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Cineforum 2016/2017 | 15 novembre 2016

JULIETA

Regia: Pedro Almodóvar
Soggetto: Alice Munro - (racconti)
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar
Fotografia: Jean-Claude Larrieu
Musiche: Alberto Iglesias
Montaggio: José Salcedo
Scenografia: Antxón Gómez
Costumi: Sonia Grande
Interpreti: Emma Suárez (Julieta), Adriana Ugarte (Julieta giovane), Daniel Grao (Xoan), Inma Cuesta (Ava), Darío Grandinetti (Lorenzo), Michelle Jenner (Beatriz), Rossy de Palma (Marian), Sara Jiménez (Bea), Priscilla Delgado (Antía adolescente), Blanca Parés (Antía 18enne), Sara Jiménez (Beatriz adolescente), Ramón Agirre (Inocencio), María Mera), Agustín Almodóvar (conduttore del treno), Jimena Solano (Antía a 2 anni), Pilar Castro (Claudia, madre di Beatriz), Joaquín Notario (Samuel, padre di Julieta), Nathalie Poza (Juana), Susi Sánchez (Sara, madre di Julieta), Mariam Bachir (Sanáa)
Produzione: Agustín Almodóvar, Pedro Almodóvar, Esther García per El Deseo
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 96'
Origine: Spagna, 2016

Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, cerca di spiegare, scrivendo, a sua figlia Antía tutto ciò che ha messo a tacere nel corso degli ultimi trent'anni, dal momento cioè del suo concepimento. Al termine della scrittura non sa però dove inviare la sua confessione. Sua figlia l'ha lasciata appena diciottenne, e negli ultimi dodici anni Julieta non ha più avuto sue notizie. L'ha cercata con tutti i mezzi in suo potere, ma la ricerca conferma che Antía è ormai una perfetta sconosciuta.
(……) Temerario nel mostrarsi distaccato dalla vigoria ritmica e la provocazione sgargiante che hanno a lungo arricchito la sua fama e il suo palmarès, il regista manchego ha (……) trasposto tre racconti di Alice Munro distillandone un mix che a qualche spettatore (ancorché estraneo alle capriole della Croisette) sembrerà rigido e algido, ma a noi pare invece essenziale e classico. A cominciare dalla stoffa rosso fuoco che nell’incipit, in accordo con le malinconiche musiche di Alberto Iglesias, funziona da richiamo iconico ai simbolismi del sesso, il sangue e la passione da sempre vettori del melodramma, ma subito dopo si rivela un dettaglio di stoffa del vestito della protagonista, la fascinosa ed elegante cinquantenne Julieta in procinto di lasciare Madrid per un buen retiro portoghese insieme al compagno. Succede, però, che l’incontro casuale con l’amica d’infanzia della figlia Antía innesti lo sviluppo del film sul prolungato flash-back di un passato che la devasta implacabilmente: prima la precoce morte del marito e dopo qualche anno di stordimento, la fuga della figlia adolescente della quale da venticinque anni non ha più notizie.
Non si può pretendere che tutti riconoscano nel razionale pessimismo del regista la fedeltà alla personale galleria cinefila in cui spiccano “Il romanzo di Mildred”, “Lo specchio della vita” o “Rebecca - La prima moglie”, però è auspicabile che si colgano e apprezzino le sfumature, i non-detti, le folate del dolore, le maledizioni e i complessi di colpa in grado di trasformare gli automatismi da feuilleton in materia cinematografica allo stato puro. Il risultato, secondo noi, entra nella prima fila dei ritratti femminili del regista, in particolare per il (sia pure non inedito) riferimento ai rapporti madre-figlia forieri di rivalità, gelosia, risentimenti, desiderio d’identificazione e gesti di brutale emancipazione. Un’altra caratteristica del film che lo rende importante, magari non nell’immediato bensì a mano a mano che si sedimenta nella memoria, è la prestazione delle due attrici, la Suarez e la Ugarte, chiamate ad interpretare Julieta in due momenti cruciali della sua esistenza: la seduttività, la fragilità, il narcisismo di cui sono portatrici non sono incrementati dal ricorso alle scene madri proprio perché la loro classe riesce a racchiuderle nella preziosa misura delle espressioni, le movenze e gli scambi dialogici. Protagonista importante, nello stesso senso stilistico, è anche la fotografia di Larrieu pronta a tradurre il sentito e tormentoso ‘spaesamento’ di Almodóvar nel gioco inesausto, sottile, prezioso dei colori.
Valerio Caprara

Nonostante si ispiri a tre racconti tra loro collegati del premio Nobel canadese Alice Munro (dalla raccolta “In fuga”, 2004), il nuovo film di Almodóvar è riconoscibilmente suo, e anzi segna un ritorno a una vena più controllata e felice dopo alcuni passi falsi o mezzi falsi (“La pelle che abito”, “Gli amanti passeggeri”).
Siamo, tanto per cominciare, in pieno mélo fin dall'inizio, con una insegnante di mezza età, Julieta, che sta per lasciare la Spagna per il Portogallo. Ma, quando le arrivano vaghe notizie della figlia Antía, decide di restare, anzi di tornare in una misteriosa casa a cui è legata, e ripiomba in ossessioni che credeva sepolte. Scopriremo, in una lettera che diventa un lungo flashback, la sua storia e il suo arrovellarsi sulla separazione da Antía. Insomma, siamo precisamente in quello che gli americani chiamano maternal melodrama, il melodramma di madri e figlie, uno dei generi più fiammeggianti e viscerali. Rispetto ad altri film di Almodóvar, il tono è esplicitamente più trattenuto, quasi che, più che lasciarsi andare, il regista volesse anzitutto scrutare i meccanismi della sofferenza, dell'amore, del lutto, con una suspense ben oliata, sulle musiche di Alberto Iglesias che a tratti ricalcano quelle di Bernard Herrmann per i film di Hitchcock. La scena iniziale in treno, che racconta l'incontro tra Julieta e il suo futuro compagno, è un vero pezzo di bravura. E tutto il film ha una sua coesione indubbia, anche quando la freddezza può rendere lo spettatore meno partecipe. Almodóvar ha poi una maniera sopraffina di filmare le donne, che qui è abbastanza depurata anche da ogni gusto pop. Il personaggio principale è interpretato da due attrici ugualmente brave e diversamente affascinanti, entrambe al loro primo ruolo con il regista madrileno: Adriana Ugarte è Julieta da giovane, con taglio e abiti anni ‘80, e Emma Suarez la interpreta ai giorni nostri. Tutte e due recitano con compostezza attraversando sventure e passioni nell'arco dei decenni, in tono con quello che lo stesso regista ha definito «un drama seco, sin gritos»: un dramma asciutto, senza strepiti.
Emiliano Morreale, La Repubblica

PEDRO ALMODÓVAR
Filmografia:
Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980), Labirinto di passioni (1982), L'indiscreto fascino del peccato (1983), Che ho fatto io per meritare questo? (1984), Matador (1986), La legge del desiderio (1987), Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988), Légami! (1989), Tacchi a spillo (1991), Kika (1993), Il fiore del mio segreto (1995), Carne tremula (1997), Tutto su mia madre (1999), Parla con lei (2001), La mala educacion (2004), Volver (2006), Gli abbracci spezzati (2009), La pelle che abito (2011), Gli amanti passeggeri (2013), Julieta (2016)

Martedì 22 novembre 2016:
ANOMALISA di Charlie Kaufman, Duke Johnson

 

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