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Messaggi di Novembre 2017

 

Justice League vince il secondo weekend al boxoffice

Post n°14116 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Justice League (guarda la video recensione) vince il secondo weekend di permanenza al boxoffice italiano e con il mezzo milione incassato ieri supera i 5 milioni di euro complessivi. È stato un buon weekend per il cinema italiano che ha piazzato sul podio Gli Sdraiati (guarda la video recensione) e Caccia al tesoro, anche se nessuno dei due è riuscito a superare il milione di euro, impresa che sembra oramai quasi impossibile per un film nostrano. Il migliore di stagione resta The Place, che probabilmente chiuderà a 5 milioni la sua corsa. Non ottoengono buoni risultati tutte le new entry della settimana, che peraltro non avevano certo pretese di ottenere grandi incassi. Il migliore, tra i film stranieri, è Nut Job - Tutto molto divertente, che grazie al solito recupero domenicale "da film animato" chiude sopra al mezzo milione di euro. Non male il mezzo milione di American Assassin, mentre deludono Flatliners - Linea MortaleIl domani tra di noi e Detroit (guarda la video recensione), che non è mai nemmeno entrato in classifica.
Questa settimana iniziano timidamente le grandi manovre natalizie e il film da tenere sott'occhio è sicuramente Assassinio sull'Orient Express, anticipato dal 6 dicembre al 30 novembre, che ha quasi tutto per fare bene: storia nota, target anagraficamente "medio alto" e un grande cast. L'Italia dovrebbe piazzare in top ten almeno Amori che non sanno stare al mondo (guarda la video recensione) della Comencini e l'ultimo episodio della saga di Smetto Quando voglio, l'unico franchise cinematografico di successo pensato dal cinema italiano di recente (e anche in assoluto, se escludiamo Fantozzi e i Natali a...). Il primo dicembre esce nei cinema Vasco Modena Park, altro titolo promettente, mentre Happy EndDaddy's Home 2 e Gli Eroi del Natale completano il roster che aprirà il mese decisivo. 

 
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Crimini d'odio o follia del Politically Correct? Un caso esemplare da megachip

Post n°14115 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Il caso della studiosa canadese processata dalla sua Università perché in materia di politicamente corretto osa presentare un dibattito fra opinioni contrapposte. Ma l'opinione pubblica reagisce
Redazione26 novembre 2017

di Daniele Scalea.

Lindsay Shepherd, studentessa ventiduenne alla Wilfrid Laurier University in Canada, è incaricata dal suo supervisore di tenere alcune lezioni di comunicazione.

Uno dei temi toccati è la recente legge di Justin Trudeau in base alla quale si potrebbe essere puniti se non si adopera, rivolgendosi o riferendosi a una persona, il pronome da essa preferito (quindi se un uomo vuole essere definito "lei", una donna "lui" e un trans "essi", tutti sono chiamati a farlo o rischiano di essere accusati di "crimini d'odio").
La Shepherd, che non è ostile alla normativa, decide tuttavia di mostrare alla classe, come base di discussione, un dibattito televisivo cui ha partecipato anche Jordan Peterson - un professore universitario che è stato ascoltato pure in audizione al Senato. Peterson porta argomentazioni contrarie allo spirito della legge.
Qualche studente sdegnato dal fatto di essere stato esposto a idee contrarie alle proprie fa il delatore con le autorità accademiche.

Il supervisore e altri due professori convocano la Shepherd e, in un dialogo surreale, la accusano di transfobia. Alla sua difesa, che ha semplicemente cercato di presentare le due opinioni contrapposte, essi rispondono che proprio là è il problema: gli studenti devono conoscere una sola opinione, quella che il clero accademico di sinistra radicale reputa corretta.
La Shepherd sarebbe finita, se non fosse per una scaltra iniziativa: registra l'incontro e lo divulga. Il senso comune dell'opinione pubblica si solleva contro il furore ideologico dei professori engagé. Gli studenti manifestano solidarietà alla loro collega accusata di blasfemia postmoderna.
Le sorti si ribaltano e sul banco degli imputati finiscono gli accusatori. L'università è costretta a scusarsi, idem per i docenti coinvolti. Il supervisore, addirittura, ammette in pubblico che forse non è giusto insegnare da una prospettiva partigiana, ammettendo solo un'ideologia ed escludendo tutte le altre opinioni.

 

 
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Fidel, ad un anno dalla morte

Post n°14114 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema

Fidel, ad un anno dalla morte


di Piero Gleijeses

Che cosa rappresenta Fidel per me? Immagini sparse, pezzi di frasi che conosco a memoria. Le parole di un amico, Nelson Mandela, quando è andato all’Avana nel luglio del 1991: “Siamo venuti qui con la consapevolezza del grande debito che abbiamo contratto con il popolo di Cuba. Nessun altro paese ha una storia di tanto altruismo come quello che Cuba ha dimostrato nei suoi rapporti con l’Africa”.


E le parole di un nemico, Henry Kissinger, nelle sue memorie, quando si chiedeva perché Cuba avesse inviato i suoi soldati in Angola alla fine del 1975, sfidando Breznev che era contrario, sfidando il Sudafrica che aveva invaso l’Angola e sfidando gli Stati Uniti che era in vergognosa combutta con Pretoria. Kissinger notava che Fidel “era forse il leader rivoluzionario al potere più autentico del momento”. Fidel ha inviato i suoi soldati perché sapeva che la vittoria dell’Asse del Male –Washington e Pretoria- avrebbe significato la vittoria dell’Apartheid, il rafforzamento del dominio bianco sui popoli dell’Africa Australe.

Quando, 25 anni fa, ho cominciato a fare ricerca sulla politica cubana in Africa avevo già un’idea molto positiva del ruolo di Cuba, ma pensavo che, nel consultare i documenti, avrei trovato cose che non mi sarebbero piaciute, aspetti negativi, pur se piccoli. Invece è successo quello che non avrei mai immaginato. Dopo aver consultato 16.000 pagine di documenti cubani, decine di migliaia di pagine di documenti statunitensi, sudafricani, britannici e di molti altri paesi, alla fine nutrivo molta più ammirazione di quando avevo cominciato nel lontano 1994.


Per grande che sia la grandezza del suo pensiero, un comandante in capo ha bisogno di aiutanti e di tutto un popolo per portare a compimento i suoi ideali. Quando penso a Fidel penso a Raúl, penso a Polo Cintra Frías, penso al mio fratello e maestro Jorge Risquet, e penso alle centinaia di migliaia di internazionalisti cubani –i battaglioni di Fidel Castro- soldati e civili che hanno aiutato tanto i popoli del Terzo Mondo. E penso al popolo cubano che li ha accompagnati.


Non conosco nessun altro paese per il quale l’altruismo sia stato un componente così importante nella sua politica estera. Non conosco nessun altro paese oltre Cuba che per tanti anni, contro vento e marea, abbia dimostrato una simile generosità e tanto coraggio nella politica estera. Questo è quello che Fidel rappresenta per me.

(La Jiribilla, 25 nov. 2017)

 
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I soldi dei servizi segreti per influenzare i mass media da megachip

Post n°14113 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Il Sole 24 Ore è un giornale propriamente padronale, nel senso che il suo azionista di riferimento è Confindustria, ossia l’associazione dei “padroni” (sempre più distinti tra azionisti e manager, ma contro di noi vanno d’accordissimo). Eppure su molte cose spesso non ha perso gli spunti del vero giornalismo d’inchiesta.

Un articolo uscito il 16 novembre scorso, ha svelato non solo l’esistenza di molti conti bancari dei servizi segreti – l’Aisi in questo caso – dentro la Banca Popolare di Vicenza, (oggi al centro di una nuova tormenta bancaria), ma anche e soprattutto l’obiettivo di questa liquidità finanziaria dei servizi segreti: far arrivare soldi a chi in qualche modo è vicino o dà una mano all’attività dei servizi. Si tratta dei cosiddetti agenti di influenza (“attività condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”; definizione vaga, o comunque vasta, che inquadra ambiti tipici della politica).


