Creato da thallullah il 29/04/2006

Carina, la poesia.

...la cosa che fai con gioia,come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo.

 

 

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Carina Spurio di Simone Gambacorta

Post n°158 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da thallullah

Vive a Teramo e sinora ha pubblicato “Il sapore dell’estasi” (Kimerik, 2005), “Il sapore dell’estasi”, in riedizione aggiornata (Kimerik, 2006), “Lacca di garanza” (Il filo, 2007), “Tra Morfeo e vecchi miti” (Nicola Calabria Editore, 2008), “Narciso” (Evoè, 2009).

Quando hai iniziato a scrivere versi?

«Durante il periodo dell’adolescenza, tempo in cui annotavo pensieri e sensazioni sui fogli. Successivamente ho dimenticato i versi nel solito cassetto per anni. Dopo il 2005, anno del mio esordio, tra una melodia armonica e una scansione diversa, la Poesia resta nella mia vita a reclamare il suo posto. Nelle nuove composizioni poetiche abbandono lo stile originario poco incline alla regolarizzazione, e il diario appartenente all’adolescenza, fitto di appunti e di versi sospesi, verrà sostituito da un verso che si nutre della potenza delle immagini, in cui il linguaggio poetico, costruito osservando le opere d’arte, tocca il confine ambiguo delle parole, all’interno delle quali resta sempre un fragile equivoco».

Come si è sviluppato, nel tempo, questo legame con la scrittura?

«Dal flusso anarchico del logos che dentro me sembra un desiderio in grado di ragionare».

Cosa significa scrivere poesie?

«Catturare gli episodi della realtà attraverso vocabili accuratamente scelti e il gusto di cimentarmi in costruzioni inedite e originali partendo dalla parola; l’elemento complesso in cui convivono verità ed illusione».

Come nasce una tua poesia? Di getto? Poco alla volta?

«Di getto; tra l’estrema audacia e l’estremo pudore».

Vorrei descrivessi in che modo lavori nel tuo “laboratorio” creativo.

«L’atto di comporre versi è enigmatico, poco chiaro anche a chi li scrive. Raramente l’atto compiuto coesiste nella persona che spesso è incapace di spiegare da dove nasca la prima idea. Quando un verso mi appartiene, perché nasce da una mia esigenza emotiva, lo scrivo di getto come se le emozioni del mondo fossero impresse sulla mia pelle. Diversa è la creazione di un verso realizzato al cospetto di opere d’arte. In quest’ultimo contesto cerco la vibrazione delle cose, ma alla fine le immagini lasciano trasparire lo stesso i miei turbamenti. Lo confermano alcuni versi nella fase della rilettura, all’interno dei quali tutto diviene unico sentire, l’opera, le mie emozioni e le cose osservate sono protagonisti della stessa scena. Questo spiega bene come la poesia sa intuire, avvertire e cogliere la direzione giusta, svelando le potenzialità contenute nell’opera per deformarle e riformarle in un silenzio pieno di parole».

Quand’è che capisci che una poesia è “finita” e che può camminare da sola verso chi vorrà leggerla?

«Quando rileggendo la poesia, il suono del componimento è continuo e il punto è solo alla fine».

Quali sono i libri di poesia che sinora hai pubblicato?

«“Il sapore dell’estasi”, poi “Il sapore dell’estasi” in riedizione aggiornata, “Lacca di garanza”, “Tra Morfeo e vecchi miti”, “Narciso”».

Vorrei dessi una “tua” definizione di ciascuno di essi.

«“Il sapore dell’estasi”: l’errore da cui nasce una ragione. “Il sapore dell’estasi”, in riedizione aggiornata: l’allegra insolenza. “Lacca di garanza” : les jeux sont faits. “Tra Morfeo e vecchi miti”: io non so ben ridir com’i’ v’intrai. “Narciso”: ethos anthropoi daimon, cioè il carattere è il destino».

Da un punto di vista intimo, da un punto di vista interiore, quanta scommessa c’è in ogni verso?

«Nessuna, ovviamente. Di fronte alle insidie di un mondo centrato su logiche economiste, malato di tecnologia e ipercomunicazione virtuale, quanta scommessa potrebbe esserci in un fragile verso? La follia estatica del canto vive dentro a chi la sa percepire. E in un tempo finito tra l’assenza, la mancanza, la rinuncia, l’essere cerca ancora di decifrare il codice terrestre e di raggiungere l’altro con un filtro di parole, pensieri e viscere. La poesia per molti rappresenta un bisogno, raramente una scommessa».

Mi riferivo a una scommessa intima…ma dimmi, il verso è ustione o lenimento?

