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Film nelle sale da giovedi

Post n°12401 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

 
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Youth - La giovinezza TEASER TRAILER

Post n°12400 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Audiard conquista la Palma... e ringrazia Michael Haneke da cinecittà news

Post n°12399 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Michela Greco24/05/2015
CANNES – Era pronto da impalmare già dalla vigilia di questo 68° Festival di Cannes Jacques Audiard, il cui nuovo film Dheepan era dato tra i favoriti sulla carta. Dodici giorni dopo, sul palco del Grand Théatre Lumière, ci arriva in effetti lui – che ebbe il Gran Premio Speciale della Giuria nel 2009 per Il profeta - per ringraziare di questa Palma d'Oro la giuria guidata dai fratelli Coen, nonché il suo collega Michael Haneke "per non aver girato film quest'anno". Con Il nastro bianco prima e Amour (2012) poi, il cineasta austriaco ha vinto la Palma proprio nelle due precedenti occasioni in cui Audiard ha partecipato al concorso.

Il premio a Dheepan celebra il cinema francese tra qualche polemica – su twitter qualcuno ironizza, "ma sono i César o è il festival di Cannes?" - in un'edizione in cui i tanti titoli transalpini messi in concorso hanno fatto spesso storcere il naso alla critica per poi conquistare, alla fine, ben tre riconoscimenti sui sette disponibili, a tutto svantaggio del cinema italiano, che con Moretti, Garrone e Sorrentino aveva fatto una gran bella figura sulla Croisette ma è costretto a tornare a casa a bocca asciutta. 

Oltre alla Palma di Audiard - che con Dheepan racconta l'odissea di un ex tigre Tamil (combattente separatista dello Sri Lanka) che cerca di costruirsi una nuova vita nella banlieue francese con una famiglia fittizia – la Francia si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione maschile, andato a Vincent Lindon per La loi du marché e quello per la miglior interpretazione femminile, ottenuto ex-aequo daEmmanuelle Bercot per Mon roi di Maïwenn e Rooney Mara per Carol. Accolto da un applauso lunghissimo e molto caloroso, Lindon si è lasciato scappare qualche lacrimuccia nel ricordare che è "La prima volta che ricevo un premio in vita mia". Poi ha citato Faulkner, che "diceva di fare sogni immensi per non perderli di vista mentre li si inseguono" e sottolineato l'atto politico compiuto dal Festival nel mettere in concorso il dramma di Stéphane Brizé sul mondo del lavoro e il film di apertura di Emmanuelle Bercot La Tête Haute, "due film che parlano dei nostri contemporanei". Infine l'attore ha dedicato il riconoscimento "a tutti quelli che non sono considerati all'altezza di cio che meritano". Altrettanto commossa Emmanuelle Bercot, che tra le lacrime ha dichiarato: "E' un premio troppo grande per me sola, ed è un onore dividerlo con un'altra attrice, anche se in questo momento non è qui". A ritirare il premio per Rooney Mara, impegnata a New York, è stato infatti il suo regista Todd Haynes. L'attrice e regista francese ha poi ringraziato il suo co-protagonista Vincent Cassel e la sua regista Maïwenn: "Amo la sua audacia e il suo anticonformismo – dice - poteva avere le attrici più grandi e ha scelto una sconosciuta di 46 anni". 

Il Gran Premio (una sorta di Palma d'Argento) è andato all'ungherese Laszlo Nemes per il durissimo Son of Saul - Saul fia, un'opera prima tutta ambientata in un campo di concentramento che uscirà in sala conTeodora: "Sono grato a chi mi ha permesso di fare questo film che parla di cose molto gravi – ha detto il regista – E sono contento di averlo potuto fare in pellicola, la mia generazione ha ancora voglia di vivere l'anima e la magia della pellicola". All'Oriente va invece la Palma per la Miglior Regia, conquistata da Hou Hsiao Hsien con The Assassin, primo film di arti marziali del regista taiwanese, mentre è il Messico ad aggiudicarsi il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, andato a Michel Franco per Chronic, "un film nato a Cannes, quando fui premiato da Tim Roth, che qui è il mio protagonista", sottolinea il regista. Per questa Palma molti davano per certo il greco Yorgos Lanthimos, che invece ha ottenuto il Premio della Giuria per The Lobster, dramma grottesco e originalissimo in cui Colin Farrell è un single costretto alla deportazione in un hotel dove trovare una compagnia entro 45 giorni, pena la trasformazione in un animale di sua scelta (l'aragosta, appunto).

In una cerimonia che ha lasciato abbondante spazio ai momenti di intrattenimento - la bella performance iniziale di danza a tema cinematografico; John C. Reilly che ha intonato "Just a Gigolò" con l'orchestrina e un omaggio musicale ai fratelli Coen e al loro Inside Llewin Davis - è stato un bel momento quello della Palma d'onore alla carriera per Agnès Varda (Cléo dalle 5 alle 7), prima donna a ricevere questo riconoscimento (dopo Woody Allen, Clint Eastwood e Bernardo Bertolucci) che infatti ha ricordato commossa: "Sono donna, sono francese e i miei film non hanno fatto soldi né li hanno fatti guadagnare, eppure sono qui". La Camèra d'Or per il miglior esordio nelle varie sezioni è andata, infine, a La tierra y la sombra del colombiano César Augusto Acevedo, presentato alla Semaine de la Critique.

 
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Macbeth in love

Post n°12398 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino23/05/2015
CANNES – Chiude il concorso il Macbeth dell’australiano Justin Kurzel, interpretato da Michael Fassbender eMarion Cotillard, ultime star a sfilare sul red carpet. Il film è una trasposizione pressoché letterale dell’opera shakespeariana, molto evocativa dal punto di vista visivo, grazie anche alle genuine ambientazioni scozzesi, che lo stile ricco fino all’esasperazione del regista – tra filtri, ralenti, intensi e duraturi primi piani e l’ormai immancabile scena di nudo di Fassbender, dopo i fasti di Shame – contribuisce a trasfigurare fino a riportarli a una dimensione tragica, onirica ed epica. L’opera è impegnativa, e anche un po’ autocompiaciuta. Non ha convinto tutti. La sala si è divisa tra fischi e applausi, più o meno in egual misura. 

“La cosa più entusiasmante –  ha detto Fassbender in conferenza – è che puoi scegliere tra mille modi di rifare Shakespeare, ci sono tante sfumature. Da un lato è stressante, ma dall’altro assolutamente straordinario. Ho visto chiaramente i precedenti film ispirati a Macbeth. Polanski, Orson Welles… per me è soprattutto una storia d’amore. L’ambizione e la violenza sono un tentativo di rimettersi in pari per una coppia che ha perso tutto e inizia anche a perdere la sua sanità mentale. Per questo Marion è stata straordinaria nell’aggiungere quel desolante senso di solitudine nel personaggio di Lady Macbeth. Lei è la migliore, porta grazia a tutto ciò che fa, ma al tempo stesso è molto umana. Si tratta di una relazione che deraglia. Inoltre Macbeth è fuori ruolo, molti pensano che possa essere un buon re, ma lui è solo un soldato, non un politico”.  

“Il personaggio di Lady Macbeth – dice Cotillard – mi intimidiva. Temevo di non essere all’altezza di rendere a Shakespeare il giusto omaggio. Ho avuto problemi a lasciarmi andare perché per la prima volta interpreto un personaggio completamente lontano dalla luce, senza speranza, che perde ogni controllo. Inoltre era la mia prima volta in Scozia, non avevo mai avuto occasione di andarci e l’ho trovata misteriosa e potente come la immaginavo. Non ho sofferto per il vento e il freddo, servivano alla storia”. 

“Non potevo allontanarmi dall’idea di realizzare questo film – ha detto il regista – e soprattutto dalla possibilità di realizzarlo in Scozia, con quegli scenari che avrebbero fatto venire voglia di rivedere il film più volte. L’ho fatto rispettando il linguaggio dell’opera originale, ma introducendo il tutto allo spettatore con una scena di battaglia che potesse portarlo dentro l’azione. Quello che mi interessava era soprattutto il concetto di dolore, qualcosa che ho provato anch’io nella mia vita. La disperazione ti porta a un vuoto, e per riempire questo vuoto i personaggi utilizzano una profezia. Si tratta certamente di una storia sull’amore e sulla famiglia”. 