Tra questi, è scritto testualmente, una tipologia di influencer davvero particolare: “Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali”. Cominciano così ad essere più chiare le motivazioni di alcune “sovraesposizioni” o, al contrario, omissioni e rimozioni nel sistema informativo del nostro paese. Del resto il caso dell’agente Betulla (l’ex vicedirettore di Libero, Farina, ndr) non è ancora finito nel dimenticatoio.


Quindi si conferma l’attenzione dei servizi segreti verso soggetti che hanno il compito di “influenzare” l’opinione pubblica tramite i talk show o trasmissioni. Naturalmente in cambio di una munifica ricompensa monetaria. L’inchiesta del Sole 24 Ore si guarda bene dal rivelare i nomi di questi beneficiari dei finanziamenti dei servizi segreti nel mondo dei media adducendo difficoltà (anche se dai dettagli si capisce che ne sono perfettamente a conoscenza tramite documenti “letti in chiaro”), ma la loro funzione emerge in modo piuttosto esplicito. Le allusioni dell’articolo del Sole 24 Ore ad ambienti vicini ai centri sociali hanno visto già il chiarimento pubblico dell’autore di fumetti, Claudio Calia, il quale ha spiegato di aver solo fatto un lavoro retribuito per un comune dell’Alto Vicentino per una iniziativa che aveva anche il patrocinio del Ministero degli Interni e non altro.


Occorre evitare come la peste la logica del sospetto indiscriminato, che ha la storica funzione di seminare tensioni, disgregazione, divisioni e recriminazioni che aumentano le difficoltà di ricomposizione di un fronte di classe; ma occorre smettere di essere ingenui e fare altrettanta attenzione proprio a quegli agenti di influenza – nei media e non – che operano per creare tensioni, disgregare, dividere, disorientare e alimentare recriminazioni infinite, che ritardano o ostacolano i possibili processi di avanzamento del conflitto sociale e di una sua espressione politica organizzata e non strumentalizzata dai fascisti, che proprio sui media sembrano ormai godere di una stagione di straordinaria attenzione.


Qui di seguito il testo dell’articolo de Il Sole 24 Ore sui conti correnti della Banca Popolare Veneta.


*****


La Popolare di Vicenza e i conti dei servizi segreti


di Nicola Borzi

 


Quasi 1.600 operazioni bancarie, in ingresso e in uscita, per un controvalore di oltre 642 milioni, in un periodo compreso tra il 17 giugno 2009, all’epoca del quarto governo Berlusconi, e il 25 gennaio 2013, durante il governo Monti. Di queste transazioni ben 425, per 43,2 milioni, erano in capo all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) e altre 20, per 6,2 milioni, alla gemella Aise.


Il singolo trasferimento di fondi più “pesante” è datato 16 marzo 2012: 88,5 milioni. Molti pagamenti sono stati realizzati tramite comuni strumenti di home banking. Date, identificativi, numeri di conto, causali: noleggi di auto e moto, saldi di fatture a fornitori, versamenti a società e persone, quietanze di affitti. Soprattutto nomi. Questo è l’“estratto conto” della Presidenza del Consiglio e dei Servizi segreti nazionali contenuto in decine di pagine di documenti “in chiaro” che Il Sole 24 Ore ha potuto visionare. Una costante unisce questa mole di dati: provengono tutti dal gruppo Banca Popolare di Vicenza.


Il materiale di questo “BpVi leaks” va letto come un “estratto conto”: una selezione, appunto, dei legittimi rapporti bancari intercorsi tra Palazzo Chigi e l’allora Popolare. Rapporti il cui inizio potrebbe essere retrodatato probabilmente ai primi anni 2000 e forse anche prima. Di certo BpVi non è stata l’unica banca operativa con i Servizi: lo testimoniano tre giroconti con Bnl, datati 15 febbraio 2010, per un totale di 9 milioni registrati dall’Aisi nella filiale romana numero 895 — non più operativa — di Banca Nuova.


Quanto ai nomi, è impossibile stabilire se le identità siano reali, poiché con i normali strumenti giornalistici non è dato verificarli né accertare eventuali omonimie. Ma i controlli condotti sulle fonti aperte avvalorano l’impianto complessivo dei file, che appaiono consistenti. Insieme a schiere di anonimi sparsi in tutta Italia, tra i beneficiari dei versamenti ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno «inquadrati nel ruolo unico del contingente speciale della Presidenza del Consiglio dei ministri», personale della Protezione civile e del Dipartimento Vigili del fuoco, funzionari del Consiglio superiore della Magistratura. Poi avvocati, dirigenti medico-ospedalieri, vertici di autorità portuali e di istituzioni musicali siciliane.


Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali. Ma soprattutto i vertici dell’intelligence italiana, dotati di poteri di firma sui conti, e alti funzionari territoriali dei Servizi e delle forze dell’ordine: ufficiali del Carabinieri con ruoli in sedi estere, ispettori della Polizia di Stato coinvolti nel processo dell’Utri del 2001, dirigenti dell’ex centro Sisde di Palermo già noti alle cronache per vicende seguite all’arresto di Totò Riina. C’è pure un anziano parente del “capo dei capi” di Cosa Nostra (o qualcuno con lo stesso nome). E ci sono impiegati di Banca Nuova. O, ripetiamo, loro omonimi.


Oltre ai Servizi e a BpVi, un solo soggetto ha tutti gli strumenti per dare risposte precise: è la padovana Sec, il centro servizi informatici che, prima del salvataggio del Fondo Atlante e della cessione a Intesa Sanpaolo, era partecipato da una decina di soci capitanati da BpVi (la capogruppo deteneva il 47,95% del capitale di Sec, Banca Nuova l’1,66%) e Veneto Banca (con il 26,13% del capitale).


Il database della Sec è la chiave per capire quali legami collegavano Vicenza ai servizi segreti della Capitale e di Palermo: partendo, ad esempio, dai codici relativi alla banca (33 identifica l’ex Popolare Vicenza, 61 invece Banca Nuova), a quelli delle filiali, all’identificativo del cliente (il cosiddetto “Ndg”) e al numero di conto. Proprio l’istituto siciliano del gruppo BpVi è centrale, per più di un motivo, in queste carte. Alcuni addetti della Sec, che in questi giorni seguono la “migrazione informatica” al gruppo Intesa Sanpaolo, sono di certo in grado di ricostruire la mappa delle informazioni.


La società consortile di informatica per il settore creditizio non è stata, dunque, soltanto un hub tecnologico. Non pare un dettaglio casuale il fatto che Samuele Sorato, l’ex consigliere delegato della Vicenza, avesse iniziato la propria scalata interna al gruppo BpVi partendo come semplice ragioniere programmatore proprio da Sec. Né lo è il fatto che il braccio destro nonché uomo di fiducia di Gianni Zonin non abbia mai abbandonato la carica di presidente della società di servizi padovana, sino ai dissidi con Zonin e alle sue dimissioni del maggio 2015. Lo stesso Samuele Sorato, secondo alcune fonti, avrebbe esercitato un forte controllo diretto sulla Sec. Eppure, sempre secondo queste fonti, i sistemi di sicurezza del database di Sec sarebbero inadeguati: «Il sistema informativo è carente sotto tutti i profili».


Che i sistemi informatici del gruppo Popolare di Vicenza fossero attentamente monitorati dall’interno è indicato anche da alcune recenti dichiarazioni rilasciate alla Commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche, secondo le quali durante le ispezioni di vigilanza le procedure informatiche dell’ex Popolare di Vicenza erano costantemente a rischio di essere disattivate “dall’alto” in qualsiasi momento, a seconda della bisogna. La scelta della Vicenza come interfaccia bancaria di Palazzo Chigi pare dunque basata più su logiche “politiche” che di qualità dei servizi — con o senza l’iniziale maiuscola.



