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Messaggi del 19/02/2018

 
 

Cineforum 2017/2018 | 20 febbraio 2018

Foto di cineforumborgo

 

MOONLIGHT


Regia: Barry Jenkins

Soggetto: Tarell Alvin McCraney (opera teatrale)

Sceneggiatura: Barry Jenkins

Fotografia: James Laxton

Musiche: Nicholas Britell

Montaggio: Nat Sanders, Joi McMillon

Scenografia: Hannah Beachler

Arredamento: Regina McLarney Crowley

Costumi: Caroline Eselin-Schaefer (Caroline Eselin)

Interpreti: Alex R. Hibbert (Chiron bambino), Ashton Sanders (Chiron adolescente), Trevante Rhodes (Chiron adulto), Mahershala Ali (Juan), Naomie Harris (Paula), Janelle Monáe (Teresa), André Holland (Kevin), Jharrel Jerome (Kevin adolescente), Jaden Piner (Kevin bambino), Larry Anderson (Antwon), Herveline Moncion (Samantha), Don Seward (Tip), Patrick Decile (Terrel), Tanisha Cidel (Williams), Shariff Earp (Terrence), Duan'Sandy' Sanderson (Azu), Stephon Bron (Travis), Edson Jean (Sig. Pierce), Fransley Hyppolite (Pizzo), Rudi Goblen (Gee)

Produzione: Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Adele Romanski per A24/Plan B Entertainment

Distribuzione: Lucky Red, in associazione con 3 Marys Entertainment

Durata: 111'

Origine: U.S.A., 2016

Data uscita: 16 febbraio 2017

Golden Globe 2017 come miglior film drammatico; Oscar 2017 per miglior film, attore non protagonista (Mahershala Ali) e sceneggiatura non originale.

 

Storia della vita, dall'infanzia all'adolescenza alll'età adulta di Chiron, un ragazzo di colore cresciuto nei sobborghi difficili di Miami, che cerca faticosamente di trovare il suo posto del mondo. Una riflessione intensa e poetica sull'identità e sul senso di appartenenza, sulla famiglia, l'amicizia e l'amore.

“Moonlight”, l’opera seconda di Barry Jenkins, s’inserisce perfettamente nel progetto politico del suo produttore Brad Pitt. Il divo, infatti, attraverso la sua Plan B, continua la narrazione della nazione afroamericana, segnata, nelle radici, dall’imponente sforzo morale (e moralista) di “12 anni schiavo”. Non sappiamo se per paternalismo bianco o per sincera condivisione di principi, ma è indiscutibile che l’impegno produttivo di Pitt abbia creato e rafforzato una valida strada alternativa ai percorsi più o meno mainstream di Hollywood, partendo dall’esplosione di Steve McQueen per arrivare alle prove dei suoi ‘discendenti’. Nella lotta della prossima season awards, la stagione dopo la ferita di #Oscarsowhite, eliminato il Nate Parker di “The Birth of a Nation” per i suoi scandali sessuali, rimane solo Jenkins il più serio autore su cui puntare per l’agognato riscatto. Jenkins, dunque, trova nella poesia e nel romanticismo la chiave per raccontare l’altra America, un percorso ben diverso dall’orgoglio gangsta di F. Gary Gray o dal realismo costruito di Ryan Coogler (non a caso subito rientrati nel sistema con due mastodontici progetti).

