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Messaggi del 02/02/2015

Cineforum 2014/2015 | 3 febbraio 2015

Post n°219 pubblicato il 02 Febbraio 2015 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

STILL LIFE

Regia: Uberto Pasolini
Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Fotografia: Stefano Falivene
Musiche: Rachel Portman
Montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley
Scenografia: Lisa Hall, Lisa Marie Hall
Costumi: Pam Downe
Interpreti: Eddie Marsan (John May), Joanne Froggatt (Kelly Stoke), Karen Drury (Mary), Andrew Buchan (Mr. Pratchett), Ciaran McIntyre (Jumbo), Neil D'Souza (Shakthi), Bronson Webb (custode dell'obitorio), Wayne Foskett (Garry), Hebe Beardsall (Lucy), Deborah Frances-White (Miss Pilger), Tim Potter (senzatetto), Paul Anderson (senzatetto)
Produzione: Uberto Pasolini, Felix Vossen, Christopher Simon per Redwave Films/Embargo Films, in associazione con Cinecittà Studios/Exponential Media/Beta Cinema/Rai Cinema
Distribuzione: BI
Durata: 87’
Origine: Gran Bretagna, Italia, 2012
Premio Orizzonti per la migliore regia, Premio Francesco Pasinetti per miglior film, Premio CiCinema d'Arte e d'Essai, Premio Cinematografico "Civitas Vitae Prossima" alla 70. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

South London. John May è un impiegato del Comune incaricato di rintracciare i parenti più retti di persone morte in solitudine. Per John non è solo un lavoro, ma - paradossalmente - è una ragione di vita. Quindi John si occupa anche di raggranellare quelle nozioni che gli permettano di scrivere un accalorato elogio funebre e di convincere amici e parenti del defunto a presenziare al funerale. Quando viene licenziato a causa di un ridimensionamento del personale, John dedica tutte le sue energie all’ultimo caso, quello del suo dirimpettaio alcolista morto in solitudine. E intraprende un viaggio che insinua poco a poco nella sua vita colori nuovi, abitudini nuove, atteggiamenti nuovi.
Nel suo secondo lungometraggio da regista dopo il divertente “Machan”, apprezzato alla 65ª Mostra del cinema di Venezia, Uberto Pasolini si riconferma un autore sensibile, capace di coniugare ironia e toni malinconici senza mai scadere nel macchiettismo o nell’autocompiacimento. John May, interpretato dall’eclettico Eddie Marsan, è uno di quei personaggi forti, che suscitano dal primo momento empatia e commozione grazie a pochi gesti rivelatori. Raccogliere le briciole dal tavolo di un bar al momento di andar via, sorridere con imbarazzo a un cane quasi fosse una persona, inseguire un furgoncino di gelati per avvertire dello sportello aperto e poi raccogliere un gelato dalla strada e trangugiarlo in solitudine. John veste sempre di grigio, mangia ogni giorno tonno in scatola, è solitario e non ama conversare con chi rivela scarso riguardo verso i defunti. Ma, estatico, si stende sull’erba di un cimitero, trova parole di conforto per chi si mostra fragile, conserva in un album le foto più rappresentative di chi è deceduto. Non ha amici reali, ma ne ha moltissimi che non l’hanno mai conosciuto, e questo lo rende al tempo stesso schivo e dolce, squallido ed eccentrico, degno di curiosità per chi riesce ad andare oltre il suo aspetto dimesso. Il dirimpettaio morto non a caso è il suo doppio speculare: alcolista, prepotente ma difficilmente dimenticabile, descritto da amici e parenti come qualcuno capace di fortissimi slanci e meschinità. Mentre John, nella sua routine da cui fatica a evadere, rivela il suo amore per la vita nei dettagli, nella dedizione verso il proprio lavoro, nella convinzione che ogni defunto meriti parole di nostalgia. Queste sfumature gli permettono di entrare in profonda sintonia con la figlia del dirimpettaio, un’altra anima delicata che sembra quasi inadatta al mondo dei vivi. E gli permettono altresì di trovare un riscatto nello splendido finale, che commuove aumentando di pochi decibel i toni sussurrati del film. Per accogliere quelli lirici, conservare la nitidezza delle altre inquadrature e - in un bisbigliato coup de théâtre - emozionare davvero.
Chiara Apicella, Sentieri Selvaggi

Che la vita di John May, timido e impacciato impiegato comunale, sia all’insegna della sobrietà e della solitudine, lo si può dedurre benissimo già a partire dal nome: comune e ordinario, come i gesti rituali che accompagnano le sue giornate. Il suo compito consiste nell’organizzare i funerali per chi non ha parenti reperibili, e lo svolge con meticolosa dedizione, ai limiti del maniacale. Fino a quando il suo ufficio sarà dislocato e si ritroverà senza lavoro, ma con la ferma intenzione di portare a termine l’ultimo incarico rimasto incompiuto.
Ci sono aggettivi che, quando riferiti a un film, molto spesso lasciano presagire il peggio. Quando si parla infatti di opera delicata, o leggera, o poetica, la tendenza comune è quella di correre ai ripari, nel timore di ritrovarsi sommersi da un buonismo stucchevole e senza rimedio. Nel caso di “Still Life”, in realtà, la situazione è fortunatamente diversa, nonostante i suddetti aggettivi gli siano stati ugualmente attribuiti, e pure in dosi massicce. Del resto c’è un precedente, e non da poco. Come noto infatti, nel 1997 Uberto Pasolini produsse il film fenomeno “Full Monty”, e questa sua opera seconda da regista (la prima era “Machan”) non si discosta poi molto da quell’idea di cinema: un tema di attualità riletto attraverso i crismi della leggerezza e del sorriso. Il suo è un film che tocca inevitabilmente corde sincere, e riesce a farsi vedere, sentire, e - perché no? - persino commuovere, perché ha il pregio di rimanere sempre sottovoce, senza mai esasperare i toni o le situazioni.
Una favola gentile e triste sulla coerenza di una vita improntata all’etica e al sacrificio, e sui mancati risarcimenti (sia materiali che umani) che ne conseguono. Certo, avere un gigante di attore come Eddie Marsan nei panni del protagonista è sicuramente un aiuto non indifferente, e il ritratto che emerge alla fine è davvero quello di un mondo condannato alla morte e alla solitudine, se pure chi è armato delle migliori intenzioni è costretto a farsi da parte. Ma è anche vero che in tutta questa pulizia (di scrittura, di messa in scena, di sguardo) manca probabilmente quel briciolo di personalità che avrebbe potuto elevare il tutto a un ben altro livello.
Anche così, “Still Life” rimane un prodotto gradevole (è forse un aggettivo proibito?), capace, immaginiamo, di conquistare un pubblico desideroso di mettere mano ai fazzoletti; e se lo fa, non lo si può certo considerare un difetto. Un film che si prefigge uno scopo, e lo raggiunge nel più semplice, facile e diretto dei modi. Come una linea retta che collega due punti, senza intoppi o deviazioni durante il percorso.
Giacomo Calzoni, Cineforum

UBERTO PASOLINI

FILMOGRAFIA

Machan (2008), Still life (2012)

Martedì 10 febbraio 2015:
A PROPOSITO DI DAVIS di Joel Coen, Ethan Coen, con Oscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman, Garrett Hedlund

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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