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I film, i personaggi e i commenti della stagione 2019/2020

 

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Cineforum 2017/2018 | 28 novembre 2017

Foto di cineforumborgo

IL CLIENTE

Titolo originale: Forushande
Regia: Asghar Farhadi
Sceneggiatura: Asghar Farhadi
Fotografia: Hossein Jafarian
Musiche: Sattar Oraki
Montaggio: Hayedeh Safiyari
Scenografia: Keyvan Moghadam
Costumi: Sara Samiee
Interpreti: Shahab Hosseini (Emad), Taraneh Alidoosti (Rana), Babak Karimi (Babak), Farid Sajjadihosseini (il cliente), Mina Sadati (Sanam), Maral Bani Adam (Kati), Mehdi Kooshki (Siavash), Emad Emami (Ali), Shirin Aghakashi (Esmat), Mojtaba Pirzadeh (Majid), Sahra Asadollahe (Mojgan), Sam Valipour (Sadra), Ehteram Boroumand (sig.ra Shahnazari)
Produzione: Alexandre Mallet-Guy, Asghar Farhadi per Memento Films Production/Farhadi Film Production, in coproduzione con Arte France Cinéma, in associazione con Memento Films Distribution/Doha Film Institute/Arte France
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 125'
Origine: Iran, Francia, 2016
Data uscita: 5 gennaio 2017
Premio per la miglior sceneggiatura e per la miglior interpretazione maschile (Shahab Hosseini) al 69. Festival di Cannes (2016); Oscar 2017 come miglior film straniero.

Emad e Rana, sono una giovane coppia di attori costretta a lasciare il loro appartamento al centro di Teheran a causa di urgenti lavori di ristrutturazione. Un amico li aiuta a trovare una nuova sistemazione, senza raccontare nulla della precedente inquilina che sarà invece la causa di un incidente che sconvolgerà la loro vita.
Un doppio incipit per questo nuovo film di Asghar Farhadi, che ci ricorda da subito come il suo sia un cinema che privilegia la funzione drammaturgica degli interni, soprattutto degli spazi domestici, in questo caso mettendo a confronto due modalità di rappresentazione distinte, non per questo inconciliabili, il teatro e il cinema: al teatro, allo spettacolo di Miller, si dedicano i due protagonisti. Poi, un nuovo interno-giorno, un nuovo appartamento, prestato pro-tempore alla giovane coppia dall’amico (e anche lui teatrante dilettante) Babak, una mansarda ariosa, quasi un open space, ma con una porta, chiusa. Dietro quella porta, una stanza dove sono accumulati scarpe e abiti da donna, una bicicletta e qualche giocattolo: le tracce lasciate da due ‘fantasmi’, l’inquilina precedente e il suo bambino, degli ingombri da levare che hanno un ruolo chiave nell’innesco della storia. Perché Rana e Emad hanno fretta di avere tutta la casa a propria disposizione, e togliere di mezzo quella roba diventa oltremodo necessario nel momento in cui si acclara il fatto che la signora in questione, in quell’appartamento, esercitava il mestiere più antico del mondo. Un giorno, mentre Rana è sola in casa, un cliente della ‘signora’ si avventura nell’appartamento, ignaro del fatto che ci siano nuovi inquilini: le conseguenze fisiche e psicologiche di questo evento (causate e amplificate dal senso di vergogna di entrambe le persone coinvolte, stesso sentimento, valenza differente) sono equivocate come un’aggressione in piena regola, un incidente che rapidamente mina la vita della coppia.
Farhadi, che per una volta sembra accantonare gli accenti melodrammatici, vuole evidenziare, nel racconto, gli aspetti passivo-aggressivi del comportamento di Emad, che non si rivolge alle autorità, ma si improvvisa moralizzatore, investigatore e, una volta smascherato il molestatore, giudice. Non è però un comportamento legato a particolare fervore o rigore religioso; anzi, più volte si evidenzia il fatto che l’insegnante e sua moglie sono persone ‘di cultura’, e tutto, intorno a loro, lascia intendere un’adesione al protocollo islamico limitata solo agli aspetti più esteriori (sarebbe d’altra parte inimmaginabile una messinscena di Arthur Miller in un contesto integralista). Si ha la netta impressione di registrare una forma di piacere masochistico, un desiderio di replicare, emulare la posizione dell’intruso, che precede e accompagna quel doverlo trovare e doverlo punire, svergognandolo agli occhi della famiglia.
È un comportamento passivo-aggressivo, quello di Emad, che si manifesta anche nel fatto di approfittare della maschera di Willy Loman, sul palcoscenico, per scaricare la propria rabbia sul povero Babak, che sta provando lo spettacolo con lui. D’altronde, tutto il film è attraversato da scambi di posizioni e rimandi incrociati tra il sistema dei personaggi milleriani e quello dei personaggi di Farhadi: non è un caso che, traducendo il titolo farsi, il film diventi “The Salesman” in inglese e “Il cliente” in italiano, il primo con riferimento a Miller, il secondo, con riferimento alle motivazioni dell’intruso. E, a ben guardare, è proprio la trasformazione di uno spazio domestico in scena quasi teatrale, il dispositivo che garantisce a Emad un potere che travalica quello della Legge. Solo in uno spazio a lui ben noto, per quanto pericolante, l’insegnante/attore riesce a istruire un processo verbale contro l’uomo che ha innescato la crisi nella sua vita di coppia. Solo chiudendo tutte le porte dell’appartamento, proprio quello abbandonato all’inizio del film, come dei periaktoi moderni, crea uno spazio confinato, dove il diaframma tra living e cucina, una parete a vetri scorrevoli, un sistema di quinte trasparenti, diventa funzionale come quello di un commissariato per il confronto ‘all’americana’. Un diaframma che, con i suoi vetri crepati, anticipa, evidenzia uno strappo, una separazione, tra il giustiziere e chi chiede e chi accorda il perdono, la conciliazione. Interno notte, due poltrone, due spotlight distinti a illuminarle.
Alessandro Uccelli, Cineforum

