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Messaggi del 05/09/2014

 

A Venezia la meditazione di Ferrara su Pasolini da la stampa

Post n°11698 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Willem Dafoe dà il volto al poeta. Nel cast anche Ninetto Davoli, Scamarcio e Mastandrea

Più fiction che ricostruzione storica, è approdato a Lido l’atteso film di Abel Ferrara «Pasolini», ovvero il racconto delle ultime 48 ore del poeta, scrittore e regista prima che fosse ucciso il 2 novembre 1975, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Il volto di Pasolini è quello di Willem Dafoe. 

 

La pellicola è un omaggio deferente a Pasolini da parte di un ex maledetto redento come Ferrara (ora beve solo acqua) perché, come dice lui stesso. «io sono cresciuto guardando i film di Pasolini e lui è cresciuto senza guardare i miei film. Io sono un buddista che tende a meditare sui propri maestri. Ho sentito molto il suo lavoro e mi sono permesso di avvicinarmi a lui». Nel film, ovviamente, non manca la tragedia finale con tanto di adescamento di Pino Pelosi e massacro poi al Lido di Ostia nella doppia versione: ucciso dal solo Pelosi e ucciso da un gruppo di balordi, forse pilotati da chissà chi. 

 

Riguardo al suo rapporto con Pasolini scrittore, il regista del Cattivo tenente sottolinea: «Ho letto moltissimo i suoi libri e studiato le sue teorie, ma quando incontri le persone che lo hanno conosciuto e hanno lavorato con lui, è tutto diverso. Più bello. Capisci quanto era amato e come era gentile anche con i più umili. Sul set poi - conclude Ferrara - era tutto quello che io avrei voluto essere». 

Sulla mancata presa di posizione rispetto alla fine di Pasolini all’Idroscalo, Ferrara è molto chiaro: «Quello che davvero è successo quella notte non mi interessa affatto. Pasolini è morto. E questo è tutto. E poi - ribadisce - che significa quello che è successo è del tutto normale. Potrebbe capitare domani stesso a un uomo che gira in una bella auto a New York e rimorchia un giovane dominicano di Brooklyn». 

 

«Pasolini - dice Dafoe - ho cominciato a conoscerlo a venti anni. Poi la mia conoscenza è aumentata quando ho cominciato a vivere in Italia e ho creato un rapporto diverso con lui. Non si è trattato di una ricostruzione, ma ho cercato di incarnare lui come era». Scamarcio, invece, che fa solo un piccolo cameo, dice: «Quando mi chiama Abel sono sempre pronto e poi vederlo girare ti fa immaginare che Pasolini facesse lo stesso». Da Ninetto Davoli, attore feticcio di Pasolini e incarnazione del suo ideale di uomo spontaneo, la frase più bella dell’incontro stampa. Rispondendo a una domanda di un giornalista sottolinea in perfetto dialetto romano: «Certo non abbastano 48 ore per raccontare Pasolini». 

 

Nel cast anche Maria De Medeiros (Laura Betti), Valerio Mastandrea (Nico Naldini) e Roberto Zibbetti (Carlo). Bella la fotografia di Stefano Falive e il montaggio di Fabio Nunziata. 

 
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Venezia, “Arance e martello”: la commedia sul legame tra la “ggente” e la sinistra da il fatto quotidiano

Post n°11697 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Presentato fuori concorso il film di esordio di Zoro, all'anagrafe Diego Bianchi, che per descrivere come sono cambiati i rapporti tra la Roma popolare e il Pd è partito dal racconto della chiusura del mercato rionale. "E' una perfetta cartina di tornasole per raccontare l’Italia e i nuovi italiani. La crisi della politica vista dal basso, nei rapporti tra le persone, nei suoi effetti minuti”
Venezia, “Arance e martello”: la commedia sul legame tra la “ggente” e la sinistra

Gramsci, Togliatti, Berlinguer e Totti. Sono le icone della sezione Pd vicina al mercato di via Orvieto a Roma che Zoro, all’anagrafe Diego Bianchi, usa nel suo film d’esordio, la commedia “Arance e martello” – evento fuori concorso alla Settimana della critica di Venezia 71 – per raccontare la cosiddetta “ggente”, il mondo reale che si rapporta alla politica e alla fine ne esce, come sempre, fregata. Il pretesto per scatenare una mattina (e un pomeriggio) di un giorno da cani nell’afosa estate del 2011 è l’improvvisa chiusura, voluta dal Comune, del mercato rionale di quest’angolo di Roma.

