Creato da: Ladridicinema il 15/05/2007
Blog di cinema, cultura e comunicazione

sito   

 

Monicelli, senza cultura in Italia...

 
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Novembre 2015 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

tutto il materiale di questo blog può essere liberamente preso, basta citarci nel momento in cui una parte del blog è stata usata.
Ladridicinema

 
 

Ultimi commenti

Contatta l'autore

Nickname: Ladridicinema
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 39
Prov: RM
 
Citazioni nei Blog Amici: 28
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

FILM PREFERITI

Detenuto in attesa di giudizio, Il grande dittatore, Braveheart, Eyes wide shut, I cento passi, I diari della motocicletta, Il marchese del Grillo, Il miglio verde, Il piccolo diavolo, Il postino, Il regista di matrimoni, Il signore degli anelli, La grande guerra, La leggenda del pianista sull'oceano, La mala education, La vita è bella, Nuovo cinema paradiso, Quei bravi ragazzi, Roma città aperta, Romanzo criminale, Rugantino, Un borghese piccolo piccolo, Piano solo, Youth without Youth, Fantasia, Il re leone, Ratatouille, I vicerè, Saturno contro, Il padrino, Volver, Lupin e il castello di cagliostro, Il divo, Che - Guerrilla, Che-The Argentine, Milk, Nell'anno del signore, Ladri di biciclette, Le fate ignoranti, Milk, Alì, La meglio gioventù, C'era una volta in America, Il pianista, La caduta, Quando sei nato non puoi più nasconderti, Le vite degli altri, Baaria, Basta che funzioni, I vicerè, La tela animata, Il caso mattei, Salvatore Giuliano, La grande bellezza, Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo, Z - L'orgia del potere

 

Ultime visite al Blog

TEMPESTA_NELLA_MENTESense.8cassetta2surfinia60monellaccio19acer.250iltuocognatino1mario_fiyprefazione09LiledeLumiLMiele.Speziato0Ladridicinemarossella1900.rvita.perezbrunella5
 

Tag

 
 

classifica 

 

Messaggi di Novembre 2015

 

Deisderio

Post n°12792 pubblicato il 30 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 1946, di Roberto Rossellini e Marcello Pagliero

Diversi sono i motivi per parlare di questo film

1) È ’ uno dei primi film di Girotti in cui il proprio personaggio ricalca in qualche modo quello di Ossessione

2) È un film che oggi diremmo “maledetto” in quanto attraversò incredibile traversie produttive per poi essere maledetto definitivamente dalla Chiesa

3) È un film di cui si sono conservate le richieste censorie che oggi ci appaiono surreali 

4) È un film secondo me ingiustamente ignorato e disprezzato dalla critica 


TRAMA

Paola si prostituisce a Roma finché non viene sconvolta dalla visione di una ragazza che si è suicidata gettandosi gnel vuoto. È in quella triste circostanza che conosce Giovanni, floricoltore non più giovane, ma simpatico e premuroso. Paola se ne innamora e nasce in lei il desiderio di cambiare vita. Ritorna nel paese natio in occasione del matrimonio della sorella e decide di rimanervi per un po’, dopo anni di assenza. 
Giovanni l’avrebbe poi raggiunta per chiedere la sua mano dinnanzi ai suoi genitori.
Il suo ritorno nel piccolo paese di campagna porta però scompiglio: il padre non le vuole rivolgere la parola perché ha scoperto il mestiere della figlia tramite dei pettegolezzi. 
Il neo-cognato Nando, che Paola conosce da una vita, non sa nulla di queste voci e pensa che Paola facesse la sarta. Rimasto stupito dall’avvenenza della ragazza Nando cova per lei un desiderio che cerca di nascondere. Ma alla fine sua moglie lo scopre e litigano.
Allo stesso tempo Riccardo, un ex di Paola che conosce il suo recente passato la ricatta: se non va a letto con lui, dirà tutto. A Paola non rimane che cedere al ricatto, ma Nando interviene in tempo. 
Paola ora è rovinata: la sorella tanto amata la odia, il cognato la disprezza e Riccardo probabilmente andrà a dire tutto. Non le rimane che buttarsi giù da un ponte, ripetendo così il gesto che aveva aperto il film e che l’aveva turbata tanto da innescare un profondo turbamento.
Giovanni arriva in quel momento da Roma. Domanda che cosa è successo proprio a l’ex di Paola, colui che l’ha spinta a questo gesto estremo. Riccardo gli risponde che una bravissima ragazza si è suicidata. Giovanni non vede il corpo e continua la sua strada verso il paese in cui spera di trovare la sua innamorata.
GENESI DEL FILM 


Rossellini aveva amato particolarmente Ossessione e poche settimane dopo l’uscita del film di Visconti si mise a lavorare a questo progetto che ne avrebbe ricreato le atmosfere cupe e pessimistiche, descrivendo uno stato sociale in cui il riscatto è impossibile e l’amore fatale.
Non a caso si servì della presenza di Girotti, già utilizzato da lui in Il pilota ritorna, film di propaganda bellica realizzato nel ’42 sotto l’egida di Vittorio Mussolini che ne firmò il soggetto. Già in quel film s’impose l’empatia rosselliniana con i sofferenti.

Del soggetto originale di Anna Benvenuti il film conserva ben poco. Il titolo che aveva in mente Rossellini era Scalo Merci e si trattava di un film che analizzava la situazione dei ferrovieri e che avrebbe dovuto avere come protagonista Interprete originale doveva essere Oretta Fiume. Nel luglio 1943, in seguito al bombardamento della scalo ferroviario di San Lorenzo a Roma dove Rossellini intendeva girarlo, venne deciso di spostare le riprese in una zona più tranquilla e più meridionale, ovvero l’Abruzzo. Il titolo mutò in Rinuncia, la protagonista sarebbe stata Elli Parvo e la storia sarebbe stata ambientata in un villaggio di boscaioli Alla sceneggiatura lavorarono lo stesso regista e Giuseppe De Santis, allora critico cinematografico, il quale si rifiutò di seguirlo in Abruzzo in quanto impegnato nella Resistenza. 
Alla fine Rossellini non girò nulla in Abruzzo e tutto il materiale da lui girato si limitò alle scene iniziali di Anna e l’amica prostituta, il primo dialogo delle due sorelle e poche altre scene secondarie girate in studio. Il resto fu tutto opera di Marcello Pagliero, sceneggiatura esclusa: fu infatti lo stesso Rossellini a scegliere un nuovo, tragico finale.

CENSURA

Le sfortune di questo progetto non si esaurirono dopo le turbolente riprese: nel luglio del 1946 il film venne ritirato subito dalle sale per richiesta del Centro Cattolico Cinematografico che chiese l’eliminazione delle seguenti inaccettabili scene:

Girotti che prende in mano le mutande di Paola 
La toeletta di Paola.
Le battute di Riccardo “ Ti ho portato fortuna”
e “anche se sono sposato e ho dei figli troveremo il modo di organizzarci”
La scena delle due donne a letto
                                     