Tre luoghi. Un teatro, in cui i due protagonisti recitano “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. Un appartamento in pericolo di crollo, da cui sono costretti a evacuare. E un nuovo focolare a tempo determinato, in cui lei è aggredita, e ferita. Lui comincia a indagare sulla possibile identità dell’attentatore. Lo identifica, lo interroga, si rinchiude con esso nell’edificio prossimo all’implosione, pian piano si erge a suo giudice, riflettendo sulla logica del delitto, e misurando la sua pena. Da dramma a dramma, Asghar Farhadi riproduce la propria formula: qui accende la detection e il whodunit, proponendo un possibile giallo realista che poi finisce per essere in primis, come sempre, la messa alla prova di un’etica. Può un uomo decidere il destino del prossimo? È giusto che un’offesa sia ripagata da un’offesa? Farhadi sceglie un delitto basato su un equivoco (come è solito fare un regista la cui ricerca gira intorno al sentimento di vendetta: Gaspar Noé) per verificare il progetto morale di un individuo dai principi laici e progressisti, facendo d’ogni cosa questione dell’uomo, e non riducendola a programma di Dio. Ognuno dei tre luoghi del film è precario, è attraversato dal passato e dai suoi spettri, non è chiuso in sé stesso. Ogni set rimanda a un fuori, è aperto, instabile e aleatorio: il dramma dell’uomo, per Farhadi, è l’esser coerente scena su scena, recita con recita. Teatrale nelle fondamenta, “Il cliente” è un meccanismo hitchcockiano da camera, con una scrittura precisa sino al programmatico, un simbolismo ridondante per soddisfare l’acume del pubblico, un incedere implacabile, ma sino alla matematica.
Giulio Sangiorgio, Film Tv

ASGHAR FARHADI
Filmografia:
Shah-re ziba (2004), Chahar Shanbeh Souri (2006), About Elly (2009), Una separazione (2011), Il passato (2013), Il cliente (2016)