Tratto da: http://contropiano.org/news/politica-news/2017/11/23/soldi-dei-servizi-segreti-pagare-linfluenza-dei-sui-mass-media-097983

 
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'Declassificazione': la censura ai tempi del Web è a colpi di algoritmi da megachip

Post n°14112 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Se il potere vede che le vecchie manipolazioni non han più presa, ricorre all’unica risorsa che sa: reprimere di più, imbavagliare di più. Le ultime sulla censura contro RT e i non allineati  

 di Leni Remedios.

 Mi fa francamente sorridere l’ennesima guerra sferrata contro media russi come RT e Sputnik. Se non fosse che mette a rischio centinaia di posti di lavoro (a livello planetario, non solo in RT America) mi farei una grassa risata. La nuova faccia della censura si chiama ‘de-ranking’, ovvero declassificazione. Sabato 18 novembre, durante il Forum per la Sicurezza internazionale ad Halifax, Canada, Eric Schmidt - direttore della compagnia Alphabet, socia in affari con Google - annuncia: Google News combatterà la cosiddetta propaganda russa, perciò nasconderà i contenuti di RT e Sputnik. «Non vogliamo bloccare i siti web, non è il nostro stile di lavoro», ha dichiarato Schmidt. «Non sono un sostenitore della censura, sono un sostenitore della classifica».


Ma che diavolo vuol dire tutto questo? Schmidt, in maniera che vuol essere sibillina e che risulta in realtà maldestra, spiega candidamente: in base ad algoritmi specifici che obbediscono a criteri interni, i siti compariranno in fondo alle ricerche. In altre parole, «un’altra forma di censura», come commenta l’avvocato statunitense per i diritti umani Dan Kovalik, che aggiunge: «L’attacco a RT è un attacco a narrazioni diverse su questioni come Siria ed Ucraina», e precisa che «infatti Google ha già iniziato ad usare questo metodo anche con siti alternativi nordamericani. Finiranno per censurare tutti. I cittadini americani dovrebbero esserne allarmati». Una mossa che arriva tra l’altro con eccezionale tempismo, subito dopo la decisione del Ministero della Giustizia statunitense di registrare RT fra gli agenti stranieri.


Insomma, una censura a colpi di algoritmi. È un po' l'equivalente del trafiletto in quarta pagina, rifilato lì come paravento per poter poi dire «non è vero che non ne abbiamo parlato».


Ma la logica applicata ai quotidiani cartacei non funziona con internet. Zbigniew Brzezinski - spietato oligarca ma mente fine – avrebbe scrollato la testa di fronte a questo puerile e malcelato tentativo di censura. Too bad and too late. Un intervento fatto male ed arrivato troppo tardi. Come la grottesca comparsata dei tre moschettieri della rete (ossia le tre scimmiette, come li ha chiamati Giulietto Chiesa) ovvero Google, Facebook e Twitter, chiamati a giudizio dalla commissione americana sul Russiagate: voleva forse essere una lezione collettiva, un impatto visuale tremendo che funzionasse da monito per tutti, utenti e compagnie. Invece il risultato è stato per molti versi quasi demenziale: i tre moschettieri, oltre a snocciolare dati a dir poco innocui, ben distanti da quel che i giudici volevano sentire, sembravano scolaretti balbettanti di fronte alla maestra cattiva. Mancava solo che chinassero la testa e recitassero il ‘mea culpa’ all’unisono.


Google può pure gettare RT in fondo alle sue ricerche o persino toglierlo. Ma, come si diceva, è troppo tardi. Se volevano fare sul serio i censori, avrebbero dovuto agire prima, in maniera preventiva. Invece la tecnologia viaggia a velocità interstellare, sfugge alle mani dei suoi creatori. Una grande fetta di utenti ormai non aspetta il filtraggio dei motori di ricerca per trovarsi RT in ultima pagina. Ci va direttamente nel sito di RT. Ci va direttamente nel sito di Sputnik, Press TV, Al Manar, Hispan TV, Pandora TV. Se non ci va direttamente, ci pensano le amicizie in comune su Facebook, Twitter etc a segnalarle attraverso la condivisione. Perché negli ultimi anni si è gradualmente abituato (una verità che fa molto male ad ogni establishment di ordine e grado) a un fenomeno inedito: c’è qualcun altro che fornisce una narrazione diversa rispetto a quella monocolore fornita dai mainstream e dai suoi servi, pardon, esecutori.


Lo strumento militare introdotto al grande pubblico pensando che si potesse manipolare come si fa con la televisione, sta sfuggendo di mano. Nemmeno il succitato Zbigniew Brzezinski, che nel 1970 scrisse Between Two Ages: America’s Role in the Technetronic Era, avrebbe potuto prevedere un acceleramento simile.


I gatekeepers faticano a controllare tutte le informazioni in entrata e in uscita. Neppure la sapiente introduzione di infiltrazione/cooptaggio/inquinamento delle fonti d’informazione indipendente - per non dire la costruzione ad arte di finti personaggi o entità anti-sistema - è servita a scoraggiare il pubblico, che si sobbarca il rischio d’incappare in qualche granchio. 


Non è certo un processo iniziato ieri con RT. E ahimè non si concluderà con questa vicenda.


Chiudono i quartieri generali britannici dell’iraniana Press TV? Press TV si mette in rete e la guardano in tutto il mondo. Ti mettono in fondo alla ricerca Google? Ci pensano gli utenti dei social a moltiplicare le visite rendendo i contenuti virali. Vuoi silenziare i contenuti di un sito scomodo? La notizia rimbalza come un boomerang di pubblicità negativa.


Insomma, non sanno più come fare per tenere a bada tutto.


E quando un establishment oppressore riconosce che le vecchie tecniche manipolatorie non hanno più presa, in mancanza di una visione strategica, ricorre all’unica risorsa che conosce: reprimere ancora di più, imbavagliare ancora di più, anche a costo di non curarsi della maschera che cala. Sì, il re è nudo, e allora? Mi chiedo fino a che punto  la loro sia spudoratezza o disperazione.


A livello planetario, l’establishment – o per meglio dire, le correnti variegate che formano l’establishment – non godono più del consenso granitico che avevano, poniamo, nel 2001, all’alba dei fatti dell’11 settembre.


Vorrei in ultima attirare l’attenzione sulle parole seguenti di Schmidt, che svelano l’ideologia sottostante a simili operazioni:


«Durante l’anno scorso, si è dimostrato che non ci si può fidare delle capacità del pubblico di distinguere da solo fra fake news e notizie reali».


Secondo una certa linea di pensiero che attraversa l’establishment contemporaneo, ma che affonda le radici nelle antiche oligarchie, i cittadini sono visti paternalisticamente come pecorelle smarrite ignare di quel che succede e che vanno sviate...pardon...guidate per manina.


È qui che le scimmiette digitali del potere si sbagliano. È il pubblico a non fidarsi di te, caro Schmidt. Forse anche perché una grossa fetta di utenti, grazie anche alle testate che vuoi silenziare, è al corrente che proprio tu, che sbraiti contro la presunta propaganda di altri, peraltro mai dimostrata, sei stato consigliere sui servizi digitali nelle campagne elettorali del 2012 per Barack Obama e del 2015 per Hillary Clinton.


Eccoci alla chiusura del cerchio. Non c’è neanche più il bisogno di smascherarli, si sputtanano da soli. In questo senso risparmiano un lavoro notevole a noi giornalisti. Grazie, Schmidt, ci risparmi fatica.