Il suicidio della protagonista in modo “da portare la vicenda a una soluzione serena e cristiana.”
Quest’ultima richiesta però non può essere accontentata perché è l’unico finale girato.
Gli autori spiegano le proprie ragioni al Centro Cattolico che alla fine acconsente al suicidio.
Nel novembre del 1946 il film uscì di nuovo, passando inosservato da critica e pubblico.
CRITICA
Il Morandini lo liquida in questo modo: “ Così com'è, sembra solo una brutta copia di Ossessione di Visconti.”
Sul web non si trovano molte altre recensioni. La maggior parte degli studiosi di Rossellini l’ha trascurato poiché la regia effettiva è di Pagliero.
Eppure se oggi il Dvd c’è è proprio grazie alla parziale regia di Rossellini che campeggiava anche sulla locandina del film.
Corredato di interessanti extra, il dvd presenta una versione restaurata in cui alcune scene sono state reintegrate, come quelle, scandalosissime e fuorvianti, delle mutande e delle due sorelle che parlano sul letto. Molte altre sono andate perdute. In ogni caso, nonostante si avverta un ritmo fin troppo serrato per un film degli anni ’40, indice inequivocabili dei tagli, il film è tutt’altro che monco e non è per nulla una brutta copia di Ossessione. Anzi.
I dialoghi sono ottimi e incredibilmente attuali, il che è un pregio non da poco per un film che ha quasi settant’anni. I protagonisti si esprimono con un linguaggio semplice e attuale, fatto che non sempre accadeva invece in Visconti. 
La storia è appassionante e il tragico finale risulta ancora scioccante. Il suicidio della protagonista, ex prostituta redenta, sembrerebbe così evitabile, forzato e melodrammatico. Perché Paola non decide di aspettare il fidanzato, tornarsene con lui a Roma e fregarsene dei familiari maligni?
Perché Paola è figlia di una società patriarcale e maschilista in cui non c’è possibilità di redenzione per la donna caduta, né di emancipazione. A tal proposito è esplicativo il rapporto tra Nando e la moglie (Girotti e Schmidt, a lato), succube e angelica come deve essere. Finchè alla fine non reagisce, e allora il marito perde le staffe.
In questo c’è il legame con Visconti: il personaggio di Elli Parvo sceglie il suicidio come quello di Clara Calamai sceglieva l’omicidio. Gesti estremi resi possibili da situazioni estreme, in cui alle donne, e ai più deboli in generale, veniva privato il diritto di parola.
Negata la parola, non rimane che l’azione: estrema, crudele, insensata ma per loro necessaria.
In fondo è quello che succede ancora oggi.
ATTORI
Elli Parvo è Paola, la protagonista. È il ruolo più controverso della sua carriera: feroce sensualità, prostituzione e suicidio. Un mix che l’avrebbe per sempre rilegata al ruolo di donna caduta. Prima di desiderio apparve in Il feroce Saladino, accanto ad Alida Valli e fu diretta anche da Vittorio de Sica ( La porta del cielo, 1941) e Luigi Zampa. Recitò, in parti sempre più piccole, fino al 1960. Si è spenta lo scorso 19 febbraio all’età di 96 anni. 

Massimo Girotti è Nando, cognato concupiscente di Paola. È un ingenuo che lentamente scopre la propria passione per la sorella della moglie. Importante, nell'economia del film, il suo rapporto con la moglie.
Carlo Ninchi interpreta Giovanni, un personaggio che esprime fiducia in ogni gesto e che fa innamorare Paola.
 Roswita Schimdt è la sorella di Paola. Ritornerà a lavorare per Rossellini in L'amore. pochissime altre esperienze come attrice.
                                          

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La sedia della felicità

Post n°12791 pubblicato il 30 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 
Locandina La sedia della felicità

Bruna è un'estetista che fatica a sbarcare il lunario. Tradita dal fidanzato e incalzata da un fornitore senza scrupoli, riceve una confessione in punto di morte da una cliente, a cui lima le unghie in carcere. Madre di un famoso bandito, Norma Pecche ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle sedie del suo salotto. Sprezzante del pericolo, Bruna parte alla volta della villa restando bloccata dietro un cancello in compagnia di un cinghiale. In suo soccorso arriva Dino, il tatuatore della vetrina accanto, che finisce coinvolto nell'affaire. Scoperti il sequestro dei beni di Norma e la messa all'asta delle sue otto sedie, Bruna e Dino rintracciano collezionisti e acquirenti alla ricerca dell'imbottitura gonfia di gioie. Tra alti e bassi, maghi e cinesi, laguna e montagna, Bruna e Dino troveranno la vera ricchezza.
Radicato nel Nordest, La sedia della felicità ribadisce il territorio del cinema di Carlo Mazzacurati e punta su due losers 'spaesati' e approdati, chissà come e chissà quando, al Lido di Jesolo. A Dino e Bruna, alla maniera dei personaggi lunari e malinconici deLa lingua del Santo, capita l'occasione della vita, un tesoro da trovare per cambiare la sorte e risollevarsi dai propri fallimenti. Ma il Veneto che abitano, e che attraversano oggi in lungo e in largo, è meno florido e la sua ripresa ogni giorno più lontana. A cambiare è pure il paesaggio antropologico, la composizione sociale di paesi e città a bagno nell'acqua e alle prese con tempi grami. Tempi che contemplano nondimeno il miracolo e allontanano, nella ricerca della felicità, la solitudine sempre in agguato. In una regione e in un mondo dove tutto va in panne, si rompe e si spezza, dove anche i traghetti alle fermate sembrano incapaci di ripartire, un'estetista e un tatuatore restano invischiati in qualcosa che non avevano previsto e che ha a che fare con la riscoperta dei sentimenti e dell'amore. Con garbo surreale, la commedia dinamica di Mazzacurati cambia lo stile di versificazione del suo cinema, sperimentando una scansione del racconto che pratica leggerezza e sorriso. Si (sor)ride tanto con La sedia della felicità, che 'esagera' rimanendo fedele al reale. Divertito, lieve e personale, lo sguardo dell'autore veneto coglie ancora una volta le contraddizioni esistenziali, trasfigurandole e deformandole in una rapsodia dominata dal caso, per caso avvengono gli incontri, gli abbandoni, le rivelazioni, i ritrovamenti. Per intenzione, gioco e tanto amore avviene invece l'agnizione, la rivelazione dei personaggi e il riconoscimento degli attori che hanno fatto e frequentato il cinema di Mazzacurati. Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Natalino Balasso 'accarezzano' con malinconica dolcezza una commedia che chiede a gran voce la sospensione dell'incredulità. Fuori dal gruppo, congedato con onore, debuttano Valerio Mastandrea, paladino gentile dai tempi comici perfetti, e Isabella Ragonese, nostra signora delle Dolomiti, piena di grazia e riservata bellezza. Presidente della Fondazione Cineteca di Bologna e allievo nel DAMS degli anni Settanta, Carlo Mazzacurati 'incontra' dentro un cimitero (anche) Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca emiliana, che alla maniera del cinema pone rimedio alla finitezza umana, risolvendo il suo desiderio di eternità (e di felicità).

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

The imitation game

Post n°12790 pubblicato il 30 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Locandina The Imitation Game

Manchester, primi anni '50. Alan Turing, brillante matematico ed esperto di crittografia, viene interrogato dall'agente di polizia che lo ha arrestato per atti osceni. Turing inizia a raccontare la sua storia partendo dall'episodio di maggiore rilevanza pubblica: il periodo, durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu affidato a lui e ad un piccolo gruppo di cervelloni, fra cui un campione di scacchi e un'esperta di enigmistica, il compito di decrittare il codice Enigma, ideato dai Nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta. È il primo di una serie di flashback che scandaglieranno la vita dello scienziato morto suicida a 41 anni e considerato oggi uno dei padri dell'informatica in quanto ideatore di una macchina progenitrice del computer. 
The Imitation Game rivela le sue intenzioni fin dal titolo: perché è un gioco di sotterfugi e contraffazioni che riguarda non solo il codice nazista, ma anche la stessa attività del gruppo di esperti riuniti per decifrarlo, costretti ad operare sotto copertura. Più profondamente, il "gioco imitativo" caratterizza la vita stessa di alcuni di quegli scienziati, Turing in testa, obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna eccentrici e poi li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo. 
Turing, una sorta di idiot savant con un prodigioso talento per i numeri e una parallela inettitudine per la convivenza sociale, è il martire perfetto, in questo schema claustrofobico: infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo un macchinario di nome Christopher (cioè "colui che porta Cristo"), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere "in codice", e incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
The Imitation Game è un film "imitativo" nel senso migliore del termine perché tiene visibilmente conto della lezione di molto cinema recente, e crea un racconto che pare la quintessenza della messinscena televisiva britannica alla Masterpiece Theatre partendo però da una prospettiva "altra". Il regista infatti è il norvegese Morten Tyldum, che si accosta al materiale con totale rispetto dei codici di comunicazione inglesi per raccontarne le contraddizioni e i limiti deumanizzanti. In questo senso la sua operazione non è dissimile da quella realizzata da un altro regista scandinavo, Tomas Alfredson, con il suo La talpa: non è un caso che alcuni attori (Benedict Cumberbatch, che ha il ruolo di Turing, e Mark Strong) e soprattutto la scenografa Maria Djurkovic, abbiano partecipato a entrambi i film. Non è un caso neppure che parte del team creativo dietro The Imitation Game sia europeo ma non inglese: oltre al regista e alla Djurkovic, che è anglo-cecoslovacca, ci sono il direttore della fotografia spagnolo Oscar Faura e il compositore francese Alexandre Desplat. La loro "Inghilterra ai tempi della guerra" è borderline disneyana (si pensi a Pomi d'ottone e manici di scopa) ma è proprio questa rappresentazione iconica a rendere il contrasto con la diversità non omologabile di Turing così stridente. Quell'Inghilterra è la metafora dell'understatement inteso come volontà caparbia di annullare qualsiasi forma di disobbedienza alla "normalità". È l'Inghilterra del rispetto cieco delle tradizioni e delle gerarchie, quella dei burocrati e dei segreti di famiglia conservati in naftlina. È infine l'Inghilterra che si appella al genio di Turing per salvarsi la pelle, ma è pronta a gettare il suo salvatore in pasto alla buoncostume.
The Imitation Game tiene conto di svariati esempi cinematografici recenti, da A Beautiful Mind a The Social Network - la struttura narrativa a flashback e forward di Aaron Sorkin è chiaramente un modello per lo sceneggiatore, Graham Moore - nel ritratto di un protagonista il cui genio viaggia di pari passo con la sua asocialità ai limiti dell'autismo, ma anche del background recitativo di Benedict Cumberbatch, che porta nella sua interpretazione di Turing l'eredità del Julian Assange di Il quinto potere e dello Sherlock Holmes televisivo, creando una continuità ideale fra l'eccentricità irriducibile di ieri e di oggi. 
Come anche ne La teoria del tutto, in The Imitation Game la confezione ipertradizionale e priva di guizzi autoriali non fa altro che rafforzare l'impatto della recitazione "totale" del protagonista: con la differenza che Cumberbatch nei panni di Turing è assai più pirotecnico di Eddie Redmayne in quelli di Stephen Hawking. L'intento della produzione, orchestrata da quel mago della corsa agli Oscar che è Harvey Weinstein, è chiaramente quello di assicurare una candidatura al suo attore purosangue. L'operazione, pur nella sua evidente pianificazione a tavolino, riesce comunque: perché Cumberbatch è una space oddity in grado di comunicare infiniti livelli di lettura; perché l'Inghilterra vista dagli outsider ha un impatto drammaturgico efficace; e perché all'interno di questa messinscena canonica e fortemente controllata l'ingiustizia del martirio di Turing risalta con ancora più incomprensibile nella sua crudele incongruenza.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Arance e martello da cineblog

