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Messaggi del 27/08/2014

 

100 Premi Nobel, artisti e intellettuali chiedono un embargo militare ad Israele da bdsitalia

Post n°11671 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema

Sottoscrivi la lettera per un embargo militare ad Israele

Quasi 100 artisti e personalità di tutto il mondo, anche italiani, hanno pubblicato una lettera aperta per esigere che l’ONU e i governi del mondo impongano un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l'apartheid”. [1] 

La lettera porta la firma dei Premi Nobel Desmond Tutu, Mairead Maguire, Jody Williams and Rigoberta Menchú. Tra le firme italiane Ascanio Celestini, il deputato Giulio Marcon e Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento europeo. I firmatari affermano che “[l]a capacità di Israele di lanciare impunemente attacchi così devastanti”, come quelli in corso contro la popolazione palestinese a Gaza, “deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare e dalla compravendita internazionale di armi che Israele intrattiene con governi complici di tutto il mondo”.

L’appello per l’embargo ad Israele viene pubblicato dopo l’invasione di terra a Gaza, colpita duramente dall’aviazione, dalla marina e dalla fanteria israeliane, con 28 morti solo nelle prime ore, tra cui tanti bambini. Mercoledì quattro bambini sono stati uccisi dai missili lanciati da una nave di guerra israeliana mentre giocavano a calcio sulla spiaggia di Gaza City, come testimoniato dalla stampa internazionale presente sulla scena. Al dodicesimo giorno di attacchi da cielo, mare e terra, sono almeno 314 i palestinesi uccisi, l’80% civili secondo l’ONU.[2]

firma

La lettera sottolinea il ruolo dell’Europa nell’armare Israele. Non solo i paesi europei “hanno esportato in Israele miliardi di euro in armi” ma l'Unione europea ha anche “concesso alle imprese militari e alle università israeliane fondi per la ricerca militare del valore di centinaia di milioni di euro” sostenendo così lo sviluppo della tecnologia militare israeliana che viene “commercializzata quale ‘collaudata sul campo’ ed esportata in tutto il mondo”.

L’Italia ha il triste primato in Europa per forniture di armamenti ad Israele. Mentre Israele avviava gli attacchi a Gaza, i primi due dei 30 caccia addestratori M-346 della Alenia Aermacchi, gruppo Finmeccanica, sono stati consegnati all'aeronautica israeliana. [3]

Proprio in questi giorni, la Rete Italiana per il Disarmo ha lanciato un appello che esige che “il governo italiano sospenda immediatamente l’invio di armi e sistemi militari a Israele e si faccia promotore di una simile misura presso l’Unione europea”. [4] La consegna degli M-346 ad Israele, i quali possono essere armati e utilizzati per bombardamenti, è avvenuta il 9 luglio, 24º anniversario della promulgazione della legge 185/90 che vieta le esportazioni di armi a paesi che violano i diritti umani. La Rete Disarmo ricorda che “la Legge 185/90 attribuisce al Ministero degli Esteri la facoltà di decisione sull’esportazioni di armamenti” e chiede al Ministro Federica Mogherini “una decisione veloce e chiara in merito alla fornitura degli M346, che impedisca agli armamenti italiani di rendersi complici in futuro di atti di guerra e di violazione dei diritti umani di popolazioni già duramente colpite da decenni di conflitto.”

Il 9 luglio segnava anche il decimo anniversario della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che ha dichiarato illegali il muro e le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, dove Israele prosegue con uccisioni, raid notturni, arresti indiscriminati e demolizione di case. La sentenza della corte specifica gli obblighi giuridici degli Stati a non riconoscere, aiutare o dare assistenza alle violazioni israeliane del diritto internazionale e dei diritti umani.[5] L’Italia non solo non rispetta i suoi obblighi di fermare le violazioni di Israele, ma fornisce il sostegno materiale per perpetuarle.

BDS Italia richiama il governo italiano alla fedeltà alla Costituzione di questo paese, che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" e alla legge 185 del 1990 che vieta il commercio di armi con paesi che violano i diritti umani o che sono in guerra. Chiede con forza al governo di revocare l'accordo del 2005 di Cooperazione Militare con Israele, di bloccare ogni fornitura di armi ad Israele, ed in particolare degli M346, e di interrompere ogni forma di collaborazione militare con Israele.

Come si spiega nella lettera per l’embargo, i palestinesi hanno bisogno oggi di solidarietà efficace attraverso misure concrete, non di carità o di parole di condanna vuote.

