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Il Trono di Spade: pro e contro del season finale The Dragon and The Wolf da bestserial

Post n°13993 pubblicato il 11 Settembre 2017 da Ladridicinema
 

di Giorgio Viaro - 29-08-2017
Qualcuno ha rotto il giocattolo. Qualcuno ci deve delle spiegazioni

Due volte.

Due volte Cersei Lannister, l’ultima vera infame di Westeros (e lasciamo perdere Euron, che più che fare battute sui nani e sperperare il suo patrimonio in mascara, non fa), ha l’occasione di far trucidare i suoi fratelli. E due volte si tira indietro, allo stesso modo.
Meno grave che lo faccia con Tyrion, che comunque può ancora involontariamente servire i suoi scopi. Molto grave che lo faccia con Jaime, che le ha appena comunicato che la tradirà.
Amore di sorella, si dirà, ma se perfino la regina sadica, quella che passa le notte in bianco a decidere se bollire o scorticare i nemici (o entrambe le cose), svela la sua umanità, perdona, allora davvero ci sono rimasti solo i Whitewalkers, il loro drago con le ali bucate e il loro sindaco che cavalca la bomba.

In quelle due rinunce il Trono di Spade, la HBO tutta, alza bandiera bianca rispetto a qualsiasi ambizione di portare avanti con immutata ferocia i drammi shakespeariani di raro sadismo intrecciati negli anni da George Martin. Quel che fa è, invece, puntare il dito verso il traguardo, contare i minuti rimasti in produzione, e chiedere ai fan di abbracciarsi felici davanti allo schermo, tra i cuscini del divano.
E magari di farlo durante il colpo di scena più telefonato della storia della tv, quello celebrato dal flashback con Rhaegar, Lyanna e Ned (telefonato non perché io sia particolarmente sveglio, ma perché voialtri, e soprattutto tu Quinn, non mi avete parlato d’altro negli ultimi due anni).

E così ora abbiamo eroi e mostri, fine della storia: gli eroi ognuno con il suo costume e il suo subplot di alleggerimento (ah, che risate Tormund che vuole coricare Brienne!), i mostri a fare carne da macello e guidati da una creatura giusto un po’ più sveglia, che sarà naturalmente l’ultima a cadere sotto i colpi degli eserciti di Westeros.
Insomma: il Trono di Spade, abbandonate le spoglie della tragedia elisabettiana e qualsiasi riflessione sui meccanismi del potere, messa in soffitta la sua vena anarchica, cassato l’erotismo esplicito e il sincero edonismo, è diventato un team-up della Marvel, con qualche sbuffo di romanticheria alla Twilight e gente che tromba in controluce tra le candele.

E qui, scusate, pianto un Voto 0, mi fermo un attimo e vado a vomitare.

(…)

Eccomi di nuovo.
Che dire, a questo punto, del finale di stagione?
Vi pare sia stata ben gestita lungo i sette episodi tutta la sottotrama a Winterfell, dove si sono tirati su intrighi da quattro soldi per suggerire uno scontro fratricida a cui nessuno ha mai minimamente creduto?
Dove Ditocorto, anima machiavellica della saga (e quindi, in un certo senso, anima tout court), viene messo nel sacco dalla “slow learner” (nonché ingrata) Sansa, che per di più - in barba agli insegnamenti di papà - emette la sentenza e lascia l’esecuzione alla sorella?
E insomma, ci siamo sorbiti un’intera stagione di sussurri e pizzini per far fuori Lord Baileys e poi vedere queste due sui torrioni a scambiarsi complimenti e smalti per le unghie?
Voto: 0.

Oppure. Vi pare sensato che Bran si svegli dal torpore solo ora che vede Sam e decida di botto che Jon va avvertito della sua paternità, quando poteva mandargli un corvo supersonico sei mesi fa?
Voto: 0.

E ancora: per quale ragione al mondo Dany si presenta a King’s Landing con due draghi? Giusto per rendere chiaro che uno se l’è fatto fregare?
Voto: 0.

E infine. Non provate almeno una fitta di nostalgia quando pensate che una volta Game of Thrones era una serie che si concedeva di passare un’intera stagione a umiliare e torturare a sangue uno dei suoi protagonisti (dio quanto ci manchi Ramsey), e ora quello stesso personaggio vince una rissa urlando “LOL!” mentre un tizio lo prende ripetutamente a calci nel cavallo dei pantaloni?
Voto: 2.

E allora cosa salvare, per conservare un po’ di curiosità in quest’anno e mezzo che ci separa dalla chiusura del cerchio?
Perché, scusate, ma davvero si può fremere di eccitazione al pensiero del drago buono che arrostisce il drago cattivo?
O di Jon “Non dico le bugie” Snow che prende atto delle sue origini, va all’anagrafe a cambiare cognome e sale sul Trono (doppio magari, uno grigio-rosa e uno grigio-blu) accanto a Dany?
È per questo che siamo arrivati fin qui, per farci dare una pacca sulle spalle?
Stavamo trattenendo il respiro in attesa di rimettere la testa fuori dall’acqua, per poi vedere una pianura tutta uguale che si allunga fino all’orizzonte?
Volevamo che la serie che ha sdoganato la parola “spoiler”, non avesse più niente da spoilerare?
Che le crepe nella timeline diventassero voragini?
Che le superficialità e le incongruenze narrative tracimassero?
Che un immaginario televisivamente rivoluzionario si convertisse a una restaurazione completa nel nome delle necessità industriali, cioè dei futuri spinoff?

Volevamo, per dirla in breve e davvero chiudere, che i bordelli innaffiati di vino, alla fine, diventassero letti da fotoromanzo?

Giusto una speranza mi resta.
Che dal nucleo pulsante del cuore marcio della casata dei Lannister, qualcosa di deforme ancora possa venire alla luce. Che il destino di Cersei non sia quello di riscattarsi pure lei, come un Theon qualsiasi, ma piuttosto di tradire e ammazzare, fino all’ultimo, senza compromesso, chiunque, fanculo il mondo, ci siamo solo io e il mio bambino. Che Jaime non passi semplicemente dalla parte dei buoni, ma da qualche parte nel mezzo, tra buio e luce, si perda e non ritrovi più la strada.

E che Bronn, caro vecchio Bronn, continui a ricordarci (e soprattutto a ricordare agli showrunner) che senza le palle, non ci sono motivi per guadagnarsi lo stipendio.

 
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