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Cineforum 2016/017 | 6 dicembre 2016

DHEEPAN - UNA NUOVA VITA

Titolo originale: Dheepan
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Noé Debré, Thomas Bidegain, Jacques Audiard
Fotografia: Éponine Momenceau
Musiche: Nicolas Jaar
Montaggio: Juliette Welfling
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: C. Bourrec (Chattoune)
Effetti: Julien Poncet de La Grave, Cédric Fayolle
Interpreti: Antonythasan Jesuthasan (Dheepan), Kalieaswari Srinivasan (Yalini), Claudine Vinasithamby (Illayaal), Vincent Rottiers (Brahim), Marc Zinga (Youssouf)
Produzione: Pascal Caucheteux, Jacques Audiard per Why Not Productions/Page 114/France 2 Cinéma
Distribuzione: BIM
Durata: 114'
Origine: Francia, 2015
Palma d'Oro al 68. Festival di Cannes (2015)

Dheepan fugge dallo Sri Lanka e dalla guerra. Viene accolto in Francia come rifugiato politico insieme a una donna e a una bambina che lui spaccia per la sua famiglia. Inizia a lavorare come portiere in uno stabile residenziale nella periferia di Parigi e ha un solo desiderio: avere una vita normale. L'apparente tranquillità viene disturbata da un gruppo di spacciatori di droga che dettano legge nella zona. Dheepan si trova davanti a un bivio e la scelta non è semplice.
Una zona di fuoco dentro Parigi. Ma lo sguardo estraneo sulla banlieue sembra ispirarsi a Montesquieu e alle sue “Lettere persiane”, il romanzo scritto dal filosofo francese nel 1721 dove la Francia era guardata attraverso gli occhi di due viaggiatori persiani. Il titolo, in quest’ultimo film di Jacques Audiard, prende invece il nome dal protagonista. Dheepan è una ‘tigre tamil’, membro di un gruppo nazionalista che si batte per l’indipendenza dello Sri Lanka, che decide di fuggire dal proprio paese insieme a una donna e una bambina di 9 anni che spaccia per sua moglie e sua figlia. Si conoscono appena e a Parigi tentano di costruire una vita migliore. Ma non sarà facile.
La macchina da presa del cineasta francese si attacca sui protagonisti, ne diventa a tratti quasi una specie di seconda pelle. Si affida agli attori tamil non professionisti Anthonytasan Jesuthasan e Kalieaswari Srinivasan, ne cattura paure, tensioni, movimenti del corpo con cui cercano di comunicare per superare la barriera della lingua. Non è solo un film sulle banlieues e sull’immigrazione. Ad Audiard non interessa. C’è invece un senso di soffocamento che chiude lo spazio. Come la discoteca di “Sulle mie labbra” e il penitenziario di “Il profeta”. Il suo cinema torna a una fisicità nervosa. Ogni inquadratura è come uno schiaffo. Cattura suoni, scontri, colori che diventano pirotecnici come nella scena dei fuochi d’artificio. Il suo sguardo sembra gettarsi a capofitto. Dheepan cerca di ritagliarsi uno spazio suo per poi poterlo dominare, proprio come Malik in “Il profeta”. Il cortile diventa un’altra zona di fuoco, come nelle immagini che si vedono in tv. La tensione è altissima, evidente nei tentativi di dialogo tra la finta moglie del protagonista e il figlio spacciatore dell’uomo da cui va a fare le pulizie. Si sente sempre un’energia esplosiva nel suo cinema, stavolta ancora più assordante, quindi più scomposta. La guerra non è finita in “Dheepan”. Si è come spostata su un altro posto. Mobili che volano dall’alto, due momenti di sparatorie esemplari, scontro tra il protagonista e il suo colonnello. Audiard non trattiene il movimento e il continuo attrito creato sembra contagiare tutto. Dheepan canta una canzone del suo paese. La parola è come un gesto disperato, come un’altra azione di guerra. Poi, lo sguardo degli altri. I tre personaggi vivono con la paura di essere visti. Si nascondono anche istintivamente, si riparano nella loro non conoscenza del francese. Simulano malamente (il bacio dato dalla madre alla figlia davanti la scuola) perché non hanno neanche voglia di recitare. Questa ricchezza, come sempre, strabordante, nel suo cinema, qui appare sempre al limite. Così diretta che a tratti colpisce e va via e non lascia sempre i suoi segni come negli ultimi due straordinari “Il profeta” e “Un sapore di ruggine e ossa”. Ma non è un problema di “Dheepan”. Sono quei due film che sono troppo in alto. Questo è un film teso e complesso, dove sulla scrittura sembra passare l’azione come un rullo compressore. A tratti è anche troppo pieno. Non è un problema di durata. “Dheepan” si dilata percettivamente oltre il tempo che vuole rappresentare. Andrebbe forse visto in due parti separate. Per assorbirlo meglio, proprio come il “Casanova” di Fellini. Il regista romagnolo ci metteva tutto il suo mondo visionario. Qui, nel cinema di Audiard, lo crea il suo impeto. Con quel senso di straniamento del più bel film di Jim Sheridan, In America, che qui paradossalmente potrebbe essere uno dei suoi limiti. Perché questo è un cinema che va assorbito tutto. Non ha bisogno di spiegare niente. Le righe del campo di calcio che non viene finito lo rappresentano in pieno. Forse per questo aveva bisogno di un taglio deciso nel finale. Le altre vite nel cinema di Audiard ce le immaginiamo noi. È lui che ce lo ha insegnato.
Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi

(……) Ora, se si crede che un film coincida semplicemente col suo soggetto, i detrattori di quello di Jacques Audiard, ossessionati dall’ideologia del politically correct, potrebbero anche avere ragione. Non è così, naturalmente. Il regista francese non mette affatto in scena un dramma sociale per poi appiccicargli un finale da cinema di genere alla Golan&Globus: porta invece la storia alle sue estreme conseguenze, evitando sia le ovvietà socio-demografiche dei film ‘socialmente impegnati’, sia la tirata reazionaria sui pregi della violenza autogestita. I tipi come lui si contano sulla punta delle dita: quelli capaci di sposare cinema d’autore (con un punto di vista e uno stile precisi) e spettacolo popolare, rivolgendosi al pubblico nella sua totalità senza prendere lo spettatore per un idiota beato o volergli imporre una lezione di sociologia per principianti. Certo, “Dheepan” è un film costruito in maniera insolita, articolando un finale violento intorno a una bella storia d’amore e alternando brani di realismo con altri di un lirismo struggente (che ricorda un altro bel titolo controverso di Audiard, “Un sapore di ruggine e ossa”). Non mancano neppure le scene oniriche, nel sogno ricorrente dell’ex-soldato che allude alle sue origini: un elefante, simbolo di saggezza cui l’uomo si appella inconsciamente. Soprattutto, però, “Dheepan” è un film raccontato benissimo; una parabola di redenzione il cui protagonista reagisce a un’aggressione che è sì fisica, ma che minaccia soprattutto il suo sogno di una vita diversa. E c’è una bella differenza tra la storia di un vigilante urbano e quella di una famiglia finta che vuol diventare vera. Vedere per giudicare.
Roberto Nepoti, La Repubblica

JACQUES AUDIARD
Filmografia:
Regarde les hommes tomber (1994), Un héros très discret (1996), Sulle mie labbra (2001), Tutti i battiti del mio cuore (2005), Il profeta (2009), Un sapore di ruggine ed ossa (2012), Dheepan - Una nuova vita (2015)

Martedì 13 dicembre 2016:
LA PAZZA GIOIA di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti, Anna Galiena, Marco Messeri

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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