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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi del 08/09/2014
Post n°11705 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
Pubblicato: 30/06/2014 11:45 CEST Aggiornato: 30/08/2014 11:12 CEST Fateci caso: nelle Rete si aggirano le foto, i disegni, le immagini, i fotogrammi, le clip e le caricature di donne meravigliose e distrutte da vite difficili. Indossano tutte una divisa carceraria. Arancione per lo più o grigia. Sono nere, bianche ispaniche. Giovani e vecchie. Grasse, magre, tossiche. Bellissime. Orientativamente tutte lesbiche. Senza manette, ma con quello sguardo impossibile da replicare se si possiede la libertà. E loro, per almeno un'altra stagione, la libertà l'hanno lasciata davanti al giudice che le ha condannate e trasferite nel carcere di Litchfield. Sono le protagoniste di Orange is the new black, il cazzotto nello stomaco pubblicato dal servizio di streaming Netflix, ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television. OITNB sta debordando dalla pura visione prendendo possesso di tutto ciò che incontra. Tre statuette al Critics' Choice Television Awards. Red Carpet. Fan club. Pagine e pagine sui social di spettatori imprigionati al grido di Orange Is The New Fetishism almeno quanto le prigioniere dietro le sbarre seriali (in Italia è online a pagamento sul portale Infinity e dal 25 settembre, prima e seconda stagione su Mya). Difficile riassumere una trama che nella sua semplicità è quanto di più intrecciato si sia visto da lungo tempo. Piper Chapman, biondina, secca, buona e cerulea deve scontare 15 mesi per aver trasportato denaro della sua amante Alex, una magnifica trafficante di droga alta 1.80 con degli occhiali da gatto difficili da dimenticare. Fine della trama. Tutto il resto, ossia 26 puntate da un'ora, sono solo il susseguirsi di un giorno dopo l'altro delle compagne di cella. Storie private di ogni singola donna, dentro e fuori dal carcere, in un alternarsi continuo tra il prima e il dopo dove si rimarca in ogni inquadratura la linea ben definita segnata dalla perdita di libertà. Dal momento in cui si spogliano, si fanno perquisire, accovacciate e nude, e abbracciano il cuscino che viene loro consegnato, quella prima vita finisce in un lampo. E comincia la seconda, infinita, lentissima, scandita esclusivamente dalla luce del possibile rilascio. E non importa che il carcere di The Orange is the new black sia di minima sicurezza, non importa che le guardie siano modestamente comprensive (seppure con le dovute eccezioni) non importa che che non si soffochi dentro lo scenario tipico che tutti possiedono dell'isola di Alcatraz (seppure non manchino pennellate di segregazione che rasentano l'orrore puro), non importa che le detenute siano pazze, psicotiche, assassine, stalker, depravate, violente e drogate (seppure ognuna di queste caratterialità accompagni ogni episodio), non importa che non ci sia spazio per la risata, per il ballo per il gioco (seppure si balli, si giochi e si rida anche parecchio). Non importa. Perché in questa serie si racconta l'altra vita, quella che spegne lo sguardo, che ti fa lottare per uno spazzolino, che rende più importante una gallina in cortile di un business avanzato. L'universo carcerario per essere orribile non deve avere una scenografia orribile. La prigione devasta quelle protagoniste perché le costringe, loro malgrado, a reinventarsi al di là delle sbarre. Ognuna nasconde tra i rimmel di contrabbando un bagaglio umano costruito pezzo per pezzo nel corso degli anni che tenta disperatamente di mantenere intatto, pulito e e ordinato. Ma mantenere lontane le pieghe è l'impresa che le accompagna ora dopo ora e l'essere sgualcite più dentro che fuori diventa il segno del tempo che passa più del formarsi delle rughe una accanto all'altra In tutta la serie ci sono almeno