Mi sembra che non debba aggiungere ulteriori spiegazioni: contrariamente a quanto pensa Schmidt, ho un’elevata ficucia nelle facoltà intellettive dei lettori.

 
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Giuseppe Tornatore, i segreti del cinema in un libro: "Diario inconsapevole" da affariitaliani

Post n°14111 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Giuseppe Tornatore è in libreria con "Diario inconsapevole. La scatola dei segreti di un grande maestro del cinema italiano" (Ed. HarperCollins)
Giuseppe Tornatore, i segreti del cinema in un libro: "Diario inconsapevole"
Giuseppe Tornatore, uno dei grandi registi del cinema mondiale apre le porte del suo mondo attraverso le pagine ritrovate di un diario accidentale. Un diario inconsapevole, che si è costruito da solo, negli anni. Pensieri dedicati al lavoro, agli attori e ai registi che hanno attraversato la sua vita di spettatore e di cineasta, ai piccoli e ai grandi eventi che hanno interessato il mondo intero o soltanto la sua vita privata.
 
Tra questi Federico Fellini, Marcello Mastroianni, Roman Polanski, Ennio Morricone, Sergio Castellitto, Giovanni Paolo II e anche tanti altri straordinari personaggi conosciuti e meno conosciuti, figure di cui Giuseppe Tornatore racconta storie appassionanti.
 
Personaggi dell'universo del cinema, della fotografia, a volte della pittura, personaggi della sua Sicilia. Ognuno di questi incontri ha caratterizzato la sua carriera di regista e sceneggiatore e il Maestro ce li racconta in questa raccolta di scritti, attingendo alla sua personale scatola di ricordi, svelando i segreti che ci sono dietro la macchina da presa e allo stesso tempo offrendo al lettore altrettante “lezioni di cinema”. Entrare in queste pagine è come conquistare un tesoro nascosto. È la chiave per interpretare l'universo artistico e l'intera opera cinematografica di Giuseppe Tornatore.

Giuseppe Tornatore

Nato a Bagheria nel 1956, esordisce nel cinema con Il camorrista del 1986. Il riconoscimento internazionale giunge con Nuovo Cinema Paradiso, del 1988, di cui è anche soggettista e sceneggiatore, premio Oscar 1990 come miglior film straniero. Sono seguiti altri film di successo, distribuiti a livello mondiale, tra cui Una pura formalità (1994), La leggenda del pianista sull’oceano (1998), Malèna (2000), La sconosciuta (2006), La migliore offerta (2013) e La corrispondenza (2016).

 
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Guerra alle fakenews per fare "il ministero della verità" da antidiplomatico

Post n°14110 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Guerra alle fake news per fare “il ministero della verità”

Guerra alle fake news per fare “il ministero della verità”
 

Le bufale sono la peste dell’informazione. In Internet come sui media mainstream. E già qui si apre un conflitto, o comunque un distinguo: il regime dei media ufficiali, spalleggiato dalla “politica”, pretende di qualificare come fake news tutto ciò che è fuori dalla propria produzione “certificata”. Si vorrebbe insomma stabilire un fossato insuperabile tra il vero e il falso sulla base della fonte dell’informazione: se è partorita dal “sistema” sarebbe vera, se arriva da fuori allora sarebbe falsa, per definizione.


La mistificazione è evidente. Non c’è lettore di giornali, in questo paese, che non ricordi una bufala più o meno grande raccontata su giornali o tv che si pretendono serissimi. Quelle più clamorose riguardano in genere il “nemico” dell’Occidente, anche se si tratta di vicende e personaggi che hanno ben poco in comune; e quindi hanno toccato il “feroce dittatore coreano” Kim, il presidente del Venezuela Maduro (e prima di lui Chavez), la famiglia Castro per una vita, gli iraniani chiunque fosse al governo, Putin, Lula e Dilma, e migliaia di altri casi. SI chiama “propaganda di guerra”, c’è sempre stata, e ha poco a che fare con il giornalismo.


Quando si scende – anche culturalmente – nel circo della “politica” italiana, diventa assolutamente evidente che “fake news” sono quelle che dice il proprio avversario del momento. Sempre propaganda di guerra è, come logica, ma il teatro è parecchio più povero. La giornata di ieri è per esempio stata occupata dal penoso contrapporsi di frasi stupide tra grillini e piddini, che si sono scambiati cordialità garantendo che “io dico la verità, tu sei un falsario”.


Solo per capire il livello infimo della querelle. Luigi Di Maio: “Bisogna stare molto attenti: quando io vedo una fake news su un giornale, un tg o in rete non chiedo di chiudere la testata. C’è la paura, da quanto ho letto sul New York Times, che le fake news possano colpire l’esito delle elezioni politiche. Io propongo a tutto l’arco costituzionale, politico, di questo Paese di chiedere all’Osce di monitorare le prossime elezioni politiche”.


La risposta piddina non è più elevata. Il vicesegretario e ministro Maurizio Martina bolla come “inquietanti i rapporti che emergono tra Movimento 5 Stelle e Lega con alcuni siti globali di false notizie. Cosi si inquina la democrazia a danno dei cittadini“. Mentre la meno nota Alessia Morani ha cercato di farsi notare sparacchiando ironie: “Caro Di Maio, intanto cominciate a chiudere i siti satellite del M5S tipo ‘Tze Tze’, ‘La Fucina’ ed ‘Il grande cocomero‘”.


Nelle stesse ore, negli Stati Uniti, lo scontro tra la Cnn e Trump ha raggiunto toni piuttosto elevati e insoliti, anche per quel paese.


Sintetizziamo il problema: in un mondo dove i “corpi intermedi” (partiti e sindacati) non riescono più a rappresentare interessi sociali diversi, trasformando gli interessi in proposte di legge e schieramenti di governo, i media sono diventati il principale motore della scelta politica degli elettori. Dunque, gestire i media significa influenzare il voto e decidere – in larga misura – quale sarà il governo di un paese.


La caduta di partecipazione derivante da questo spostamento dei circuiti di formazione dell’opinione pubblica (dagli interessi conosciuti e difesi a “tifoseria” sugli interessi altrui, peraltro opachi) è assolutamente voluta e sperata. Il restringimento della base elettorale consente infatti un controllo più efficiente dei gruppi sociali comunque coinvolti. Per quanto riguarda l’Italia, la differenza di partecipazione alle varie elezioni (dalle politiche alle amministrative) rispetto al referendum costituzionale o a quello per l’acqua pubblica sta lì a dimostrare che la mancata rappresentanza degli “interessi deboli” (lavoratori, disoccupati, precari, pensionati, ecc) si traduce alla lunga in astensione o “voto per vendetta”. E in qualche caso (referendum…) non riesce neppure nell’intento. Non a caso lo sforzo principale dei media e dell’establishment è teso a dimostrare che tutte le possibili alternative (in questo momento soprattutto i Cinque Stelle) “sono come gli altri”. E con Di Maio leader sarà anche particolarmente facile riuscirci…


Ma il problema fondamentale resta quello del controllo dei media, che mai come ora diventano terreno di battaglia tra potentati. Il silenzio complice che ha accompagnato – per esempio – la perquisizione e il sequestro di tutti i device informatici in possesso di Nicola Borzi, giornalista del pur potente Sole24Ore, dimostra che il processo di asservimento della casta giornalistica ha raggiunto livelli impensabili fino a qualche anno fa.


Tutti sono stati infatti giustamente prontissimi a indignarsi per la “capocciata” di tal Roberto Spada al giornalista Rai Daniele Piervincenzi. Gli stessi tutti hanno fatto altrettanto, giustamente, per le telefonate minatorie del pregiudicato Francesco De Carolis al cronista Paolo Borrometi.