BDS Italia
bdsitalia@gmail.com
bdsitalia.org

Note:

[1] Una versione breve della lettera è stata pubblicata su The Guardian:http://www.theguardian.com/world/2014/jul/18/arms-trade-israel-attack-gaza
Versione completa in italiano: http://bdsitalia.org/index.php/altre-campagne/bds-armamenti/1367-lettera-embargo
Originale in inglese: http://www.bdsmovement.net/2014/nobel-celebrities-call-for-military-embargo-12316
La lettera può essere sottoscritta al link: http://www.bdsmovement.net/StopArmingIsrael

[2] http://www.ochaopt.org/documents/humanitarian_Snapshot_18July2014_oPt_V1.pdf

http://nena-news.it/e-strage-di-civili-palestinesi-colpite-intere-famiglie/

http://nena-news.it/gaza-diretta-ieri-israele-ha-iniziato-loffensiva-via-terra-undicesimo-giorno-di-combattimenti/

http://nena-news.it/gaza-alle-9-italiane-tregua-umanitaria-intanto-israele-uccide-tre-palestinesi/

[3] http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/2014/07/caccia-made-in-italy-per-i-raid.html

[4] http://www.disarmo.org/rete/a/40373.html

 

[5] http://bdsitalia.org/index.php/comunicati-sul-bds/1351-cs-esperti-diritto

 
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Al Film Festival di Sarajevo, Ken Loach chiede il boicottaggio di Israele

Post n°11670 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema
 

Il regista britannico Ken Loach ha chiesto il “boicottaggio di tutti gli eventi culturali supportati dallo Stato israeliano” ad una cerimonia di premiazione in omaggio a due registi palestinesi.

Al Film Festival di Sarajevo (15-23 Agosto), il regista di Kes e di The Wind That Shakes The Barley ha tenuto ieri sera un discorso pieno di passione, in cui ha consegnato il Premio Fondazione Katrin Cartlidge ai registi palestinesi Abdel Salam Shehadeh e Ashraf Mashharawi.

Loach ha definito i due come “probabilmente i due più grandi registi di oggi al mondo, poichè girano i loro film a Gaza.”

Andando a ripescare i ricordi dell’assedio di quattro anni di Sarajevo (1992-1996), Loach ha detto: "So che la gente qui saprà della lotta e del coraggio che si ha bisogno hai bisogno quando si è sotto assedio, e che sente il dolore del popolo di Gaza, come nessun altro. Queste due persone non solo sono sopravvissuti, ma stanno facendo film straordinari.”

Loach ha continuato ad esprimere "enorme frustrazione e rabbia" per il conflitto in corso a Gaza e ha detto: “Il mio paese, per sua grande vergogna, segue il bullo che sono gli Stati Uniti. Ma noi non siamo impotenti. Siamo in grado di agire insieme.”

E’ stato a questo punto che Loach ha suggerito un “boicottaggio assoluto di tutti gli avvenimenti culturali sostenuti dallo Stato di Israele.”

"Riguardo ai film, alla musica, ai contatti accademici. Israele deve diventare uno Stato paria,” ha aggiunto.

"Per andare dal sublime al ridicolo: Israele non dovrebbe essere all’Eurovision Song Contest.”

 “E nessuna squadra di calcio israeliana dovrebbe giocare nelle competizioni europee. Non sono sicuro di quando Israele è diventato parte dell’Europa, la mia conoscenza in geografia non è così buona.”

Prima della consegna del Premio, che mira a dare a nuove voci e nuove prospettive cinematografiche la possibilità di essere viste ed ascoltate, Loah ha aggiunto: “Questi due registi raccontano storie che abbiamo bisogno di sapere.”

Mashharawi, regista palestinese che vivo da rifugiato a Gaza, e che vinse alcuni premi per la sua documentazione dell’attacco israeliana contro Gaza nel 2008-2009, ha detto: “Porto questo Heart of Sarajevo [Cuore di Sarajevo, premio del festival, ndt] alla gente di Gaza perchè so che è il cuore della gente che ha vissuto la stessa esperienza che noi stiamo vivendo adesso.”

“Sono qui come voce dei bambini che sono stati uccisi.”

I film Mashharawi riguardano principalmente storie di Gaza e della Palestina, ma ha anche fatto film riguardanti tematiche al di fuori della regione, inclusi Slavery in Yemen [Schiavitù nello Yemen, ndt] e The Road to Tawerghaa (Libia) [La strada per Tawarghaa, ndt], che hanno vinto il Primo Premio al One World Festival per i diritti umani a Bruxelles.