tre costanti che tornano e ritornano. La prima è lasigla di testa, un montaggio sulle note di You've got time di Regina Spektor di volti in primissimo piano che appartengono a carcerate reali tra cui la vera Piper dal cui racconto nasce tutto questo ben di Dio. Un modo per dire, all'inizio di ogni puntata che sì, è una fiction ma là da qualche parte ci sono anche loro, quelle vere, donne che che stanno scontando la loro pena sul serio e ora, proprio ora, ti guardano negli occhi. La seconda è il sesso. Inteso come voglia di farlo, disperata, assoluta, famelica. Sia per le lesbiche di fatto, che sono la maggioranza, e si cercano, si trovano, si amano. Sia per quelle occasionali, che si ritrovano a dover soddisfare l'urgenza del desiderio lì e subito, nelle docce o o sotto la croce della cappella carceraria, che non possono pensare di aver lasciato un uomo nel mondo 'di fuori', che preferiscono le mani di una donna a nessuna mano. Donne gay che si amano e si cercano, donne etero che diventano gay, donne gay che tornano etero e poi si innamorano di donne gay: inOITNB il corpo si mostra, tantissimo, e si esplora, si sviscera, si espone. E la terza nota ricorrente, avvolgente traccia di carta moschicida che ti incolla alle immagini, è la perdita del controllo. Dal momento in cui entrano in carcere, con la libertà lasciano nel furgone che le ha trasportate anche ogni possibilità di decidere di loro stesse. Essere in balia (delle guardie, degli attacchi di ira, delle lotte tra bande, del turno per fare una telefonata, della droga di contrabbando, di un lucchetto, del capriccio occasionale, della visita mancata, del cibo avariato) è la condizione della vita d'ora in poi. Tutti possono decidere per te. Tranne te. Perché le manette ti stringono: la mente prima e i polsi poi.
Post n°11704 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
Stenin era partito per far luce sul conflitto in Ucraina lo scorso maggio, passando ogni giorno decine di foto. Ha smesso di comunicare il 5 agosto. Alla fine di agosto tra le auto esplose e bruciate lungo la strada tra Snezhnoye e Dmitrovka è stata ritrovata una “Renault Logan” con i corpi di 3 persone. Dopo approfondite analisi di laboratorio è emerso che uno dei corpi appartiene a Stenin. "Dopo uno delle sue prime trasferte al Cairo, è tornato pieno di energia e di aspirazioni creative, con gli occhi ardenti ha preso il responsabile del dipartimento fotografico-informativo della redazione Vladimir Baranov e gli ha fatto una proposta. Voglio, disse, niente altro che riprendere i conflitti. Diciamo che non lavorerò su nient'altro, ma le guerre saranno sempre solo mie!",- ricorda le parole di Andrey il direttore del dipartimento fotografico-informativo dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya, Alexander Shtol. Non poteva stare fermo A Slavyansk Stenin viveva in una stanza con Dmitry Steshin, suo amico e corrispondente di guerra della Komsomolskaya Pravda. Lo aveva tirato fuori da una casa bombardata, dove Andrey fotografava l'appartamento e dove non era rimasto nessuno oltre allo stesso fotoreporter. "Abbiamo vissuto insieme in perfetta armonia, sebbene parlassimo molto raramente: siamo entrambi sociopatici. Insieme andavamo in missione, guardavamo film, ascoltavamo la musica. Poi sono partito, non avevo idea che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto. Era ovvio che era dispiaciuto dal fatto che rimanesse solo, - ricorda Steshin. - Poi ho pensato molto: perché non è partito con noi? La guerra lo aveva preso. Si era assuefatto. Era come in overdose. Aveva paura di tornare alla vita comune: lì non c'è questa adrenalina, questa durezza. Ero tornato a Mosca, ogni giorno ci scrivevamo. Raccontava cose terribili, era chiaro che la situazione era molto brutta, c'era una terribile confusione. Per un giornalista era molto difficile lavorare, ma non poteva