In Italia il film uscirà con Videa nella prossima stagione.

 
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L'era Pierre Lescure al Festival di Cannes

Post n°12397 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Roberto Cicutto25/05/2015
Quest’anno sono stato al Festival di Cannes per la trentacinquesima volta. Più della metà delle edizioni del festival (68). L’ho vissuto da produttore e distributore e da qualche anno da una posizione di vertice del cinema pubblico. 
Sulle decisioni delle giurie inutile soffermarci. Si può condividerle o meno ma pretendere di sapere come devono comportarsi è da ingenui. Dobbiamo essere soddisfatti che nell’edizione appena finita il cinema italiano e in generale l’industria audiovisiva si è presentata più compatta, con nuovi strumenti per la promozione e l’attrazione di investimenti e soprattutto con un’offerta di film pieni di talento e molto diversi tra loro. Segno di vitalità dei nostri registi sceneggiatori e attori e dell’industria (senza dimenticare il lavoro straordinario di costumisti, direttori della fotografia, scenografi…). 
La prova sta nell’andamento molto positivo delle vendite nei mercati stranieri. E poi ricordiamoci l’importante premio della Semaine de la Critique vinto dal corto Varicella di Fulvio Risuleo. Un buon auspicio per il futuro.
Vorrei però segnalare alcuni cambiamenti significativi nel DNA del Festival più importante del mondo. Il direttore Thierry Frémaux ha indubbiamente voluto una selezione italiana molto forte giocando su nomi ben conosciuti a Cannes e di indubbio valore. Non ha invitato in giuria un rappresentante del nostro paese e se questo può rispondere ad una logica di “equilibrio” sulla presenza nazionale al Festival, non può non balzare agli occhi la disparità di trattamento con i padroni di casa che con ben 5 film in concorso avevano una giurata forte come Sophie Marceau. 
Ma non sono certo che la responsabilità ricada interamente su di lui. E’ stato il primo anno di presidenza diPierre Lescure, succeduto a Gilles Jacob che peraltro non è mai stato citato in alcuna cerimonia ufficiale (forse l’ha chiesto proprio lui per non enfatizzare l’uscita dopo quasi 40 anni di guida del Festival). Pierre Lescure, fondatore nel 1984 di Canal+, imprenditore di enorme successo, coproduttore per trent’anni di quasi tutti i film più importanti e non solo francesi, ha fortemente determinato alcuni aspetti di questa edizione del festival. Amico di molte star e dei più importanti produttori, attraverso il sistema di finanziamento al cinema instaurato da Canal+ è stato l’uomo più potente del cinema francese. Poteva iniziare questa nuova avventura senza dare un segnale forte verso il cinema nazionale? 
Pierre Lescure non ha il tratto di uomo di mondo di Gilles Jacob. E’ un vero uomo d’affari, che ama il cinema (come sanno fare i francesi) ma non ne trascura gli aspetti industriali. Un primo sintomo l’abbiamo avuto nella conferenza stampa di presentazione del Festival. Ha parlato 40 minuti (molti dei quali dedicati agli sponsor, che certo sono i benvenuti) lasciando Thierry Frémaux (mattatore delle precedenti edizioni) silente ad ascoltarlo prima di dargli la parola. Clamorosa la presenza dei cinque titoli francesi in concorso due dei quali annunciati alla vigilia del Festival come se Frémaux avesse esitato fino all’ultimo ad includerli. Poco elegante (a mio giudizio) lo stop all’afflusso del pubblico in sala per dare spazio sul tappeto rosso a una sfilata di modelle in abiti da sera presentati da sponsor. Non estranea a questa filosofia la regia delle cerimonie di apertura e chiusura costellate di numeri (di ottima qualità ma non necessari) di intrattenimento (musica, balletti, installazioni multimediali). 
Non voglio creare equivoci. Non sono queste le ragioni per cui i film italiani non hanno vinto. Né sto sospettando una qualsiasi forma di pressione verso la giuria (Nanni Moretti che ne è stato Presidente sa che ci sono regole ferree che nessuno può infrangere). Ma voglio semplicemente segnalare che Cannes sta diventando sotto la nuova Presidenza una pedina importantissima di strategia industriale in difesa del proprio cinema, che nulla nega all’attenzione per le altre cinematografie, ma che non rinuncerà in nessun modo a rafforzare la propria. Sarà interessante vedere come Frémaux, fondatore del Festival superautoriale di Lione, saprà arginare un percorso che rischia di diventare troppo franco-francais, inducendo forse alcuni autori a non puntare più solo su Cannes ma a prendere in considerazione altre vetrine ugualmente prestigiose anche se meno “glamour”.

 
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Vince dheepan

Post n°12396 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Palma d’Oro

 

Dheepan di Jacques Audiard


Gran Premio

Laszlo Nemes per Son of Saul (Saul fia)

Miglior regia

Hou Hsiao-Hsien per The Assassin

Miglior sceneggiatura
Chronic di Michel Franco

Migliore attrice

ex aequo Rooney Mara per Carol e Emmanuelle Bercot perMon roi

Miglior attore

 

Vincent Lindon per La loi du marché


Premio della giuria

The Lobster di Yorgos Lanthimos

Caméra d’or
La tierra y la sombra di César Augusto Acevedo (Semaine de la Critique)

Palma d'oro al cortometraggio
Waves '98 di Ely Dagher

 
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Delusione Italia nell'anno d'oro della Francia

Post n°12395 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò24/05/2015
CANNES - Doveva essere l’anno dell’Italia e invece sarà ricordato come l’anno della Francia, che con cinque film in concorso (di cui almeno tre non certo memorabili) porta a casa la Palma d’oro – andata a Dheepan di Jacques Audiard - e altri due premi “pesanti”: a Vincent Lindon perLa loi du marché e all’attrice e regista Emmanuelle Bercot per Mon Roi di Maiwenn. 

Niente di niente per Nanni Moretti, Paolo Sorrentino eMatteo Garrone, nonostante l’apprezzamento della critica non tanto, non solo, italiana, ma internazionale. Quella francese schierata a favore di Mia madre, che ha fatto il pieno di “palmette” su Le Film Francais, quella americana osannante Youth La giovinezza, che ha fatto il pieno di vendite estere, ma affascinata anche dal mondo sanguinario e barocco di Tale of Tales. È chiaro che le giurie sono sovrane e non necessariamente si lasciano influenzare dal clima che si respira durante il festival né dai desiderata dei festivalieri. Ed è chiaro che i Fratelli Coen hanno pilotato questa giuria verso i propri, ben definiti, gusti. Ma anche lasciando fuori ogni discorso sul cinema italiano, che non nasce da una presa di posizione nazionalista ma da una valutazione del livello del concorso nel suo complesso, bisogna dire che i nostri tre film spiccavano. Adesso evitiamo di passare dall'esaltazione alla depressione, incassiamo i risultati raggiunti, ripartiamo da lì per continuare un discorso che ci ha portato in un pugno di anni a un evidente rinnovamento. Semmai guardiamo al modello dell'industria francese, che spesso non vince niente ma è solida ed esportabile. E comunque di questi tre film sentiremo ancora molto parlare.  

A proposito di premi non sempre scontati: cinque anni fa il 63enne Jacques Audiard vinse il Grand Prix con Il profeta, film che fu per molti una folgorazione e a cui qualcuno avrebbe dato la Palma; tre anni dopo non ebbe niente con Un sapore di ruggine e ossa. Adesso ha conquistato i Coen con un film duro ma pieno di tenerezza, storia di una tigre Tamil che per raggiungere l’Europa mette insieme una finta famiglia insieme a una giovane donna che vuole scappare a quegli orrori e a una ragazzina rimasta orfana. I tre arrivano nella banlieue parigina dallo Sri Lanka infiammato dal conflitto e trovano una realtà altrettanto violenta, il quartiere marginale è dominato dalle gang dello spaccio. L’ex soldato Dheepan, che si è visto strappare e uccidere moglie e figli, che ha ucciso lui stesso, vuole rifarsi una vita andando contro il destino che sembra perseguitarlo. Ed è chiaro il parallelismo tra due realtà apparentemente così lontane, ma segnate dal sangue e dall'odio. Del resto il protagonista, Antonythasan Jesuthasan, è testimone vivente di simili fatti: arruolato a 16 anni tra i guerrieri Tamil divenne un ragazzo soldato e fuggì in Francia solo nel ’93. Dopo mille umili mestieri oggi è diventato scrittore. 