Per i piccoli commercianti, sia italiani che stranieri, sconvolti e inviperiti dalla notizia, l’unica realtà politica a cui rivolgersi è proprio quella sezione Pd in fondo alla strada oramai da anni separata dal mercato da un muro di cemento eretto per permettere i lavori della metropolitana. Solo che per la segretaria di sezione e suo marito, i suoi figli e qualche arzillo vecchietto ex “compagno”, la masnada arrabbiata di pescivendoli e salumieri che suona al portone non è altro che composta da fascisti. Scatta così il voto per stabilire se condividere o meno la chiusura del mercato con un risultato che non è “né un sì né un no”, infine l’occupazione della sezione da parte dei commercianti in un’escalation paradossale tra ironiche frasi a bruciapelo sulla storia politica del Pci-Pds-Ds-Pd, un’inattesa solidarietà tra popolani del mercato e della sezione, sindaco e polizia che caricano gli occupanti citando Pasolini come fossero al G8.

“Il microcosmo sociale di quel mercato l’ho vissuto e osservato tutti i giorni da quando sono nato”, spiega alla stampa Zoro, che nel film si ritaglia la parte di un videomaker che vuole girare un documentario sul mercato e si ritrova a riprendere tutta la giornata di “scontri”, “è una perfetta cartina di tornasole per raccontare l’Italia e i nuovi italiani. La crisi della politicavista dal basso, nei rapporti tra le persone, nei suoi effetti minuti”.

Il richiamo narrativo, dei dettagli di scena, alcune volte persino dei movimenti di macchina e dei parametri scelti per l’inquadratura, si rifanno in modo evidente a “Fa la cosa giusta” di Spike Lee: ma se là il conflitto sociale si sviluppava attorno ad una complicata integrazione razziale, qui nella Roma d’inizio millennio si piange attorno alle ceneri della militanza di sinistra, alla frattura tra potenti e persone comuni, oltre alla solita distanza post ’89 tra i partiti di sinistra e i problemi della “ggente”: “Non sono più militante da tempo, ma la mia militanza politica a sinistra non l’ho mai celata, per certi versi è stata per tanto tempo un vanto che mi inorgogliva”, racconta Zoro, “mentre adesso è un impegno non più invidiato perché poco cool, poco di tendenza”.

Così se le sezioni continuano a vivere e ad essere cuore pulsante del dibattito politico (“mi sono formato lì, rimangono comunque una palestra nonostante il totem del web che non ha risolto nulla”) ecco sbucare l’anomalia Renzi/Pd: “Renzi è un completamento del partito diverso dalla sua storia del ‘900. E poi il grande abbraccio tra lui e Berlusconi è un pippone gigante che non ha dato risultato concreti nella vita delle persone, in quelle dei veri commercianti del mercato rionale del film, sul tema della scuola, dei servizi, ecc… Certo con tutti questi slogan, dai gelati alle armi ai curdi, ai countdown per i 100 giorni di governo, è impossibile starci dietro”.

Ottocentomila euro di budget, 50 copie distribuite in sala dal 5 settembre per “Arance e Martello”, ora per l’autore tv e blogger Diego Bianchi è tempo di nuovi incarichi professionali: “Se il Pd mi chiedesse di candidarmi direi di no. Ho consapevolezza dei miei limiti, mi mancherebbero le competenze”.

Post scriptum: il destino del vero mercato rionale, a cui si rifà il film è ancora sospeso: “Però il pesciarolo si è rifatto il bancone. Probabile che nel suo lavoro intraveda un futuro”.

 
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Andrei Konchalovsky, ecologista e reazionario da cinecittà news