stare fermo." Stenin davvero non poteva rimanere fermo: prima di Slavyansk era stato in Siria, nella Striscia di Gaza, al referendum in Crimea, nelle barricate di Maidan, in Egitto, Libia, Kirghizistan e Turchia. Migliaia di fotografie e un testo Stenin aveva iniziato la sua carriera come corrispondente: dal 2003 aveva lavorato nel giornaleRossiyskaya Gazeta, dopodichè al portale Gazeta.ru. Solo nel 2008 aveva iniziato ad occuparsi di fotografia, lasciando bruscamente il giornalismo classico di scrittura, provocando sconcerto e smarrimento tra i colleghi e i suoi capi. Andrey ha lavorato da freelance per ITAR-TASS, RIA Novosti, Kommersant, Reuters, Associated Presse France Press. Dal 2009 collaborava per RIA Novosti in qualità di fotoreporter. Dal 2014 era diventato l'inviato speciale dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya. È stato due volte insignito del premio "Camera d'argento" (2010, 2013). L'unico testo nella sua carriera da fotoreporter lo ha scritto dopo una trasferta in Libia. Il suo articolo era uscito con il titolo "Come abbiamo lottato per Ras Lanuf e la Libia libera”http://ria.ru/arab_analytics/20110331/359745138.html . Il suo pezzo era anche una sorta di fotografia, vista dagli occhi di un fotoreporter professionista e di un uomo colto nel bel mezzo dei combattimenti. Dmitry Steshin ha ricordato questo reportage dalla Libia. "Sono rimasto impressionato dalla sua abilità e gli ho chiesto: perchè non scrivi? Rispose che “vuole scrivere per passione e lavorare con la macchina fotografica"," - racconta Steshin. Fino all'ultimo c'era speranza Nella regione di Donetsk Stenin ha passato quasi 3 mesi. Ha ripreso le conseguenze dei bombardamenti su Slavyansk, Semenovka, Nikolaevka, Snezhnoye, Marinovka: case in fiamme e distrutte, ospedali, negozi di alimentari, chiese, abitanti locali e bambini feriti, funerali delle vittime. Sotto l'obiettivo di Stenin era finita la vita dei separatisti. Andrey Stenin fu uno dei primi a trovarsi sul luogo dello schianto del Boeing 777 malese, precipitato nei pressi della città di Shakhtersk; dal luogo dello schianto passò le foto dei rottami dell'aereo e dei corpi. Le ultime foto caricate da Andrey sono state ricevute il 5 agosto. Il 7 agosto l'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya aveva riferito che Andrey Stenin non era più entrato in contatto. L'ultima cosa che si sapeva è che lui, con 2 corrispondenti militari delle forze separatiste, si stava recando a bordo di una Renault Logan blu nelle città di Shakhtersk e Snezhnoye, situate ad est di Donetsk. "Il fatto è che proprio in questo momento la Guardia Nazionale aveva lanciato un'offensiva nella zona. Avevano tagliato fuori Dmitrovka da Snezhnoye e avevano installato una fortificazione,"- ha detto uno degli amici di Stenin, il corrispondente di Lifenews Semen Pegov. Tuttavia a metà agosto l'accerchiamento era stato rotto, la Guardia Nazionale si era allontanata dalla zona. Si è appreso che Stenin con i suoi colleghi non era mai arrivato a Dmitrovka. Ma c'era altra informazione che girava: dopo aver conquistato il colle tra Dmitrovka e Snezhnoye, la Guardia Nazionale sparava a tutte le auto di passaggio, temendo che nei panni di civili i ribelli separatisti li attaccassero o cercassero di uscire dall'accerchiamento. "In questa zona abbiamo trovato il 20 agosto circa 15 veicoli, tra cui la Renault Logan carbonizzata con 3 corpi. Identificarli senza test del DNA era impossibile: i corpi erano letteralmente una manciata di cenere e ossa," - ricorda Pegov. Il fatto che si potesse trattare esattamente di Stenin, lo suggerivano alcuni indizi: il tempo e il luogo della distruzione della macchina, 2 obiettivi professionali bruciati nel bagagliaio. Vicino la macchina giaceva una camicia di marca italiana simile a quella indossata da Stenin. La camicia aveva le maniche arrotolate: gli