, ove conseguì il diploma. Il suo talento lo portò lontano dalla natia Marigliano: dopo il diploma, infatti, Giuseppe Bonavolontà divenne professore di corno presso l’accademia "Santa Cecilia" di Roma.Egli ebbe quattro figli, tre dei quali hanno lavorato nell’ambito della musica: il più celebre è senza dubbio Mario, il quale ha condotto col nome d’arte Mario Riva il celeberrimo "Musichiere".

Michele Galdieri, figlio del poeta Rocco, paroliere, autore di gran fama, autentico signore dello spettacolo per un quarantennio (dal 1925 al 1965) scrisse un gran numero di riviste e spettacoli a partire da: L'Italia senza sole, del 1925, quando aveva appena 23 anni. Ha scritto per i fratelli Eduardo, Titina e Peppino De Filippo, Totò e Anna Magnani, Odoardo Spadaro e Lucy D'Albert, Wanda Osiris e Carlo Dapporto, Renato Rascel e Nino Taranto, Aldo Fabrizi e Paola Borboni.
Il suo contributo al cinema è minimo rispetto a quello teatrale: fra soggetti e sceneggiature collabora a soli nove film, fra i quali Totò a colori (1952) di Steno, praticamente una trasposizione sul grande schermo dei più noti sketch teatrali del principe De Curtis, come la celebre scena nel vagone letto fra il maestro di musica Antonio Scannagatti/Totò e l’onorevole Cosimo Trombetta/M. Castellani.
È l'autore dei testi di molte canzoni, fra cui la celeberrima canzone "Munasterio 'e Santa Chiara", lanciata da Giacomo Rondinella negli anni quaranta, e di Portami tante rose, su musica di Cesare Andrea Bixio, interpretata da moltissimi artisti.

Vince "'E stelle 'e Napule"


Io avrei fatto vincere "Doje stelle so cadute"


A questa edizione partecipa ANTONIO VISCIONE, in arte VIAN (musicista autodidatta) che  salvo rare eccezioni, fu sempre presente con belle canzoni e buoni piazzamenti. 'O ritratto 'e Nanninella, cantata da Sergio Bruni  in coppia con Gino Latilla ebbe un notevole successo e si classificò per un pelo dopo i primi tre posti. 
Di questo grande Maestro, la celeberrima LUNA ROSSA, versi di Vincenzo de Crescenzo.
Grande successo di pubblico ottenne 'A bonanema 'e ll'ammore (Jovino e M. Festa) interpretata dal grande Nino Taranto e da Gino Latilla (ancora...) che in quell'anno portò sul palco ben sei canzoni, ben quattro in finale. Anche Achille Togliani ne interpretò sei portandone però due in finale.

 
 
 

Illudimi, anzi "Lusingame"...

canzoni

Scritta da Vincenzo De Crescenzo e da Nino Taranto con Antonio Vian (nome d'arte di Antonio Viscione). La canzone venne pubblicata dal direttore d'orchestra Mario Festa nel 1956. Il brano venne interpretato dalla soubrette popolare Tina De Mola, prima moglie di Renato Rascel.
"Lusingame", è una delle canzoni d’amore più belle mai scritte. Non posso fare a meno di svelare nell’occasione che questa canzone Nino Taranto la scrisse, non come si potrebbe facilmente pensare per un’amata in fuga, ma per dedicarla alla figlia Maria sul punto di convolare a giuste nozze.
Magnifico e struggente brano, portato al trionfo dalla "voce di Napoli", fu successo internazionale grazie alla voce del Maestro Sergio Bruni. con una incisione del 1957.
Un piccolo grande ricordo per Massimo Troisi: Renzo Arbore racconta "Andava pazzo per «Lusingame»: mi sarebbe piaciuto realizzare un disco in cui lui avrebbe cantato con quella voce sottile"
Ascoltatela. preferibilmente in silenzio, di notte e ad occhi chiusi... nella versione di un altro Grande (lo sarà forse postumo,fai gli scongiuri Mario ^__^, ma lo sarà...) Mario Maglione, al quale mi legano ricordi di conoscenza adolescenziali.

 
 
 