Molti la Palma l’avrebbero data a Hou Hsiao Hsien e al suo estetizzante, magnifico, ma anche indecifrabileThe Assassin che soddisfa i palati cinefili più esigenti e che ha ottenuto “solo” il premio per la regia. Ma il vero outsider è Saul fia, l’opera prima dell’ungherese Laszlo Nemes che vince il secondo premio, il Grand Prix, con un’idea di regia molto forte, mostrare l’orrore del lager sfocato e confuso, stando tutto il tempo addosso al protagonista, che cerca di dare sepoltura al cadavere del figlio. 
Sconcertante è l'ex aequo tra la straordinaria Rooney Mara di Carol (love story lesbica firmata Todd Haynes che nella sua assoluta perfezione avrebbe meritato ben di più) e la modesta prova di Emmanuelle Bercot, in Mon roi di Maïwenn dove è una donna qualsiasi che si innamora dell’affascinante narciso Vincent Cassel e poi impiega tutto il film per disintossicarsi sentimentalmente. Pienamente condivisibile la scelta diVincent Lindon, che in La loi du marché di Stephane Brizé – dove è l’unico attore professionista - dà una bella prova nei panni di un operaio disoccupato che ce la mette tutta per rimettersi in piedi in una società che ha perso ogni rispetto per l’essere umano. Il messicano Michel Franco incassa il premio alla sceneggiatura di Chronic, dove un bravissimo Tim Roth è un infermiere che si occupa di malati terminali e li aiuta anche ad andarsene: il film ricorda un po’ Miele e chissà che proprio la sceneggiatura non sia la cosa più originale. Una conferma arriva per il talento del greco Yorgos Lanthimos, che sempre qui a Cannes aveva vinto Un Certain Regard con Kynodontas e stavolta ottiene il Premio della Giuria con l’inquietante ma compiaciuto The Lobster, che parte bene nel mettere in scena un mondo distopico dove i single hanno un pugno di giorni per trovare un partner, e sennò saranno trasformati in animali, ma finisce per esagerare in una seconda parte meno controllata e assai contorta. Grande assente Jia Zhang-ke e il suoMountains May Depart, che dalla vecchia Cina di Fenyang ci porta nel futuro più che mai oscuro della globalizzazione selvaggia.  

 
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Youth - La giovinezza

Post n°12394 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Youth La giovinezza, il nuovo film di Paolo Sorrentino, si svolge in un elegante albergo ai piedi delle Alpi dove Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant'anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile. Fred è un compositore e direttore d'orchestra in pensione, Mick un regista ancora in attività. Sanno che il loro futuro si va velocemente esaurendo e decidono di affrontarlo insieme. Guardano con curiosità e tenerezza alla vita confusa dei propri figli, all'entusiasmo dei giovani collaboratori di Mick, agli altri ospiti dell'albergo, a quanti sembrano poter disporre di un tempo che a loro non è dato. E mentre Mick si affanna nel tentativo di concludere la sceneggiatura di quello che pensa sarà il suo ultimo e più significativo film, Fred, che da tempo ha rinunciato alla musica, non intende assolutamente tornare sui propri passi. Ma c'è chi vuole a tutti i costi vederlo dirigere ancora una volta e ascoltare le sue composizioni.

  • FOTOGRAFIALuca Bigazzi
  • MONTAGGIOCristiano Travaglioli
  • MUSICHEDavid Lang
  • PRODUZIONE: Indigo Film in coproduzione con Bis Films, Pathé, C-Films e Medusa Film
  • DISTRIBUZIONE: Medusa Film
  • PAESE: Svizzera, Gran Bretagna, Italia
  • DURATA119 Min
NOTE:

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2015.

 
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Film nelle sale da giovedi scorso

 

in Italia in testa Sorrentino

Post n°12392 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Box Office Italia
In Italia Sorrentino, con il suo splendido Youth, vince la sfida del weekend ed esordisce in testa con 2.4 milioni di euro, un eccellente risultato, visto il periodo. Bene anche Tomorrowland, la cui performance italiana pare migliore rispetto a quella di altri Paesi, con 1.3 milioni. Regge bene la sopresa di stagione, Mad Max: Fury Road, che arriva a 2 milioni complessivi, mentre inizia a perdere terreno l'altro film italiano presentato a CannesIl Racconto dei Racconti, arrivato comunque a 1.8 milioni di euro. Discreto esordio per l'horror The Lazarus Effect, mentre delude l'action Survivor, che raccoglie appena 291mila euro su 202 schermi a disposizione. Oramai in calo sono anche gliAvengers, che salutano la top con 16.3 milioni ed il quarto posto assoluto della classifica annuale. Prossimo a uscire dalla top ten è anche Mia Madre di Moretti, con 3.2 milioni complessivi. La prossima settimana arrivano San AndreasPitch Perfect 2Lo Straordinario Viaggio di T. S. Spivet e l'animato Il libro della vita. Attenzione anche all'uscita dello splendido documentario sullo Studio Ghibli, Il regno dei sogni e della follia.

Box Office Usa
In America tra nuove entrate di una certa rilevanza e film che restano ad alti livelli, ben cinque titoli incassano più di 20 milioni di dollari, anche se la somma totale degli incassi rende quello appena trascorso uno dei peggiori "Memorial Day" degli ultimi dieci anni. A spuntarla, tra tutti, è Tomorrowland che apre con 32 milioni (ma è costato 180 milioni...si prospetta un floppone per Disney), davanti a Pitch Perfect 2, che ottiene 30 milioni (arrivato a 117 milioni complessivi e che può vantare la migliore media per sala della settimana) e Mad Max: Fury Road che raccoglie 23.8 milioni (80 il suo totale americano, 212 nel mondo). L'altra new entry della settimana è Poltergeist, che apre con 23 milioni e bastano per superare Avengers: Age of Ultron, il quale raccoglie 20 milioni e spicci, superando quota 400 milioni. Ultron dovrebbe chiudere la sua corsa americana a circa 450 milioni, un dato alto in assoluto ma decisamente peggiore rispetto al primo The Avengers, che nei soli States aveva raccolto oltre 620 milioni di dollari. La forte differenza verrà colmata a livello mondiale dagli ottimi risultati del mercato estero (il film è a quota 1 miliardo e 200 milioni circa), Cina in primis (già passati i 200 milioni), ma il segnale potrebbe far pensare ad una certa disaffezione del pubblico verso questo genere di film (e con quasi 30 film "superostici" in arrivo nei prossimi anni, qualcuno starà cominciando a preoccuparsi...). Non resta che aspettare Ant-Man, forse l'uscita "più debole" degli ultimi anni in casa Marvel, per vedere come evolverà la situazione. La prossima settimana arrivano altre due uscite interessanti: il nuovo film di Cameron CroweSotto il Cielo delle Hawaii, con un supercast (Emma StoneBradley CooperRachel McAdamsBill Murray) e il catastrofico San Andreas con The Rock

 
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Bye Bye Letterman, addio al Late Show. Luttazzi: “Quanto mi è costato portare in Italia quell’ironia…” da il fatto quotidiano

Post n°12391 pubblicato il 20 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

E' uno dei più popolari e storici volti della tv statunitense passa il testimone dall’8 settembre 2015 a Stephen Colbert. In attesa dell'ultima puntata del 20 maggio sono finiti sulla poltrona di Letterman in nemmeno venti giorni il presidente Obama e la first Lady Michelle, Bill Clinton, Oprah Winfrey, Will Farrell e Howard Stern

Bye bye David Letterman. Uno dei più popolari e storici volti della tv statunitense lascia il suo “Late Show”, va in pensione e passa il testimone dall’8 settembre 2015 a Stephen Colbert. Dopo l’annuncio nel dicembre scorso del buen ritiro nel ranch del Montana con moglie e figlio 11enne, il 68enne volto della Cbs ha cominciato una sorta di countdown con le celebrità ospitate nel suo studio per ricordare i 23 anni del suo programma andato in onda sempre in seconda serata dall’82 al 1993 come Late Night sulla Nbc, e dal 1994 ad oggi Late Show sulla Cbs. In attesa della misteriosa puntata del 20 maggio 2015, sono finiti sulla poltrona di Letterman in nemmeno venti giorni il presidente Obama e lafirst Lady Michelle, Bill Clinton, Oprah WinfreyWill Farrell e Howard Stern. E ancora: Martin Short che dell’amico David ha cantato il de profundis; Tina Fey che si è esibita con mutandoni e la scritta “Bye Dave”; George Clooneyche lo ha ammanettato chiedendogli di restare; Julia Roberts con cui ha ripercorso le diverse ospitate passate con relativi baci sulla bocca; e Steve Martin con cui è stato recuperato un filmato del ’98 in cui i due “amici” finivano in una sorta di divertente e patinata vacanza gay.