Quasi nessuno – perlomeno con qualche visibilità – ha fatto altrettanto con Borzi, che ha subito qualcosa di molto più grave da parte delle “autorità costituite”. Giusto un “inammissibile” affidato alla Fnsi, senza alcun rilievo su alcuna testata nazionale.


Qual’è la colpa di Borzi? Aver dato notizia dell’esistenza di decine o centinaia di conti riconducibili ai servizi segreti italiani aperti presso Veneto Banca, coinvolta nel più recente crac bancario insieme alla Popolare di Vicenza. Conti che servivano a pagare altrettanti “collaboratori” rimasti peraltro ignoti, ma di cui viene descritto qualche elemento caratteristico: “Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali”.


Perché mai un giornalista o un conduttore televisivo – oltretutto “fortunatissimo” – dovrebbe ricevere un secondo stipendio da parte dei “servizi”? Cosa dà in cambio?


Scartate le ipotesi circa “aiuti umanitari” restano soltanto quelle strettamente politiche. Dare o non dare certe notizie, dare risalto o “tenere basse” certe altre, far parlare in video o per radio certi personaggi invece di altri, promuovere campagne pro o contro una certa area e chi più ne ha…


Viene da pensare, non avendo la lista dei nomi, a quanti “colleghi fortunati” nelle ultime settimane abbiano sentito l’impellentissimo “bisogno giornalistico” di piazzare una telecamera davanti ai personaggi peggiori di Casapound, guardandosi bene dal far domande appena un pelo imbarazzanti (chessò: “che diavolo vuol dire fascisti del terzo millennio?” oppure “sapete che l’apologia di fascismo è un reato?”).


E’ appena un sospetto, che però si accoppia stranamente bene con la costante sottostima – nelle relazioni semestrali dei servizi segreti al Parlamento – del pericolo sociale rappresentato dai vari gruppi fascisti, così descritti in poche righe Le principali formazioni di matrice identitaria hanno proseguito l’impegno sulle tradizionali tematiche d’interesse, specie sul terreno delle istanze sociali”. Quali “istanze sociali” di alto valore morale possono coltivare questi personaggi? Beh, neanche i servizi riescono a nascondere che al massimo fanno una pressante propaganda anti-immigrati”.


Qui ci siamo limitati a registrare alcune coincidenze, ad unire dei puntini su un foglio di carta. Apparentemente separati, nell’insieme diventano un quadro. Servizi segreti, giornalisti, fascisti da far crescere in ascolti e voti… Non è nulla di nuovo.


Di nuovo c’è solo il silenzio dei giornalisti stessi sulle minacce istituzionali che ricevono. I cani al guinzaglio hanno in genere qualche sussulto di autonomia in più…


Il “ministero della verità” balugina sullo sfondo. E in molti si sono già portati avanti col lavoro per essere assunti. O per non perdere il lavoro…

 
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Detroit

Post n°14109 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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A dicembre sugli schermi italiani il nuovo capolavoro di Woody Allen: La Ruota Delle Meraviglie (Wonder Wheel) da luckyred

Post n°14108 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

A dicembre al cinema La Ruota Delle Meraviglie di Woody Allen

Un cast eccezionale per un regista eccezionale: per questo racconto fatto di passione e tradimenti che ha per sfondo la pittoresca Coney Island degli anni ’50, Woody Allen ha scelto Jim Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple e una Kate Winslet da Oscar. A impreziosire ancora di più la pellicola, la cinematografia di Vittorio Storaro, leggendario Direttore della Fotografia premiato ben 3 volte dall’Academy.

LA STORIA

Tra fragili speranze e nuovi sogni, le vite di quattro personaggi si intrecciano nel frenetico mondo del parco divertimenti: Ginny (Kate Winslet), ex attrice malinconica ed emotivamente instabile che lavora come cameriera; Humpty (Jim Belushi), il rozzo marito di Ginny, manovratore di giostre; Mickey (Justin Timberlake), un bagnino di bell’aspetto che sogna di diventare scrittore; Carolina (Juno Temple), la figlia che Humpty non ha visto per molto tempo e che ora è costretta a nascondersi nell’appartamento del padre per sfuggire ad alcuni gangster.

 
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Il figlio sospeso

Post n°14107 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Il figlio sospeso è un film del 2017, diretto da Egidio Termine, con Paolo Briguglia e Gioia Spaziani. Uscita al cinema il 23 novembre 2017. Durata 89 minuti. Distribuito da Mediterranea Productions.

Poster

Solo se conosciuta la verità rende liberi. Parte da questo assunto "Il figlio sospeso", l'opera del regista siciliano Egidio Termine. E' da questa famosa asserzione evangelica, che sono partito per affrontare, nel mio film, un argomento di forte attualità: La maternità surrogata. Una tematica attuale e quanto mai complessa dei nostri tempi che ha creato, e continua a creare, divisioni. La sfida del film, invece, è quella di mettere tutti d'accordo, spostando il punto di vista da quello delle due madri, quella naturale (biologica) e quella culturale (sociale), a quello del figlio. La narrazione del film avviene attraverso tre piani di realtà: il presente e il passato, e quello immaginario, quindi surreale. Il presente è scandito dagli avvenimenti che coinvolgono il giovane protagonista Lauro, il cosiddetto viaggio dell'eroe; il passato è narrato attraverso i due punti di vista delle madri; il piano immaginario, che trova sede nella mente di Lauro, gioca un ruolo determinante nell’evoluzione del personaggio. E', infatti, in questa sfera surreale che si manifesta il desiderio intimo del protagonista di appropriarsi della propria identità attraverso la conoscenza della verità negatagli fin dall'infanzia. Ed è solo quando si approprierà della verità che diventerà un uomo libero, realizzando quel desiderio inconscio di cui non aveva fino a quel momento consapevolezza.


 
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Gli sdraiati

Post n°14106 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Gli sdraiati, il nuovo film di Francesca Archibugi, è tratto dall'omonimo romanzo best seller di Michele Serra

Giorgio (Claudio Bisio) è un giornalista di successo, amato dal pubblico e stimato dai colleghi. Insieme alla ex moglie Livia (Sandra Ceccarelli) si occupa per metà del tempo del figlio Tito (Gaddo Bacchini), un adolescente pigro che ama trascorrere le giornate con gli amici, il più possibile lontano dalle attenzioni del padre. I due parlano lingue diverse ma ciò nonostante Giorgio fa di tutto per comunicare con il figlio. Tito ha una banda di amici, tutti maschi, troppo lunghi, troppo grassi, troppo magri, spaccano rovesciano inzaccherano mentono fuggono puzzano. Stanno sempre appiccicati, da scuola al divano, dal divano a scuola fino a uando nella vita di Tito irrompe Alice (Ilaria Brusadelli), la nuova compagna di classe che gli fa scoprire l'amore e stravolge la routine con gli amici, e finalmente anche il rapporto con il genitore sembra migliorare. Ma l'entusiasmo non durerà a lungo perché il passato di Alice è in qualche modo legato a quello di Giorgio. Giorgio e Tito sono padre e figlio. Due mondi opposti in continuo scontro. 

Pubblicato nel novembre del 2013, "Gli sdraiati" aveva raccolto recensioni entusiaste ma anche piccate polemiche: per alcuni, infatti, e specie per i più giovani che si sentivano punti sul vivo, quello di Michele Serra era il borbottio retorico, per quanto ironico, di un vecchio barbogio. Dell'esponente di quella generazione che si era dipinta da sola come "la meglio gioventù" per poi lasciare in eredità ai suoi figli poco o niente: un mondo a pezzi nel migliore dei casi. Di uno di quei giornalisti borghesi che fanno tanto i comunisti, ma poi sono i peggio conservatori, perché dai, su, i ragazzi non sono così: non siamo così, non parliamo così, non stiamo mica sdraiati così, perché non raccontate tutte le cose belle che facciamo? 

