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Post n°956 pubblicato il 22 Luglio 2016 da fresbe
 

Gli analisti ad Agosto 2015, esprimevamo una visione prospettica prudente riguardo al mercato azionario, basata su uno scenario di crescita economica deludente negli Stati Uniti, in piena fase di normalizzazione monetaria, di indebolimento dello yuan cinese, che minacciava la liquidità globale e contribuiva, insieme al deprezzamento delle altre valute emergenti, ad alimentare le pressioni deflazionistiche latenti, già aggravate dal "crack" petrolifero. Negli Stati Uniti, l'inversione di tendenza della politica monetaria rappresentava la novità dello scorso trimestre. Manterrà gli “investimenti rischiosi” sotto pressione, rischiando di trasformare in recessione il rallentamento congiunturale statunitense. Nell’Eurozona previsto, il perdurare delle pressioni deflazionistiche, con la riduzione della liquidità, controbilanciata dal Qe.  
La Federal Reserve ha confermato la previsione, contribuendo all’indebolimento del dollaro. La Cina, invece, ha fatto ricorso al impiego combinato di misure fiscali, monetarie, e al parziale controllo del suo mercato valutario, per contrastare i deflussi di capitali. La BCE, dal canto suo, come si suole dire “è ricorsa al bazooka” per cercare di neutralizzare le pressioni deflazionistiche che affliggono l’Eurozona. Queste decisioni prese congiuntamente hanno contribuito a trasmettere ai mercati l’impressione di un’azione architettata, che ha migliorato il livello di “fiducia” e favorito il rimbalzo degli investimenti rischiosi, in particolare nei due paesi che costituiscono le forze trainanti della crescita mondiale: gli Stati Uniti e la Cina. Entrambi beneficiano del rinvio del rialzo dei tassi statunitensi, i primi grazie a una maggiore credibilità in una crescita più sostenibile e in un dollaro maggiormente competitivo, il secondo – insieme a tutto l’universo emergente – grazie a un contesto di liquidità più favorevole. Quest’ultima è sostenuta dalla svalutazione dello yuan, al momento non più così indispensabile grazie a una politica monetaria statunitense più accomodante del previsto, al indebolimento del dollaro e, per i paesi produttori di petrolio, alla crescita del prezzo del barile di greggio.
Questo miglioramento dovrebbe indurre gli Analisti ad una diagnosi macroeconomica diversa rispetto a quella formulata ad Agosto 2015? I limiti dell’intervento delle Banche Centrali, iniziano a essere estremamente tangibili in Europa e in Giappone, che risentono dell’apprezzamento della loro valuta rispetto al dollaro nonostante i tassi negativi. Inoltre, il problema relativo alla capacità di ripresa dell’economia statunitense, escludendo stimoli aggiuntivi, si porrà nuovamente nel contesto di rallentamento economico che continua a permanere.

N.B.: Quando la macroeconomia si occupa di Borsa, Titoli e Monete, diventa avulsa dalla realtà dell’Economia Reale. Le fluttuazione dei cambi rientrano in una strategia di scacchi tra USA e Cina, mentre l’Europa con la sua BCE, può solo assistere, continuando ad immettere liquidità tramite l’operatività del Qe. Non se ne esce: siamo in STAND BY. 

Commenti al Post:
fresbe
fresbe il 22/07/16 alle 11:47 via WEB
Sarebbe corretto ritenere opportuno e non più rinviabile, un PROGETTO di ripresa anti-crisi, concertato tra USA-CINA-UE. La svalutazione competitiva del dollaro, ha agevolato le esportazioni USA e l'interesse per il "mercato interno" (ignorato per lungo tempo...) ha consentito alla CINA di ridurre gli effetti delle esportazioni in crisi a seguito della contrazione dei consumi (della domanda...) La CINA vive in effetti una situazione di eccesso di liquidità con perdita delle opportunità di investimento. Quando la DOMANDA è recessiva ed i consumi languono, l'OFFERTA (produzione...) patisce ripercussioni devastanti.
 
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