Post n°12789 pubblicato il 30 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Dopo il boom di Pif con La mafia uccide solo d'estate, 2 David e 2 Nastri portati a casa, un altro personaggio televisivo dotato di telecamerina dal taglio pungente è sbarcato al Cinema per il tanto atteso debutto da regista. Ovvero Diego Bianchi, in arte Zoro, da oltre un anno autore e conduttore di Gazebo su Rai 3 e quest'oggi travolto da una pioggia di applausi grazie ad Arance e Martello, titolo presentato alla Mostra del Cinema di Venezia come evento speciale della sezione Settimana della Critica.

Una pellicola curiosa e quasi dal taglio sperimentale, tra docu-fiction e realtà, rappresentazione cinematografica e riprese 'amatoriali', con l'inevitabile, travolgente e a tratti geniale satira politica che ha reso Zoro in questi ultimi anni un'autentica celebrità. E non solo del web, essendo lui nato come blogger, ma anche come conduttore e autore televisivo.

 

 

 

34926_fb

 

Film 'in costume' ambientato nel 2011, ovvero nel pieno della crisi governativa che poi condusse Silvio Berlusconi alle dimissioni, Arance e Martello estremizza ciò che negli ultimi 20 anni ha contraddistinto il Bel Paese e soprattutto chi lo abita. Leggi 'divisione' sociale, culturale, comportamentale e immancabilmente politica. Perché l'Italia è dai primi anni '90 troncata in due, tra centrodestra e centrosinistra, berlusconiani e antiberlusconiani. Nel novembre del 2011, tra Bunga Bunga, crisi economica, minorenni, presunte escort ed umiliazioni europee, il conflitto divenne tanto pressante da portare l'allora Premier alle dimissioni.

Bianchi, partendo da una realtà romana a lui conosciuta, vedi il quartiere San Giovanni in cui è cresciuto, ha provato a pennellare i tratti di un'Italia sull'orlo di una crisi di nervi, facendo letteralmente esplodere la vita di un tranquillo mercato rionale capitolino. In piena estate. Ad agosto, nella giornata più calda degli ultimi 150 anni, con una città deserta e due mondi, quelli dell'informazione e della politica, sintonizzati su tutt'altri canali. Il Comune di Roma guidato da un Sindaco fascio (l'Alemanno di un tempo qui interpretato da Giorgio Tirabassi) decide di sgomberare lo storico mercato, portando i commercianti ad un'autentica ribellione. Ma cosa fare per provare a ribaltare la già decisa situazione? L'unica realtà politica presente su piazza è una sezione del Partito Democratico, da anni quasi 'nascosta' da un ingombrante muro di cemento per permettere gli infiniti e ormai comici lavori della mitologica linea C della metropolitana. Proprio tra queste 4 mura la caldissima giornata agostiana prenderà una piega paradossale, comica e drammatica, tra nostalgici comunisti, violenti fascisti, extracomunitari, improponibili politici, polemici e cinici anziani, coatti radiocronisti, venduti giornalisti, sensuali ambientaliste, armati partigiani, assessori chiacchieroni e calciatori in odore di beatificazione. Leggi Francesco Totti, bandiera della Roma nonché Capitano onnipresente nei pensieri di un Bianchi imperfetto ma come al suo solito spesso ispirato.

Perché Arance e Martello non è altro che Zoro a 360°. Zoro a falde larghe, senza freni autoriali di alcun tipo e una libertà creativa che solo a tratti riesce a raggiungere vette inarrestabili. Fortemente e probabilmente 'troppo' romano, tra dialetto spinto e continui rimandi al numero 10 giallorosso qui sopra menzionato, il debutto cinematografico di Bianchi non è altro che un paradigma satirico dell'Italia di ieri, ma in parte anche di oggi. Vero è che dal 2011 al 2014 inoltrato molte cose sono cambiate anche in ambito politico, vedi la stella berlusconiana definitivamente (?) eclissatasi, ma la nostalgica e ficcante ironia che Diego cavalca per picconare centrodestra e soprattutto centrosinista, con il PD principale partito da denigrare, lascia il segno e tracima in risate. Amare, va detto, ma sentite e il più delle volte condivise.

Ma non è solo oro quel che luccica. Anzi. Perché la tempistica dell'uscita in sala limita le potenzialità del film, di fatto anacronistico anche in ambito politico (non c'è più Bersani ma Renzi, mentre Silvio passa le proprie settimane assistendo gli anziani), così come il frullato di stili montati dal regista, tra documentario, dietro le quinte del documentario e lungometraggio di finzione a tutti gli effetti, finisce per straniare chi osserva. Il suo punto di vista è alterato, tanto da trascinare il suo 'io' verso verità a noi sconosciute. Perché il Bianchi che interagisce all'interno del proprio stesso film in quanto regista di un doc sul mercato di San Giovanni appare presuntuoso nei confronti dei suoi stessi co-protagonisti, per poi sciogliersi in una liberatoria e auto-ironica stroncatura professionale. Chi ama, ha amato e segue Zoro, vuoi o non vuoi, non potrà che apprezzare questa variegata, temuta e attesa opera prima, perché di pungenti e trancianti genialate ce ne sono, ma visto come film da presentare addirittura alla Mostra del Cinema di Venezia, anche se solo come evento speciale, il 'rabbioso' Arance e Martello che grida 'svegliaaaaa' all'italiano medio convince con riserva.

Perché la Settima Arte è probabilmente altro, come visto con l'altrettanto imperfetto ma più stabile La mafia uccide solo d'Estate del collega Pif, tanto da costringere Zoro ad un netto e chiaro assestamento prima di provare a fare il bis. Che sarà a dir poco immediato, nel caso in cui Arance e Martello dovesse andare bene in sala. Ma questa è un'altra storia...