Eppure, bastava leggerlo bene, il libro di Serra. Leggero bene e, se possibile, se 112 pagine non son troppe, leggerlo fino alla fine. E allora diventava subito chiaro che quello non era un libro sui figli, un dito puntato contro una generazione di sanguisughe fancazzista, ma un racconto leggero e intelligente su una società spaccata in due, e quello commovente di un padre che non sa bene come essere tale, che rimpiange la giovinezza e teme d'invecchiare, e che vorrebbe tanto farlo, guardando un figlio crescere, cercando di capirlo, di parlargli, sperando un giorno magari di abbandonarsi sulle sue spalle come un vecchio Anchise. 
"Gli sdraiati" non parla dei figli, dei giovani di oggi, non è un atto d'accusa verso il loro nichilismo abulico: parla di padri, di adulti che non sanno più bene che ruolo ricoprire all'interno della famiglia, come ricoprirlo, come sanare una frattura generazionale che la storia, i tempi, la rete, la trasformazione della società fa percepire oggi come profondissima, misteriosa, carica di elettrica conflittualità nel nome della sopravvivenza. 

Detto questo, resta da vedere quale sarà la chiave scelta da Francesca Archibugi(e dal suo co-sceneggiatore Francesco Piccolo) per raccontare col linguaggio del cinema quello che sulla pagina è comunque un lungo, pur ironico, fantasioso e metaforico, monologo interiore di Serra, che parla al lettore, a sé stesso e al figlio senza mai ottenere una risposta, che immagina guerre - letterali - tra generazioni e riflette sulla sua condizione esistenziale di padre e di uomo non più nel fiore degli anni. In che modo i pensieri di Serra e le sue considerazioni verranno rispettate, tradite, ampliate e approfondite.

 
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Detroit

Post n°14105 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Detroit è un film di genere drammatico, storico, thriller del 2017, diretto da Kathryn Bigelow, con John Boyega e Will Poulter. Uscita al cinema il 23 novembre 2017. Durata 143 minuti. Distribuito da Eagle Pictures.

Poster

La storia è ispirata alle sanguinose rivolte che sconvolsero Detroit nel 1967. Tra le strade della città si consumò un vero e proprio massacro ad pera della polizia, in cui persero la vita tre afroamericani e centinaia di persone restarono gravemente ferite. La rivolta successiva portò a disordini senza precendenti constringendo cosi', ad una presa di coscienza su quanto accaduto durante quell'ignobile giorno di cinquant'anni fa.

 

  • PRODUZIONE: Annapurna Pictures, First Light Production, Metro-Goldwyn-Mayer

 
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La botta grossa

Post n°14104 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

La botta grossa è un film di genere documentario del 2017, diretto da Sandro Baldoni. Uscita al cinema il 20 novembre 2017. Durata 82 minuti. Distribuito da Luce-Cinecittà.

Poster

Il 30 ottobre 2016 il terremoto ha colpito nuovamente il Centro Italia, già piegato dal sisma di agosto ad Amatrice, con la scossa più forte registrata in Italia negli ultimi 40 anni: magnitudo 6,5, con epicentro tra le province di Perugia e Macerata, in Umbria e nelle Marche, e un raggio d’azione che ha devastato tutta la zona dei Monti Sibillini, dove il regista è nato e cresciuto. Partendo dalla sua casa distrutta e dal suo personale stato d’animo, Baldoni compie un viaggio "da dentro" l'esperienza del terremoto, per cogliere le paure profonde, i traumi, le ansie, le rabbie, le speranze delle persone colpite.

  • PRODUZIONE: Acqua su Marte con Rai Cinema

 
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Film nelle sale da giovedi scorso

Post n°14103 pubblicato il 27 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

 
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The Place entra nella top ten stagionale del box office

Post n°14102 pubblicato il 21 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Justice League, grazie ad un altro milione ottenuto ieri, riesce a portare a casa 3 milioni di euro dal giorno della sua distribuzione, un dato al di sotto delle aspettative ma comunque in linea col resto del mondo, dove il film non ha certo fatto sfracelli. The Place entra nella top ten assoluta stagionale, almeno per qualche giorno, grazie ai 400mila euro di ieri che lo spingono fino a 3,1 milioni di euro. Verrà superato oggi da Justice League ma dovrebbe avere un passo decente almeno fino a Natale e chiudere attorno ai 5 milioni complessivi. Non è stato un nuovo Perfetti Sconosciuti, ma è comunque un discreto dato, in assoluto. Gran risalita di Paddington 2, che porta a casa altri 369mila e arriva ad un totale di 1,8 milioni, mentre continua ad andare bene Borg McEnroe che tocca il milione e mezzo complessivo. Male le altre new entry, onestamente tutte "deboli" fin dal primo giorno: La signora dello zoo di Varsavia è la migliore con poco meno di 350mila euro complessivi, La casa di famiglia chiude con 327mila euro e Ogni tuo respiro con 258mila. 

Thor: Ragnarok si ferma a 8,6 milioni e non riesce ancora a superare Dunkirk, anche se l'obiettivo dovrebbe essere centrato in settimana, con una chiusura prevista a 9 milioni, un dato al di sopra delle aspettative della vigilia. Sale ancora La ragazza nella nebbia, ora settimo incasso assoluto di stagione con 3,5 milioni di euro. Questa settimana dovrebbe finire peggio di quella passata perchè tra le tante proposte in arrivo non ce n'è una davvero forte: American AssassinDetroitCaccia al TesoroGli sdraiatiFlatliners - Linea MortaleIl domani tra di noiIl libro di Henry e Nut Job: tutto molto divertente, dovrebbero tutti entrare in classifica per la debolezza dei film attuali, ma non ci aspettiamo incassi particolarmente alti. 

 
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Il Signore degli Anelli: Serie tv in arrivo, firmato l’accordo con Amazon Studios! da talkyseries

Post n°14101 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

È di poche ore fa il comunicato ufficiale con cui Amazon ufficializza l’indiscrezione trapelatapochi giorni fa. Il Signore degli Anelli diventerà una serie TV! Le vicende si svolgeranno, ovviamente, nella Terra di Mezzo e racconteranno in particolare gli antefatti de La Compagna dell’Anello, primo romanzo della saga fantasy. Non è tutto: a quanto pare l’accordo prevede alcuni spin-off di cui al momento non si sa ancora nullIl Signore degli Anelli: arriva la serie tv in collaborazione con Amazon

Confermata serie TV su Il Signore degli AnelliIl Signore degli Anelli | I primi commenti

Sharon Tal Yguado, a capo dell’area Scripted Series di Amazon Studios, e Matt Galsor, rappresentante della Tolkien Estate and Trust e della HarperCollins, hanno commentato così:

SHARON: “Il Signore degli Anelli è un fenomeno culturale e ha catturato l’immaginazione di generazioni di fan attraverso la letteratura e lo schermo”

MATT: “Siamo molto felici che Amazon, che ha sempre investito nella letteratura, sia la casa della prima serie tv in più stagioni tratta da Il Signore degli Anelli.”

Il progetto è ambizioso, ma entrambe le parti sembrano intenzionate ad andare fino in fondo. La speranza è far rivivere ai fan de Il Signore degli Anelli un nuovo viaggio pieno di avventure nella Terra di Mezzo. Nonostante le vicende narrate non si intrecceranno con la trilogia cinematografica di Peter Jackson, si cercherà di appassionare le nuove generazioni, ma anche entusiasmare i nostalgici. Il tutto senza esclusione di colpi, in pieno stile Tolkienano!

Per il momento è tutto, ma vi terremo aggiornati… Non perdetevi tutte le notizie sulla nuova serie su Il Signore degli Anelli seguendoci su Facebook!