Post n°11696 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò05/09/2014
VENEZIA – A ventiquattr’ore dalla premiazione arrivaAndrei Konchalovsky con The Postman's White Nights e punta dritto al Leone. Girato nel Nord della Russia, nella regione di Arcangelo, in un paio di villaggi sperduti che si trovano sul territorio del Parco Nazionale del Lago Kenozero, il film racconta la vita di una piccola comunità che vive isolata dal mondo esterno, se non fosse per la presenza di un postino (Aleksey Tryapitsyn), unico tramite con la città e la civiltà contemporanea. Oltre alla corrispondenza (sempre meno nell’epoca di internet), l’uomo consegna a domicilio anche il pane o altri generi di prima necessità navigando sulle acque del lago con un piccolo motoscafo. Una natura incontaminata e fuori dal tempo a cui fa da sfondo un mondo addirittura opposto, quello di una base missilistica a pochi chilometri di distanza. Nel film accadono ben poche cose: è l'osservazione degli uomini e la contemplazione della natura a interessare l’autore. Le giornate del postino – tale anche nella vita reale, tutti gli interpreti sono non professionisti - si susseguono infatti abbastanza simili l’una all’altra, sotto lo sguardo di una tv accesa, finché qualcuno non ruba il motore del fuoribordo costringendolo ad andare in città accompagnato dal figlio di una vicina di casa, un ragazzino di 7/8 anni a cui l’uomo è molto affezionato, anche perché innamorato, senza essere corrisposto, della mamma. 

Tra una bevuta di vodka e partita a carte la vita va avanti in questa comunità a suo modo coesa e pronta ad accettare tutti gli esseri umani in quanto tali, compresi balordi e ubriaconi. In queste notti bianche – siamo nel periodo dell’anno di massima luce – si riflette anche una certa nostalgia dei tempi mitici della grande letteratura russa che fa capolino dietro alla ripresa quasi etnografica dei comportamenti umani. "L'idea iniziale – rivela il regista - era quella di girare un film che non partisse da una sceneggiatura, ma che potessi scrivere durante le riprese". E ancora: “Sono partito dal personaggio principale e ho cercato la veridicità anche attraverso l’uso di una tecnologia leggera e non invadente, piccole videocamere digitali e un i-Phone. In passato i documentari venivano realizzati usando tecniche invasive che intimidivano le persone. Oggi abbiamo la possibilità di riprendere rimanendo invisibili e mettendo i soggetti a loro agio". 

La tecnologia è una grande opportunità, specie per i giovani, secondo l’autore di Maria’s Lovers e The Inner Circle, per continuare a realizzare film artistici a basso costo: "L'interesse commerciale uccide l'artista. So che il cinema oggi è soprattutto mercificazione, ma bisogna rendersi conto che la tecnologia ci permette di lavorare spendendo poco o nulla. È un po' quello che accade con la letteratura. Per scrivere un buon romanzo non hai bisogno di un pc, bastano carta e penna". 

Dopo aver lavorato a lungo in America, all'inizio degli anni '90 Konchalovsky è tornato in Russia: “Ero stanco di discutere con i produttori su come fare i miei film. Da Hollywood ho imparato tanto finché si facevano opere destinate a un pubblico adulto, ma da troppi anni ormai, da dopo Star Wars, laggiù si rivolgono solo ai ragazzini. Non è una cosa che mi interessa. Voglio fare film reali. D'altra parte l'arte è una menzogna che ti aiuta a capire la verità della vita".

Il film si è aggiudicato, a buon diritto, il Green Drop Award 2014, il premio che viene assegnato al film che meglio interpreta la sostenibilità tra quelli in concorso. La giuria, presieduta da Silvia Scola e composta da Blasco Giurato e Chiara Tonelli, lo ha premiato in quanto "opera di profonda riflessione sui rapporti fra uomo e uomo e fra uomo e natura, il cui futuro è nelle nostre mani se solo vorremo assumercene la responsabilità".

Infine una bordata politica del "reazionario" Konchalovsky (si definisce così lui stesso) a proposito della questione ucraina: "Non so se sono favorevole oppure no all'intervento e credo sia ridicolo rispondere. Chi può farlo? C'è forse qualcuno di noi che sa veramente per che cosa ci stiamo scontrando, che cosa c'è in ballo? Quali interessi economici ci sono dietro?".   

E allargando il discorso, aggiunge: "Non è facile per nessuno capire quale sarà il futuro del mondo. È sempre stato così. Qualcuno poteva prevedere l'avvento di Hitler o di Mussolini o di Stalin nel XX secolo? Non sappiamo immaginare il futuro. Per gli europei, in particolare, è difficile cogliere il nuovo paradigma mondiale".     