Martedì 5 dicembre 2017:
PATERSON di Jim Jarmusch, con Adam Driver, Golshifteh Farahani, Frank Harts, Rizwan Manji, William Jackson Harper

 
 
 
 
 

Cineforum 2017/2018 | 21 novembre 2017

Post n°346 pubblicato il 19 Novembre 2017 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

FRANTZ

Regia: François Ozon
Sceneggiatura: Philippe Piazzo (collaborazione), François Ozon
Fotografia: Pascal Marti
Musiche: Philippe Rombi
Montaggio: Laure Gardette
Scenografia: Michel Barthélémy
Arredamento: Catherine Jarrier-Prieur, Maresa Burmester
Costumi: Pascaline Chavanne
Effetti: Mikael Tanguy, Umedia
Interpreti: Pierre Niney (Adrien), Paula Beer (Anna), Ernst Stötzner (Hoffmeister), Marie Gruber (Magda), Yohann von Bülow (Kreutz), Anton von Lucke (Frantz), Cyrielle Clair (Madre di Adrien), Alice de Lencquesaing (Fanny)
Produzione: Eric Altmayer, Nicolas Altmayer, Stefan Arndt, Uwe Schott per Mandarin Production/X. Filme et Foz
Distribuzione: Academy Two
Durata: 113'
Origine: Francia, 2016
Data uscita: 22 settembre 2016

Dopo la fin della guerra 14-18, in una piccola città tedesca, Anna si reca ogni giorno presso la tomba del suo fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno, arriva in città il giovane francese Adrien, anche lui desideroso di rendere omaggio alla tomba dell'amico tedesco. La presenza di Adrien, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini.
Germania, 1919. La Prima Guerra Mondiale è finita da poco e, oltre alle macerie, il paese deve fare i conti con un’elaborazione di massa del lutto. In ogni famiglia c’è un figlio o un marito che non ha fatto ritorno dal fronte. Frantz, unico figlio di un medico, è morto in guerra lasciando in agonia i genitori e Anna, la sua promessa sposa, che è stata praticamente adottata da quelli che dovevano diventare i futuri suoceri. Ma se per gli anziani il dolore è ormai l’unico quotidiano immaginabile, per la giovane la vita dovrebbe continuare. Lei, però, di fronte alla corte di un pretendente, afferma dura di non voler dimenticare Frantz; che per lei il futuro è il tempo del ricordo. Ma quando, recandosi come tutti i giorni sulla tomba del fidanzato, incontra un misterioso giovane francese, il suo orizzonte sembra cambiare. L’uomo, inizialmente respinto solo per il fatto di essere francese, un nemico a priori, pian piano si incunea nelle resistenze della famiglia, si presenta come amico di Frantz, compagno di spensierate passeggiate in una Parigi solo immaginata.
In “Frantz”, François Ozon prende ispirazione da un film del 1932 di Ernst Lubitsch, “L’uomo che ho ucciso” (“Broken Lullaby”), per rimettere in scena, con occhio nuovo, molte ossessioni tipiche del suo cinema. La scelta di raccontare la storia dalla parte degli sconfitti, e quindi di girare il film in una lingua non sua, spinge sin dall’inizio verso una forma di straniamento che informa e definisce i personaggi. Il tormentato giovane francese viene rifiutato e poi accettato in un avvicinamento che è linguistico prima ancora che sentimentale. Gli sforzi comunicativi sfumano le tensioni e il racconto di un passato condiviso con il defunto Frantz, vero o falso che sia, sa riavvicinare gli opposti. Specularmente, quando è Anna a volere lasciare la Germania per provare a ritrovare a Parigi l’amico che ha smesso di scriverle, sarà lei a trovarsi trapiantata in un contesto nuovo, lost in translation, ma capace grazie alla sua conoscenza della lingua, di farsi strada nel mondo.
Un altro tema, più direttamente legato alla natura melodrammatica del racconto, riguarda la colpa e il perdono. Adrien vive nel rimorso, cerca il perdono perché non riesce a sopportare il peso della colpa, entra nel cuore di Anna con la sua fragilità, spinge la ragazza a scegliere - proprio e ancora grazie alla sua padronanza delle lingue - le regole d’ingaggio del loro rapporto, a poter decidere cosa dire e cosa lasciare non detto. Ma quando i due giovani sembrano finalmente potersi trovare, come spesso accade in Ozon, l’ambiguità indefinibile dei sentimenti si manifesta: la sincronia emotiva non è un corollario dell’amore né, tanto meno, della volontà.
Ozon costruisce un film stratificato, che spazia dal calore sentimentale del mélo - per quanto raffreddato nei toni e nei modi - alla riflessione sulla necessità di costruire dei ponti sui baratri - emotivi, linguistici, storici - che altrimenti potrebbero inghiottirci. Il risultato è un’opera elegante, non priva di qualche eccesso di calligrafismo, che sfuma il gusto estetizzante dell’autore con alcune trovate di messa in scena, che letteralmente scolora e riaccende lo schermo seguendo le onde emotive dei protagonisti e degli occhi umidi della bellissima Paula Beer. Un film ondivago ma dal profondo (e niente affatto scontato) animo umanista.
Federico Pedroni, Cineforum