 

Anche il suo collega Abdel Salam Shehadeh, vincitore del premio, vive a Gaza ed ha diretto più di 15 documentari, come The Cane, Debris, Rainbow e The Shadow, che sono tutti stati proiettati a film festival internazionali.

 
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Giornalisti della Crimea arrestati per le foto ai prigionieri ucraini sfilati a Donetsk da http://italian.ruvr.ru/

Post n°11669 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema
 

Evgeniya Koroleva e Maxim Vasilenko

Evgeniya Koroleva e Maxim Vasilenko

I collaboratori della rivista Crimea Telegraph sono stati arrestati da uomini di Pravy Sektor in Ucraina per le foto scattate sulla marcia dei prigionieri a Donetsk nel Giorno dell'Indipendenza. Lo riporta l'agenzia RIA Novosti.

Dopo il fermo, i giornalisti sono stati portati in una località sconosciuta. Nel campo del movimento ultranazionalista ucraino li hanno coperto il volto con una busta. I giornalisti hanno raccontato che le prime 12 ore le hanno trascorso in un seminterrato con altri prigionieri: 10 uomini e 1 donna.

La corrispondente del Crimea Telegraph Evgeniya Koroleva e il fotografo freelance di Rossiya Segodnya e France Presse Maxim Vasilenko sono stati liberati la sera del 26 agosto. Oggi sono tornati al sicuro a casa.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_08_27/Giornalisti-della-Crimea-arrestati-per-le-foto-ai-prigionieri-ucraini-sfilati-a-Donetsk-2384/

 
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George RR Martin: «I personaggi, alla fine, si incontreranno. Il che mi darà molta più flessibilità nell’uccidere persone»

Post n°11668 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema
 

da bestmovie

Nuovi aggiornamentisugli ultimi romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, saga che ha ispirato la serie tv de Il trono di spade

Gianmaria Tammaro -25/08/2014
George RR Martin: «I personaggi, alla fine, si incontreranno. Il che mi darà molta più flessibilità nell’uccidere persone»

George RR Martin e la solita, trita e ritrita storia del “uccidere i personaggi preferiti della gente? Niente di più facile”. Lo scrittore è a lavoro sugli ultimi libri de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, saga letteraria dalla quale è stata tratta la serie tv Il Trono di Spade (e su cui lo stesso Martin, quest’anno, non lavorerà proprio a causa dei suoi impegni come romanziere). E come ha ammesso in una recente intervista a BuzzFeed, riportata anche da Variety, stiamo arrivando ad un punto in cui i punti di vista e gli stessi personaggi finiranno per incontrarsi.

«Il che», ha detto Martin «mi darà molta più flessibilità nell’uccidere  persone». E questo significa solo una cosa: i protagonisti della saga, i personaggi più amati dal grande pubblico, sono in pericolo. Perché è attraverso loro che Martin, nel corso dei libri, ha raccontato la storia. E se si dovrà arrivare ad uno scontro diretto, sarà – inutile girarci attorno – tra di loro.

 
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Kim Ki-Duk: "Sullo schermo la violenza del potere e del capitalismo" da cinecittà news

Post n°11667 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema
 

Michela Greco27/08/2014
"Quando è stato in Corea il Papa si è espresso tra l'altro sul grande divario tra ricchi e poveri e ha parlato della supremazia del denaro, a cui dobbiamo ribellarci"

 

VENEZIA – "Le sette ombre sono sette maschere che rappresentano diverse forme di violenza che il sistema esercita sulle persone. Con One on One invito i sud-coreani a chiedersi chi siano, quale sia il loro posto in società e se sia necessario reagire". Il ventesimo e – finora - ultimo film di Kim Ki-Duk, che ha aperto oggi le Giornate degli Autori indossando una maglietta che invoca verità sulla tragedia del traghetto Sewol, è l'opera più esplicitamente politica del cineasta coreano, che l'anno scorso portò al Lido Moebius, film per molti versi estremo sulla violenza interna alla famiglia. ConOne on One il regista cambia passo e impregna - di nuovo - i suoi fotogrammi di corpi martoriati e scene di sesso per puntare il dito contro la corruzione e i mali del suo Paese raccontando la storia di una liceale (simbolo della democrazia) che viene uccisa da sette assassini, che poi a loro volta saranno cercati e torturati da altrettante "Ombre": sei uomini e una donna in passato vittime di ingiustizie che ora compiono la loro vendetta mascherati con uniformi. In una infinita e insopportabile spirale di violenza, dalla struttura ciclica e ripetitiva, che trasforma le vittime in carnefici e viceversa, denunciando attraverso massicce dosi di brutalità i maltrattamenti domestici verso le donne e gli abusi di potere, la disoccupazione e il malaffare. Ma senza rinunciare al gusto per l'ironia caro a Kim Ki-Duk, che fa dire a uno dei personaggi "Il nostro è un paese di merda, ma certo non quanto la Corea del Nord". 