Nell’Ed Sullivan Theatre di New York, per oltre 6mila puntate, con l’orchestra diretta daPaul Shaffer, si sono succedute centinaia di ospiti dal mondo del cinema, della musica, della tv e dello sport, tra cui anche gli italianiRoberto Benigni eAlex Zanardi. Il Late Show non si è fermato nemmeno dopo l’11 settembre 2001 o di fronte all’uragano Sandy nel 2012 quando in un teatro vuoto, Letterman in impermeabile ha ospitato un trafelato Denzel Washington. “Letterman è sostanzialmente un personaggio tv conformista: non c’è mai stato un momento di rottura, non ha mai dovuto imporre idee sue alla ‘moral majority’ americana”, spiega al FQMagazine lo scrittore Francesco Pacifico che ha scritto un mirabile saggio d’analisi sulla figura del conduttore Usa. “Oltre alla sua genialità, c’è stato anche un gran lavoro convenzionale, come con i comici ‘strani’ da cui prendeva sempre ironicamente le distanze. In una delle ultime puntate lo stand-up comedian Norm Macdonald si è commosso dopo il monologo ringraziando Letterman e lui si è avvicinato abbracciandolo in un modo che non puoi definire né freddo né caldo, ma come dire… “riservato”, tipico del Midwest, che gli permette di mantenere una facciata pulita – continua Pacifico –  Del resto ha trattato in maniera alta ed elegante anche le sue vicende private, come la relazione extraconiugale dichiarata in trasmissione dopo aver subito un ricatto. Inoltre seguendolo con attenzione mi è sembrato un comico meno rivoluzionario di come l’avevo considerato anni fa: sta al centro della cultura mainstream è indora la pillola per gente come me. Un atteggiamento che è una via di mezzo tra mainstream e cultura indipendente, con quell’ironia che serve per accettare che stai partecipando alle cose peggiore in cui vivi. Un po’ come guardare Sanremo ma ironicamente. Lui è la massima espressione di questa contraddizione che vive la persona intelligente nel sistema culturale di massa”.

dl akimbo“La comicità del Late Show di Letterman era più irriverente di quella del Tonight Show di Jay Leno. Dati d’ascolto e analisi demografiche lo confermavano. Per quanto possibile, Letterman era caustico, cinico, surreale; Leno non lo era mai”, spiega al FQMagazine Daniele Luttazzi, unico possibile erede italiano del Late Show di Letterman. “E’ stato un’evoluzione della tradizione migliore di quel genere di intrattenimento: il Tonight Show di Steve Allen, Ernie Kovacs, Jack Paar e Johnny Carson. Il vero erede di Letterman, oggi, è Conan O’Brien (TBS). La tradizione satirica di Carlin e Hicks, invece, è stata ereditata da Bill Maher (HBO), Jon Stewart (Comedy Central) e John Oliver (HBO). Stephen Cobert, intanto, ha annunciato che condurrà il Late Show sulla Cbs abbandonando il personaggio del giornalista neo-con interpretato nel Colbert Report (Comedy Central). Sarà interessante vederlo in questo nuovo ruolo. Agli autori sta chiedendo battute sull’attualità e idee per gags con gli ospiti”. Inevitabile il confronto con Barracuda e Satyricon, i due late show portati al successo da Luttazzi: “Barracuda (Italia1, 1999) fu il primo tentativo di portare un Late Show in Italia. Con Davide Parenti (Le Iene) e gli altri autori attingevamo allo show di Letterman grazie a un accordo fra la nostra producer, Fatma Ruffini, e la loro. Satyricon (RaiDue, 2001) era invece una parodia del Letterman: depositato in SIAE come sitcom, raccontava le vicende di un conduttore di talk-show figlio-di-buona-donna che aveva una relazione segreta con la sua segretaria. Ero in anticipo di otto anni sulle rivelazioni di Letterman. Il problema fu che all’epoca il grosso pubblico non lo conosceva: cominciò a trasmetterlo RaiSat in seguito al successo di Barracuda”.

“Il Foglio mi accusò di “copiare il Letterman” adducendo come indizi le rubriche Know your current events e Know your cuts of meats, il lancio delle matite e la tazza di caffè, la Top ten, le battute sulla coppia Berlusconi-Rutelli uguali a quelle su Bush-Gore, le smorfie, la postura. – continua Luttazzi – Erano tanto svegli da non capire che lo facevo apposta. In realtà gli scocciavano i contenuti politici, ma usavano un pretesto. Curiosità: si è poi scoperto che uno di quei giornalisti, Christian Rocca, all’epoca della guerra criminale, coloniale e illegale di Bush, Blair e Berlusconi in Iraq, di cui fu uno dei maggiori propagandisti in Italia, frequentava gli uffici del SISMI di Pollari & Pompa in via Nazionale con Ferrara. Io invece no, tanto per dire. Nel 2001, mi imputarono addirittura la battuta di Letterman “Sono 18 anni che faccio questo show, e migliora ogni giorno”. Detta da me, alla prima puntata, era ovviamente una citazione ironica che faceva ridere per un nuovo motivo: ma gli intelligentoni del Foglio non c’erano arrivati. Scrissero pure, altro indizio di plagio, che Madonna si era già tolta gli slip da Letterman nove anni prima di Anna Falchi: ma Letterman non le aveva annusate, né avrebbe mai potuto farlo. Era il mio tocco, una variazione sul tema: il pane quotidiano dell’arte comica”.

“Per dirla con Borges, nessuno è “originale” – conclude il comico romagnolo – L’originalità è la chimera del dilettante, un luogo comune ereditato dalla poetica Romantica che dal Modernismo non ha più corso legale, come non lo aveva avuto dall’antichità fino al 1700. Il mio errore fu darlo per scontato. E’ anche vero che non posso farmi carico dell’istruzione artistica di un’intera Nazione. Se uno non coglie, o travisa con malizia, peggio per lui, ho altro da fare. Né sto lì a querelare l’ignoranza e la stupidità: progetto troppo vasto. A questo proposito, sono grato ai fan della prima ora che, con competenza e cognizione di causa,hanno replicato a tutte le menzogne divulgate da anonimi in Retedurante l’ignobile gogna mediatica del giugno 2010, due mesi dopo il mio monologo a Rai per una notte. Tornando al programma di RaiDue, il mio atto satirico, e qui vanno ricordati il coraggio e la libertà intellettuale di un grande direttore come Carlo Freccero, che lo rese possibile, fu la messa in onda di un talk-show siffatto: dimostrai che in Italia, a differenza di quanto accade in altre democrazie, ti impediscono di farlo. E in prima fila per denigrarmi c’erano gli ipocriti che oggi lodano l’irriverenza di Letterman, come il giornalista del Giornale Maurizio Caverzan; o che ieri erano tutti Je suis Charlie, come Pierluigi Battista del Corriere della Sera, il quale, durante Satyricon, mi diede del “manganellatore mediatico”. Epurato Biagi, non a caso, Battista non si fece alcuno scrupolo di occuparne il posto in tv. Gente così. Per la cronaca: l’editto bulgaro riguardava la Rai, ed è tuttora in vigore”.
Infine, che cosa c’era dentro le tazzone di Letterman (e nelle tue di Satyricon)? Dentro le tazzone sulla scrivania, c’è sempre acqua minerale non gassata. In tutti i talk-show del mondo. Il plagio è evidente.