 
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I 60 anni di carriera di Morricone: «L’Oscar più bello? Mi fu negato» da il sole 24 ore

Post n°14100 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Ennio Morricone al Lucca Summer Festival (foto di Francesco Prandoni)Ennio Morricone al Lucca Summer Festival (foto di Francesco PrandoUno scacchista è matematico, stratega, perfezionista. Ennio Morricone sarebbe probabilmente stato lo scacchista italiano numero uno della sua generazione, se non fosse diventato il più grande compositore italiano di musica per film di sempre. Venerdì ha compiuto 89 anni, durante i quali ha composto 500 colonne sonore, venduto 70 milioni di dischi e vinto due Oscar, tre Grammy, quattro Golden Globe e un Leone d’Oro. Ha vissuto da protagonista le grandi stagioni della cinematografia e della discografia italiana, attraversato i set di Cinecittà e gli studi di Rca, segnato in maniera inconfondibile la Trilogia del dollaro di Sergio Leone e Se telefonando di Mina, sperimentato nuovi linguaggi con il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, ma da appassionato scacchista non smette di pensare alle mosse che avrebbe potuto fare e non ha fatto, a partite che sarebbero potute andare diversamente.

Gli chiedi della statuetta portata a casa per The Hateful Eight di Quentin Tarantino, lui rilancia con quella che avrebbe voluto per Mission di Roland Joffé. «L’Oscar – ci tiene a sottolineare - me l’aspettavo nell’87, a quelle musiche tenevo particolarmente. Invece se lo prese Herbie Hancock per Round Midnight. Per carità: non discuto l’artista, ma non erano neanche tutte composizioni originali. Ricordo le proteste alla cerimonia di consegna. Poi l’Oscar è arrivato con The Hateful Eight che all’inizio neanche volevo fare. Tarantino venne a trovarmi a casa, mi raccontò questa idea singolare del western girato sulla neve. Solo Corbucci poteva avere un’idea del genere e così mi sono lasciato convincere».

Morricone ti parla di quando, una sera a cena con Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, propose loro il soggetto originale per un film che avrebbe dovuto intitolarsi La morte della musica, su un’immaginaria umanità del futuro cui un dittatore vieta le sette note. «L’idea piacque – racconta – ma nessuno dei due alla fine ne fece niente». Trama da romanzo, in un certo senso surreale che ieri sarebbe potuta entrare nelle corde di Fellini. Oggi potrebbe forse intrigare Paolo Sorrentino? «Non ci credo», risponde. «Ogni progetto appartiene alla propria epoca. E poi Fellini stesso fece Prova d’orchestra, film che si poneva un po’ domande analoghe». Morricone non è stanco di girare. Che si tratti di pellicole o teatri.

Il pubblico europeo sta salutando con sold out a ripetizione “The 60 Years of Music Tour”, tournée celebrativa dei 60 anni di carriera che l’1 dicembre lo porterà all’Unipol Arena di Bologna e il 2 al Forum di Assago. «Con il cinema – confida il Maestro – ho praticamente chiuso. Con una importantissima eccezione: Giuseppe Tornatore. Sto scrivendo le musiche dei suoi prossimi due film. Quando me lo chiede Peppuccio è diverso. Ci conosciamo: io so quello che vuole, lui sa come mi piace lavorare. Ci sono i presupposti perché esca un buon risultato». Conoscersi è la parola magica, quando ci si confronta con il Maestro. Persona schiva, operosa, di una modestia rara nell’ambiente e sorprendente se si considera il curriculum. Ti accoglie nella casa all’Eur, dove vive con l’inseparabile moglie e confidente Maria, tra mobili antichi, carta da musica, dischi e foto dei quattro figli. Ti studia come se avesse di fronte una partitura e, appena riesce a interpretarti, non si risparmia. Infilando aneddoti curiosi, descrizioni fulminanti, punti di vista originali.

Sintetizzare 60 anni di carriera in una scaletta di concerto «facile non è stato – precisa - ma neanche troppo difficile. La logica era: alcune cose le devo fare perché me le chiede il pubblico. E qui ci metti le colonne sonore di Leone, il lavoro per Tarantino, l’Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Altre cose le devo fare perché piacciono a me. E qui ci metti i lavori per Tornatore, per esempio, o qualche pezzo più complesso. Una buona scaletta è sempre sintesi tra gusti del pubblico e proposta dell’autore». Che, dal suo punto di vista, fa «un lavoro artigianale. Risponde a un committente che è il regista». In un rapporto a tre variabili: «Ci sono i registi che ti lasciano libero, quelli con cui finisci per scontrarti e quelli con cui riesci ad arrivare a un compromesso». Con Leone, per esempio, «c’erano affiatamento e confidenza. Si sa: eravamo in classe insieme in terza elementare. Ma dovevi sempre convincerlo della tua idea. Aveva l’ossessione della perfezione – continua Morricone - propria dei grandi autori di cinema. In C’era una volta il West, per esempio, perseguitò i rumoristi per la scena dello scontro tra treni, fino a che non riuscì a ottenere l’effetto che voleva. Ogni volta che avevamo una discussione, però, avevo un’alleata preziosa: la moglie Carla. Spiegavo le mie ragioni a lei che, in un modo o nell’altro, lo convinceva». Clint Eastwood rivelò di aver compreso la grandezza di Per un pugno di dollari solo dopo aver ascoltato il 45 giri con il “fischio”. «Leone e io – ricorda Morricone – al contrario non eravamo coscienti del fatto che quell’opera avrebbe lasciato il segno. Ci sembrava un esperimento. Chi pensava che saremmo arrivati fuori dall’Italia? Sergio diceva: “È già tanto se arriviamo a Catanzaro”. Il successo ci travolse. Un pezzo dopo l’altro, poi, lui sul piano cinematografico e io su quello musicale, cominciammo ad acquistare consapevolezza. Del lavoro fatto per Il buono, il brutto e il cattivo, per esempio, eravamo molto soddisfatti. E mica solo noi: una decina di anni fa un sondaggio di Bbc Radio 3 stabilì che quella era la seconda migliore colonna sonora di tutti i tempi, dietro al tema di Star Wars di John Williams».

