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Cineforum 2015/2016 | 10 maggio 2016

ROOM

Regia: Lenny Abrahamson
Soggetto: Emma Donoghue (romanzo)
Sceneggiatura: Emma Donoghue
Fotografia: Danny Cohen
Musiche: Stephen Rennicks
Montaggio: Nathan Nugent
Scenografia: Ethan Tobman
Arredamento: Mary Kirkland
Costumi: Lee Carlson
Effetti: Ed Bruce, Screen Scene
Interpreti: Brie Larson (Ma'), Jacob Tremblay (Jack), Joan Allen (Nancy), Sean Bridgers (vecchio Nick), Tom McCamus (Leo), William H. Macy (Robert), Matt Gordon (Doug), Amanda Brugel (agente Parker), Joe Pingue (agente Grabowski), Cas Anvar (dott. Mittal), Wendy Crewson (hostess del talk show), Sandy McMaster (veterano), Matt Gordon (Doug), Joan Allen (Nancy), Jee-Yun Lee (speaker news), Randal Edwards (avvocato), Justin Mader (agente FBI), Ola Sturik (reporter #1), Rodrigo Fernandez-Stoll (reporter #2), Rory O'Shea (reporter #3), Tom McCamus (Leo), Kate Drummond (vicina), Jack Fulton (amico di Jack)
Produzione: David Gross, Ed Guiney per Element Pictures/ Film4/Irish Film Board/No Trace Camping
Distribuzione: Universal Pictures Italy
Durata: 118'
Origine: Irlanda, Canada, 2015
Golden Globe 2016 a Brie Larson come miglior attrice; Oscar 2016 a Brie Larson come miglior attrice protagonista.

Ma' vive per il suo bambino di soli 5 anni. Gioca con lui, gli racconta storie, cerca tutti i modi per farlo divertire. Nonostante ciò, è difficile nascondere che vivono in una ‘stanza’ di 9 metri quadrati e senza finestre, solo un lucernario da cui vedere una porzione di cielo. Jack è un bimbo curioso e Ma' è consapevole che il figlio ha raggiunto l'età giusta per aiutarla a mettere in atto il suo piano di fuga per raggiungere insieme il mondo fuori.
Un’agente di polizia intima di tacere a un collega superficiale e rinunciatario, mentre cerca di dare senso alle parole confuse di Jack, il bambino protagonista di “Room, che vede il mondo per la prima volta. Da ottima detective, in pochi istanti decodifica informazioni all’apparenza incomprensibili che il collega riteneva prive di senso. C’è, in questa donna, ottimismo, determinazione e grande senso praticoOltre a un’intesa immediata e materna con Jack. Poco dopo, il nonno di Jack non riesce a sopportare la paternità biologica del nipote, e si fa da parte impacciato, incapace di dire una parola. Queste attitudini rinunciatarie (quella del poliziotto e del nonno) sono entrambe aspetti di un modo di affrontare il mondo con scarsa sensibilità, con scarsa propensione al qui e ora, all’apertura, all’ascolto e all’accoglienza.
La stanza del titolo è quella dove è nato e cresciuto Jack (lo straordinario Jacob Tremblay), recluso per anni insieme alla madre (Brie Larson, appena premiata con l’Oscar). Al compimento del quinto anno di Jack, la madre comincia ad escogitare tentativi di fuga, ma si trova ad affrontare la forte ostilità del figlio all’idea che ‘stanza’ e ‘mondo’ non coincidano come lei gli ha sempre fatto credere.
il rapporto madre-figlio è il vero fulcro attorno a cui ruota “Room, e non avrebbe molto senso chiedersi se il film sia più onesto o più ricattatorio sul piano dei sentimenti. Quel che vale la pena indagare è il modo in cui Abrahamson illustra, anche in termini cinematografici, una relazione dal sapore archetipico.
Non a caso, i momenti decisivi del film arrivano nella seconda parte, in cui si racconta l’incontro con la vita attraverso la doppia prospettiva del bambino - per il quale si tratta di un primo approccio al mondo - e della madre, per la quale si tratta invece di un ritorno. E se nel romanzo di Emma Donoghue (qui anche sceneggiatrice) il punto di vista è quello del bambino, la sua prima persona singolare, il film sceglie uno sguardo ambivalente. Solo in pochi momenti, infatti, gli occhi di Jack fanno da tramite a quelli dello spettatore (con l’aggiunta talvolta della voce over del bambino), mentre in generale viene restituita sia l’innata capacità dei bambini di fronteggiare situazioni devastanti per gli adulti, sia la difficoltà, per una donna, di rimpossessarsi della propria vita dopo aver subìto un trauma. L’interesse del film sta perciò sia nello scoprire il mondo attraverso Jack (in un’età in cui è già in grado di elaborare razionalmente la realtà), sia nel vedere come la forza della madre derivi dal trovare proprio nel figlio quella capacità che a lei manca.
Parlando a un livello puramente emotivo, e rischiando per questo di non venire colte sul piano razionale, “Room crea una forte tensione tra la sfera intima del rapporto madre/figlio, accogliente ma soffocante come la Stanza, e il mondo esterno, che per Jack è affascinante ma ancora tutto da scoprire, anche negli aspetti più oscuri. In termini simbolici, la Stanza non è altro che il luogo psichico della sicurezza e delle relazioni più profonde, materializzazione di quell’accoglienza femminile che trova nella maternità il compimento ideale. Accudito dalla madre, Jack idealizza la Stanza come spazio dell’intimità, subendone il fascino anche al di fuori: è dunque necessario che il bambino si liberi del rapporto totalizzante con la madre per poter cominciare a vivere nel mondo reale.
Scoprendo il mondo, Jack impara ad accoglierlo, ne ridefinisce le coordinate grazie agli strumenti trasmessigli dalla madre. La posta in gioco, per lui, sarà mantenere la meraviglia di uno sguardo sempre meno ‘vergine’; mantenere intatta, insomma, la capacità di accoglienza. Anzitutto attraverso la fantasia.
E il finale del film, senza rivelare nulla, rappresenta proprio l’attraversamento, da parte del bambino, della prima conradiana linea d’ombra. L’inizio della fine dell’infanzia. Solo demistificando i miti, in fondo, ci si prepara a fare i conti con la vita.
Stefano Santoli, Cineforum

La storia narrata nel film dell’irlandese Lenny Abrahamson (e nel libro di Emma Donoghue) s’ispira a un caso di pochi anni fa. Nel 2008 si scoprì che l’austriaco Josef Fritzl, ora in carcere a vita, aveva tenuto per 24 anni sua figlia Elisabeth segregata in un bunker dove abusava di lei e dove erano nati sette figli incestuosi. Nel film una giovane donna vive rinchiusa con il suo bambino di 5 anni ricevendo le visite dell’uomo che l’ha rapita e dalle cui violenza il bimbo è nato. La ragazza ha allevato il figlio, ignaro del mondo esterno, compiendo ogni sforzo perché il piccolo si senta protetto e amato (come Benigni con il piccolo Giosuè). Ma sono le scelte di regia il pregio del film. Senza introduzioni o spiegazioni dapprima veniamo interamente calati nell’universo claustrofobico, e poi altrettanto repentinamente avviene lo scioglimento che però prelude alla seconda parte in cui madre e figlio devono fare i conti con la ripresa di una difficile normalità.
Paolo D’Agostini, La Repubblica

LENNY ABRAHAMSON
Filmografia
:
Adam & Paul (2004), Garage (2007), What Richard Did (2012), Frank (2013), Room (2015)

Arrivederci a martedì 11 ottobre per l’inizio della stagione 2015/2016!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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