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Pier Paolo Pasolini, una vita da corsaro

Post n°12689 pubblicato il 26 Ottobre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

Pier Paolo Pasolini, una vita da corsaro
A 40 anni dalla morte. Più che per l’omosessualità dava scandalo per le battaglie contro l’ipocrisia e il conformismo dilagante dell’Italia “orribile”

Pier Paolo Pasolini era nato a Bologna il 5 marzo 1922 ma trascorse gran parte dell’infanzia e della giovinezza a Casarsa, in Friuli, il paese d’origine della madre

25/10/2015
MARCO BELPOLITI

Nel 1972, consegnando alle stampe il volume di saggi Empirismo eretico, Pasolini scrive che è la morte a compiere un fulmineo montaggio della vita di ciascuno; è lei che sceglie i momenti veramente significativi e li mette in successione, facendo del presente, incerto, indeciso, luogo dei possibili, qualcosa di stabile, di chiaro, e dunque di descrivibile: «Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci». 

 

Frase icastica e lapidaria che solo tre anni dopo suonerà come una premonizione, per quello che oggi ci appare il più importante intellettuale italiano della seconda metà del Novecento, lo scrittore più noto, forse il meno letto, tuttavia il più citato e il più discusso. Perché? 

 

Per capirlo bisogna riavvolgere il nastro della sua esistenza, compiere quel montaggio partendo dal luogo originario, Casarsa delle Delizie, paese da cui viene la famiglia materna. Nel Friuli delle origini ci sono la madre, il mondo arcaico dei campi, la giovinezza, la lingua che precede ogni lingua, l’esistenza prenatale cui agogna. È il Paradiso terreste. Da lì verrà cacciato.  

 

Espulso dal Pci  

Il 22 ottobre 1949 Pasolini è denunciato per atti osceni in luogo pubblico. Durante una festa campestre si è appartato con alcuni ragazzi. Subito espulso dal Partito comunista a cui si era iscritto dopo la guerra, abbandona il paese. Nel gennaio del 1950 con la madre si trasferisce a Roma. Ha già scritto i versi che danno forma alla prima delle sue incarnazioni: Narciso e il Cristo sanguinante, la vittima.  

 

A Roma scopre l’altra faccia dell’arcaico. Nelle periferie urbane vive una umanità barbara, degradata, composta di giovani dai volti ridenti e allegri, innocenti e perversi, scaltri e timidi, che diventa il soggetto della sua poesia e dei suoi romanzi. A Roma, nel centro della cristianità, PPP scopre una preistoria oscura. Ama quell’energia vitale, ne coglie il profondo istinto di morte, insieme alla bestialità non redenta da alcuna religione, né del cristianesimo né del progresso. L’odio profondo e il disprezzo che il corsaro Pasolini nutrirà per la piccola borghesia, da cui pure proviene, almeno socialmente, trova nei campetti, nelle baracche, nei bar, nelle strade bianche delle periferie romane la sua inattesa giustificazione.  

 

Consacrato dal cinema  

Lo scandalo lo raggiunge qui. Non sarà quello sessuale, patito in Friuli, ma l’oscenità dello scrivere che trova subito i suoi volenterosi carnefici nella magistratura italiana. Paradossalmente, ma non troppo, sarà proprio questo scandalo a donargli la popolarità. Ragazzi di vita esce nel 1955 ed è processato. Si tratta dell’inizio di una persecuzione che continuerà a lungo, fino alla morte, e anche dopo. Non gli si rimprovera l’omosessualità, la pedofilia - parola che come ha notato Arbasino neppure esisteva all’epoca -, non le scorrazzate notturne alla ricerca dei ragazzi di vita. Nella pudibonda e ossessiva Italietta degli Anni Cinquanta fa scandalo il libro, non il comportamento privato, che viene stigmatizzato, ma raramente perseguito.  

 

La sua omosessualità, che il poeta definirà nel decennio seguente, rifiutando quella che poi sarà l’etichetta gay, l’amore tra coetanei, è infinito amore e desiderio per i ragazzi, per quel sé ragazzo che è sempre stato e sempre sarà; questo non è lo scandalo di PPP. Sarà invece la repulsa dell’ipocrisia borghese, del «politicamente corretto», delle idee assegnate e del conformismo dilagante il vero punto. Prima di diventare il corsaro che tutti ricordano, l’autore di provocatori e fondati articoli sulle pagine del Corriere della Sera, Pasolini è già un personaggio; l’ha aiutato il rapporto complesso e contraddittorio con il Pci. Tuttavia è il cinema a consacrarlo.  

 

Con Accattone (1961) e Il vangelo secondo Matteo (1964) Pasolini, che è prima di tutto un poeta, esce dal mondo chiuso della letteratura ed è riconosciuto dal pubblico. Ha superato indenne gli Anni Cinquanta ed è entrato a vele spiegate nell’epoca del Centrosinistra. Alla fine del quel decennio però qualcosa s’incrina. Prima di arrivare a quel punto celebra l’eros nella Trilogia della vita (1970-72); quindi piomba in una cupa visione del presente: il fascismo dei consumi.  

 

La scomparsa del popolo  

Cos’è successo? L’arricchimento improvviso della piccola borghesia con il boom, il Sessantotto e la contestazione studentesca, la nevrosi sessuale dei ragazzi, come la definisce. I capelloni cancellano le belle nuche dei ragazzi che ama. Il popolo non c’è più. L’arcaico è scomparso. Le periferie deserte lande piccolo-borghesi. Comincia la sofferenza. Attacca le lotte per i diritti civili: divorzio, aborto. L’Italia è un Paese orribile, scrive, era meglio il fascismo.  

 

Le polemiche, gli strali, le critiche che lancia da giornali e dalle altre tribune pubbliche accrescono la sua fama. Si parla sempre più spesso di lui. Ma è sempre più solo. Sta scrivendo un romanzo sterminato, Petrolio. Uscirà postumo. Il corsaro va a morire sulla sabbia e la polvere del litorale romano, a Ostia la notte tra il 1° e il 2 novembre: «Solo grazie alla nostra morte, la vita ci serve ad esprimerci». 

 
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