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Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 03 Settembre 2009 da counselor63
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NOI EDUCATI...

Provo a commentare, per quanto mi è possibile e secondo una mia personale visione, il concetto di educazione dei giovani.


Credo che di modelli di insegnamento, educativi, ve ne siano molti e forse in qualche modo potrebbero essere tutti più o meno validi.

Il problema secondo me da affrontare al di la del modello pedagogico da assumere e più evidente, è invece quello dell’educatore, spesso molto bravo da un punto di vista teorico, molto meno bravo da un punto di vista pratico ed esperienziale.

In particolare nella scuola primaria, per sistema educativo, si tende principalmente se non quasi  esclusivamente, con eccezione di alcuni insegnanti più attenti ai bisogni dei bambini, ad impartire le varie discipline didattiche: aritmetica, storia, lingua italiana e straniera, ecc., ecc..

Questo è sicuramente formativo da un punto di vista della conoscenza e della formazione culturale dell’individuo, ma diventa limitativo quando la base (bambino) per ricevere tali informazioni non è pronta per acquisirle, anche per la velocità di trovarsi da un ambiente familiare ad uno sociale più esteso e sicuramente più competitivo (altri bambini e adulti) ed impositivo (regole). Mi spiego meglio. Considero la scuola, quella delle prime classi, un luogo nel quale si dovrebbero formare i ragazzi alla partecipazione attiva della comunità, passando attraverso lo sviluppo della individuale personalità, secondo le caratteristiche di base dell’individuo stesso. Un luogo dove sarebbe più importante impegnare del tempo (parlo della fase iniziale) all’insegnamento ed all’utilizzo dei propri “filtri” naturali che ci permetteranno di formarci emotivamente nel rispetto di una personalità forte e propositiva, ma ancor di più farci apprezzare la scuola come luogo di libere opportunità e crescita individuale in un contesto piacevole anziché sofferente.

Quando ci accingiamo a frequentare la prima classe elementare, ma forse ciò avviene già nella  classe precedente,  portiamo in una comunità formata da altri nostri coetanei, le nostre esperienze educative, dirette ed indirette e ricevute nei nostri primi anni di vita in un ambiente familiare (inteso come gruppo intimo – genitori, fratelli, nonni, zii).

Improvvisamente siamo costretti a confrontarci con altri nostri simili e obbligati a ricevere informazioni che spesso utilizzano, quasi esclusivamente, salvo qualche eccezione individuale, un metodo educativo piatto e troppo lineare. Il bambino che arriva alla scuola è un vulcano di emotività, talvolta soppressa o libera, comunque non è ancora pronto alla razionalità, alle regole, alla competizione. Occorre secondo me introdurlo nel mondo delle regole, con strumenti che rispettino le sue attuali caratteristiche, evitando di forzarlo verso un atteggiamento troppo ordinato e lineare. Con questo non voglio dire che l’educazione e la formazione di un individuo non debba prevedere anche l’insegnamento delle regole comuni ed in particolare della razionalità, della logica. Ma prima di arrivare a questo, credo che sia necessario che un individuo possa passare dall’ambiente familiare, in cui ha assorbito nei primi anni l’impronta educativa dei suoi tutor (parenti), all’ambiente sociale più esteso, gradualmente, avendo così la possibilità di rielaborare eventuali esperienze emotive negative che potrebbero creare successivamente limitazioni allo stesso.

Per essere più chiaro, vorrei indicare alcuni esempi in cui una persona cresce nei sui primi anni di vita. Esistono ragazzi che hanno ricevuto un’educazione fatta di particolari attenzioni, atteggiamenti iperprotettivi dei genitori e/o chi per loro – vedi “genitore mantello”, oppure fatte di troppe regole – vedi “genitore autoritario”, per non parlare di altre situazioni dove esiste l’assenteismo, fisico e/o affettivo dei suoi punti di riferimento primari, ovvero, l’atteggiamento del “genitore demolitore”, una posizione dell’adulto che demolisce nel vero senso della parola ogni eventuale possibilità di scelta del ragazzo.

In questi anni e relativamente anche all’attività di direttore didattico di un centro di formazione professionale regionale (Lazio), ho avuto purtroppo la spiacevole esperienza di verificare che la scuola, al di la dell’età dei discenti, è considerata dai più, luogo di sofferenza e costrizione.

