TRECCANI
felliniano agg. – Relativo al regista cinematografico Federico Fellini (1920-1993) e alla sua opera, soprattutto con riferimento alle particolari atmosfere, situazioni, personaggi dei suoi film, caratterizzati da un forte autobiografismo, dalla rievocazione della vita di provincia con toni grotteschi e caricaturali, da: un’atmosfera f.; maschere, personaggi felliniani.
GARZANTI
1. relativo al regista italiano Federico Fellini (1920-1993) o alla sua opera: rassegna felliniana
2. grottesco, surreale, onirico, come le situazioni e i personaggi tipici dei film di Fellini: atmosfere felliniane; una donna felliniana, molto prosperosa
IL NUOVO DE MAURO
1a. agg., di Fellini: una rassegna di film felliniani
1b. agg., caratterizzato da toni grotteschi e surreali, suggestivi e onirici, tipici dei film di Fellini: una situazione felliniana
2. agg., s.m., seguace, imitatore di Fellini

Chi sono i Felliniani? Quando un’atmosfera, una musica, una visione si può definire felliniana? Cosa è felliniano e cosa non lo è?
A quanti altri registi possono applicarsi categorie così rigide e definite ? Interrogativi così letterari e dal sapore un po’ retrò e intellettualoide….

Kafka è kafkiano, Proust è proustiano, Dante è dantesco…. La luce è caravaggesca, il vigore drammatico è michelangiolésco o wagneriano, i personaggi esemplari sono shakespeariani o dostoevskiani, Picasso è il cubismo, lo spleen Baudelairiano, il flusso è di Joyce….Insomma, solo ai grandissimi è concesso di etichettare con un sostantivo – il proprio nome  che diventa aggettivo -, un’atmosfera, una situazione, un genere nuovo, una tecnica, un espediente artistico. E, a mio personalissimo parere, tra i registi sono pochi quelli la cui cifra artistica è così fortemente peculiare e personale da poter ambire alla categoria del genere. Penso a Bergman, Tarkovskij, Yasujir? Ozu, Bunuel, probabilmente Hitchcock per aver eccelso nel genere del thriller ma altri non me ne vengono in mente (sicuramente ce ne saranno, la lista, come ovvio, non può intendersi esaustiva, qualcuno certamente avrebbe inserito John Ford, ad esempio, io, ho anche pensato ad Herzog il cui stile è certamente originale e personalissimo, ma è corretto parlare di atmosfera herzoghiana?).

In breve, a quanti registi illustri, vocabolari e dizionari dedicano una definizione che non si limiti a descrivere il termine “Felliniano” come seguace di…….?
Allora, partendo da queste, proviamo ad individuare chi o cosa possa essere definito felliniano.

Il primo nome che mi viene in mente non può non essere quello di Paolo Sorrentino. Con La grande Bellezza ha esplicitamente consolidato e confermato quanto la sua ispirazione debba al regista riminese. E non solo per aver ambientato – e dedicato – il suo film a Roma – indagandone ed esplicitando gli intrinsechi difetti del suo popolo, ma anche, e soprattutto, per l’utilizzo di una simbologia onirica e fortemente – e provocatoriamente – emblematica. Anche il suo personaggio – l’enigmatico Jep Gambardella – risente di quella grandezza decadente – un po’ melanconica , un po’ retrò – che spesso a caratterizzato i personaggi felliniani. La storia di Jep Gambardella – il suo amore giovanile – raccontato come flusso di memoria  - non sappiamo se sia autobiografico (probabilmente no) ma i richiami alla terra di origine di Gambardella (i paesaggi marini della Campania), il suo accento così elegantemente partenopeo, un rimando  ad un certo autobiografismo ce lo fanno fare. Ma sono solo congetture…

Anche Woody Allen – più o meno esplicitamente – può ritenersi un regista di stampo felliniano. Non solo per aver realizzato nel 1980 Stardust Memories, a tutti gli effetti il suo 8 e mezzo, ma anche per i contenuti fortemente autobiografici dei suoi film nei quali descrive, con amara ironia, i suoi trascorsi da bambino nato in una famiglia ebrea abitante a Brooklyn e per un certa predisposizione al sogno e alle visioni oniriche. D’altronde, lo stesso Allen, non hai mai fatto mistero di tendere verso un cinema “europeo” e che Fellini, assieme a Bergman, sono sempre stati dei modelli a cui si è ispirato.

Grottesco, surreale, onirico, autobiografico sono le categorie che le definizioni dei dizionari suggeriscono.

