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IL DUBBIO

Post n°419 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da DolceA0

Questo film, visto con gli amici bloggers, mi ha suscitato alcune riflessioni in generale sulla natura del cinema.

 

 

Si disquisì molto agli inizi del secolo scorso su questo nuovo mezzo espressivo. I teorici dell'epoca si domandavano se il cinema potesse essere considerato arte o meno. Dopo tanto disputare si convenne di nominare il nuovo intruso nel campo delle arti La settima arte, proprio perchè dotato di un suo linguaggio individuale e tipico. Più che come spettacolo, il cinema si presenta come un modo di concepire e pensare le immagini, non più a partire dalla immobilità (la fotografia da cui ha tratto origine) ma dal movimento e dalla riproducibilità

Data quindi per scontata la peculiarità dello statuto del cinema, ovvero la VISIONE - è quindi la funzione dell'occhio associato all'emozione provata a determinare il sentimento del bello - va aggiunto che spesso il cinema, per la sua complessità, viene associato a una cattedrale, o cmq a un'opera architettonica, essendo la somma di varie competenze e abilità diverse.

 

Il film ha un suo architetto che ne disegna soggetto e sceneggiatura, un suo ingegnere che ne dirige la lavorazione, i suoi attori che mettono in risalto l'opera dell'architetto e dell'ingegnere e soprattutto tantissimi tecnici (il direttore della fotografia, il montatore - che danno il ritmo e il tono all'opera - con un corteo di altre figure altrettanto indispensabili come l'operatore, il fonico, i costumisti, i musicisti, ecc) che pongono materialmente mattone su mattone.

Ma, quando vado a vedere i film come il Dubbio mi viene un enorme dubbio di essere stata raggirata. Il film non solo proviene da un testo teatrale, ma è stato anche girato dallo stesso autore, sceneggiatore già premio Oscar, John Patrick Shanley. E si vede. Perchè incentrato così sul testo lascia in secondo piano tutti quei mattoni di cui parlavo prima. Ma allora, mi viene in mente, perchè non lasciar fare a ognuno il proprio mestiere? Perchè non portare sui nostri palcoscenici l'opera teatrale invece di farne una riduzione cinematografica? Sono forse motivi economici?

Il testo in sè è interessante perchè pone  lo spettatore al centro di un vento turbinoso (come quello che fa avvolgere le vesti di sorella Aloysius) che soffia da un versante domande filosofiche - specie a seguito dei sermoni del bravo Philip Seymour Hoffman - e dall'altro i dubbi di coscienza nell'agire della perfetta Maryl Streep.

Che dire...??? Con le parole del Maestro Peter Greenaway mi piacerebbe concludere questa tirata sul cinema in generale e così farò:

"Non c’è una coscienza o un’istruzione per la produzione di immagini. Non basta avere gli occhi per essere capaci di vedere.
Nonostante viviamo in un mondo molto influenzato dalle immagini, credo ci sia ancora un enorme analfabetismo visivo.
Nel linguaggio dell’immagine non c’è la stessa complessità che troviamo nel linguaggio testuale.
Per questo abbiamo il cinema che abbiamo. Non abbiamo visto il vero cinema, ma solo 105 anni di testo illustrato.
Suppongo che la mia missione estetica e sociologica, il mio approccio, sia suggerire che ogni operatore dovrebbe passare almeno 3 anni a dipingere o a studiare i dipinti , prima di toccare una macchina da presa. Sarebbe l’unico modo per esercitare l’occhio a osservare e guardare con cognizione di causa."

Voto 5 e mezzo

P.S. Merito dell'opera: aver fatto resuscitare dalla mia memoria questa song  - che non c'entra niente con il film...però quell'organo alla fine mi ci ha fatto pensare...

 
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