 
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Habemus Palmam? da cinecittà news

Post n°12390 pubblicato il 20 Maggio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news

Cristiana Paternò18/05/2015
CANNES - "Habemus Palmam?": questo il titolo di un articolo che il quotidiano francese Le Monde dedica al film di Nanni Moretti in concorso al Festival di Cannes. "Di una grazia inaudita, Mia madre di Nanni Moretti ha toccato corpo e anima dei partecipanti al Festival", scrive ancora il giornale francese. Stessa musica su Libération: "Moretti, mamma mia", titola il quotidiano della gauche parigina, che dedica al regista romano nato a Brunico la prima pagina dello speciale su Cannes e due pagine interne. "Moretti fa piangere la Croisette", sottolinea Libé, ritornando sugli applausi e le lacrime di commozione al termine della proiezione di Mia madre. E il film fa il pieno di palmette d'oro sul daily di Le film francais.  

Un forte elogio del film di Moretti arriva anche da parte del Financial Times, che dedica ampio spazio e il titolo del servizio sul Festival di Cannes a Mia madre. "Moretti con il tema della morte della madre ravviva Cannes" titola l'inviato del quotidiano britannico, Nigel Andrews, che comincia l'articolo sottolineando la presenza delle grandi star alla rassegna, "Blanchett, McConaughey, Woody, Joaquin, Julianne Moore e altri", poi, per quanto riguarda i film, ironizza spiegando di aver pregato per tre giorni di averne uno buono, che "alla fine è arrivato". "Il film - sottolinea - è Mia madre di Nanni Moretti", a suo giudizio - tra i titoli visti finora - "da Palma"."Che cos'è per questo attore-regista italiano il tema del lutto?", s'interroga il giornalista. "La sua fama è legata a film divertenti (Caro diario, Aprile). Ma ha vinto la Palma d'oro 14 anni fa con un dramma di morte in famiglia, La stanza del figlio. Ora arriva Mia madre, commedia tragica su una regista quarantenne (Margherita Buy) e suo fratello (Moretti che prende il ruolo minore) che si ritrovano uniti davanti alla morte imminente della loro mamma in ospedale e rivedono la loro vita. C'è spazio per lo humour, ma di quel genere malinconicamente strampalato in cui Moretti eccelle".  

Straordinaria anche l'accoglienza in sala con oltre 10 minuti di applausi alla fine della premiere con il pubblico al Grand Theatre Lumière, sabato scorso. Il regista non ha retto all'emozione e si è profondamente commosso. E con lui erano in lacrime anche il cast e gran parte del pubblico in sala. Se è prematuro pensare ai premi, Moretti con affetto ha detto che ''Margherita ha già vinto''.  

Intanto Mia madre è stato venduto in oltre trenta Paesi, tra cui i principali Paesi europei, come rende noto Nicola Claudio, presidente di Rai Cinema, coproduttore del film insieme a Sacher Film, Fandango e alla francese Le Pacte. Al Marché è stato acquistato dall’Argentina, dal Cile e da tutti i principali Paesi dell’America Latina; in Europa dalla Spagna, Gran Bretagna, Scandinavia, Benelux e altri. Persino il territorio del Giappone si è aggiudicato i diritti del film. A curarne le vendite estere è la società Film Distribution. “La meravigliosa accoglienza della stampa estera e l’attenzione dei più importanti mercati internazionali confermano la forza straordinaria del film di Moretti, capace di parlare al pubblico di tutto il mondo. Questo positivo dato di vendite - conclude Nicola Claudio - segna un risultato importante per tutto il cinema italiano che sta vivendo un momento di successo e visibilità”.

 
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Cannes 2015: Tom Hardy e Charlize Theron in una furiosa e spettacolare corsa per la sopravvivenza da radiocinema.it

Post n°12389 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Presentato oggi fuori concorso al Festival "Mad Max: Fury Road, reboot della saga degli anni '80 diretta da George Miller. Ecco cosa hanno raccontato in conferenza stampa il regista George Miller e I due protagonisti

Mad max castCannes, 14 Maggio – Tre applausi a scena aperta ed uno entusiastico alla fine hanno accolto oggi la prima proiezione stampa al Festival di Cannesdell’atteso Mad Max: fury roadpresentato fuori concorso e da oggi nelle sale cinematografiche. Il film, diretto ancora da George Miller, vede il ritorno dell’eroe della saga action apocalittica, a trent’anni di distanza dall’ultimo capitolo, questa volta interpretata daTom Hardy (a tratti molto somigliante al suo predecessore, Mel Gibson),un’irriconoscibile Charlize Theron rasata e sporca di grasso, e Nicholas Hult.

Per Tom Hardy calarsi in un personaggio tanto iconico lo ha reso “felice e molto emozionato. Solo dopo ho realizzato che Mad Max per tutti era Mel Gibson, e mi sono un po’ agitato. – racconta – Ma noi non volevamo sostituire nessuno, volevamo semplicemente rilanciare un personaggio, dargli nuova vita, e io ho trovato in George il supporto necessario per affrontare la parte serenamente, perché Mad Max è suo, è lui che l’ha creato”.

Charlize Theron è al suo primo ruolo da action hero ma, come precisa lei stessa: “fin dall’inizio ho visto il grande potenziale di questo personaggio. Con George ci abbiamo pensato molto e per me è stato incredibile essere una donna in un film così maschile senza provare ad essere un uomo. Cosa che invece di solito accade. So che mi è stata data una grande opportunità”.

Il film è stato girato in 120 giorni nel deserto della Namibia. Gli attori, che hanno dialoghi ridotti al minimo, sono realmente stati impegnati al volante dei loro veicoli anche se con qualche trucco nelle scene più spettacolari: “Abbiamo potuto mettere le macchine da presa dove prima non sarebbe stato possibile con quel magnifico sistema che è l’Edge Arm. – racconta il regista australiano – Se c’è una lotta su un veicolo, possiamo mettere i cavi agli attori e poi cancellarli in CGI. Quando vediamo Max appeso a testa in giù tra due veicoli, quello è Tom Hardy. Quando Furiosa si aggrappa a lui, è Charlize Theron aggrappata a Tom. E quando vediamo Nux arrampicarsi sul cofano di un veicolo, quello è Nicholas Hoult”.

“Quello che volevo fare del film era un lungo, ininterrotto inseguimento, o una lunga, ininterrotta graphic novel. – spiega Miller – L’ho sempre immaginato come un tuffo difficilissimo, col più alto tasso di difficoltà e tale è stato: sul set mi sono chiesto ogni giorno se fossimo diventati matti a imbarcarci in un’impresa del genere, ma devo dire che alla fine è stato bello. In fondo allo stomaco avevo sempre una paura terribile per la troupe, paura per un incidente che sarebbe potuto capitare in ogni momento, ma sul set non abbiamo avuto nemmeno un osso rotto: qualche livido sì, ma nemmeno un osso rotto”.

Una produzione da 150 milioni di dollari (150 auto da corsa costruite a mano e lanciate a 150 miglia all’ora, 3.500 storyboard, 120 giorni di gare in stile Road War) per un film spettacolare ma che sfugge alla narrazione per regalare solo entertainment di ottima fattura ma solo sul piano estetico. I punti di forza del film sono nella fotografia di John Seale e nel frenetico montaggio di Margaret Sixel.

A chi gli chiede se a questo Fury Road seguirà un altro capitol di Mad Max, Miller risponde: “non saprei. Ora mi sento oggi come una donna che ha appena partorito un bambino molto grande: felicissimo ma molto affaticato, e non riesco davvero a pensare a fare un altro bambino ora, appena uscito dal travaglio”.

 

MARILENA VINCI

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"Il racconto dei racconti" di Matteo Garrone da micromega

Post n°12388 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

di Giona A. Nazzaro

A Matteo Garrone va dato atto di un coraggio davvero notevole. Dopo Reality, film dalle molte ombre e poche luci, e con alle spalle il successo di Gomorra che lo ha quasi schiacciato, Garrone ha rischiato, a nostro avviso, di smarrire quel piacere schietto per il cinema, per il pericolo che il cinema necessariamente comporta, che ha sempre distinto il suo lavoro più riuscito. 