Ed allora, in ordine sparso, possiamo citare il Ferreri di La Grande Abbuffata, la pantagruelica visionarietà di Peter Greeneway, i sogni distorti di David Lynch, l’esotismo balcanico di Kusturica, le grottesche provocazioni di Pedro Almodovar e Bigas Luna, l’acidità visionaria di Ken RusselTerry Gilliam che mischia elementi pop e kitsch per rappresentare la sue bizzarre realtà, le favole nere di Tim Burton. Ed anche i personaggi dipinti con le tinte del grottesco e dello stravagante partorite dalle menti fervide dei fratelli Coen o di Wes Anderson, o rappresentati nella provincia in bianco e nero del Nebraska  di Alexander Payne e, perché no, I sogni segreti di Walter Mitty dell’eclettico Ben Stiller… (E non dimentichiamo l’episodio “La Ricotta” di Pier Paolo Pasolini nel film a episodi Ro.Go.Pa.G, forse uno degli episodi più felliniani del cinema…) .

Se gli illustri nomi sopracitati sono i colleghi che, più o meno esplicitamente, più o meno consciamente, si soso ispirati a Federico Fellini e che, quindi, a torto a ragione, possiamo definire felliniani, certamente questo aggettivo possiamo, questa volta scientificamente, assegnarlo ai personaggi nati dalla sua immaginazione. Nascono dal suo inconscio prolifico e prendono forma negli schizzi e nei disegni, arte nella quale  era, come si sa, provetto. Amava definirli, inserendoli in personalissime categorie, con epiteti burleschi: “Belle tardone”, "Facce Antiche”, “Facciacce immonde”, “Ladri”, “Clero” (e la mente ritorna a Sorrentino….). Facce, linee sghembe ed oblique, smorfie farsesche, donne misteriose e luminose di lustrini, opulente matrone e gatte randagie…. Tutte maschere che ritroveremo nelle sue opere e che così tanto ne hanno caratterizzato i tratti. Personaggi indimenticabili come il Ferdinando Rivoli di Lo sceicco bianco, l’ Anthony Quinn che dà forma e volto a Zampanò, la Cabiria di Giulietta Masina, il Marcello di La dolce vita, ancora Masina e Mastroianni in Ginger e Fred e quella fantastica teoria di personaggi che costituiscono l’universo onirico e della memoria di Amarcord, fra tutti i quali, svetta, nel cielo, sulla sommità di un frondoso albero nell’afosa campagna romagnola, la segaligna figura di Teo, lo zio matto, che urla: “Voglio una donna!”.

Il termine “Amarcord” (“mi ricordo”, in dialetto romagnolo) diventa, per l’appunto, nella lingua italiana un sinonimo di un racconto che rievoca fatti passati e incatenati ad una memoria antica, spesso legati a ricordi dell’infanzia. Amarcord, assieme ad altre, costituisce un breve ma significativo tesoretto delle parole “felliniane” che grazie all’uso fattone dal regista riminese hanno finito per assumere un significato a se o che, comunque, ha arricchito quello originario.

Con  "8 ½", ad esempio, si definisce un‘opera di un‘artista che indaga sulle propria identità di artista approfondendo le radici più profonde del proprio lavoro; il termine “vitellone” assume un valore ancora più profondo e significativo di quanto già non lo avesse prime del film di Fellini, sta a significare provincialismo, mediocrità, mancanza di volontà di cambiamento, assuefazione ad una situazione comoda e caratterizzata da uno strisciante vocazione al parassitismo. Da “La dolce vita” fuoriescono addirittura due neologismi. Il primo dal titolo stesso, con l’espressione “Dolce vita” si suole ora definire quel periodo della vita cittadina romana, a cavallo del boom economico, caratterizzato da sfrenati divertimenti ed eccessi, eventi ai quali partecipava la cd. Roma bene ed anche uno stormo di intellettuali che gravitavano intorno a Via Veneto. Talmente radicato il termine che ancora oggi con l’espressione “dolcevitaiolo” si definisce una persona on un comportamento legato ad uno stile di vita spensierato e legato ai piaceri peccaminosi. (Per non parlare del   maglione a collo alto indossato da Mastroianni, chiamato poi, per sempre, “a dolcevita”). 
Il secondo è legato al nome del fotografo di gossip   “Paparazzo”, divenuto, anche questo per sempre, sinonimo del fotografo invadente e senza scrupoli (termine entrato nel linguaggio comune, non solo italiano).

Anche le parole, dunque, possono essere definite felliniane. E’ indubbio, infatti, che la peculiarità del Maestro ne ha create ora di nuove, ora sfolgoranti di significati diversi ed arricchiti di senso e pregnanza.

Luoghi, personaggi, parole, atmosfere felliniane, dunque, caratterizzate dal grottesco, popolate da maschere clownesche, tristi e malinconiche, da simulacri affioranti dal passato e metabolizzati e trasformati e rigurgitati da una capacità immaginaria fuori dal comune, che Fellini personalizza ed ulteriormente marca con il suo inconfondibile marchio di fabbrica, e lo fa affidandosi ad un musicista, Nino Rota, capace di concepire una musica che sin dal primo accordo, sin dal primo passaggio è riconoscibile come un diamante su una montagna di carbone. “Musica felliniana!” ci viene subito da pensare…