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Cineforum 2016/2017 | 27 aprile 2017

Foto di cineforumborgo

LA MORTE CORRE SUL FIUME

Titolo originale: The night of the hunter
Regia: Charles Laughton
Soggetto: romanzo omonimo di Davis Grubb (ed. Adelphi)
Sceneggiatura: James Agee, Charles Laughton (non accreditato)
Fotografia: Stanley Cortez
Musiche: Waltger Schumann
Montaggio: Robert Golden
Scenografia: Hilyard M. Brown
Effetti: Jack Rabin, Louis DeWitt
Interpreti: Robert Mitchum (Reverendo Harry Powell), Shelley Winters (Willa Harper), Lillian Gish (Rachel Cooper), James Gleason (Birdie Steptoe), Evelyn Varden (Icey Spoon), Peter Graves (Ben Harper), Don Beddoe (Walt Spoon), Billy Chapin (John Harper), Sally Jane Bruce (Pearl Harper), Gloria Castillo (Ruby), Corey Allen (Macijah Blake), Cheryl Callaway (Mary), Paul Bryar (Bart), Mary Ellen Clemons (Clary)
Produzione: Paul Gregory per Paul Gregory Productions
Distribuzione: Dear (1955), Il Cinema Ritrovato - Cineteca di Bologna (2016)
Durata: 93'
Origine: U.S.A., 1955