E dunque con una legittima ansia che ci si avvicina a Il racconto dei racconti: le voci e le informazioni circolanti non permettevano certo di avere un’idea precisa di cosa sarebbe stato il film e né tanto meno immaginare come avrebbe impattato sul suo cinema un cast internazionale e una produzione più complessa del solito. 

Così, quando si riaccendono le luci in sala, si avverte la sensazione, addirittura palpabile, che il cinema di Garrone ha preso davvero una svolta imprevista. Una direzione affascinante che, ed è questo il dato più importante, conserva fra le pieghe del racconto, il piacere del gesto-cinema dell’autore di Terre di mezzo e di Estate romana

Si entra nel film con un movimento quasi impercettibile, come se la troupe circense fosse l’immagine della macchina cinema che sta per attivarsi. Il piano sequenza che ci guida nel film niente ha in comune con il volo iniziale di Reality eppure, la dolcezza del movimento, ci aiuta a varcare la soglia di un mondo che avvertiamo immediatamente, e al tempo stesso, così lontano eppure vicinissimo. 

Garrone affonda le mani e lo sguardo nello cunto de li cunti di Basile per creare un mondo, una triangolazione morale (e politica), che sorprende per la sobrietà realistica della sua messa in scena. Adottando un approccio diremmo documentario al cosiddetto fantasy, Garrone riesce ad evitare sia la deriva fellinesca che il materiale implicitamente avrebbe legittimato (e che inficiava in parte il precedente Reality), sia l’estetica del genere così come è stata ricodificata da Il trono di spade

Quello de Il racconto dei racconti è un mondo di forme geometriche e astratte. La circonferenza del perimetro della corte reale, i labirinti, i sentieri nella foresta, i cunicoli nei quali si celano mostri letali, la caverna dell’orco, le stanze del castello. Un mondo nel quale il caos e i suoi emissari sono esorcizzati dal rito, a sua volta, evidentemente, una forma fra le forme. 

Con un acume registico notevole, Garrone orchestra lo spazio del suo film come il coagularsi di un sentire, il farsi di un mondo. Tutti i protagonisti del film sono colti alla soglia di un mondo dove il vero e il fantastico sono ancora intrecciati indissolubilmente. Un mondo nel quale il principio di realtà non ha ancora adottato una prospettiva storica. Nel quale l’uomo non è ancora consapevole di essere lui stesso creatore della civiltà umana attraverso la storia. Se la storia, con Vico, rappresenta la “scienza delle cose fatte dall’uomo”, nel mondo messo in scena da Garrone la storia è ancora “lo cunto” che contiene tutti “li cunti”. Ossia il mondo è ancora “solo” un contenitore delle imprese fantastiche della disubbidienza dell’uomo per affrancarsi da quanto non conosce e lo minaccia. 

Non è un caso che in un universo siffatto, gli appetiti dominino incontrastati. Sono anzi essi, il motore delle storie e degli eventi. In questo universo, nel quale la superstizione e la fede si confondono, l’arbitrio e il potere dominano, l’uomo si afferma come materia che non piega il capo, che resiste agli affronti, che si sforza di imprimere un’altra direzione al mondo. Così laddove nel cinema di Garrone, così come l’abbiamo conosciuto sinora, il reale sovente s’impennava per tracciare parabole fantasmagoriche insinuando sospetti sulla tenuta del suo tessuto, ne Il racconto dei racconti il regista è come se filmasse soprattutto la realtà materiale del suo set, la realtà di un lavoro, il cinema, che attraverso le articolazioni di una produzione complessa, gli permette di riscoprirne tutte le potenzialità. 

Non è un caso che in conferenza stampa Garrone abbia invocato, a proposito degli effetti speciali ma la cosa si può estendere a tutto il suo film, un’aspirazione al nitore del cinema delle origini. L’artificio non vive nella banale verosimiglianza del digitale iperreale, quanto nello scarto tangibile fra la materia e l’immagine. Ed è esattamente questo equilibrio, la visibilità dell’effetto speciale, a fare la ricchezza del film: perché se da un lato l’effetto speciale è presentato come documento di un lavoro, dall’altro il mondo (ossia i luoghi, scovati dal regista con la collaborazione di Gennaro Aquino) è offerto come un manufatto fantastico, a tratti anche ostile, nella sua bellezza colta come alle soglie della storia. 

La reinvenzione del cinema di Garrone va di pari passo con la creazione di un mondo altro. Eppure, come nei migliori viaggi attraverso lo specchio, alla fine del peregrinare ci si ritrova, ancora, nel mezzo del cammin di nostra vita. Il funambolo in equilibrio sulla corda in fiamme, colto a metà del suo periglioso gioco, non può non ricordarci Garrone stesso e, per inevitabile riflesso, lo spettatore, chiamato a condividere un’esperienza “inenarrabile”. 

Ed è questa sospensione, per estensione anche quella dell’incredulità, a fare la forza del singolare film di Matteo Garrone, che riporta al cinema italiano quel piacere del rischio che una volta, invece, sembrava essere una parte consistente del fare cinema. Inevitabile, dunque, che Il racconto dei racconti possa andare incontro a delle incomprensioni o, semplicemente, a degli apprezzamenti di principio dettati semplicemente da appartenenze e lealtà trasversali. Un peccato, perché il cinema italiano degli ultimi anni non ha offerto poi tanto spesso lo spettacolo, questo sì davvero rigenerante, di un autore che si reinventa pur restando fedele a se stesso, spostando però il suo lavoro in territori per lui ancora inesplorati. Non fosse che per questa sola ragione, Matteo Garrone merita tutto il nostro rispetto. 

(15 maggio 2015
)
 
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Youth - La giovinezza di Paolo Sorrentino da vanityfair

Post n°12387 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

«In un elegante albergo ai piedi delle Alpi Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant’anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile: sanno che il loro futuro si va velocemente esaurendo e decidono di affrontarlo insieme»: è così che inizia la trama di Youth - La giovinezza, il nuovo film di Paolo Sorrentino (il primo dopo l'Oscar per La grande bellezza), che esce nelle sale italiane il 20 maggio, in contemporanea con la presentazione al 68esimo Festival di Cannes, dove è in lizza per la Palma d'oro (insieme agli altri due italiani, Garrone e Moretti).

Una storia corale, che ha per protagonisti Michael Caine e Harvey Keitel, ma vede avvicendarsi sullo schermo numerosi volti noti del cinema, da Rachel Weisz a Jane Fonda. «È un film atipico, più calmo, schietto, diretto e anche più bello del mio solito: sono curioso di vedere come sarà accolto», ha dichiarato Sorrentino nel salotto di Che tempo che fa, dove è intervenuto domenica sera con Michael Caine per presentare il film. Comunque vada, per il regista napoletano si annucia un periodo intenso: in estate avranno infatti inizio anche le riprese di The Young Pope, la serie prodotta da Sky, HBO e Canal +, con protagonista un pontefice d'eccezione: Jude Law.

Nel frattempo, noi possiamo mostrarvi in anteprima esclusiva alcune nuove immagini dell'attesissimo Youth, in sala dal 20 maggio. 

 
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Renzi svende le meraviglie d’Italia. Al Salone del libro la denuncia di Settis e Montanari da left.it

Post n°12386 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Renzi svende le meraviglie d’Italia. Al Salone del libro la denuncia di Settis e Montanari

“Italia, salone delle meraviglie” è il titolo della fiera del libro che entra nel vivo al Lingotto di Torino con decine di conferenze dedicate al patrimonio d’arte, alla conoscenza e alla tutela di una tradizione unica al mondo e straordinariamente fusa con il paesaggio. Di tutto questo, e da varie prospettive, parlano al Salone del libro 2015 critici e storici dell’arte, scrittori, archeologi e divulgatori, fino a lunedì 18 maggio.

A emergere non sono solo la storia, la fantasia creativa, la lingua viva dell’arte italiana.Ma anche l’ignoranza e le scellerate politiche liberistiche di “de-tutela” messe in atto negli ultimi vent’anni e senza soluzione di continuità dai governi Berlusconi e ora dal governo Renzi.

