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Ser­gio Cam­ma­rie­re: «La can­zo­ne d’au­to­re vive solo se ri­pro­po­sta in modo sem­pre nuo­vo» da sicilianpost

Post n°13925 pubblicato il 02 Agosto 2017 da Ladridicinema
 
Tag: musica, news

24/​07/​2017 - 

Il can­tau­to­re ca­la­bre­se si esi­bi­rà in con­cer­to con Gino Pao­li e Da­ni­lo Rea a Zaf­fe­ra­na Et­nea il 5 ago­sto: «In­sie­me ri­per­cor­re­re­mo i bra­ni di gran­di can­tau­to­ri come Ten­co, Lau­zi ed En­dri­go. I miei pro­get­ti fu­tu­ri? En­tro la fine del­l’an­no pub­bli­che­rò il mio pri­mo di­sco di pia­no solo»

Sergio Cammariere 
foto Manuela Kalì

«Per il fi­lo­so­fo René Gue­non La gran­de tria­de non è al­tro che il tem­po, il pas­sa­to, il pre­sen­te e il fu­tu­ro, ma an­che, in un’am­bien­ta­zio­ne più teo­lo­gi­ca la tria­de del­lo spi­ri­to san­to. Per me con­di­vi­de­re il pal­co con que­sti due gran­di ar­ti­sti ha un si­gni­fi­ca­to del tut­to par­ti­co­la­re, per­ché si crea­no dei mo­men­ti dav­ve­ro ma­gi­ci». Quan­do par­la del­la sua col­la­bo­ra­zio­ne con Gino Pao­li e Da­ni­lo Rea, Ser­gio Cam­ma­rie­re non na­scon­de l’en­tu­sia­smo per un pro­get­to che vede in­ter­se­car­si la gran­de can­zo­ne d’au­to­re con il jazz, due del­le sue gran­di pas­sio­ni. In ef­fet­ti il con­cer­to che li ve­drà as­sie­me sul pal­co­sce­ni­co del­l’An­fi­tea­tro Co­mu­na­le di Zaf­fe­ra­na Et­nea sa­ba­to 5 ago­sto (ore 21) si pre­fi­gu­ra come un even­to uni­co, in cui i tre mu­si­ci­sti ri­per­cor­re­ran­no le tap­pe sa­lien­ti del can­tau­to­ra­to ita­lia­no: da Bin­di a Ten­co, da Ser­gio En­dri­go a Lau­zi pas­san­do per Her­bert Pa­ga­ni. Ad af­fian­ca­re Ser­gio Cam­ma­rie­re sarà inol­tre la band for­ma­ta da Ame­deo Aria­no (bat­te­ria), Luca Bul­ga­rel­li (con­trab­bas­so), Bru­no Mar­coz­zi (per­cus­sio­ni) e Da­nie­le Tit­ta­rel­li (sax).

Par­lia­mo di que­sto nuo­vo pro­get­to: cosa si­gni­fi­ca per lei con­di­vi­de­re il pal­co con Gino Pao­li e Da­ni­lo Rea?
«È puro di­ver­ti­men­to. L’ap­proc­cio è mol­to jaz­zi­sti­co: non ab­bia­mo mai fat­to una pro­va, ci li­mi­tia­mo a sce­glie­re nei ca­me­ri­ni i pez­zi che ab­bia­mo vo­glia di suo­na­re. In al­cu­ni casi non de­ci­dia­mo nem­me­no le to­na­li­tà. Del re­sto ho a che fare con due gran­di mu­si­ci­sti: lo sti­le pia­ni­sti­co di Da­ni­lo è in­con­fon­di­bi­le, Gino Pao­li in­ve­ce è il ca­po­sti­pi­te, il più gran­de can­tau­to­re ita­lia­no. Gran par­te del suo re­per­to­rio ha ispi­ra­to noi can­tau­to­ri di un’al­tra ge­ne­ra­zio­ne».

Ser­gio Cam­ma­rie­re, Gino Pao­li e Da­ni­lo Rea

Nel 1993 lei can­ta­va «Can­tau­to­re pic­co­li­no con­fron­ta­to a Pao­li Gino». Com’è nato quel bra­no?
«È sta­to un di­ver­tis­se­ment. Ri­cor­do che un po­me­rig­gio Ro­ber­to Kun­stler – can­tau­to­re col qua­le con­di­vi­do il mio per­cor­so ar­ti­sti­co da ven­ti­cin­que anni – tirò fuo­ri un fo­gliet­to in cui elen­ca­va can­tau­to­ri ita­lia­ni come Bru­no Lau­zi, Ser­gio En­dri­go e Um­ber­to Bin­di, mol­ti dei qua­li era­no miei ami­ci, so­prat­tut­to Lau­zi. Gino Pao­li al­l’e­po­ca van­ta­va già una car­rie­ra tren­ten­na­le ed era al­l’a­pi­ce del suo suc­ces­so, per cui era nor­ma­le che io al con­fron­to mi de­fi­nis­si un can­tau­to­re pic­co­li­no».