"L'Ucraina è un pericolo per la Russia, ma l'eurocentrismo impedisce di vederlo come tale. L'illusione nella mente degli europei è che la democrazia sia qualcosa di positivo comunque. Non vedono i suoi effetti nei paesi poveri, in Sud Africa, Iraq, Libia, Egitto, Tunisia, dove le elezioni hanno portato al potere dei dittatori. Vengo considerato un reazionario ma la cosa non mi sconvolge. La verità arriva sempre all'umanità in tre fasi. Prima viene ridicolizzata, poi ci si oppone a essa con forza, infine viene accettata come una cosa banale. Oggi ci troviamo nella fase due, in cui si è ferocemente contrari all'idea che la democrazia possa portare alla dittatura. Ma staremo vedere. C'è dappertutto un grande cambiamento. Si stanno sviluppando tensioni crescenti tra mondo arabo e cristiano che potrebbero esplodere e portare a un conflitto. Inoltre si parla sempre di rispetto dei diritti umani ma si dimentica che il diritto primario dell'essere umano è l'acqua potabile. Ecco, l'acqua sarà la ragione che scatenerà le future guerre". 

 
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Willem Dafoe: "Questo Pasolini non è un giallo"

Post n°11695 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò04/09/2014
VENEZIA – Chi si aspettava rivelazioni sull’omicidio di Pasolini è rimasto deluso. Il film di Abel Ferrara non entra nel merito, anzi torna persino indietro rispetto alla ricostruzione di Marco Tullio Giordana, e non ha neppure il respiro largo di una biografia. Più semplicemente racconta le ultime 24 ore del poeta di Casarsa, attraverso i gesti quotidiani e alcuni momenti pubblici (in particolare due interviste: una con un giornalista francese su Salò e l’altra con Furio Colombo sulla politica e la società). Ritratto di un uomo dolce e gentile, di un intellettuale ribelle, di un libero pensatore scomodo e di un omosessuale ossessionato dall'eros, Pasolini ha molte facce, e non poteva essere diversamente data la ricchezza inesauribile del personaggio, ma lascia la sensazione che al regista newyorchese stesse soprattutto a cuore l’immedesimazione da artista fotografato nel momento in cui l’immaginazione non è ancora imbrigliata da schemi troppo rigidi: nella stesura del romanzo Petrolio e della sceneggiatura di Porno-Teo-Kolossal, due progetti che entrambi danno vita a dei piccoli film nel film, a tratti ingenui. 

Sono opere che rimasero incompiute per colpa di quella “maledetta notte”, come la chiama Ninetto Davoli, la notte in cui all’Idroscalo fu ammazzato a botte da Pino Pelosi e da una banda di balordi che potrebbero essere “portoricani di New York”. Ferrara preferisce infatti non dare spazio alle ipotesi del complotto politico, un complotto che ragionevolmente potrebbe aver “armato” la mano dei teppisti per mettere a tacere quella voce lucida e inflessibile. “Questa non è un'inchiesta giudiziaria, bensì letteraria - dice lo sceneggiatoreMaurizio Braucci - e accoglie l'esito del primo processo del '76, basato sul lavoro di Faustino Durante: un buon processo, con il verdetto di 'omicidio in concorso con ignoti'''. "Non è un giallo", aggiunge il protagonista Willem Dafoe, mentre Ferrara taglia corto: “Non ho mai detto di sapere cosa c'è dietro omicidio di Pier Paolo Pasolini, sono stato frainteso dai giornalisti. Lo scopo del film non è parlare di questo, ma del suo lavoro, della sua poesia, della sua passione e della sua compassione. Nella sua morte si riflette la sua vita. Certo che era scomodo, quasi ogni giorno finiva in tribunale, ebbe moltissime denunce”. Davoli, che nel ruolo di Epifanio recita le battute scritte per Eduardo in Porno-Teo-Kolossal, in coppia con Riccardo Scamarcio (che a sua volta fa il giovane Ninetto), è straripante in conferenza stampa. Tanto quanto Ferrara sembra poco propenso a spiegare il suo lavoro ai giornalisti. “Pier Paolo – dice Ninetto - è sempre stato nel mirino dei critici e anche della giustizia, ha avuto 32 o 33 denunce, persino per aver parcheggiato male la macchina. Ma lui non se ne curava, non si è mai fermato di fronte a nessun ostacolo, ha sempre seguito le sue idee. Diceva la verità e la gente restava sconvolta, ‘intirizzita’. Non è vero che sia andato a ‘cercarsi’ in qualche modo la morte o che l’abbia presagita. Era un uomo allegro, gli piaceva la vita. Io e mia moglie lo incontrammo la sera del 2 novembre, a cena da Pommidoro, parlammo di un nuovo progetto mio che doveva leggere. Aveva tante altre cose da raccontare che non ha fatto in tempo a realizzare... Noi tutti, dopo la sua morte, siamo stati catturati dal sistema consumistico, che ha portato l’Italia a diventare com'è ora. Pier Paolo è rimasto vittima del mondo che descriveva, un mondo violento, assurdo, in cui le persone hanno perso il valore vero della vita. Ma se non moriva avrebbe continuato a fare i suoi film, anche ora, fregandosene del politically correct”. 