Questo film è più esplicitamente politico dei suoi precedenti. Perché ha sentito l'esigenza di questa denuncia? 
Perché sono scioccato ogni giorno dal vivere in Corea, un Paese in cui la corruzione è considerata un'abilità. Volevo descrivere alcuni problemi della società e capire attraverso il film se viviamo in una società che considera preziose le persone che la compongono, e le tratta con rispetto e amore, oppure se siamo legati da rapporti di natura diversa. Tutti stanno dicendo che One on One è completamente diverso dai film che ho fatto finora, ma è vero solo in parte. I temi, l'ambientazione e la struttura narrativa sono diversi, ma c'è una domanda fondamentale alla base di tutto – chi siamo? - che lo pone in continuità con tutto il mio cinema. 

È anche un film molto più parlato rispetto a quanto ci ha abituato. E' un modo per andare incontro al pubblico?
Ho fatto film senza dialoghi, come Ferro 3 e Moebius ma, ad esempio, ci sono molte parole in Pietà. Dipende semplicemente dalla natura del film e dai suoi contenuti. 

One on One è stato girato in soli 10 giorni, perché?
Perché è un film a basso budget che ha portato con sé tempi veloci di realizzazione. Dietro la macchina da presa mi sono mosso molto velocemente con gli attori per girare più scene possibili e avere molto materiale a disposizione al montaggio, ma prima dell'inizio delle riprese ho fatto tre letture con tutti gli attori, che sono arrivati sul set preparati per questo lavoro così rapido. 

Nel film ci sono solo due donne: quella che viene uccisa all'inizio e una delle Ombre. Perché? 

Tradizionalmente la presenza delle donne nella società coreana è sempre stata molto limitata, le donne sono state grandi vittime della società del mio Paese e hanno sempre avuto molto poco peso, le loro voci non sono state quasi mai ascoltate. Probabilmente mi sono trovato a esprimere questo inconsapevolmente. 

La riflessione morale e filosofica sulle vittime che diventano carnefici e viceversa lascia pensare a una dimensione politica che travalica i confini della Corea ed è anche molto attuale, con il Papa che ha appena detto che siamo nel pieno di una Terza Guerra Mondiale a pezzi...

Quando è stato in Corea il Papa si è espresso tra l'altro sul grande divario tra ricchi e poveri, con i primi che diventano sempre più ricchi e i secondi sempre più numerosi e sempre più poveri. Ha parlato della guerra economica in atto e della supremazia del denaro, a cui dobbiamo ribellarci. One on One è stato interpretato, giustamente, come un film politico, ma ha come scopo anche la critica del sistema capitalistico che mette il denaro davanti a tutto e diventa l'unico elemento che regola i rapporti tra gli esseri umani. Bisogna ritrovare la centralità dell'essere umano nella nostra vita, tra le persone e le nazioni.

 
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Keaton, Iñárritu e l’Ego-movie

Post n°11666 pubblicato il 27 Agosto 2014 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino27/08/2014
VENEZIA – Convince un po’ tutti il film d’apertura di Venezia 71, il Birdman - The Unexpected Virtue of Ignorance diAlejandro González Iñárritu con protagonista Michael Keaton – oltre ad altri nomi noti, tra cui Edward Norton e Emma Stone – che si presenta come una raffinata, metacinematografica e stratificata riflessione sull’Ego, quello individuale e quello dell’industria cinematografica, abbracciando vari generi e soprattutto vari linguaggi. Il protagonista Riggan Thomson (Keaton) è a sua volta un attore conosciuto per aver interpretato un famoso supereroe – il Birdman del titolo, ma è chiaro il riferimento al Batmanincarnato da Keaton negli anni ’90 per la regia di Tim Burton – che lotta per portare in scena uno spettacolo teatrale a Broadway, conciliando al contempo i problemi con la sua famiglia, la sua carriera e sé stesso. Birdman gli appare come personificazione delle sue angosce interiori, e gli parla con toni a volte concilianti, a volte aggressivi e inquietanti. A tratti lo istiga ad autodistruggersi, a tratti lo scuote permettendogli di dare il meglio. Non si può evitare di pensare anche alla recente scomparsa di Robin Williams. “Una morte – dice l’attore – che ha colpito molto gli Usa, in quanto arrivata inaspettatamente. Ognuno di noi sente il peso del suo lavoro in maniera diversa, ma il lavoro è lavoro, serve per guadagnarsi da vivere ma è triste pensare che possa influire in maniera così negativa sulla propria esistenza. Riggan lo vive come un’ossessione e questo gli fa cambiare la sua prospettiva”. 