La denuncia parte da voci autorevoli come quella di Salvatore Settis, già direttore della Normale e oggi alla guida del comitato scientifico del Louvre. Nel libro Se Venezia muore (Einaudi) denuncia la distruzione della laguna causata in primis dalle grandi navi, vere e proprie navi grattacielo che inquinano e deturpano il paesaggio. Di questa emergenza, ma anche della bellezza di Venezia le cui mura, come un palinsesto, recano iscritti secoli di storia umana, il professore ha parlato domenica 17  in una una lectio applauditissima.

Svolge una critica serrata alla riforma Franceschini voluta dal governo Renzi nel suo intervento al Salone lo storico dell’arte Tomaso Montanari, che sabato 16 maggio ha presentato il suo nuovo, sferzante, pamphlet Privati del patrimonio (Eianudi). Un libro in cui il docente dell’Università Federico II di Napoli critica aspramente il modo in cui il governo Renzi apre all’ingresso dei privati nella gestione dei beni culturali, contemporaneamente indebolendo le soprintendenze e il loro ruolo strategico nella tutela, e con lo Sblocca Italia esponendo il paesaggio al rischio di nuove colate di cemento.

Negli anni Novanta provvedimenti di cartolarizzazione e di svendita caratterizzarono le politiche ultra liberiste del centrodestra, ricorda Montanari nel suo libro, richiamandoItalia Spa (Einaudi) scritto da Settis nel 2002. Allora anche grazie alla “finanza creativa” di Tremonti fu messo in atto un assalto al patrimonio pubblico che pareva senza pari. Ma ora – denuncia Montanari – è l’attuale consigliere di Renzi, Marco Carrai, a rilanciare l’idea di Italia Spa. «È un circolo vizioso – rileva Montanari -. Si svende il patrimonio pubblico perché non c’è alcuna intenzione di recuperarlo e riutilizzarlo. E la svendita genera nuovo bisogno di costruire. Senza contare che la dismissione di questo tipo di monumenti non va a detrimento delle classi alte. Chi non ha una casa aveva almeno delle case pubbliche: adesso non avrà più neanche quelle».

La traduzione in legge dello Sblocca Italia, di fatto, ha ulteriormente peggiorato il quadro, denuncia lo storico dell’arte: «Perché è stato abrogato il comma di una legge del 2013 che permetteva al ministero dei Beni culturali di intervenire nella scelta dei beni da alienare. Ora il Mibact non ha più nemmeno diritto di parola. Di fronte a tutto questo il ministro Franceschini si sarebbe dovuto dimettere, invece non ha nemmeno protestato. Per assurdo ora gli Uffizi potrebbero essere messi in vendita senza che il ministero possa nemmeno fiatare».

 
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Addio B.B. King: le foto più belle da rainews24

Post n°12385 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

E' stato una delle figure più importanti della storia del blues di sempre

È morto B.B. King, uno dei più famosi e apprezzati musicisti blues al mondo. Cantautore, e abilissimo chitarrista, tanto da essere "innamorato" della sua chitarra (una Gibson ES-355 nera) al punto di dedicargli una canzone, la famosissima "Lucille", appartenente all’album omonimo dove appare sfoggiandone il dorso, come se ritraesse molto romanticamente e con una passione infinita una donna.
B.B. King era statunitense e aveva 89 anni; è morto a Las Vegas, soffriva di diabete da molti anni anni e lo scorso aprile era stato ricoverato in ospedale.

 
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George RR Martin sulle differenze tra i libri e la serie da http://blog.ghiaccioefuoco.com

Post n°12384 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

Superata la metà stagione, le critiche e i commenti sulle enormi differenze tra libri e serie si fanno più carichi e (a volte) pesanti. Per rispondere alle migliaia di email ricevute dopo l’episodio “Unbowed, unbent, unbroken”, andato in onda ieri sera su HBO, Geroge R. R. Martin fa una dichiarazione sul suo blog, che abbiamo tradotto per voi. 

Leggi in lingua originale qui

Sto ricevendo tantissime email e commenti su questo blog riguardo all’episodio di GAME OF THRONES andato in onda questa sera. Me lo aspettavo. 

I commenti…di qualunque genere e tono… sono stati eliminati. Ho detto fin dall’inizio che questo non è il luogo adatto per discutere la serie TV.  Vi prego di rispettare questa mia scelta. 

Ci sono luoghi migliori per questo tipo di discussioni: Westeros, Tower of the Hand, Watchers on the Wall, Winter is Coming, le sezioni per i commenti di critici televisivi che seguono lo show: James Hibberd, Alyssa Rosenberg, Mo Ryan, James Poniewozik e i loro colleghi: sono sicuro che in questi siti troverete modo per dibattere.

Molti fan mi chiedono di commentare. 

Lasciatemi ripetere quello che ho detto in passato. 

Quanti figli aveva Scarlett O’Hara? Tre nel libro. Uno nel film. Nessuno nella vita reale. Era un personaggio inventato, non è mai esistita. La serie è la serie, i libri sono i libri; due modi diversi di raccontare la stessa storia. 

Ci sono state differenze tra i libri e la serie fin dal primo episodio. E fin dal primo episodio ho parlato dell’effetto farfalla. Piccoli cambiamenti portano grandi cambiamenti che, a loro volta, generano enormi cambiamenti. HBO sta avendo l’impossibile e arduo compito di adattare in poco più di quaranta ore i miei (estremamente) lunghi e (straordinariamente) complessi romanzi, con i loro strati di trame e sotto-trame, svolte, contraddizioni, narratori non affidabili, cambi di punti di vista e ambiguità, e centinaia di personaggi.

Raramente abbiamo assistito a Serie TV fedelissime al materiale di partenza (se avete dei dubbi al riguardo, parlate con i fan di Harry Dresden, o con i lettori della saga di Sookie Stackhouse, o con i fan del fumetto di WALKING DEAD)… e man mano che la serie va avanti, le farfalle diventano sempre più grandi. E adesso siamo arrivati al punto in cui il battito d’ali delle farfalle sta generando una bufera, un po’ come quella che si è creata nella mia casella di posta.

La prosa e la televisione hanno misure diverse, debolezze diverse e requisiti diversi. 

David , Dan , Bryan e HBO stanno cercando di fare del loro meglio per creare una buona serie tv. 

E io sto cercando di fare del mio meglio per creare dei buoni romanzi.

E sì, per l’ennesima volta, sono diversi. Due strade che di dividono e si perdono, immagino… ma che puntano ad arrivare alla stessa conclusione. 

Nel frattempo, speriamo che tanto i lettori come gli spettatori si godano il viaggio. O i viaggi, come nel caso di molti. A volte le farfalle di trasformano in draghi. 

 

((Tolgo la possibilità di commentare a questo post. Commentate negli altri siti che vi ho citato. E per quelli curiosi, vi rimando ai capitoli già editi di THE WINDS OF WINTER che potete trovare sul mio sito))

 
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I fantasmi di Westeros

Post n°12383 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

‬Sappiamo bene ormai che il mondo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco è ricco di personaggi,‭ ‬un numero che continua a crescere con il procedere dei libri e della serie televisiva.‭ ‬Tuttavia ci sono molti personaggi che,‭ ‬pur non apparendo direttamente nei racconti,‭ ‬sono presenze molto concrete nei pensieri,‭ ‬nei dialoghi e talvolta nei sogni di alcuni protagonisti che vivono e agiscono nel mondo di Westeros.‭ ‬Ecco alcuni di questi fantasmi che abbiamo imparato a conoscere attraverso gli occhi e i ricordi di altri.

 

 

LYANNA STARK

 

Lyanna by ‭ ‬ReddEra"Robert,‭ ‬tu non conoscevi Lyanna quanto me.‭ ‬Hai visto la sua bellezza,‭ ‬ma non l’acciaio che si trovava sotto di essa.‭" ‬-‭ ‬Eddard Stark

 

 

Abbiamo sentito parlare cos di Lyanna,‭ ‬che la conosciamo molto di picuni personaggi che sono apparsi nella saga.‭ ‬Lyanna,‭ ‬sorella di ‭ ‬Eddard Stark  e promessa sposa di  Robert Baratheon, riappare molto spesso nei pensieri dei due uomini, seppur con caratteristiche contrastanti: Robert la ricorda come una fanciulla dolce, mentre Eddard come una ragazza testarda e impavida, molto simile alla figlia  Arya. Lyanna in particolare è lo spettro che perseguita Eddard, soprattutto in nome di una  misteriosa promessa in letto di morte.