Pasolini si basa molto sulle conversazioni tra Davoli (che ha messo addirittura a disposizione alcuni abiti del poeta) e Ferrara oltre che su tante testimonianze di amici e parenti. Tra questi i cugini Graziella Chiarcossi (interpretata da Giada Colagrande) e Nico Naldini (Valerio Mastandrea). Tutto ha contribuito ad aiutare Willem Dafoe nella costruzione, impressionante per mimetismo, di una figura iconica che rivive nello sguardo e nella postura dell’attore americano, già complice di Ferrara in vari film tra cui Go go tales. ”Abel ed io abbiamo molto parlato di questo film, lui riesce a trasformarti in un suo collaboratore. Quanto a me ho cercato di abitare i pensieri di Pier Paolo, più che interpretare un ruolo. Ho dialogato con le cose che voleva fare - cose molto potenti – e ho trovato un rapporto personale e privato con questi suoi progetti”. 

Qualche punto in comune tra Pasolini e Ferrara? "No, io sono cresciuto guardando i suoi film, lui no. Da buddista quale sono, medito sul mio maestro". E ancora: “Pasolini mi permette di riflettere su cosa vuol dire scandalizzare. Cresciuto col fascismo e omosessuale, non aveva paura di nulla. Aveva la forza delle sue convinzioni esattamente come i miei nonni”. 

Suscita molte perplessità l’uso della lingua. Nella versione vista a Venezia in concorso si parla prevalentemente in inglese, ma alcune frasi, anche di Dafoe, sono recitate in italiano e in romano parlano i ragazzi di vita (nella versione per le sale Fabrizio Gifuni darà voce a Pasolini e Chiara Caselli alla Laura Betti interpretata da Maria De Medeiros). Per Braucci “La lingua nel film è sperimentazione. Siamo stati molto fedeli agli scritti di Pier Paolo, abbiamo usato le ultime sue due interviste cercando le migliori traduzioni in inglese esistenti, ovviamente nella versione doppiata torneremo ai testi originali”. Aggiunge il regista: "Come Willem, sono americano, e io nemmeno parlo italiano anche se vivo a Roma: le cose che dice le avremmo potute esprimere solo nella nostra lingua, mentre il romanesco dei ragazzi di vita è una scelta artistica e creativa. Non solo, la Roma violenta del 1975, per me potrebbe essere New York ieri notte, con un ricco e famoso su una bella macchina che a Brooklyn rimorchia ragazzi dominicani". 

Secondo il montatore Fabio Nunziata, "il merito del film è quello di avvicinarsi all'umanità, alla verità umana di Pasolini: per 40 anni si è discusso sulla sua morte, sul complotto, sull'ipotesi dei siciliani, ma tutto questo ne ha oscurato la grandezza. Viceversa, qui si racconta l'importanza della morte nella sua vita: Pasolini è un mito, una divinità moderna, e solo un regista straniero come Abel poteva farlo". Francesco Siciliano (Furio Colombo nel film) ricorda benissimo la telefonata che arrivò a suo padre Enzo la notte che morì Pasolini. “Eravamo in campagna, in Umbria. Mio padre si mise a piangere, poi ci fu la corsa verso Roma. Mi fece molta impressione, perché non era morto Pasolini, avevano ammazzato Pasolini...''. Adriana Asti (la madre Susanna) confessa che parlare di Pier Paolo le suscita ancora oggi le lacrime. “Eravamo molto amici e così avevo paura di non farcela a interpretare sua madre, perché troppo coinvolta. Ricordo che ebbi la notizia della sua morte mentre ero sul set dell’Eredità Ferramonti di Mauro Bolognini. Ero sconvolta, pensavo che fosse immortale”. 

Pasolini uscirà il 25 settembre con Europictures in associazione con Akai Italia. 

