L’idea è fortissima, la concezione pure, l’esecuzione è buona.

Di certo si può dire che Gli Ultimi Jedi parla molto di “ultimi Jedi”, cioè del destino del cavalierato, del suo senso e del suo futuro. Se nella seconda trilogia, quella dei prequel, abbiamo visto l’ordine al suo massimo splendore venire decimato e in quella originale ne abbiamo visto la rinascita, qui il titolo introduce l’idea che potremmo vederne la fine o una sua revisione totale. È la caratteristica più interessante fino ad ora di questa nuova trilogia: prendere la Forza e la dialettica tra lato oscuro e lato chiaro per portarla dove non era stata mai portata.
La figura chiave (di questa dialettica e di tutta la trilogia) è sempre di più Kylo Ren. Già dal suo esordio è portatore di un dramma inedito, è il primo ad avere il problema di dover resistere al lato chiaro della Forza, cosa che qui sarà sfruttata benissimo assieme al peso crescente delle eredità sia del padre che del nonno. Complice il fatto che Adam Driver è senza dubbio l’unico attore vero, di peso, capace di rendere sfumature complesse e sensazioni tangibili, il suo rimane il personaggio più affascinante, l’unico di cui si riesca ad avvertire chiaramente il tormento e a parteciparne. Quel che gli accade in Gli Ultimi Jedi conferma la sua natura di personaggio imperfetto, diverso dai soliti grandi predestinati di Guerre Stellari, tempestato dall’inadeguatezza.

Del resto la vera sorpresa di questo secondo film sono proprio le sorprese.

Siamo di fronte al capitolo di Guerre Stellari con più colpi di scena da quando Luke scoprì chi era suo padre. Seguendo lo scheletro di L’Impero Colpisce Ancora in maniera molto più blanda di come non facesse Il Risveglio Della Forza con Una Nuova Speranza (ma impegnandosi è ancora possibile intravedere come trama e personaggi siano modellati su quella struttura), Gli Ultimi Jedi coglie di sorpresa sia per come risolve alcune singole scene, i piccoli o grandi conflitti o i combattimenti, sia per le svolte che fa prendere a tutta la storia. Al di là di tutto, la forza dell’universo di Guerre Stellari si conferma essere quella di aver creato una mitologia i cui caratteri sono così cari al pubblico che ogni cosa accada in quel mondo, ogni svolta, mistero, possibile cambiamento o rivelazione improvvisa, generi grandissimo interesse. Questo è il segreto di Gli Ultimi Jedi, abusarne generosamente. Finito il film è infatti decisamente più chiaro quale sia l’argomento e l’arco di questa terza trilogia.

E non è niente male.

Pur essendo davvero molto lontani dalla forza di J. J. Abrams e del suo senso vorticoso di azione e narrazione interna all’azione, dalla sua perfezione spielberghiana nella fusione tra azione e intrattenimento, simpatia e gravitas, alleggerimento e dilemma, Rian Johnson crea una storia molto lunga (in almeno 4 atti) e tutto sommato convincente. Non amalgama benissimo i toni, le parti più leggere e di commedia alle volte suonano forzate e sono isolate appaltate ad alcuni personaggi di entrambi gli schieramenti. Questo fa sì che addirittura personaggi reduci da scontri terribili sono improvvisamente esaltati e felici, e che il film non riesca a tenere sempre allo stesso livello l’aura di epica necessaria per un film di Guerre Stellari. Ma se non si è troppo pignoli sono difetti cui si passa volentieri sopra, specie considerato che è un secondo film di una trilogia bravissimo nel lasciare acquolina in bocca per l’arrivo del terzo capitolo.

Tra due anni.