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Il film intervista su Fidel Castro Con Stone dietro il mito del Lider da la repubblica

Post n°13480 pubblicato il 29 Novembre 2016 da Ladridicinema


di NADINE GORDIMER



Fidel Castro


STRAORDINARIE figure pubbliche che hanno scolpito il paesaggio politico e sociologico del nostro mondo: li conosciamo poco in base a quello che esce loro di bocca. La classica retorica dei discorsi pubblici, dietro bandiere e davanti folle vocianti adorazione o opposizione, non ha valore di testimonianza a questo proposito. Sono, devono essere, le parole dell'oracolo. Un oracolo è assoluto, la sua voce non contiene incertezza, non ha soggettività. Tali caratteristiche umane non rientrano nell'immagine della leadership. La coscienza del leader va presentata così, al di là del personale, e questo ci porta a costruire l'immagine del fenomeno-leader come eroe o come mostro, a seconda delle convinzioni politico-ideologiche di chi ne dipinge il ritratto ufficiale o ne schizza la caricatura. 

Fidel Castro è un valido esempio. I media e persino il dibattito intellettuale, dal salotto all'accademia, lo dipingono (in misura preponderante nella comunità mondiale occidentale) come un tiranno antiquato che ancora aspira ad un ordine sociale maligno oppure, tra coloro che ammettono l'incapacità del capitalismo di colmare l'abisso tra ricchi e poveri, viene dipinto come una vittima delle ambizioni imperiali degli Usa. Alcuni lo temono, alcuni lo deridono e spengono la Tv o girano la pagina del giornale che riporta uno dei suoi interminabili discorsi. 

Il documentario di Oliver Stone ha il notevole pregio di non essere tanto un film su Fidel Castro, quanto la sincera rivelazione di Castro ad opera di Castro stesso. E non è la confessione sentimentale di un vecchio assediato da gran parte del mondo in cerca di "comprensione". Le domande che pone Oliver Stone sono spesso pesanti. Il Castro iconico, confrontato con amare verità o famose menzogne che denigrano sia la sua persona che l'ordine sociale di Cuba, non si irrita agli affondi giornalistici diretti ad una verità che sfugge - abbiamo il suo viso, gli occhi intensamente espressivi proprio in primo piano, impossibile non cogliere una reazione inconscia. Il confronto non è descritto, lo viviamo con lui. Risponde non senza riflettere, in linea con il pacato autocontrollo che fa sì che non interrompa mai il suo interlocutore. È certamente questo atteggiamento che dà a Stone l'opportunità di filmare una discussione straordinaria piuttosto che un'intervista. 


Udire, senza interpolazione, senza interpretazione, da quella bocca espressiva con il mezzo sorriso ironico non completamente perso nella barba ribelle, una riflessione sul famoso complesso rapporto con Che Guevara stimola a ragionare, ad esempio, sull'enfasi posta sul Che come massimo eroe della liberazione, ritratto su enormi manifesti ovunque all'Avana. (Influenzata dalla rappresentazione occidentale del culto di Fidel a Cuba, mi ero aspettata di vedere l'immagine di Castro che osserva la gente dall'alto. Mi è stato detto che non è costume tra i cubani onorare in questo modo gli eroi in vita). 

Fidel Castro nel film parla con franchezza delle divergenze sorte con Guevara senza denigrarlo. E senza, in questa fase della sua vita almeno, rivalità o cautela all'idea che le proprie affermazioni possano fornire argomenti a chi proverebbe soddisfazione nel veder dimostrata senza mezzi termini l'esistenza di un dissenso tra coloro che si credevano indiscutibilmente uniti nell'imperativo morale della rivoluzione. 

Castro è osservato in filmati del passato ma soprattutto ripreso nel presente, nel corso degli avvenimenti e, in modo rivelatore, durante la normale routine della sua vita quotidiana, che non è fatta di istrionici baci ai bambini. Benché la scuola per studenti stranieri dei paesi in via di sviluppo (la cui esistenza è esempio dell'impegno di Cuba a favore dell'istruzione) sia teatro dell'entusiasmo da fan di ragazzine che spasimano per toccare la mano della fama e di ragazzi impazienti di sfiorare la spalla del potere, la sua conversazione è troppo seria e priva di superiorità per essere una finzione a beneficio del fotografo. 

Deludendo il naturale, professionale approccio inquisitore di Oliver Stone, le uniche domande cui Castro garbatamente rifiuta di rispondere più che con una ammissione, riguardano i suoi rapporti con le donne. E se ne fa una questione etica, di rispetto delle donne stesse, il suo rifiuto è inoppugnabile, pur se una scappatoia. Conferma inoltre la sua posizione sul diritto alla riservatezza nella vita privata di una persona, contestato nella morale di un mondo affamato di scandali, che brama vedere piedi d'argilla alla base delle statue degli eroi. 

L'unica domanda che Stone evita di porre è come mai non c'è libertà di stampa a Cuba. Se Fidel è in grado di rispondere con franchezza ai pesanti interrogativi sul regime, nonché alle calunnie, che scopo ha impedire l'espressione, a favore o, cosa più importante, contro, del suo popolo che mostra tanto coraggio e convinzione nel sopportare l'insostenibile, ignobile embargo imposto dagli Usa e il fatto che il mondo tolleri l'esistenza di un campo di internamento politico Usa nella Baia di Guantanamo, in territorio cubano? 

Oliver Stone dichiara che Fidel Castro, nonostante gli accordi prevedessero il diritto di chiedere tagli nel filmato ove lo desiderasse, non ne ha chiesto nessuno. Stone ha colto Fidel Castro nella sua totalità di uomo, rivelandone la grande intelligenza, il senso dell'umorismo nonché la convinzione che la Cuba di cui vede gli errori, parlandone spontaneamente, è un'isola del mondo in cui si mantiene vivo l'ideale dell'umanità che si evolve fino alla sua vera realizzazione. Penso che nessuno di noi possa accontentarsi dell'idea che ha di Fidel Castro, qualunque essa sia, come uno degli artefici del mondo che conosciamo, senza aver visto questo film. 
(Copyright Nadine Gordimer, traduzione di Emilia Benghi ) 

(20 aprile 2005)

 
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