“Moonlight”, attraverso lampi essenziali e un intelligente lavoro di elissi, non solo racconta il calvario emotivo di Chiron, ma di tutto un popolo emarginato, escluso anche dall’ostentato, ma decisamente genuino, lirismo romantico del mélo. Jenkins, dopo il piccolo “Medicine for Melanchony”, ribadisce la necessità di una matura emancipazione sentimentale (e politica), narrando la quotidiana drammaticità di un amore terribile, le disgrazie di un bambino/ragazzo/uomo tormentato dal fuoco delle sue passioni. La storia d’amore (non corrisposto?) che fa da leitmotiv alla vicenda, diventa cosi la traccia su cui si costruiscono le figure di personaggi ben diversi dalle maschere che indossano. Senza giudizio, la parabola deterministica di Chiron, costretto ad attraversare le tappe obbligate già stabilite per lui (la miseria, la violenza, la prigione e il crimine), è la stessa degli altri coprotagonisti, uno per tutti lo splendido spacciatore morale di Mahershala Ali, costantemente in lotta tra il ‘personaggio’ sociale che deve interpretare e l’uomo etico che, invece, è. E’ quasi automatico, allora, confrontare la dolente formazione di Chiron con il white coming of age di “Boyhood”. Entrambe facce della stessa medaglia, le due storie rivelano, più di decine di studi sociologici e dibattiti, le conseguenze materiali di crescere nella placida, bianca ed eterosessuale middle class texana o nelle strade nere e popolari di Miami. Probabilmente gli obiettivi di Jenkins avrebbero avuto più forza se il suo film fosse alleggerito dall’ingenua attenzione all’elemento poetico, al simbolo manifesto, al quadro statico di rarefatta bellezza. La saturazione cromatica, la colonna sonora ridondante (anche se l’attimo con la voce di Caetano Veloso è di una forza disarmante) e l’onirismo ricercato sono elementi che tirano in ballo la lezione di Schnabel (“Prima che sia notte”, per troppe ragioni, è un riferimento cinematografico fin troppo evidente), figura che, in diversi punti, arriva a essere anche ingombrante. Nonostante ciò, il tentativo di Jenkins ha dalla sua il coraggio di non frenarsi, lasciando, alla fine, totalmente libera la forza emotiva di un piccolo, semplice, racconto sentimentale.

Luca Marchetti, Sentieri Selvaggi

 

«Cosa è un frocio?» chiede Chiron all’amico spacciatore Juan (un intenso Mahershala Ali): «Una parola perché i gay si sentano male» gli risponde (incredibilmente comprensivo vero?). Diviso in tre capitoli-atti: Piccoletto (l’infanzia), Chiron (l’adolescenza, non per caso con il suo nome vero), Black (l’età adulta), l’apprendistato alla vita di un omosessuale afro-americano, da una pièce di Tarell Alvin McCraney. “Moonlight” non brilla forse per quel che dice (palesa in effetti un certo schematismo dato probabilmente dall’origine teatrale) ma lo dice benissimo, in modi delicati e strategicamente sempre più rivelatori, attenti al contesto sociologico: del resto il regista è proprio di Miami e qui c’è più di una suggestione autobiografica.

Barry Jenkins, al suo secondo lungometraggio dopo “Medicine for Melancholy” (2008), filma con programmata cautela, immettendo, mentre svela il carattere in formazione di Chiron, rinvigorenti dosi di lirismo. Del resto già la scelta del titolo (proviene da una frase/confessione dello spacciatore al piccolo protagonista: «alla luce della luna tutto è blu» - e il regista se lo ricorderà anche alla fine) suggerisce una vocazione alla coloritura poetica; la scelta raffinata delle musiche, da parte di Nicholas Britell, l’arricchisce (esempio: i ragazzini giocano a calcio con una palla di stracci, accompagnati da uno spiritual orchestrale), così come i virtuosismi dello stesso Jenkins (vedi come la macchina da presa segua a mano il bullo della classe a praticamente compiere un cerchio completo nel cortile della scuola prima di fermarsi su Kevin, per obbligarlo a pestare il suo amico Chiron). Alla luce dello stato attuale delle cose, con la megaproduzione massificata di Hollywood che tiene soffocata quella indipendente privandola di spazi e visibilità extra festival, la gran messe di premi (……) suona fatalmente anche tra l’alibi e il risarcimento, ma il film merita davvero, ‘ortodosso’ nei contenuti ma totalmente indipendente nello spirito (con produzione emerita di Brad Pitt). Sul finire citazione d’obbligo almeno per le performances di due attori, il Chiron adolescente di Ashton Sanders e la madre scombiccherata di Naomie Harris, tra l’altro l’unica a comparire, progressivamente invecchiata, in tutti i tre capitoli.

Massimo Lastrucci, Ciak

 

BARRY JENKINS

Filmografia:

Medicine for Melancholy (2008), Moonlight (2016)

 

Martedì 27 febbraio 2018:

LE COSE CHE VERRANNO di Mia Hansen-Løve, con Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob, Sarah Lepicard

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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