Per il messicano Iñárritu si tratta certamente di temi insoliti: “Dopo tanti film puramente drammatici e piccanti come un piatto di chili – dice il regista – avevo bisogno di un dessert. D’altro canto se non tenti di fare qualcosa di nuovo, che ti spaventi un po’, non vai avanti. Certamente è un film sull’ego, tutti battagliamo con il nostro Birdman interiore, ma alla fine abbiamo bisogno di affetto, non di ammirazione. Non è un problema dei soli attori, l’ego può distruggere qualunque persona che, se facilmente esposta al pubblico, non sia in grado di controllarlo. Riggan è convinto di avere poteri telecinetici, è un simbolo che sta a significare l’illusione di poter fare più di quello che si è effettivamente in grado di fare”. 

C’è sicuramente, dietro alla pellicola, una certa conoscenza del mondo dei fumetti e dei film di supereroi. Negli anni ’90 Burton poteva fare un blockbuster su Batman ed uscire comunque come un autore. Oggi è molto più difficile, ci sono i Marvel Studios e tutto è appiattito nel calderone della continuità narrativa e stilistica tra un film e l’altro. Il Thor dello shakespeariano Kenneth Branagh non differisce troppo dall’Iron Man di Shane Black, autore di commedie e ‘buddy-movies’. “Si tende a pensare che il cinema d’autore sia quello buono e quello commerciale cattivo – dichiara Iñárritu  - ma non è vero, ci sono buoni e pessimi esponenti di cinema in ogni genere. Il vero problema è che il cinema buono non arriva al pubblico di massa, che è stato esposto a una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e carboidrati, che gli ha fatto perdere sensibilità. I festival in questo senso rappresentano un po’ l’ultima spiaggia”. “Burton è stato un pioniere – continua Keaton a tal proposito – in grado veramente di cambiare le regole del sistema. E’ stato il primo a riferirsi ai fumetti di Frank Miller con una visione rivoluzionaria anche grazie alle idee dei produttori. Pensiamo al costume che costruirono per Batman e a quante volte è stato frammentato e ricostruito per i film di super-eroi successivi, come una striscia di cocaina. Sono orgoglioso di averne fatto parte, ma non direi che Batman mi segue come Birdman. Bisogna tenere a bada il proprio ego. Diciamo che io guido la macchina e lui è seduto al posto del passeggero”. “Ho scelto Keaton – spiega Iñárritu  – non tanto per i suoi trascorsi sotto il costume del Cavaliere Oscuro, ma perché avevo bisogno di un attore in grado di spaziare su più registi, dal comico al drammatico. Nessuno ha la sua sicurezza in questo senso”. “Non che io sia mai stato un fan dei supereroi – fa eco ancora l’attore – da ragazzo ero più attratto da storie realistiche, sulla Seconda Guerra Mondiale, sui Cowboy, oppure gialli e crime-stories. Tutto ciò che è poco realistico non mi attrae, perché non riesco a crederci e quindi non mi pare emozionante”. 

Altri temi del film. La facile esposizione fornita dai social network: “Non li uso – dice Iñárritu  - non ho tempo di farlo e non voglio una nuova dipendenza, alla mia età. Non che io voglia essere critico. Osservo quello che accade e temo che ci sia il pericolo di una distorsione sostanziale della realtà e della verità, con progressiva diminuzione di tempi e spazi per la riflessione e la comunicazione". Il rapporto tra cinema e teatro: “il conflitto va avanti da sempre – prosegue il regista – gli attori di teatro solitamente sviluppano maggiori capacità istrioniche a scapito di una minore popolarità, e vice versa”. “Per me non c’è grande differenza – dice Keaton che ha adattato il suo stile rendendolo particolarmente operatico – è solo lavoro e non distinguo tra cinema e teatro, ma non mi era mai capitato di fare un film così. Era molto teatrale anche Beetlejuice, volendo, ma non posso dire di avere una preferenza”. Una stilettata se la prendono anche i critici, rappresentati dall’arido e spietato personaggio di Lindsay Duncan. “In realtà – conclude Keaton – le critiche non le leggo. Principalmente per pigrizia”.

 
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