Ben Harper ha commesso un omicidio per 10.000 dollari e ha nascosto la somma, facendo promettere ai suoi figli John e Pearl di non dire a nessuno dove è il nascondiglio, nemmeno alla loro madre, Willa. Mentre Ben si trova in prigione in attesa di essere impiccato, fa amicizia col compagno di cella, il "Reverendo", il quale tenta inutilmente di fargli rivelare il nascondiglio del denaro. Quando il Reverendo viene rilasciato, la sua meta è casa Harper, dove riesce a conquistare il cuore di Willa e a sposarla. Ma quando la donna si rende conto di chi sia in realtà il suo nuovo marito, per lei è arrivata l'ora della morte. Ora fra il Reverendo e i 10.000 dollari ci sono solo Pearl e John...
(……)  è uno di quelli che ho visto più volte, ma non sono certamente il solo a considerarlo un assoluto gioiello nella storia dell’arte cinematografica. È “La morte corre sul fiume” (“The night of the hunter”, 1955), un capolavoro fuori tempo, di valore assoluto. Concorse al risultato un regista insolito, Charles Laughton, grandissimo attore di cui fu questa la sola regia cinematografica (qualcosa in teatro deve averlo diretto oltre a essere stato il primo grande interprete, a Broadway, del “Galileo” di Brecht per la regia di un giovane Joseph Losey).
Concorse un soggetto insolito, il romanzo omonimo di Davis Grubb, meridionale del West Virginia, che uscì in Italia nella Medusa mondadoriana e fu più volte riproposto con una bella introduzione del poeta Raboni (oggi è accessibile nelle edizioni Adelphi). Grubb non scrisse altre cose dello stesso valore, ma questo romanzo è diventato presto un classico della letteratura nordamericana, in particolare della letteratura del sud degli Stati Uniti, al pari di “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, con cui ha molti punti di contatto.
Concorse la sceneggiatura di un grande scrittore, James Agee, che conosceva bene il sud per le sue inchieste con il fotografo Walker Evans degli anni della grande crisi (nei quali la storia è ambientata) e che ha scritto due capolavori, “Una morte in famiglia” e “La veglia all’alba”, di perfetta comprensione della psicologia infantile e, stilisticamente, a cavallo tra il modernismo del flusso di coscienza e i maestri della tradizione della grande provincia statunitense. Agee è stato anche un grande e coraggioso critico cinematografico, amico di Chaplin, e ha dato a John Huston un’altra grande sceneggiatura, quella di “La regina d’Africa”.
Concorse un direttore della fotografia d’eccezione, Stanley Cortez, entusiasta di ricorrere, su suggerimento di Laughton e Agee, ai grandi modelli del cinema muto, alla fotografia dei film di Griffith. La tradizione del gotico angloamericano e dell’espressionismo europeo si fondono con una misura che non si trova in altri film che l’hanno cercata.
Concorsero due attori formidabili: Robert Mitchum genio maligno, entusiasta del suo ruolo di diabolico pastore di una setta religiosa di cui è l’unico profeta, che nelle sue prediche evidenzia la lotta tra il bene e il male intrecciando energicamente le due mani, sulle cui dita sono tatuate le parole ‘love’ e ‘hate’, amore e odio, e Lillian Gish, l’ingenua ormai vecchia dei film di Griffith, da “Agonia sui ghiacci” a “Le due orfanelle”.
Shelley Winters, l’altra protagonista, veniva invece dall’Actor’s Studio, ma seppe rinunciare alla psicologia del profondo per l’evidenza di una repressione sessuale che il malsano e criminale Mitchum (che vede nel sesso il male) le fa sublimare in isteria. Il fondo fiabesco del racconto fa di Mitchum un Orco e della Gish una Mamma Oca, rinviando ad archetipi universali, che strutturano la narrazione e le danno una interna solidità, necessità.
E ci sono infine i bambini, un maschio e una femmina, più piccola, oggetto dell’attenzione malvagia dell’Orco e di quella protettrice e benevola di Mamma Oca. La storia che ci viene raccontata è infatti essenziale, radicata in una storia, un ambiente e una cultura precisi, e che però vola verso la metafora, l’exemplum, l’allegoria, l’apologo, il mito: la favola.
Il traliccio narrativo è il seguente: negli anni della crisi, nel sud, un povero bianco con moglie e due figli è arrestato per rapina, ma prima di essere acciuffato nasconde il bottino nella bambola della figlioletta Pearl, sotto gli occhi del fratello più grande. In carcere si ritrova nella cella del predicatore, che ascolta i suoi deliri notturni e capisce che i bambini sanno dove il denaro è stato nascosto. Il contadino è giustiziato, il predicatore trova la sua famiglia, ne circuisce la moglie e la sposa (ma non consuma le nozze, ché farebbe peccato). Gli abitanti della zona impazziscono per le sue prediche a base di ‘love’ and ‘hate’.
I bambini, che sfuggono al suo malefico fascino e ne sono terrorizzati scappano di casa su una barca e scendono il grande fiume, raccolti infine da una donna che, per il rimorso di un figlio fuggito perché non ha saputo amarlo, raccoglie bambini orfani e sperduti, li nutre, li protegge, li istruisce. Ricompare il predicatore che, ossessionato dalla sua avidità, si aggira intorno alla casa. La donna, intuendo la sua malvagità, non si lascia incantare e quando si fa minaccioso difende i bambini sparandogli, ferendolo. Vengono fuori le sue magagne e al processo la stessa folla che l’aveva osannato gli si rivolta contro, ancora istericamente.
Sono tante le scene indimenticabili di questo grande film, ma le più insinuanti e durature sono forse quelle dei bambini addormentati nella barca che scivola lungo il fiume, la bambina abbracciata alla sua bambola, mentre sulla riva, per fortuna ignorandoli, avanza anche il predicatore a cavallo, cantando un inno, stagliandosi contro il bianco di una enorme luna che riempie lo schermo.
Se si ama il cinema, non si può non aver visto “The night of the hunter”, e, molto meglio che in dvd, al cinema nella visione restaurata dalla Cineteca di Bologna in programmazione qua e là in queste settimane, che ne esalta la bellezza e agisce possentemente sul nostro conscio e sul nostro inconscio.
Goffredo Fofi, Internazionale

CHARLES LAUGHTON
Filmografia:
La morte corre sul fiume (1955)

Giovedì 2 maggio 2017:
IO E LEI di Maria Sole Tognazzi, con Margherita Buy, Sabrina Ferilli, Fausto Maria Sciarappa, Alessia Barela, Domenico Diele


 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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