CINEFORUM BORGOI film, i personaggi e i commenti della stagione 2019/2020 |
Messaggi di Novembre 2017
Post n°349 pubblicato il 26 Novembre 2017 da cineforumborgo
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Post n°348 pubblicato il 26 Novembre 2017 da cineforumborgo
IL CLIENTE
Titolo originale: Forushande
Emad e Rana, sono una giovane coppia di attori costretta a lasciare il loro appartamento al centro di Teheran a causa di urgenti lavori di ristrutturazione. Un amico li aiuta a trovare una nuova sistemazione, senza raccontare nulla della precedente inquilina che sarà invece la causa di un incidente che sconvolgerà la loro vita.
Tre luoghi. Un teatro, in cui i due protagonisti recitano “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. Un appartamento in pericolo di crollo, da cui sono costretti a evacuare. E un nuovo focolare a tempo determinato, in cui lei è aggredita, e ferita. Lui comincia a indagare sulla possibile identità dell’attentatore. Lo identifica, lo interroga, si rinchiude con esso nell’edificio prossimo all’implosione, pian piano si erge a suo giudice, riflettendo sulla logica del delitto, e misurando la sua pena. Da dramma a dramma, Asghar Farhadi riproduce la propria formula: qui accende la detection e il whodunit, proponendo un possibile giallo realista che poi finisce per essere in primis, come sempre, la messa alla prova di un’etica. Può un uomo decidere il destino del prossimo? È giusto che un’offesa sia ripagata da un’offesa? Farhadi sceglie un delitto basato su un equivoco (come è solito fare un regista la cui ricerca gira intorno al sentimento di vendetta: Gaspar Noé) per verificare il progetto morale di un individuo dai principi laici e progressisti, facendo d’ogni cosa questione dell’uomo, e non riducendola a programma di Dio. Ognuno dei tre luoghi del film è precario, è attraversato dal passato e dai suoi spettri, non è chiuso in sé stesso. Ogni set rimanda a un fuori, è aperto, instabile e aleatorio: il dramma dell’uomo, per Farhadi, è l’esser coerente scena su scena, recita con recita. Teatrale nelle fondamenta, “Il cliente” è un meccanismo hitchcockiano da camera, con una scrittura precisa sino al programmatico, un simbolismo ridondante per soddisfare l’acume del pubblico, un incedere implacabile, ma sino alla matematica.
ASGHAR FARHADI
Martedì 5 dicembre 2017:
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Post n°347 pubblicato il 19 Novembre 2017 da cineforumborgo
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Post n°346 pubblicato il 19 Novembre 2017 da cineforumborgo
FRANTZ
Regia: François Ozon
Dopo la fin della guerra 14-18, in una piccola città tedesca, Anna si reca ogni giorno presso la tomba del suo fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno, arriva in città il giovane francese Adrien, anche lui desideroso di rendere omaggio alla tomba dell'amico tedesco. La presenza di Adrien, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini.
Al ritmo di un film all’anno, François Ozon riesce comunque a presentarsi, puntuale, all’appuntamento con critica e pubblico senza ripetersi, con opere ogni volta diverse e spiazzanti. (……). Il regista francese è sbarcato a Venezia, in Concorso, con “Frantz”, suo primo film di guerra, in bianco e nero e parlato in tedesco. Ozon cambia pelle, lo fa in modo radicale: recupera un lavoro teatrale di Maurice Rostand già portato al cinema nel 1932 da Ernst Lubitsch con “L’uomo che ho ucciso”; gli dà una patina da mélo contemporaneo; sperimenta sequenze al fronte e, in definitiva, realizza una delle sue opere più emozionanti. Ozon gioca con temi, tipicamente melodrammatici, come la colpa e il perdono per poi ‘virare verso la desincronizzazione dei sentimenti’. Cosa significa? Che ogni movimento di Anna, la bellissima 21enne Paula Beer, tradisce le sue reali intenzioni: lascia il cimitero per tornare a casa e rientrare nella dimensione del ricordo del fidanzato scomparso, ma in realtà sta camminando verso Adrien, prende il treno per ritrovare quest’ultimo ma sa benissimo che lo sta per perdere. Una desincronizzazione non solo dei gesti, ma soprattutto del montaggio che rompe continuamente le leggi di continuità (la ragazza cammina da sinistra e destra e nell’immagine successiva rientra dalla destra del quadro) e della macchina da presa espressiva che riprende le leggi del cuore (……), entrambi sintomi di un’interiorità debordante, di sentimenti più forti del cinema stesso. Prima del finale hitchcockiano (anche qui movimento in asincrono rispetto a “Vertigo”) che ribalta le aspettative aprendosi ad un nuovo genere, il thriller sentimentale, Ozon racconta e dirige, con coerenza estrema, un melodramma anti-nazionalista, in opposizione ai trattati di Versailles, pacifista, in opposizione a tutte le guerre, e profondamente europeo, in opposizione a Hollywood e alla magniloquenza deflagrante con cui racconta ogni conflitto.
FRANÇOIS OZON
Martedì 28 novembre 2017:
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Post n°345 pubblicato il 13 Novembre 2017 da cineforumborgo
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Inviato da: PaceyIV
il 25/02/2020 alle 13:33
Inviato da: Recreation
il 08/02/2018 alle 13:37
Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 18:03
Inviato da: generazioneottanta
il 16/07/2016 alle 19:27
Inviato da: generazioneottanta
il 20/03/2016 alle 10:30