Che rap­por­to ave­va­te al­l’e­po­ca?
«Ho co­no­sciu­to Gino al pre­mio Ten­co in oc­ca­sio­ne di un omag­gio a Ser­gio En­dri­go, che al­lo­ra era an­co­ra vi­ven­te. Era un mo­men­to fe­li­ce per la can­zo­ne d’au­to­re ita­lia­na. Poi lo in­con­trai nuo­va­men­te sul pal­co nel 2006, quan­do dopo la scom­par­sa di Ser­gio fum­mo in­vi­ta­ti en­tram­bi a pren­de­re par­te a un con­cer­to-tri­bu­to or­ga­niz­za­to da Ser­gio Bar­dot­ti. In quel­la oc­ca­sio­ne lui can­tò tre bra­ni, e io feci lo stes­so. Tra que­sti pez­zi c’e­ra una can­zo­ne scrit­ta da En­dri­go as­sie­me a Vi­ni­cius de Mo­raes che ho in­ci­so nel mio ul­ti­mo al­bum».

Il suo nuo­vo di­sco con­tie­ne an­che un ine­di­to scrit­to a quat­tro mani pro­prio con Gino Pao­li. Com’è nata Cy­ra­no? E come si re­la­zio­na al re­sto del suo nuo­vo di­sco, Io?
«Da tem­po ave­vo il de­si­de­rio di la­vo­ra­re a un pez­zo as­sie­me a lui. Gli man­dai al­cu­ni pro­vi­ni stru­men­ta­li e lui ne scel­se uno, su cui poi scris­se il te­sto. La sto­ria di Cy­ra­no de Ber­ge­rac la co­no­scia­mo tut­ti, in que­sto sen­so la can­zo­ne è una spe­cie di con­fron­to tra pa­dre e fi­glio. È un bra­no cui ten­go mol­to, con­te­stua­liz­za­to in un di­sco im­por­tan­te al­l’in­ter­no del qua­le ri­per­cor­ro i miei suc­ces­si in una nuo­va ve­ste, sup­por­ta­to dal­la mia band e dal­l’or­che­stra che con­fe­ri­sce al tut­to un co­lo­re par­ti­co­la­re».

 

 

Come sta la can­zo­ne d’au­to­re oggi?
«Cre­do che ogni espe­rien­za sia ba­sa­ta sul­l’a­scol­to del pros­si­mo, sia nel­la vita sia in mu­si­ca. Du­ran­te l’a­do­le­scen­za mi pia­ce­va mol­tis­si­mo ascol­ta­re Fa­bri­zio De An­dré, Fran­ce­sco Guc­ci­ni, Fran­ce­sco De Gre­go­ri. La mia ge­ne­ra­zio­ne suo­na­va le loro can­zo­ni con le chi­tar­re a scuo­la ed era­va­mo per­va­si da que­sti en­de­ca­sil­la­bi me­ra­vi­glio­si. Pro­ba­bil­men­te i gio­va­ni di oggi, in que­sto sen­so, han­no meno ri­fe­ri­men­ti».

Cosa si può fare per far fron­te a que­sta man­can­za?
«Cre­do che la can­zo­ne d’au­to­re ri­man­ga viva solo se ri­let­ta e ri­scrit­ta in ogni mo­men­to. Mi spie­go me­glio: du­ran­te i miei con­cer­ti suo­nia­mo sem­pre le stes­se can­zo­ni, ma le ap­proc­cia­mo sem­pre in ma­nie­ra di­ver­sa. È come se l’ar­ran­gia­men­to na­sces­se nel mo­men­to in cui ese­guia­mo il pez­zo, solo così un bra­no può di­ven­ta­re dav­ve­ro un ever­green».