Il coming out di Kevin Spacey accusato di molestie su minore

Pasolini «era molto gentile ma sempre serio. Abbiamo lavorato a lungo ma ci siamo sempre dati del lei, non saprei dire se alla fine diventammo amici. Era un artista che teneva in grandissima considerazione il lavoro artistico. Poi aveva le sue idee che non sempre coincidevano con le mie. Ti chiedeva di riarrangiare brani della tradizione classica, oppure alternava pezzi tuoi a Mozart. Quell’approccio non l’ho mai condiviso e protestavo. All’inizio mi lasciava libero, alla fine della sua carriera mi sono “arreso” alle sue richieste. E quindi optammo per la dicitura “musiche a cura dell’autore con la collaborazione di Ennio Morricone”». Ce n’è anche per Bernardo Bertolucci («Per quanto mi riguarda, tra i migliori registi italiani di sempre. Ho avuto la fortuna di musicare Novecento che ritengo essere il suo capolavoro») ed Elio Petri con le musiche di Indagine che stregarono Stanley Kubrick: «Mi chiamò per Arancia Meccanica. Eravamo d’accordo anche sul compenso: 15 milioni di lire, poca roba per una produzione di quel livello. Voleva qualcosa di simile a Indagine. Detesto direttive di questo tipo, ma in quel caso avrei ceduto perché era Kubrick. Il progetto sfumò con una telefonata di Leone: gli spiegò che ero ancora impegnato con Giù la testa. E il film lo fece Walter Carlos». Che ricordi ha il Maestro dei gloriosi tempi della Rca Italiana? «All’inizio – risponde - eri molto vincolato nelle soluzioni che potevi proporre. Se però i tuoi dischi vendevano, acquistavi libertà. Negli anni Cinquanta ebbi ottimi riscontri di vendita con la serie su Napoli di Miranda Martino, nel ’64 con un azzardo ritmico su Ogni volta, affidata a Paul Anka, sfornammo il primo 45 giri italiano da 1,5 milioni di copie. A quel punto ti divertivi. Le soluzioni semplici – spiega - erano le più efficaci sul piano commerciale: si pensi a Sapore di sale di Gino Paoli, maestro dei giri armonici. Se per un disco non c’era l’“obbligo” di vendere, io mi divertivo ancora di più. Con Chico Buarque, per esempio, mi sono tolto grandi soddisfazioni». Ha eredi il Maestro? «Non lo so, - risponde – ma stimo i compositori che sanno scrivere la musica. Nicola Piovani, Franco Piersanti, Luis Bacalov e Carlo Crivelli». Morricone si concentra poi su temi di attualità, come l’ipotesi del credito d’imposta per chi iscrive i figli alle scuole di musica: «Ottima idea. Qualcosa di buono si è fatto in questi anni su questo versante, ma occorre fare tanto altro. Penso alla formazione di buoni insegnanti di musica e a una strumentazione all’altezza nelle scuole». Quanto alla gestione del diritto d’autore, «la Siae – secondo il Maestro - è la società degli autori e degli editori e come tale deve restare il soggetto al centro del sistema. Non mi piace l’idea di un mercato italiano aperto a soggetti a scopo di lucro». Il Maestro continua a ricevere proposte per film «e continuo a rifiutarle. Le ultime due chiamate – spiega - sono arrivate dall’America. Ho detto basta al cinema. L’unica eccezione si chiama Tornatore. A lui non so dire di no e le composizioni per i suoi film sono tra le mie migliori cose. Non sempre il pubblico lo ha capito. O forse dovremmo dire: non ancora».
Money, it’s a gas! 
francescoprisco.blog.ilsole24ore.com

 
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“Media russi come Sputnik e RT hanno mostrato al mondo la verità” da sputnik

Post n°14099 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Proteste contro il governo spagnolo a Barcellona

Il governo spagnolo ha accusato la Russia e il Venezuela di sfruttare i social network per fomentare gli animi in Catalogna. Sputnik ha parlato con l'esperto internazionale Basem Tajeldine per discutere la legittimità di queste accuse.

Il ministro della Difesa spagnolo María Dolores de Cospedal ha dichiarato lo scorso 13 novembre che il governo spagnolo è convinto che la "propaganda" della crisi catalana sia stata gestita su internet da persone residenti in Russia e Venezuela, affermando allo stesso tempo di non conoscere il regista di questa campagna.

A sua volta il premier spagnolo Mariano Rajoy ha osservato che il 55% del traffico sul web sospetto proveniva dalla Russia, il 30% dal Venezuela. Tuttavia ha aggiunto di non disporre dati per incolpare il governo russo.

Il politologo venezuelano Basem Tajeldine ritiene che si tratti di una "questione assurda diventata di moda negli Stati Uniti e in Europa."

In un'intervista con l'edizione spagnola di Sputnik (Sputnik Mundo), Tajeldine ha osservato che i democratici americani hanno usato lo stesso argomento per "cercare di giustificare" la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali nel 2016 contro il repubblicano Donald Trump. Dopo l'insediamento di Trump alla Casa Bianca, "cercano disperatamente di sfruttare questo argomento per ottenere l'impeachment del presidente non gradito".

"Dal momento che è estremamente difficile esaminare a fondo la questione, l'hanno sfruttata per giustificare il fallimento della politica interna spagnola (…) In questa situazione la classe politica al potere sta cercando di trovare un capro espiatorio esterno per nascondere i veri motivi di questa crisi," ha commentato Tajeldine.

Un funzionario venezuelano, che ha preferito restare nell'anonimato, ha detto che "proprio gli spagnoli, i loro mezzi di comunicazione e giornalisti, pubblicano notizie false (…) E' un altro episodio della commedia sul Venezuela dei mezzi d'informazione."

In precedenza gli hacker russi erano stati accusati di essere intervenuti nelle elezioni americane del 2016 e nelle presidenziali francesi del 2017.

"E' ridicolo. Anche se queste accuse fossero vere, come si potrebbe influenzare questioni così grandi come le elezioni negli Stati Uniti e in Francia o l'indipendenza catalana?", — si chiede Tajeldine.

Secondo l'analista, la strategia del governo spagnolo è di demonizzare la Russia e il Venezuela per usarli come capri espiatori della crisi interna. Ha spiegato che per l'establishment americano "la Russia è il più grande nemico e Rajoy vuole assecondare questa politica".

Tajeldine ha aggiunto che la stampa spagnola attacca il Venezuela in qualità di alleato del Cremlino, per cercare di dimostrare che a Caracas c'è una "dittatura che interferisce negli affari interni di altri Paesi, quando in realtà la Spagna vuole intervenire negli affari del Venezuela."

Ha sottolineato che "i media russi, come RT e Sputnik, hanno mostrato al mondo la verità".

"(…) L'attuale governo spagnolo è il più screditato rispetto ad un lungo orizzonte temporale. Pertanto incolpare gli hacker russi e venezuelani per i loro insuccessi è assurdo", ha concluso.

 
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Justice League

Post n°14098 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

Dopo la morte di Superman sembra essere piombato il caos. La gente ha paura e perde la testa. Ed è per questo motivo che Bruce Wayne ha deciso di formare un gruppo di eroi, che possano far trionfare la giustizia in qualsiasi momento: la Justice League. DC Extended Universe è finalmente pronto a dare il via al mondo cinematografico degli eroi della DC Comics.
Dopo il complesso e problematico Batman Vs Superman e il poco curato Suicide Squad, Justice League riesce a stabilizzare il genere ma forse è un'occasione mancata, se non desolante pensando alla regia sciatta e un pò troppo ibrida. La durata poi. Una pellicola nata per durare quasi tre ore è stata ridotta di una per ragioni commerciali. Una scelta che non permette di ragionare sui personaggi o sul cattivo (come in suicide squad) e chiaramente ne risente la 
storia che indubbiamente è già tra le più semplici che si possano immaginare

 
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La casa di famiglia

Post n°14097 pubblicato il 18 Novembre 2017 da Ladridicinema
 

La casa di famiglia è un film di genere commedia del 2017, diretto da Augusto Fornari, con Lino Guanciale e Matilde Gioli. Uscita al cinema il 16 novembre 2017. Durata 90 minuti. Distribuito da Vision Distribution.

Poster

Finito sul lastrico, Alex (Lino Guanciale) chiede un prestito alla sorella Fanny(Matilde Gioli) e agli altri due fratelli, i gemelli Oreste (Stefano Fresi) e Giacinto(Libero De Rienzo). Per esaudire la richiesta dell'uomo, i tre fratelli decidono di vendere la casa del padre Sergio (Luigi Diberti), da anni in coma irreversibile. Gli eventi di La casa di famiglia prendono il via dal miracoloso risveglio del capofamiglia, uscito dal coma proprio nel giorno successivo alla firma dal notaio e alla vendita della bella villa di famiglia in campagna dove i quattro fratelli sono cresciuti nell'agio. I medici consigliano di evitare sconvolgimenti e reintrodurre il genitore in un contesto accogliente e familiare. Comincia così per i quattro fratelli la caccia ai vecchi arredi, ai cimeli di famiglia e persino all'amato cane. Inizia anche la recita e la collezione di bugie a fin di bene. Il film, inevitabilemente pieno di sorprese, equivoci, colpi di scena, è diretto da Augusto Fornari e vede tra i suoi protagonisti anche Nicoletta Romanoff nei panni di una badante russa sopra le righe.

  • MUSICHEGianluca Misiti
  • PRODUZIONE: Italian International Film, Vision Distribution

 
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