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Box office: Arlo sorpassa Katniss

Post n°12788 pubblicato il 30 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 

L’ultimo cartoon della Disney Pixar è il film più visto nei cinema italiani e supera, così, “Hunger Games - Il canto della rivolta: parte 2” che scende in seconda posizione. In terza c’è l’horror “The Visit” di M. Night Shyamalan

 

Un'immagine da "Il viaggio di Arlo" 
Un'immagine da "Il viaggio di Arlo"

L’ultimo fine settimana di novembre ha visto nei cinema il sorpasso di Katniss da parte dell’ultimo cartoon Disney Pixar che ha così conquistato lo scettro del più visto dagli spettatori italiani. “Il viaggio di Arlo”, il lungometraggio d’animazione diretto da Peter Sohn, ha infatti incassato 1,9 milioni di euro in 571 schermi (media 3441 euro), mentre l’ultimo “Hunger Games - Il canto della rivolta: parte 2” ha totalizzato 1,6 milioni, per un totale di 6,6 milioni di euro dopo due settimane di programmazione. Li seguono due debutti: al terzo posto “The Visit” di M. Night Shyamalan, 905 mila euro in 249 schermi (media 3638 euro), al quarto “Il sapore del successo” con Bradley Cooper, 823 mila euro in 273 schermi (media 3018 euro).

Scivola in quinta posizione “Spectre”, le ultime avventure di James Bond interpretato da Daniel Craig, con 602 mila euro e un totale di quasi 12 milioni al quarto weekend. Sesta posizione per la commedia “Matrimonio al sud” di Paolo Costella, 439 mila euro e un totale di 3,2 milioni al terzo fine settimana. Settima posizione per “Loro chi?” con Marco Giallini ed Edoardo Leo, 354 mila euro e un totale di 1,2 milioni. Ottavo è “Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto” con Ian McKellen, 340 mila euro e quasi un totale di un milione di euro dopo due weekend di proiezione. Debutta in nona posizione “La felicità è un sistema complesso” di Gianni Zanasi, 299 mila euro in 115 schermi (media 2607 euro), mentre “Pan - Viaggio sull’isola che non c’è” di Joe Wright chiude la top ten con 253 mila euro e un totale di 2,6 milioni al terzo weekend.

L’incasso totale del fine settimana ammonta a 9,6 milioni di euro, meno 17 per cento rispetto al precedente weekend, meno 12 per cento rispetto all’analogo weekend dello scorso anno che vedeva al comando “I pinguini di Madagascar” e “Hunger Games - Il canto della rivolta: parte 1”, rispettivamente con 2,5 e 1,8 milioni di euro. 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La scelta

Post n°12787 pubblicato il 28 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 
Locandina La scelta

Una coppia che si ama e cerca da anni di mettere al mondo un figlio vede distrutta la propria intesa in seguito a un trauma: la donna subisce uno stupro e, qualche tempo dopo, scopre di essere incinta. È inevitabile entrare nel dettaglio degli eventi che accadono nella parte iniziale del film per approfondire i temi che verranno poi trattati, poiché il discorso da fare sull'undicesima regia di Michele Placido è complesso. 
Per molti versi La scelta è un film antistorico: basato sul testo teatrale "L'innesto", che Luigi Pirandello propose al pubblico nel 1919, il film parla di maternità e di paternità in termini più comprensibili all'inizio del secolo scorso che nella contemporaneità. Poiché il dilemma centrale della storia è la capacità (o meno) dell'uomo di accettare un figlio che potrebbe non essere suo, entrano in gioco dinamiche che hanno a che fare con un senso primordiale dell'appartenenza biologica di un neonato al padre - giacché la madre è sempre certa, e di solito priva di dubbi sul suo ruolo - che sembrano appartenere ad un passato remoto. 
Se da un lato Placido è coraggioso e provocatorio nel suggerire che queste dinamiche ataviche non sono poi molto cambiate dal 1919 (per non dire dalla notte dei tempi), dall'altro quasi nulla nella sceneggiatura (co-firmata dal regista insieme a Giulia Calenda) va ad aggiornare le tematiche alle sensibilità dei tempi che, anche quando ammantate di ipocrisia di facciata, impongono un trattamento nuovo, meno granitico e meno improntato a considerazioni pratiche che nel '900 erano fondamentali per la stabilità sociale, come la protezione dell'asse ereditario o l'accettazione sociale dello stupro.
Nessuno, nemmeno en passant, commenta invece sul fatto che il femminismo, il '68, le famiglie allargate (pur presenti nel film) e decenni di sitcom televisive hanno ridefinito (almeno formalmente) alcuni tabù, come la violenza carnale come vergogna per la vittima, o la paternità come demarcazione fisica del territorio maschile. Persino l'ipotesi, davvero postmoderna, insita nel titolo del testo teatrale originale, "L'innesto", che suggeriva la possibilità di interpretare il cross breeding anche nel suo valore evolutivo, viene colta da Placido, che preferisce per il suo film un titolo più neutro (e meno carico di esplosività sociale). 
Ben diversa era stata, a questo proposito, l'operazione fatta da Luchino Visconti con L'innocente che, trattando il tema dell'accettazione paterna di un figlio non proprio, stravolgeva il racconto di Gabriele D'Annunzio innestandovi elementi di modernità legati ad una sensibilità anni Settanta - sensibilità cheVisconti nemmeno condivideva, ma di cui teneva conto, almeno a livello formale. Resta da chiedersi se abbia più senso restituire al cinema una storia che contiene forti elementi di modernità come L'innesto al suo stato puro, ignorando deliberatamente le variazioni dettate dal presente, o aggiornare il passato al presente come faceva Visconti con il testo dannunziano.
Meno controverso e cinematograficamente molto interessante è il modo in cui Placido applica quelle tecniche da cinema di genere, inteso come cinema d'azione, che gli sono più consone, alla messa in scena di un melodramma (benché la definizione originaria de L'innesto fosse quella di "commedia drammatica"). Il risultato è un film sentimentale ma nerboruto, che sfida l'assunto (quello si, implicitamente sciovinista) che una storia d'amore il cui asse portante è la maternità sia "roba da donne" e dunque vada trattata in modo meno muscolare e sanguigno di un western o un poliziesco.
Anche la recitazione dei due protagonisti merita una riflessione che va al di là delle apparenze (a ben guardare, uno dei temi centrali del film): se Ambra Angiolini è molto più potente, profonda ed efficace di Raoul Bova, che recita sopra le righe con mimica facciale ridotta, ai fini della storia non è un male. Per fare un paragone altissimo, anche in Eyes Wide Shut il marito ottuso era interpretato da Tom Cruise con comica piattezza, ma questo serviva a dare la misura di quanto più sottile, e più in accordo con l'essenza della vita, fosse la moglie, abbastanza coraggiosa da inforcare gli occhiali, invece di chiudere gli occhi.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Le due vie del destino

Post n°12786 pubblicato il 28 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 
Locandina Le due vie del destino - The Railway Man

Inghilterra, 1980. Eric Lomax, uno strano tipo ossessionato dagli orari ferroviari, incontra in treno la bella Patti. È amore a prima vista, e poi matrimonio. Ma la prima notte di nozze iniziano i guai: Eric è in preda agli incubi, e rifiuta di raccontarne a Patti il contenuto. Singapore, 1942. Winston Churchill dichiara la resa della città-stato ai giapponesi. Migliaia di soldati britannici vengono fatti prigionieri e costretti a lavorare come schiavi (insieme ai più poveri abitanti locali) alla costruzione della ferrovia che dovrà collegare Bangkok a Rangoon. La chiameranno la Ferrovia della morte per le condizioni di lavoro, climatiche e geografiche in cui è stata costruita e perché vi sono effettivamente periti metà di coloro che vi hanno lavorato.
Fra i prigionieri addetti alla costruzione della ferrovia ci sono anche Eric e i suoi compagni, e il trattamento loro riservato è dei più crudeli, sfociando per Eric in una detenzione nella caserma della polizia segreta, la temutissima Kempeitai, ove il giovane soldato subirà ogni sorta di torture. Inghilterra. 1980. A popolare gli incubi di Eric è soprattutto il poliziotto giapponese che è stato il suo aguzzino alla Kempeitai. La moglie Patti, con l'aiuto del compagno di disavventura Finley, spingerà Eric a ricollegare i fili spezzati del proprio passato, con esiti del tutto imprevisti.
Le due vie del destino è basato sul romanzo autobiografico The Railway Man scritto dallo stesso Eric Lomax e diventato un best seller internazionale. Colin Firth si cala con totale partecipazione emotiva nel ruolo del protagonista, mettendo a buon frutto la scorta di umanità che caratterizza da sempre la sua recitazione, e Nicole Kidman mette la sua professionalità (ma poco di più) al servizio del suo cammeo nel ruolo della moglie Patti.
Il film procede secondo una narrazione classica da grande cinema di guerra, alternando gli anni Ottanta agli anni Quaranta e immergendoci profondamente nell'atmosfera allucinata vissuta dai prigionieri di guerra durante il conflitto mondiale. I punti di riferimento cinematografici sono Il ponte sul fiume Kwai diDavid Lean - per difetto, perché quello raccontava una favoletta consolatoria, elduendo la realtà terribile del conflitto - e Furyo di Nagisa Oshima, assai simile invece nel raccontare il rapporto fra prigionieri inglesi e soldati giapponesi, nonché la crudeltà della detenzione. 
La posta in gioco è la dignità umana, i temi sono il senso dell'onore, la fedeltà al proprio ruolo, l'orrore della guerra, il potere salvifico dell'amore. E la storia è raccontata in toni melodrammatici sottesi da una grande tensione morale e dotati di una forte capacità evocativa - della paura e dell'umiliazione - nella costruzione delle immagini di prigionia. Le scene di tortura sono quasi insopportabili, non in quanto eccessivamente esplicite, ma in quanto emotivamente dirompenti. Alla narrazione contribuisce in modo significativo l'accompagnamento sonoro, uno dei migliori visti nel cinema recente: mix suggestivo di rumori, silenzi, respiri, musiche, graffi radiofonici, fischi, sussurri e grida in lingue straniere, terrorizzanti nella loro indecifrabilità. Girato in gran parte nei luoghi in cui si è svolta la storia, e che trasudano ancora orrore e sofferenza, Le due vie del destino è una denuncia esplicita dell'inutilità crudele delle guerre e una parabola edificante (detto in senso non denigratorio) sulla capacità umana di resistere all'irresistibile e sulla volontà di rompere il silenzio su ciò di cui "nessuno parla".