Eppure la scuola dovrebbe essere quel luogo di “saperi” e “conoscenze”, dove, prima di attivare nell'individuo il potere  dell’intelletto razionale, per conoscere ed approfondire le varie discipline che gli verranno insegnate (leggere, scrivere, contare), sarebbe importante, secondo me, sviluppare il suo intelletto emotivo con un accrescimento della sensibilità di cui ogni essere umano è già dotato dalla nascita, attivandolo all’ascolto attivo del mondo a se circostante, per mezzo dei suoi filtri naturali:

1)      gli organi  di senso;

2)      la rappresentazione interiore del contesto che lo stesso individuo vive.

Lavorando su questi aspetti principali, e qui potremmo discutere sul metodo da utilizzare per farlo al meglio, si proietta il giovane verso una maggiore visione del mondo, dandogli la possibilità di elaborare eventuali tensioni emotive che nella sua prima fase di vita, volutamente e/o involontariamente, potrebbero essersi create in famiglia.


A tal proposito, voglio sottolineare anche che, esistono situazioni in cui il ragazzo ama la scuola e non la vede come luogo di sofferenza, ma bensì come valvola di sfogo intesa a volte anche come motivo di attenzione verso di sé da parte del genitore. Faccio un esempio. In quel ragazzo che accusa una carenza (fisica e/o emotiva) affettiva da parte in particolare del genitore che è un maggiore riferimento educativo/emotivo per lui, lo stesso può sviluppare l’esigenza di ricevere gratificazioni ed attenzioni (carezze ed apprezzamenti, fisici e non) proprio attraverso lo strumento scolastico, divenendo un alunno modello con ottimi profitti.

Anche in questo ultimo caso però, vediamo come il ragazzo porti con sé le sofferenze di una relazione affettiva non conforme, relativamente alla qualità e quantità ricevute, al suo sistema psicoemotivo ordinario, lasciando così inadeguatamente appagate le proprie esigenze emotive che ritroviamo anche nella scala dei bisogni umani prodotta da Maslow.


Credo quindi che l’intervento maggiore oggi, anziché farlo sui ragazzi, sia da fare sugli insegnanti e sulla scuola, i quali dovrebbero, in primo luogo abbandonare i concetti e preconcetti relativi alla struttura del sistema scolastico attuale, ed in secondo luogo, intraprendere un nuovo cammino educativo della propria emotività, di natura esperienziale.

Sono convinto che in questo modo, da una parte, l’insegnante troverà nei ragazzi un terreno più fertile e pronto a ricevere le varie discipline scolastiche con più facilità,  dall’altra parte troverà un ragazzo più propenso all’ascolto del suo insegnante, riconoscendolo, prima come educatore attento ai suoi bisogni emotivi e successivamente fonte di conoscenza.


Questo in parte è ciò che il progetto “Giovani Solidali – Formazione In Valori dei Giovani” (di Ideas Europa), di cui ho già accennato in passato in questo blog,  si prefigge di ottenere. Purtroppo, essendo un prodotto privato e di conseguenza non ancora recepito nel modo giusto dalla macchina istituzionale, rimane difficoltoso introdurlo nella scuola con continuità ed il larga scala. Anche in questo caso, laddove troviamo consensi da parte di presidi e/o direttori scolastici nell’introduzione di questo progetto, nelle scuole che rappresentano, ciò viene sempre fatto  senza un’adeguata formazione. Non parlo della formazione teorico/pratica che viene già somministrata ai docenti che prendono parte al progetto su indicato e/o ad altri progetti in circolazione, ma a quella relativa all’aspetto esperienziale personale dell’insegnante/educatore. Mi spiego meglio. Se un docente vive ancora vincoli emotivi per i quali ha dovuto creare comportamenti compensatori, razionalmente potrebbe aver superato alcune situazioni, ma inconsciamente tali esperienze vissute continueranno ad avere un’influenza sui suoi comportamenti stessi. L’educatore, per come la vedo io, deve essere necessariamente una persona che conosce il nostro sistema psicoemotivo ed il suo funzionamento, avendolo in prima persona sperimentato.


In conclusione, credo che di metodi educativi ve ne siano  molti, ma pochissimi istruiscono gli educatori sul loro funzionamento psicofisico emotivo, sulle funzionalità del’inconscio e sull’importanza della creatività nell’applicazione di strumenti educativi e/o pedagogici.


Massimo Catalucci

 

 
 
 
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