 

 

RHAEGAR TARGARYEN

 

 

Rhaegar Targaryen by FFG

 

‭"‬Rhaegar ha combattuto con valore,‭ ‬Rhaegar ha combattuto con nobiltà,‭ ‬Rhaegar ha combattuto con onore.‭ ‬E Rhaegar è morto.‭" ‬-‭ ‬Jorah Mormont

 

Rhaegar resenza costante nei ricordi di ‭ ‬Robert Baratheon  e il suo solo pensiero rievoca nel sovrano il sentimento di odio e rancore nei confronti dei  Targaryen: il nobile principe, molto amato dal popolino, è stato, agli occhi di Robert, il crudele rapitore della sua amata  Lyanna  e colui che ne ha provocato la morte. Rhaegar riappare spesso anche nei pensieri di  Daenerys. La ragazza, che non lo ha mai conosciuto, sembra averlo preso come modello di eroismo e coraggio da seguire, grazie alle storie che le vengono raccontate. Procedendo con la storia, un'altra voce importante si aggiunge nel raccontare le vicende di Rhaegar: quella del suo grande amico  Jon Connington, intenzionato a completare una missione nel nome del defunto principe.

 

 

ELIA MARTELL

 

 

Elia Martell by Juliana P.‭"‬La principessa Elia di Dorne era una brava donna.‭ ‬Cortese e intelligente,‭ ‬con un cuore gentile e di notevole arguzia.‭" ‬-‭ ‬Barristan Selmy

 

 

Prima dell'introduzione di ‭ ‬Oberyn Martell  nella storia, Elia era solo un'ombra vaga, la sventurata sposa del principeRhaegar  morta nel massacro di  Approdo del Re. Con l'arrivo di Oberyn nella capitale, Elia è diventata una presenza importante a corte e, grazie ai ricordi del fratello, a cui era legatissima, si scopre sempre di più sulla sua storia e sulla sua terribile fine. Dopo la morte di Oberyn, il ricordo di Elia permane nelle vicende della  Casa Martell, dove il ricordo della ragazza è sempre stata una presenza costante, come altro pretesto per vendicarsi dei soprusi subiti dai  Lannister,  insieme alla morte dello stesso Oberyn.

 

 

AERYS II TARGARYEN

 

 

Aerys II‭ ‬-‭ ‬artista sconosciuto

 

"Aerys era pazzo,‭ ‬l'intero reame lo sapeva‭" ‬-‭ ‬Catelyn Tully

 

Eddard,  Jaime,  Catelyn,  Brienne,  Barristan,  Pycelle... c'è qualcuno che non ha mai parlato di Aerys II Targaryen? Se il rapimento di  Lyanna  da parte di  Rhaegar  è stato il pretesto per far scoppiare la rivoluzione, la follia di Aerys è le sue decisioni scellerate hanno contribuito a far sbocciare i semi della rivolta. A differenza di altri personaggi, il cui carattere dipende da chi ne parla, tutti sembrano essere concordi su Aerys: era un folle, sia in pubblico, sia in privato, sia per chi viveva nella capitale, sia per chi non l'ha mai conosciuto direttamente. L'unica che non è ancora del tutto convinta sulla sua follia è la figlia  Daenerys, che talvolta vede queste storie come un semplice pretesto inventato dai suoi avversari per detronizzarlo. Ma quando tutti quelli con cui parla riportano la stessa versione, Daenerys comincia a temere che quella follia possa diventare reale e manifestarsi anche in lei.

 

 

 

TYSHA

 

 

Tysha by ‭ ‬MartaFav

 

"Tysha è stata l'unica che mi ha veramente amato.‭" ‬-Tyrion Lannister

 

Un altro personaggio solamente accennato per molto tempo‭ ‬,‭ ‬che diventa una presenza costante nella mente di ‭ ‬Tyrion Lannister  dopo il suo arrivo a  Pentos  e durante tutta la sua permanenza a  Essos. Tyrion ricorda con dolore la sua giovane sposa, allontanata per volere di  Tywin Lannister, fino a farla diventare un feticcio concreto dell'odio contro la sua famiglia: contro  Jaime  che gli ha sempre fatto credere fosse una prostituta e contro suo padre, che l'ha cacciata dopo averla umiliata pesantemente.

 

 

JOANNA LANNISTER

 

 

Joanna by ‭ ‬Naomi makes art73‭"‬Solo lady Joanna conosce davvero ‭ ‬l'uomo che c‭' ‬l'armatura  e tutti i suoi sorrisi appartengono a lei e a lei soltanto." - Pycelle

 

 

Amata moglie di lord ‭ ‬Tywin  e madre dei loro tre figli, Joanna muore nel dare alla luce  Tyrion  ed è stata per molto tempo il vero e proprio tassello mancante della  Casa Lannister: l'odio di  Cersei  nei confronti di Tyrion sembra partire proprio dalla morte di sua madre per cui la donna, sin da bambina, incolpa suo fratello. Sulla figura di Joanna, sempre una presenza delicata nella storia, si inizia a fare chiarezza molto tardi nella saga, verso la fine del quarto volume, fino ad apparire inaspettatamente in sogno a  Jaime, rivelando nuove dinamiche all'interno della famiglia Lannister, che forse verranno approfondite in futuro. Di certo, la morte di Joanna è stato un dolore profondo per lord Tywin, che non si è mai più risposato.

 

 

TERZA MOGLIE DI VICTARION

 

 

"Mysterious woman‭" ‬-‭ ‬artista sconosciuto

 

"L'ho pestata a sangue con le mie stesse mani,‭ ‬ma Occhio-di-corvo l'ha uccisa ficcandoglielo dentro.‭ ‬Non avevo scelta.‭" ‬-‭ ‬Victarion Greyjoy

 

Chiunque abbia letto i capitoli di ‭ ‬Victarion Greyjoy  non può essersi dimenticato della presenza quasi angosciante di questa donna nei ricordi del capitano. La particolarità di questo personaggio, rispetto a quelli citati finora, è che di lei non si sa quasi nulla, neppure il nome. L'unica certezza è che è morta per mano di Victarion stesso, dopo essere rimasta incinta di  Euron, non si sa se per stupro o a seguito di un tradimento consenziente. Per due libri questa donna appare solo nei ricordi di Victarion, con pochissimi dettagli: magari in futuro scopriremo di più, oppure rimarrà un fantasma che perseguiterà Victarion (e i lettori) per tutti i suoi capitoli.

 
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ROCCO E I SUOI FRATELLI restaurato da rainews23

Post n°12382 pubblicato il 19 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

 (ANSA) FOTO 1 DI 14 #Cannes2015, il ritorno di 'Rocco e i suoi fratelli' restaurato e senza censura Tweet16 17 MAGGIO 2015 Un film indimenticabile 'Rocco e i suoi fratelli', per la regia del maestro Luchino Visconti. Film al Festival di Cannes, nella sezione Cannes Classics in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Titanus, TF1 Droits Audiovisuels, The Film Foundation di Martin Scorsese e Gucci. Il restauro e' realizzato dal laboratorio della Cineteca di Bologna L'Immagine Ritrovata. Ospite d'onore della serata Claudia Cardinale, una dei protagonisti resi celebri dalla pellicola, insieme ad Alain Delon, Renato Salvatori e Annie Girardot.  Nel nuovo restauro, supervisionato dallo stesso direttore della fotografia del film, Giuseppe Rotunno, si recuperano i tagli di censura avvenuti dopo la prima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1960: in particolare, le due sequenze della violenza di Simone (interpretato da Renato Salvatori) su Nadia (Annie Girardot) e dell'omicidio della stessa Nadia da parte di Simone. Sequenze restituite alla loro integrità.   - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Rocco-e-i-suoi-fratelli-a0a586d5-178e-46f7-b34e-933418b4a181.html

 
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