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La luna su Torino

Post n°12785 pubblicato il 28 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Locandina La luna su Torino

A Torino, città che ci viene ricordato essere sul 45° parallelo, ovvero equidistante dal Polo Nord e l'Equatore, un universitario che lavora al bioparco e l'impiegata di un'agenzia di viaggi dalla vita sentimentale incerta, abitano nella grande casa di un amico 40enne che non ha lavorato un giorno in vita sua e campa di rendita. Insoddisfatti da ciò che hanno ma anche incapaci di immaginare una vita diversa i tre cercano di barcamenarsi.
C'è un'innegabile eco di Dopo mezzanotte in La Luna su Torino, in cui di nuovo le coordinate geografiche (stavolta non la Mole ma la linea del 45° parallelo), il cinema muto e i sogni di un domani sentimentale e umano migliore di tre giovani sono gli elementi che, mescolati anarchicamente, danno vita a un film che cerca di tradurre nella modernità il cinema in cui la trama è funzionale ai personaggi e non viceversa. Quel che ha di originale la nuova opera di Davide Ferrario è invece la scelta di separare i tre personaggi, coinvolgendoli in storie diverse ma contigue, in cui manifestare tre facce diverse di un'inspiegabile insoddisfazione e una sempre più urgente esigenza di cambiamento. 
Ma è con pochissima ispirazione che il regista di Torino gioca su terreni a lui congeniali (di nuovo la propria città, di nuovo temi di uno dei suoi film più noti), aspirando a raccontare l'inesprimibile, il sublime scrutare in quella parte dell'animo che il cervello non riesce a leggere chiaramente e che il cinema ambisce a comunicare senza passare per la logica. Il mondo di La Luna su Torino è luddista, altero, lontanissimo dalla realtà ma nemmeno così significativo da riuscire a parlarne per metafora (il riferimento molto sbandierato dell'equidistanza tra Polo Nord e Equatore in primis è un accostamento dal senso quasi nullo). Una dimensione, quella in cui si muovono i personaggi, non diversa dal casale ricco e in rovina in cui abitano, isolato e gestito con implausibile allegra opulenza che non necessita di lavoro.
Qualunque altra storia di scollamento dalla realtà, di ansia per il mancato raggiungimento di aspirazioni cui non si sa dare un nome sarebbe risultata più accettabile delle tirate passatiste con cui Ferrario condisce il film. Citazioni letterarie di spessore, dimostrazioni intellettuali, disprezzo manifesto per ciò che è lontano dal raffinato e un abuso continuo di tutte le armi stereotipiche della cultura cinefila, ridotta ai suoi elementi più di nicchia, alteri e snob (dal cinema muto alla francofonia) sono la coperta di un film che sotto nasconde pochissimo e pare essere fatto per conquistare solo con la sua superficie colorata, fatta di inquadrature sghembe, dipinta per rappresentare le aspirazioni del proprio pubblico d'elezione, tenendo a distanza ogni possibile ingerenza della cultura più dinamica e moderna ben simboleggiata dagli anime giapponesi che Ferrario chiama manga e fa identificare a personaggi che dicono d'amarli unicamente con il sonoro gaudente dell'animazione erotica.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Applausi, baci e abbracci.

Post n°12784 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema

Accadde tempo addietro a Campobello di Mazara, quando era sindaco quel tale Ciro Caravà finito condannato per mafia, la processione in quel caso fece tappa davanti casa di Francesco Luppino, detto, dai mafiosi, lo zio Franco, anche lui destinato poco dopo agli arresti, scoperto essere uno dei tanti “ufficiali di collegamento” tra il territorio e il latitante Matteo Messina Denaro. L’episodio dello “zio Franco” è citato nella relazione che ha condotto allo scioglimento per inquinamento mafioso del Comune di Campobello di Mazara. Andando indietro nel tempo fu dedicata a un altro mafioso, Filippo Guttadauro,  l’accoglienza di sabato scorso dedicata al giovane mafioso rampante Vincenzo Panicola, cognato del latitante Messina Denaro, marito di Patrizia, soprannominata “a curta”, anche lei oggi in carcere: Vincenzo Panicola è mafioso e figlio di mafioso, di Vito, ex consigliere provinciale a Trapani , politico eletto sempre nella Dc, morto all’ergastolo che scontava per avere ucciso per sbaglio, in un agguato di mafia, il figlio Giovanni che lo avrebbe dovuto spalleggiare nella uccisione di Giovanni Ingrasciotta, sopravvissuto e diventato collaboratore di giustizia.

Erano esattamente i giorni di fine novembre del 1998, a Filippo Guttadauro, boss di Bagheria, cognato di Matteo Messina Denaro, perché marito di Rosalia Messina Denaro, fu concesso il permesso di uscire sotto scorta dal carcere per partecipare ai funerali del suocero, il potente patriarca del Belice Francesco Messina Denaro, morto di crepacuore durante la latitanza alla notizia dell’arresto del suo primogenito, Salvatore, coinvolto nell’operazione antimafia “Progetto Belice”. Alla gente fu impedito l’ingresso al cimitero per i funerali vietati al “patriarca”, tanti attesero fuori a salutare l’ingresso del parenti del padrino di Castelvetrano, e salutarono anche l’arrivo in manette di Filippo Guttadauro.

Possiamo ricordare altri funerali affollati, come quello del boss di Borgo Madonna, Calogero Minore, con tanto di cronaca finita stampata sul Giornale di Sicilia, quasi a segnare la commozione dei partecipanti, a sottolineare, senza commento critico i negozi del rione chiusi in coincidenza dei funerali. Andando avanti e indietro nel tempo i segnali di riverenza espressi da quella società che solo impropriamente possiamo chiamare civile, nei confronti della mafia, si scopre essere sempre gli stessi. La società civile avrà le sue colpe, ma i veri colpevoli sono altri. Sono i politici parolai contro la mafia, sono coloro i quali non esercitano una antimafia responsabile e con responsabilità, sono coloro i quali dicono che l’etica non serve, sono i mafiosi stessi che alimentano le peggiori idolatrie. E’ quella informazione che davanti al fatto preferisce girare il volto dall’altra parte, chiude i taccuini o peggio si presta a raccogliere la protesta del colletto bianco, del mafioso o paramafioso di turno, rivolta a quell’altro giornalista. E’ l’informazione che si presenta col volto pulito di chi dice di essere dalla parte dell’antimafia e poi sottobanco cerca appoggi magari per qualche impresa chiacchierata.