«Entrambe le cose. A volte la forza astratta, nel suo insistere sembra un urlo pronto ad esplodere. Nel momento del risveglio, alcuni versi raccontano il gioco della vita: rivelando le fenditure dell’anima più o meno profonde, fatali, ustionanti; è così che il verso lenisce il dolore, attraverso l’esorcismo delle parole».

Che tipo di “ascolto” è quello che precede la nascita d’una poesia?

«Mi capita di ascoltare i suoni del silenzio, di respirare l’aria e sentirla scendere giù, sempre più giù, fino a percepirne il punto più profondo. Tutto è più nitido quando le parole arrivano dal silenzio. Le senti suonare come note fuori dagli spazi. Note perverse come sibili assordanti. Può avere un fascino perdersi nelle singole parole. Scoprirsi in un verso. Avviare un gioco di ruolo cercando le ragioni dell’ essere fino all’attimo in cui il corpo e la parola, vibrano nella tensione tra ragione e istinto. In quei momenti, il tempo si ferma e nel luogo in cui l’esistenza ha inconsciamente altre intenzioni, le cose si osservano con altri occhi».

Nella tua quotidianità cosa rappresenta la poesia?

«Il nostro è un tempo che scorre veloce. Gli uomini e le donne vivono immersi nel sovraccarico di lavoro e nello stress. Resta poco tempo per leggere, per ascoltarsi, per sentire con il corpo, l’anima e lo spirito. Le immagini reali sono frenetiche e il quotidiano è in lotta con un male divorante; l’individualismo. Siamo spesso chiusi in una stanza, vittime consapevoli della tecnologia. Chi scrive poesia sa che è un altrove di resistenza; da essa sgorga la consapevolezza dei limiti umani che aderisce perfettamente alla nostra natura interiore. Ma in una realtà che non ha una vera corrispondenza con i nostri bisogni interiori non scrivo solo poesia ma milito poesia, affinchè quest’ultima venga diffusa. Da due anni curo un premio di poesia internazionale. Seleziono la giuria e mi occupo della stesura dell’antologia che raccoglie le poesie dei partecipanti al premio. Realizzo personalmente anche la copertina del testo che illustro con le opere d’arte di nuovi talenti scoperti durante le mie interazioni culturali».

Che tipo di dettato poetico cerchi? Lineare, terso, oppure articolato e complesso?

«La parola è un rischio da correre affinchè si compia l’incontro con noi stessi, per questo, la lascio libera nel tratto di un verso, perché il verso possa mantenere intatto il suo senso, nato dal desiderio selvaggio e impresso in uno spazio che non può e non deve essere addomesticato. Cerco, per quello che posso, di proteggere l’autenticità del dettato poetico che prediligo terso e lineare».

Quali sono i poeti con i quali ti sei formata?

«Tre poeti mi hanno appassionato in passato: Foscolo, per aver mantenuto nalla sua poetica la drammaticità della vita. Baudelaire, il più famoso e il più letto in tutto il mondo, perchè chiude definitivamente la pagina della poesia romantica e apre quella (ancora) vergine della poesia moderna e sperimenta l’amore nella sua forma carnale e passionale. Neruda, per aver posto la donna dentro un mito cosmico tra uno scenario grandioso e selvaggiamente naturale. E’ relativamente recente il mio interesse per Thomas Stearn Eliot, poeta, drammaturgo e critico letterario statunitense che appartiene al movimento dei modernisti. La poesia modernista è una poesia di immagini, non presenta sequenze ordinate di pensieri, né, uno sviluppo logico; vive di una serie di fotogrammi non collegati. L’ associazione tra il miei versi e il pensiero di Eliot in questi ultimi anni è stata ricorrente, ciò mi ha fatto capire che avevo raggiunto l’ altro e gli altri, dunque avrei potuto esistere, tra il fiume del tempo, tra l’acqua e la terra, in un sogno da trasformare ancora».

C’è più menzogna o più verità, in una poesia?

«La poesia è in grado di mettere l’autore in relazione alla profondità del suo essere, pertanto si è portati a pensare che essa esprima la verità. Di tale asserzione, non sono assolutamente convinta. La lirica, si sa, trae origine da intense percezioni soggettive, alle quali, unisce l’esigenza della libertà creatrice coerente alle sue ossessive patologie, nel luogo in cui, il pensiero, si condensa in un’altra forma e tocca i territori della finitudine e del nulla. Questo per dire che nell’altro lato del sé, luogo praticamente inesplorato, possono tranquillamente giocare suggestioni, fascinazioni e un “sentire” del tutto personali. Ma chi ama la poesia sa che è necessario viverla entrando e uscendo dal suo ritmo, rispettando il suo canto, seguendo il suo percorso. E il poeta, che vive il presente, sa di essere estraneo al suo tempo ma non sa, da dove nasce e muore il canto, né, se il suo viaggio avrà mai un termine

 
 
 
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