 
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Venezia, Guzzanti presenta “La trattativa”: ‘Senza patto Stato-mafia un’Italia migliore’da il fatto quotidiano

Post n°11694 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

La proiezione accolta tra gli applausi della stampa internazionale. La pellicola fuori concorso racconta i primi anni '90 nel nostro Paese: "Un periodo di cambiamenti e in cui sembra che le istituzioni avessero paura della democrazia"
Sabina Guzzanti

“Senza la cosiddetta Trattativa oggi avremmo un Paese migliore. E Falcone e Borsellino sarebbero ancora in vita”. Sabina Guzzanti racconta così il suo film – La trattativa – presentato al Lido fuori concorso. Accolto splendidamente ad entrambe le proiezioni stampa, il film è stato applaudito anche durante la conferenza stampa internazionale. Ma cerimoniali a parte, il suo nuovo lavoro per il cinema è stato salutato con attenta positività dalla maggioranza degli operatori presenti in Mostra. Guzzanti, da parte sua, ha “salutato” il cinema come “quel medium artistico, così speciale, la cui dimensione collettiva gli fornisce una forza che gli altri media non hanno”. Anche, evidentemente, per opere così particolari come la sua, dal connubio forma/contenuto/sensibilità mai banali. Ne La trattativa, i fatti indiscutibilmente accaduti sono riprodotti per ricostruzione teatrale, resi da magnifica recitazione “brechtiana” da altrettanto magnifici interpreti. Seppur abituati alla precisione della “ricercatrice Guzzanti” rispetto alle fonti, in questo film colpisce la quantità raccolta alla base del progetto. Come dunque si è procurata i materiali e gli atti processuali? “Innanzitutto vi informo che a Radio Radicalesono a disposizione tutti i processi sulla questione Stato-Mafia; il mio sforzo iniziale è stato capire come funzionano i processi.. anche perché io – per fortuna – non ho una formazione giudiziaria”.

Nel corso della conferenza stampa, Sabina ha poi espresso quello che per lei è lo scopo del film, ovvero “mettere tutti – specie chi non si informa sui media e giornali – in grado di conoscere i fatti che hanno cambiato il corso della nostra democrazia. Questo perché troppo spesso si sente parlare genericamente dellaquestione Stato-Mafia”. La raccolta e approfondimento della materia non sono stati naturalmente semplici. Ed anzi, spiega, “più studiavo e più mi sentivo vittima di depressione e paura: ho anche pensato cose tipo ‘questa volta me ne vado dall’Italia’”. Nel periodo preso in esame dalla pellicola – i primi anni ’90 – “l’Italia stava cambiando ma sembra che le istituzioni italiane avessero paura della democrazia stessa, sembra che prendessero qualunque decisione pur di evitare che si realizzasse”. Il punto a cui vuole arrivare la Guzzanti è il senso (o mancanza) di responsabilità della politica, certamente in quegli anni acuti, ma anche in generale. E non solo, “tale senso di responsabilità deve riguardare tutti i cittadini: non è giusto delegare tutto alla magistratura”.

“Tenete presente che questo è un film inattaccabile nei suoi contenuti: considerate che ogni parola del film è stata controllata 1.671 volte”. E come esempio di inattaccabilità dei fatti narrati, ripercorre la mancata perquisizione del covo di Totò Riina: “La cui perquisizione avrebbe messo al muro Cosa Nostra. Se avessero aperto quella cassaforte avrebbero trovato tutti i collaboratori di Riina, perché tutti i mafiosi tengono custoditi i nomi dei collaboratori per poterli ricattare”. Puntuale e determinata, Sabina Guzzanti precisa ancora: “Il processo è uno strumento per cercare la responsabilità penale di un reato, ma in Italia solo dal ’92/’93 l’opinione pubblica ha iniziato a ragionare anche prima che arrivino o meno le condanne”, un’affermazione che in qualche modo affronta il modus attraverso il quale media/vox populi e operatori della giustizia in senso stretto oggi tendono o meno a conformarsi. Ed altrettanto dure sono le parole arrivate rispetto alle domande sulle pressioni del presidente Giorgio Napolitano: “E’ documentato che Napolitano abbia fatto pressioni sulla Cassazione e su Grasso: la lettera di Marra scritta alla Cassazione è un fatto”. Last but not least, Sabina è stata interrogata rispetto alla sua presenza a una Mostra in cui è programmato anche il film Belluscone di Franco Maresco: “Attenzione, il mio non è un film su Berlusconi, è un film sullo Stato italiano e sulla Mafia”.

 
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