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UNDATED BAR

racconti isterici, criminali e patologiche storie

 

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V

Post n°130 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da alfasica

EZIO CALETTI

 

La mia immagine riflessa era divenuta al pensiero ormai del tutto estranea, mi ero diviso da lei molto tempo prima dell’assasinio. Guardare me stesso era divenuto oramai come guardare chiunque altro perchè il mio essere individuo, la mia unicità di persona, si era perso insieme alla mediazione dei miei stati. Se ogni sentimento e ogni movimento dell’anima, ogni decisione e ogni mio gesto era sottoposto al rigido controllo delle persone che mi era capitato di conoscere, anzi credo anche di tutte le persone che non ebbi mai avuto la possibilità di incontrare, era a causa di quel tacito accordo da sempre esistito tra tutti i viventi, di quella voce silenziosa del Grande Essere che è l’umanità. Questa voce è un canto che crudelmente esclude ogni uomo incapace di desiderare la propria comunione. Nonostante ne prendessi apparentemente parte non ho mai realmente desiderato unirmici. Anzi è per me sempre stato molto difficoltoso abbandonarmi al loro  flusso di intenti, era per me un vento che giorno dopo giorno sentivo mantenere diritto nell’aria il mio esile corpo. Come molti altri ho saputo camminavo verso un meccanismo di azioni vuote. Era il mattino, il mattino era il momento in cui questa mia insofferenza pareva più acuta. Nel tempo il risveglio era divenuto sempre più insopportabile fino a che il desiderio di non lasciare il mio letto lentamente divenne un perverso anelito al sonno perenne. In verità non ho mai voluto rifiutare realmente la vita che era bella da vedersi, tantomeno ripudiare quella piccola esistenza che negli altri tanto disprezzavo. Oggi penso che fosse la mia logica incapacità a farne parte appieno a lasciarmi quella pungente percezione di inappartenenza. Nei pensieri comunque non riuscii    a stringere tra le mani la trama di quei giorni fino al momento in cui non mi scontrai con un’esistenza scarna, fino a quando compresi quanto può essere pericoloso per un uomo il bagliore luciferino dell’intelletto. Toccai la carne viva con un indice. Quella mattina prima dell’ufficio passai all’Undeted e la vidi morta sul retro. Il corpo era stato riposto tra i sacchi della spazzatura, abbandonato nella plastica come si fa con una cara bestiola ormai da dimenticare. Del ritrovamento non dissi mai niente, anzi per tempo custodii nella mia memoria quell’immagine follemente armonica con gelosia. Sempre quel mattino a passi gelidi entrai dalla porta che dava sul traffico della strada e mi sedetti allo sgabello del bancone. Per ore fui attratto da un’intensa distrazione della mente per cui ogni movimento pare intimamente complice del suo stesso ricordo, fu allora che girandomi vidi per la prima volta il piccolo uomo che ancora oggi con la particolare discrezione che lo disegna mi cammina accanto. Quel neo nero di cronaca cambiò il mio destino tanto da sentire il bisogno di ringraziare la rara forma d’amore che lo generò con un sol colpo di pugnale. 

 

 
 
 
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