E’ un corollario di cose che piovono addosso alla società che così non coglie anche i pur deboli ma presenti segnali di cambiamento e di avversione contro Cosa nostra. Ad essere colpevole è il politico, il sindaco, l’amministratore che, per esempio, dinanzi a casi come quello dei funerali della vedova Panicola preferisce tacere. Noi abbiamo scelto di non tacere. Abbiamo filmato e vi diamo il prodotto realizzato, nelle immagini si vede Vincenzo Panicola scendere dal furgone della Penitenziaria e nell’avviarsi verso la Chiesa di San Giovanni, raccogliere gli applausi di chi lo aspettava. Poi magari ci si dice scandalizzati quando qualche giornalista scrive che a Castelvetrano c’è ancora una società che rende ossequi ai mafiosi. Si dice che i giornalisti infangano la città, quando a infangarla sono state quelle persone che sabato scorso davanti alla chiesa di San Giovanni hanno applaudito il boss Vincenzo Panicola. Una espressione della società, ma preoccupa il silenzio dell’altra parte della società. Stare in silenzio, minimizzare i fatti, o peggio denigrare chi li racconta non significa certo essere mafiosi, ma ciò indirettamente produce un ulteriore vantaggio a Cosa nostra che potrà sempre dire come nessuno, solo qualcuno, ha mai gridato contro al suo indirizzo, che lo squallore mafioso resiste senza contrasto alcuno. Tra la mafia e l’antimafia non può esistere una posizione terza. I mafiosi, lo ripetiamo, vivi o morti che siano sono solo dei pezzi di merda..e però fa male talvolta vedere chi applaude e sostiene che la merda possa fare buon odore.

26 novembre 2015

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Daniele Luchetti: Francesco, il papa preoccupato da cinecittànews

Post n°12783 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino26/11/2015
Esce il 3 dicembre, alla vigilia del Giubileo, in circa 700 copie, con Medusa, Chiamatemi Francesco – Il papa della gente, sulla vita e l’opera di Papa Bergoglio.
Il film si concentra moltissimo sul periodo della dittatura, del terrore e dei desaparecidos in Argentina, che ha segnato fortemente la sua vicenda umana. Daniele Luchetti ha scelto intelligentemente di circondarsi di un cast argentino per raccontarlo al meglio. Rodrigo De La Serna interpreta Bergoglio dal 1961 al 2005. Sergio Hernandez dal 2005 al 2013, a ridosso dell’elezione. La pellicola sarà distribuita anche come miniserie televisiva in quattro puntate da 50 minuti, in tutto il mondo, e tra circa un anno e mezzo anche sulla tv italiana. Per ora c’è un’anteprima speciale, la settimana prossima, organizzata dal Vaticano per settemila bisognosi. 

Come si gestisce un film su un personaggio pubblico così popolare, raccontando al contempo una pagina di storia così drammatica? 

Tutto nasce da una proposta di Valsecchi, il produttore. Siamo andati a Buenos Aires sulle tracce del papa, e abbiamo incontrato chi diceva di conoscerlo, e in alcuni casi lo conosceva veramente. C’era anche chi lo aveva visto solo di sfuggita, magari da bambino. Non trovavo cose veramente interessanti, mi mancava una linea narrativa. Ma poi qualcuno mi ha detto “Jorge era un uomo costantemente preoccupato”. E’ stata la chiave di volta. Ho capito che dovevo raccontare il motivo per cui lui oggi è così, gli inferni che ha attraversato. E’ la storia di un uomo che alla fine della propria vita arriva a toccare il punto più alto di quello che voleva fare, cioè aiutare il prossimo. Era partito come un semplice lavoro ma poi questo film per me è diventato essenziale, e me ne sono innamorato. 

Qual è stata la sua principale preoccupazione durante la lavorazione? 


Quella di non fare un santino, di non dare gomitate allo spettatore dicendo: ‘lo vedi? Già si capiva, che sarebbe diventato papa’. Ho provato a calarmi nel punto di vista di un argentino e questo è stato possibile grazie ai miei collaboratori, soprattutto lo sceneggiatore Martin Salinas, a cui ho chiesto di sorvegliarmi. E’ come se un argentino venisse qui a fare un film su un personaggio italiano importante, l’errore è sempre dietro l’angolo, si rischia di spettacolarizzare. Ho chiesto: aiutatemi a non fare un film da turista. 

Subito dopo la nomina, tante voci sono girate sul papa e sul suo rapporto con la dittatura. Come ha affrontato questo aspetto? 


Ho solo seguito le leggi della narrazione. Sono stato avvicinato da loschi individui col bavero alzato, che mi hanno detto ‘guarda, che Bergoglio era implicato’, però poi queste affermazioni cadevano di fronte alla credibilità della fonte. La Chiesa che ho conosciuto io è una Chiesa in cui si racconta tutto e il contrario di tutto. Ma quando racconti una storia devi stare dalla parte del personaggio, e il Francesco che ho trovato io era così limpido che questi aspetti, proprio, col suo personaggio non c’entravano. Ho raccolto sul campo solo ciò che mi sembrava veramente credibile. 

Questo film ha cambiato il suo rapporto con la religiosità? 

Non credevo, ma ora credo nelle persone che credono. Ho incontrato persone veramente strabilianti, dal prete di strada al vescovo di Buenos Aires, e il loro modo di lavorare mi ha sedotto. 

Ha affrontato qualche genere di ricerca, dal punto di vista storiografico? 

Mah, la sceletta degli eventi del film è in pratica quello che si trova in rete, da Wikipedia a mille siti che si copincollano le informazioni a vicenda. E’ tutto di dominio pubblica, ma non basta a inventarsi un film. Quello che conta è la testimonianza emotiva, più che la cronologia dei fatti. Però ho voluto che mi affiancasse uno sceneggiatore argentino, con una formazione storico-politica importante. 

Gli attori che interpretano Bergoglio sembrano molto somiglianti. Come li ha scelti e diretti?


Sinceramente all’inizio non li trovavo così somiglianti, oggi direi di sì. Ma ho chiesto loro di evocare il papa, più che di somigliargli fisicamente. Il film è girato in spagnolo. Pensa che possa servire anche agli argentini, per riflettere sulla loro storia? Non sono io a dover insegnare loro come fare i conti con la loro storia. Il tema è complesso, va trattato con rispetto, e a loro non manca la cinematografia sui desaparecidos e la dittatura. Mi piacerebbe invece che i giovani, soprattutto italiani, possano riflettere su come sia possibile il terrorismo di Stato e su come una nazione possa venire oppressa da i suoi stessi governanti, in nome della sicurezza, calcolando che parliamo di una cosa successa in tempi relativamente recenti. 

Avete inviato lo script in Vaticano, per approvazione? 

Non c’era nessuno disposto a leggerlo. Ci siamo trovati soli di fronte alla scelta: fare il film o non farlo. Ma Monsignor Karcher, che è il cerimoniere del papa, lo ha visto, e anche se era molto prevenuto alla fine ci ha rassicurati. Ha detto che il film era buono e soprattutto veritiero. E’ il primo film su un papa ancora in vita. 

Questo le ha creato imbarazzi? 


Più che ad altri film sui papi mi sono ispirato a The Queen, che correva rischi analoghi. Anche lì c’era l’agiografia dietro l’angolo, ma lo stile asciutto del cinema inglese va dritto al cuore delle cose. Ho smesso presto di pensare che Francesco è vivo e vegeto e abita a un chilometro da casa mia. Questo mi avrebbe aiutato a tradirlo. Ho smesso anche di leggere le notizie che lo riguardavano, durante la lavorazione. Mi sono fermato al momento in cui è nominato papa, su cui il film si chiude. Ora so che è in Africa e gli auguro un’ottima permanenza. 

Il suo Francesco è dialettico, dinamico. Non sembra una figurina su un piedistallo. Chi l’ha aiutata a tracciare questo ritratto? 


Tanta gente, come le dicevo. In Argentina praticamente tutti dicono di aver conosciuto il papa, basta chiedere a qualcuno per strada. Sono stato anche dal suo barbiere. E ho chiesto un po’ di tutto. Alcune cose le tieni, altre le modifichi. Ho chiesto anche come faceva colazione, mi hanno detto che di solito mangia una banana in piedi. Ma nel film mangia pane e latte, alla fine.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

L’Italia si sveglia dalla parte di Putin da sputnik

Post n°12782 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Anche per quelli più intossicati dalla propaganda mainstream era da tempo evidente che l'opinione pubblica italiana si fosse orientatata verso una franca simpatia per il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.