Sciantose e cafè chantant

generi

Il Café Chantant, oggi noto come cabaret, nacque a Parigi: il primo cabaret europeo fu lo Chat Noir, creato nel 1881 dal pittore Rodolphe Salis nel quartiere bohemien di Montmartre. Parigi divenne il centro europeo della belle-époque, ma i locali adibiti a Caffè Concerto si diffusero anche in altre nazioni.
Il Caffè si trasformò da bar a luogo di spettacolo nella seconda metà del XIX secolo, ed a Parigi il Café Chantant raggiunse il suo massimo splendore in locali quali Le Moulin Rouge, Le Chat Noir e Les Folies Bergères. Divi come la cantante Thérésa vi cantavano le loro canzoni comiche accompagnandole con una gestualità fuori dalle righe. Negli anni ottanta del XIX secolo il café-concert viene allestito all'interno di grandi sale sempre più raffinate perfino durante la stagione estiva e, le rappresentazioni, si trasformano in veri a propri spettacoli di varietà, nel corso dei quali era anche possibile assistere ai primi spettacoli di varietà con scene "discinte".
A Napoli, a partire dall'inizio secolo, era usanza recarsi al cafè chantant, commistione d'intrattenimento con degustazioni, durante le quali si potevano ammirare le performance delle "sciantose" (prima, su tutte, resterà Maria Sarti alias Ninì Tirabusciò, casuale inventrice della famosa "mossa") e dei fantasisti (ai quali si aggiunse, al debutto, un giovanissimo Totò).
Napoli tuttavia vanta una sua autonoma invenzione del caffè concerto e di un numero che darà a sua volta origine ad un particolare genere di spettacolo: lo spogliarello. Fu così che nel 1875 Luigi Stellato in collaborazione col musicista Francesco Melber, nella rielaborazione di un motivo popolare creò ' A cammesella, divertente duetto tra sposini, con il marito che tende a eliminare a uno a uno i numerosi schermi dietro i quali la moda del tempo nascondeva le grazie della sposa, e quest'ultima che, di volta in volta, si schermisce e cede.

Napoli al tempo delle sciantose
- di Pietro Gargano

Amori folli, passioni travolgenti, colpi di pistola e tragedie, patrimoni in fumo e suicidi. Venivano considerate donne di lussuria. La vita tumultuosa e la fine drammatica di Blanche De Mercy, uccisa per gelosia nella stanza di una pensione a Posillipo.
Gabrielle Bressard si tolse la vita davanti alla porta dell'amante, Edoardo Scarfoglio, fondatore de "Il Mattino". Accusa di concubinaggio per Marianna Monti: finì in convento per evitare il carcere. Vedette straniere, parigine autentiche e "stelle" indigene col nome esotico. Amelia Faraone sposò un mister muscolo dell'epoca: una sua raccomandazione valeva per un posto di lavoro.
Così andava la vita. Il binomio donna-canzone è stato sempre avvolto nei fumi del peccato. Figuriamoci quando spuntarono le sciantose. La Belle Epoque cominciò alla fine dell'Ottocento e bagnò Napoli. Si moltiplicarono i café-chantant, il più bello era il Salone Margherita. La romana Maria Campi aveva già inventato la "mossa", con largo fremito d'anca. Luigi Stellato aveva già inventato lo spogliarello, diventato canzone in "Lievate 'a cammesella". Ma quando arrivarono le "francesi", quasi tutte nate a Napoli e dintorni, fu un'altra cosa.
Le chiamavano sciantose da "chanteuses". Napoli, appena sventrata dopo il colera nell'illusione di risanarla, viveva una stagione di divertimenti nei locali dirimpettai dei vicoli della miseria nera. Le vedette si immersero in un mondo bugiardo e lo vissero con ingenuo ardore, più che con malia. A volte precipitarono nella tragedia.
Le Folies Bergére mandarono a Napoli una parigina autentica, Armand'Ary. Quando intonò il motivo di Mario Costa, "Songo frangesa e vengo da Parigi", fu il delirio. Le dedicarono una canzone e un profumo. La sua parabola calò allo spuntare di Blanche Lescaut, all'anagrafe Emma Sorel, italianissima. Le altre. Ester Bijou si chiamava Giovanna Santagata, veniva da Capua. Ninì Bijou era Anna Baldi, napoletana come Anita Chevry (al secolo Pescrilli) e Carmen Marini. Da Salerno veniva Ester Clary (Palumbo). Gina Chamery era nata a Milano con il nome di Luigia Pizzoni Negri; fu adottata da Napoli. Verace vesuviana, invece, Olimpia d'Avigny.  Vienna De Ruà era toscana.

Primo e massimo cafè-chantant italiano fu il Salone Margherita
Nacque su idea dei fratelli Marino di Napoli, che decisero di importare il modello dei Cafè-chantant francesi in Italia. Venne inaugurato il 15 novembre 1890 nella galleria Umberto I alla presenza della créme cittadina: principesse, contesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao. Simbolo della Belle Époque italiana, ricalcò totalmente il modello transalpino, persino nella lingua utilizzata: i camerieri in livrea e gli spettatori parlavano in francese, i cartelloni, menù e contratti degli artisti scritti nel medesimo idioma. Gli artisti, poi, fintamente d'oltralpe, ricalcavano i nomi d'arte in onore ai divi e alle vedettes parigine. Importanti e famosi artisti che esordirono o frequentarono le assi del Salone furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson,Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani. Tra le star internazionali non mancarono la Bella Otero
e Cléo de Merode.

 
 
 

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