Sergio Cammariere 
foto Manuela Kalì

L’i­dea è quin­di quel­la di trat­ta­re le can­zo­ni come fos­se­ro de­gli stan­dard jazz?
«In un cer­to sen­so sì. Del re­sto que­sta è an­che la nuo­va ten­den­za che c’è a New York: oggi an­che i gran­di jaz­zi­sti pre­fe­ri­sco­no suo­na­re le can­zo­ni dei can­tau­to­ri al po­sto de­gli stan­dard di Cole Por­ter, Tony Ben­nett o Frank Si­na­tra. Her­bie Han­cock, che è sem­pre sta­to uno spe­ri­men­ta­to­re, sta la­vo­ran­do mol­to in que­sta di­re­zio­ne e pro­po­ne spes­so bra­ni di can­tau­to­ri, an­che più gio­va­ni di me».

Ha no­mi­na­to Her­bie Han­cock. Chi sono i suoi ri­fe­ri­men­ti jaz­zi­sti­ci?
«Sono mol­ti, an­che se non tut­ti noti. Ad esem­pio Um­ber­to Ce­sa­ri, un pia­ni­sta ita­lia­no mol­to at­ti­vo ne­gli anni ’50 che ebbi modo di co­no­sce­re alla fine del mil­len­nio. Tra i miei ascol­ti pre­fe­ri­ti poi ci sono Mi­les Da­vis, John Col­tra­ne e Bill Evans».

E Kei­th Jar­rett? Com’è nata l’i­dea di in­ci­de­re My Song?
«Ama­vo mol­to il di­sco che in­ci­se con Jan Gar­ba­reck e mi era ve­nu­ta vo­glia di fare una ver­sio­ne solo pia­no, che di­ven­ne l’in­tro di tut­ti i miei con­cer­ti nel 2003. Die­ci anni dopo la in­ci­si nel mio di­sco Can­tau­to­re pic­co­li­no».

Ol­tre al jazz nel­la sua mu­si­ca fan­no ca­po­li­no tan­te al­tre in­fluen­ze, come quel­le la­ti­noa­me­ri­ca­ne. Come le con­ci­lia con la tra­di­zio­ne can­tau­to­ra­le ita­lia­na?
«Tra l’88 e l’89 ho avu­to la for­tu­na di vi­ve­re una par­te del­la mia vita a Rio De Ja­nei­ro, dove ho avu­to modo d’in­con­tra­re tan­ti mu­si­ci­sti e as­sor­bi­re quel­le vi­bra­zio­ni. Ho sem­pre ama­to la bos­sa nova, che con­ti­nuo a can­ta­re, ad esem­pio nel nuo­vo di­sco ab­bia­mo in­ci­so Con te o sen­za te as­sie­me a Chia­ra Ci­vel­lo. In ge­ne­ra­le, co­mun­que, sono sem­pre aper­to a nuo­ve cul­tu­re: i miei viag­gi, da Cuba al­l’A­fri­ca, mi han­no sem­pre ispi­ra­to».

 

 

An­che la Si­ci­lia rien­tra tra que­sti luo­ghi d’i­spi­ra­zio­ne?
«In Si­ci­lia ven­go tut­ti gli anni e ci tor­no sem­pre vo­len­tie­ri per­ché pen­so che sia una ter­ra mol­to bel­la. Mi sono fer­ma­to mol­to tem­po alle Eo­lie, va­gan­do da iso­let­ta a iso­let­ta, sono fon­ti d’i­spi­ra­zio­ne mi­to­lo­gi­ca».

A pro­po­si­to di miti, pos­sia­mo dire che que­sti sia­no una co­stan­te nel­la sua pro­du­zio­ne ar­ti­sti­ca?
«Sen­za dub­bio. Dal­la pace del mare lon­ta­no, che è di­ve­nu­ta una del­le can­zo­ni ma­ni­fe­sto del­la mia col­la­bo­ra­zio­ne con Ro­ber­to Kun­stler, vie­ne dal­la sto­ria mi­to­lo­gi­ca di Itti e Se­nia rac­con­ta­ta ne “I fi­gli del mare”, una poe­sia scrit­ta a ini­zio no­ve­cen­to dal fi­lo­so­fo go­ri­zia­no Car­lo Mi­chel­staed­ter. Il bra­no è una sor­ta di “tra­du­zio­ne” del te­sto poe­ti­co».

Che pro­get­ti ha in can­tie­re per il fu­tu­ro?
«En­tro la fine del­l’an­no usci­rà il mio pri­mo di­sco di pia­no solo, una scom­mes­sa che ave­vo in men­te da tem­po e che in qual­che modo era già sta­ta an­ti­ci­pa­ta da un bra­no, Sila, con­te­nu­to nel mio ul­ti­mo al­bum. Al­l’in­ter­no ci sa­ran­no com­po­si­zio­ni che ave­vo rea­liz­za­to per il ci­ne­ma e al­tri ine­di­ti».

 

 
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