Basta navigare sui principali social network per accorgersi, talvolta con stupore, del numero di gruppi a tema che riguardano la Russia e il suo leader e dell'intensità dei contenuti degli articoli condivisi e dei post. Finalmente anche un sondaggio sancisce l'esistenza di questa fenomeno: l'istituto demoscopico SWG, all'interno dello speciale Je suis Paris — Liberté, égalité, fraternité, rivolto a valutare i sentimenti degli italiani in seguito al massacro di Parigi, ha infatti misurato l'apprezzamento dato dai nostri concittadini all'azione politica effettuata da Putin nell'ambito della crisi dell'Isis: il 49% degli italiani sta dalla parte della Russia e considera efficaci le misure messe in atto fino ad oggi in Siria.

Un risultato eccezionale, se pensiamo a due fattori: da una parte troviamo il martellamento mediatico che gli italiani subiscono dai principali giornali e Tg, che descrivono Putin come dittatore guerrafondaio, e dall'altra c'è il tipico atteggiamento solidale e antibellico che caratterizza gli italiani almeno dalla Guerra in Iraq. E come carico a briscola ci mettiamo pure che il consenso verso la Russia di Putin supera persino quello rilevato pochi giorni prima sul governo Renzi, il quale si ferma al 46%. 

 

Eclatante è poi la bocciatura della politica obamiana: solamente il 32% degli italiani condivide l'azione statunitense, nonostante questa ci venga costantemente presentata in televisione come l'unica davvero civile, possibile, democratica. Per fortuna sono parole al vento, quelle dei telegiornalisti nostrani, lettori delle veline euroatlantiche, se alla fine il tanto vituperato Putin stacca di 14 punti percentuali il consenso di Obama. Insomma, da qualsiasi angolazione lo si guardi, lo studio effettuato da SWG mostra come l'Italia si scopra sempre di più filo-Putin; ed questa tendenza non potrà che aumentare dopo l'improvvido abbattimento da parte della Turchia di un Su-24 dell'aviazione russa. Agli occhi non più tanto addormentati del popolo italiano, tale gesto scellerato getta ulteriori ombre sulla gestione occidentale della crisi siriana e soprattutto sulle presunte connivenze dei Paesi del G20 con l'Isis. Come si può accettare che venga sanguinosamente ostacolato chi sta combattendo a fondo per debellare l'integralismo islamico? E pensare poi che la Turchia era uno dei Paesi in lizza per entrare in Europa; sembrerebbe allora che abbattere gli aerei di chi bombarda i terroristi sia la nuova politica dell'UE… E' impossibile questa posizione venga condivisa da un'opinione pubblica già fortemente scossa dal sangue parigino.

E' lecito invece nutrire seri dubbi sull'operato dei governi che stanno da tempo giocando una partita rischiosissima con la Russia pur di mantenersi ligi alla linea di Obama. E' sconcertante vedere l'Europa dividere il fronte anti-Isis, perchè in questo modo perde di vista il vero nemico per combattere invece una partita ideologica e di meri interessi geopolitici che nulla spartiscono con le istanze di sicurezza e difesa dei diritti e delle tradizioni, che da tempo richiedono a grande voce i cittadini, anche quelli più europeisti.

 

Dopo il fattaccio avvenuto sul confine turco-siriano, una Terza guerra mondiale sta bussando insistenemente alla porta. Il paradosso è che mentre i cittadini la immaginano combattuta contro i terroristi dell'Isis, i governi occidentali la stanno imbastendo contro quello che dovrebbe essere il loro alleato naturale, la Russia. Oggi tutti gli Stati europei sono di fronte a un bivio: stare dalla parte di chi vuole cancellare il fondamentalismo islamico come la Russia e chi invece si sta schierando in una zona grigia di connivenza con il regime di Raqqa, e cioè con coloro che hanno armato gli attentatori di Parigi. E' un momento cruciale per la storia dell'Occidente, nel quale sono evidenti la parte giusta e la parte sbagliata. Oggi sta traballando quella pace conquistata col sangue nella Seconda Guerra Mondiale: è in bilico non per mano di una cultura diversa, ma per le mire dei potentati economici, politici e finanziari per i quali la sovranità popolare è solo una fastidiosa formalità da aggirare. In un contesto del genere, a ridere sono proprio le organizzazioni terroristiche che non hanno mai visto così vicina la loro vittoria, la distruzione dell'Occidente.    



Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/opinioni/20151126/1614073/italia-putin.html#ixzz3scVxVrCN

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Marco Tullio Giordana: divorzio dalla politica da cinecittànews

Post n°12781 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news

Andrea Guglielmino25/11/2015
E’ un Giordana amareggiato quello che apre il convegno internazionale “CINEMA & STORIA. Tempo, memoria, identità nelle immagini del nuovo millennio”, curato da Christian Uva e Vito Zagarrio per il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre che parte oggi a Palazzo Braschi di Roma e abbinato alla mostra fotografica “WAR IS OVER! L’Italia della Liberazione nelle immagini dei U.S. Signal Corps e dell’Istituto Luce, 1943-1946”,  promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dal MIBACT e Istituto Luce Cinecittà. 

“Ho cominciato nel ’79 con Maledetti, vi amerò – dice il regista – era un film contemporaneo, che si collocava un anno dopo i fatti del rapimento Moro. Parlava dei problemi di quel tempo, innescati dalla degenerazione del ’68. E io sentivo che la situazione italiana era grave, rispetto agli altri paesi, perché mentre nel resto del mondo, dall’Europa agli USA al Giappone passando perfino per il blocco sovietico, il tutto era stato metabolizzato con delle riforme, ed era diventato parte del progetto istituzionale, e tutti avevano capito che quella rivoluzione aveva buoni motivi d’essere, in Italia questi problemi erano stati ignorati. Si era dato delle cariche ai Capi della rivoluzione, gli si era fatto far carriera, ma senza risolvere nulla. E la storia si ripeteva, in continuazione. E quindi io avevo l’esigenza di puntare il dito su quei problemi, di sottolineare come ancora bruciassero, e fosse necessario affrontarli. Ma nel frattempo il tempo passava e i miei film diventavano film in costume. Negli anni ’70 gli attori prendevano gli abiti dal loro guardaroba, poi ha cominciato a servirmi il costumista. E mi è piaciuto anche guardare le reazioni del paese, solo che la sinistra, a cui io sentivo di appartenere, non solo non li ha adottati, ma ha rivolto a questi film le critiche più severe e, devo dire, spesso anche le più sciocche. Proprio da quelli che io pensavo si sarebbero potuti sentirne rappresentati.  In seguito alle polemiche per Romanzo di una strage, mi sono stufato, lo ammetto. Non voglio più occuparmi di questi problemi, perché è inutile, purtroppo. E’ stato un brutto divorzio, tra me è la politica. Non di quelli a seguito dei quali si resta amici. Io non la voglio più vedere, proprio perché l’ho amata tanto.  Però ho ancora voglia di amare, amo il mio paese, la società. Ma preferisco dedicarmi al teatro, o a occasioni come questa, dove ho modo di guardare in faccia e conoscere le persone che vengono a vedere i miei film, che spesso sono più simpatiche di quelli che ne scrivono, anche se forse così dicendo faccio torto a tanti che invece mi hanno sostenuto. Ammetto di aver fatto degli errori anche madornali, oggi non li rifarei, ma lo scatto del pregiudizio non aiuta nemmeno i giovani a crescere, e a sviluppare i loro talenti. Crea solo quella spaventosa malinconia che è la responsabilità più grande della mia generazione”.   

Il convegno, che si svolgerà in due giornate di studio (26 e 27 novembre) tra il Polo Aule Dams dell'Università e il Teatro Palladium, inviterà il pubblico a riflettere su nuove prospettive di ricerca e inedite ipotesi di lavoro circa il rapporto tra le immagini e la storia. 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Il film sulla fine del duce, censurato da Andreotti

Post n°12780 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa23/11/2015
TORINO. All’inizio degli anni ’50 Giulio Andreotti, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, impedì l’uscita per motivi di ordine pubblico di Tragica alba a Dongo, negando il visto di censura a un film documentario (lunghezza 38 minuti) che ricostruisce il tentativo di fuga in Svizzera, la cattura e la fucilazione di Benito Mussolini eClaretta Petacci. La censura congelò il film anche negli anni successivi e i produttori s'arresero abbandonandolo alla sua sorte.
Tragica alba a Dongo venne proiettato in pubblico solo una volta proprio a Torino nel 1989, in occasione del settimo Festival Cinema Giovani nell’ambito di una retrospettiva del neorealismo curata da Alberto Farassino che lo rintracciò nel magazzino di uno dei produttori. Poi se ne persero le tracce finché una copia, acquistata da un membro della famiglia Paternò in un mercato dell’antiquariato di Trieste, è stata rinvenuta in una casa bunker in Austria e affidata al Museo del Cinema per il restauro realizzato dal laboratorio L’immagine ritrovata e presentata oggi al TFF in una sala affollata.