Al ritmo di un film all’anno, François Ozon riesce comunque a presentarsi, puntuale, all’appuntamento con critica e pubblico senza ripetersi, con opere ogni volta diverse e spiazzanti. (……). Il regista francese è sbarcato a Venezia, in Concorso, con “Frantz”, suo primo film di guerra, in bianco e nero e parlato in tedesco. Ozon cambia pelle, lo fa in modo radicale: recupera un lavoro teatrale di Maurice Rostand già portato al cinema nel 1932 da Ernst Lubitsch con “L’uomo che ho ucciso”; gli dà una patina da mélo contemporaneo; sperimenta sequenze al fronte e, in definitiva, realizza una delle sue opere più emozionanti. Ozon gioca con temi, tipicamente melodrammatici, come la colpa e il perdono per poi ‘virare verso la desincronizzazione dei sentimenti’. Cosa significa? Che ogni movimento di Anna, la bellissima 21enne Paula Beer, tradisce le sue reali intenzioni: lascia il cimitero per tornare a casa e rientrare nella dimensione del ricordo del fidanzato scomparso, ma in realtà sta camminando verso Adrien, prende il treno per ritrovare quest’ultimo ma sa benissimo che lo sta per perdere. Una desincronizzazione non solo dei gesti, ma soprattutto del montaggio che rompe continuamente le leggi di continuità (la ragazza cammina da sinistra e destra e nell’immagine successiva rientra dalla destra del quadro) e della macchina da presa espressiva che riprende le leggi del cuore (……), entrambi sintomi di un’interiorità debordante, di sentimenti più forti del cinema stesso. Prima del finale hitchcockiano (anche qui movimento in asincrono rispetto a “Vertigo”) che ribalta le aspettative aprendosi ad un nuovo genere, il thriller sentimentale, Ozon racconta e dirige, con coerenza estrema, un melodramma anti-nazionalista, in opposizione ai trattati di Versailles, pacifista, in opposizione a tutte le guerre, e profondamente europeo, in opposizione a Hollywood e alla magniloquenza deflagrante con cui racconta ogni conflitto.
Michele Galardini, Mediacritica

FRANÇOIS OZON
Filmografia:
Sitcom (1998), Amanti criminali (1999), Gocce d'acqua su pietre roventi (1999), Sotto la sabbia (2000), 8 Donne e un mistero (2002), Swimming pool (2003), CinquePerDue - Frammenti di vita amorosa (2004), Il tempo che resta (2005), Angel - La vita, il romanzo (2006), Un lever de rideau (2006), Il rifugio (2009), Ricky - Una storia d'amore e libertà (2009), Potiche - La bella statuina (2010), Nella casa (2012), Giovane e bella (2013), Una nuova amica (2014), Frantz (2016), L’amant double (2017)

Martedì 28 novembre 2017:
IL CLIENTE di Ashgar Farhadi, con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi, Farid Sajjadihosseini, Mina Sadati
 

 
 
 
 
 
 
 

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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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