Tragica alba a Dongo venne realizzato tra il 1949 e il 1950 - su iniziativa di due ex partigiani e successivamente agenti del PWB americano, Ugo Zanolla e Emilio Maschera - da due giornalisti Vittorio Crucillà (regia) e Ettore Camesasca (sceneggiatura), entrambi senza esperienza cinematografica, con unico professionista l'operatore Duilio Chiaradia.
Non professionisti anche gli interpreti, addirittura le stesse persone che avevano partecipato agli eventi: alcuni dei partigiani che arrestarono Mussolini e la Petacci, un soldato tedesco della colonna in fuga e i coniugi De Maria presso la cui abitazione, mostrata nel film insieme ai luoghi dei fatti, i due prigionieri trascorsero la loro ultima notte di vita.
Si tratta di una produzione semiamatoriale, con pochi dialoghi, dominata da una musica a volte ridondante e dal commento storico-politico di uno speaker e con il personaggio di Mussolini mai mostrato in viso e il più delle volte di spalle.

Il linguaggio è in alcuni momenti didascalico, essenziale forse per arrivare a tutti gli spettatori: ‘Ogni riferimento personale appartiene alla storia dei fatti’; ‘L’ora della fucilazione ‘è venuta’; ‘Qui i criminali fascisti hanno pagato’ e in chiusura del film ‘La tragica alba attende la sua aurora’.
Il docente universitario Franco Prono, intervenendo alla presentazione moderata da Alberto Barbera, puntualizza che il visto di censura richiesto riguardò solo l’esportazione del film, con l’evidente rinuncia dell’uscita nelle sale italiane. Determinanti in quella stagione erano sia il parere della famiglia Mussolini sia del Comune di Dongo.

Per lo storico Giovanni De Luna il film ci mostra la versione ufficiale della fine di Mussolini, versione consolidata dal punto di vista storiografico con un’inesattezza: lo scontro a fuoco tra i partigiani e i tedeschi in fuga non avviene dopo la trattativa per passare indenni il confine, ma prima. De Luna sottolinea poi come il film evidenzi una natura ‘difensiva’: l’accusa principale mossa a Mussolini è quella di aver condotto il paese alla guerra più che l’assenza di democrazia e l’appello del film è rivolto a una generica lotta per la libertà. Nonostante ciò il film rimase bloccato, segno evidente del clima politico conservatore dell’Italia democristiana degli anni ’50.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

LA LOCANDINA SPOILER CHE FA IMPAZZIRE I FAN DE IL TRONO DI SPADE. JON SNOW È VIVO?

Post n°12779 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

da http://www.intelligonews.it/articoli/24-novembre-2015/33546/la-locandina-spoiler-che-fa-impazzire-i-fan-de-il-trono-di-spade-6-jon-snow-e-vivo
La locandina spoiler che fa impazzire i fan de Il Trono di Spade. Jon Snow è vivo?
24 novembre 2015 ore 9:06, Andrea Barcariol
La locandina spoiler che fa impazzire i fan de Il Trono di Spade. Jon Snow è vivo?
Vivo, morto o X, cantava Ligabue venti anni fa. Una canzone che ben si addice alla prossima stagione de Il Trono di Spade, la serie ormai diventata di culto che sta facendo impazzire giovani e adulti. Al centro del mistero Jon Snow, uno dei protagonisti, che nell'ultima puntata shock della scorsa serie era stato accoltellato a tradimento. 

Sulla vicenda si erano inseguiti i rumors più vari a cominciare dalla presenza o meno di Kit Harington sul set, ma dalla locandina fatta uscire dall Hbo (c'è lui in primo piano insaguinato, ferito ad un occhio e con la testa rivolta verso il basso) si intuisce la presenza di Snow,anche se bisogna vedere in che veste. La nuova serie arriverà su Hbo ad aprile per la gioia dei fan visto che si era paventato uno slittamento per lasciare posto ad altre serie tv presenti sul palinsesto invernale. La HBO non si piega dunque ai ritardi di George Martin e prosegue con la stessa programmazione che ha sempre portato avanti dalla prima stagione: aprile è sempre stato il mese di Game of Thrones e continuerà ad esserlo. 

Tramite la propria pagina ufficiale Facebook, la serie ha diffuso un'immagine raffigurante Jon Snow con la data certa: aprile. Nessun dubbio, quindi. Una sorta di locandina spoiler sul personaggio ucciso dagli altri Guardiani della Notte nell'ultima puntata della quinta stagione. Sebbene George R.R. Martin, gli autori e Kit Harington avessero confermato l'uscita di scena del personaggio, durante l'estate scorsa sono circolati degli indizi che facevano presupporre una sua presenza sul set della sesta stagione. Il network, a fronte di queste notizie, ha deciso di giocare con il pubblico, non rivelando effettivamente che fine farà Jon Snow, ma rendendolo protagonista del primo poster della sesta stagione, rilasciato nello scorse ore. Tutto questo nonostante le dichiarazioni del presidente del network, Michael Lombardo che, al Television Critics Association press tour, aveva confermato l'uscita di scena dell'attore: "Un morto è un morto. E' morto. Sì. Da tutto ciò che ho visto, sentito e letto, Jon Snow è morto". Ma, si sa, nel cinema e soprattutto nelle serie tv, i morti a volte ritornano. 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Natale all'improvviso

Post n°12778 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Love the Coopers

Poster

Sam e Charlotte stanno per separarsi ma hanno deciso di dirlo al resto della famiglia solo dopo Natale, per trascorrere felicemente tutti insieme un ultimo cenone. In realtà, sono tanti e diversi i segreti nascosti da ogni componente di questa strampalata famiglia!

  • SCENEGGIATURASteven Rogers
  • PRODUZIONE: CBS Films, Groundswell, Imagine Entertainment
  • DISTRIBUZIONE: Notorious Pictures
  • PAESE: USA
  • DURATA: 107 Min

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Natale all'improvviso

Post n°12777 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Lacrime di San Lorenzo

Post n°12776 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Adriano e Gloria si ritrovano ad affrontare il dramma della malattia rara da cui è affetto il loro bambino. I medici non riescono a trovare una risposta, il "deficit di solfito ossidasi", come tutte le malattie rare, è incurabile. Adriano inizierà a studiare la correlazione tra malattia e psiche, a studiare la cellula ed i conflitti emotivi che le persone hanno nel corso della vita, convincendosi che la malattia fa parte di un "programma biologico sensato", un programma di sopravvivenza naturale. Si avvicina così alla "Nuova medicina" e alle sue cinque leggi biologiche, iniziando una disperata lotta contro il tempo, contro tutto e tutti. Nel frattempo, uno strano rapimento sconvolge la vita di un'altra giovane famiglia e le indagini sul caso si intrecciano con la storia di Adriano. Riuscirà Adriano a salvare suo figlio, a svincolarsi dalle indagini e a diffondere la conoscenza della tanto oscurata "Nuova medicina"?.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La felicità è un sistema complesso

Post n°12775 pubblicato il 26 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Enrico Giusti (Valerio Mastandrea) avvicina per lavoro dirigenti totalmente incompetenti e irresponsabili che rischiano ogni volta di mandare in rovina le imprese che gestiscono. Lui li frequenta, gli diventa amico e infine li convince ad andarsene evitando così il fallimento delle aziende e la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. E' il lavoro più strano e utile che potesse inventarsi e non sbaglia un colpo, mai. Ma una mattina un'auto cade in un lago e tutto cambia. Filippo e Camilla, due fratelli di 18 e 13 anni, rimangono orfani di un'importante coppia di imprenditori. Enrico viene chiamato col compito di impedire che due adolescenti possano diventare i dirigenti di un gruppo industriale d'importanza nazionale. Dovrebbe essere il caso più facile, il coronamento di una carriera ma tutto si complica e l'arrivo inatteso della fidanzata straniera di suo fratello rende le cose ancora più difficili. In realtà sarà il caso che Enrico aspettava da tanto tempo, quello che cambierà tutto, per sempre.

  • FOTOGRAFIAVladan Radovic
  • PRODUZIONE: Pupkin Production
  • DISTRIBUZIONE: BIM
  • PAESE: Italia
  • DURATA: 117 Min

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963