amici di Stenin ricordavano che aveva l'abitudine di farlo. Il quadro coincideva con il racconto di un uomo, che si era riuscito a contattare attraverso uno dei telefonini di Stenin a metà agosto. Si era presentato come militare ucraino, rientrato di recente dalla zona di Dmitrovka a Slavyansk. Aveva descritto molto accuratamente il luogo dove aveva ritrovato il telefono ed aveva assicurato che il suo ex proprietario era morto. Il test del DNA ha confermato i peggiori sospetti "In attesa di un miracolo ... Questa condizione è tipica per tutti noi sin dall'infanzia. In una difficile e poi drammatica situazione riguardo la sorte di Andrey Stenin nel sud-est dell'Ucraina, si voleva credere e sperare in un esito o soluzione positiva", - racconta il fotoreporter speciale dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya, Vladimir Vyatkin. "Che tipo era? Tenace e affidabile professionista nella sua rara specializzazione. Silenzioso e discreto nella vita di tutti i giorni. Ci ha lasciato per sempre. Lasciando dietro un'inestimabile raccolta di foto di cronache storiche dell'inizio del XXI secolo, il cui valore verrà apprezzato col tempo", - ha aggiunto Vyatkin. Viveva sotto il fuoco "Sembrava che Andrey davvero vivesse solo lì, sotto il fuoco, sotto il frastuono dell'artiglieria, nella guerra. Qui a Mosca è come se si annoiasse, alla prima occasione partiva per una nuova zona calda, da dove portava le sue foto, - ricorda il redattore del dipartimento di analisi e riprese fotografiche dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya Ekaterina Novikova.- Sapevamo tutti che in caso di necessità Stenin avrebbe mollato tutto per recarsi sul posto, ovunque venisse mandato, di notte o durante il giorno non era importante." "L'obiettivo di Andrey immortalava gli eventi, nei quali non tutti avrebbero avuto il coraggio di trovarsi. Nelle sue fotografie la gente vedeva la cruda realtà della guerra. Uccidere un fotoreporter è chiudere gli occhi della società,"- afferma sicuro Vitaly Belousov, fotoreporter speciale dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya. "I viaggi nelle zone di guerra succhiano sempre molte energie, fisiche e mentali. Negli ultimi anni di Andrey queste esperienze sono state più che sufficienti, - racconta il fotoreporter speciale dell'agenzia russa di stampa internazionale Rossiya Segodnya Valery Melnikov. - Andrey si è avvicinato alla guerra il più vicino possibile. Guardate le sue ultime foto, forse oltre alla guerra vedrete qualcosa che ricorderete per sempre." Guarda le foto scattate da Andrey Stenin. Parte 1
Guarda le foto scattate da Andrey Stenin. Parte 2
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_09_03/Gli-amici-ricordano-Andrey-Stenin-il-piu-vicino-possibile-alla-guerra-2686/
Post n°11703 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
Tiepida accoglienza per il biopic in concorso. Ma Willem Dafoe convince tutti. E Ninetto Davoli dà lezioni a Scamarcio di Stefania Ulivi, inviata a Venezia Tiepidi applausi alla proiezione stampa, accoglienza molto più calorosa agli incontri stampa. Arriva in concorso Pasolini di Abel Ferrara, l’ambizioso, pure troppo, film del regista americano (Il cattivo tenente, Welcome to New York). Quello che ha messo d’accordo tutti è l’interpretazione di Willem Dafoe. Per dare vita sullo schermo a Pier Paolo Pasolini, ha spiegato, ha provato ad «abitare i suoi pensieri, le sue parola. Il nostro è un omaggio onesto». Ferrara si è imbarcato nell'impresa cofinanziata da italiani e begli (uscirà nelle sale il 24 settembre) perché considera PPP - l’ha ripetuto più volte - il suo maestro. Nel film ne racconta gli ultimi giorni, prima della morte il 2 novembre all’idroscalo di Ostia. Mescola frammenti di Petrolio alle parole delle ultime interviste, come quella, profetica. a Furio Colombio che suggerì di intitolare «Siamo tutti in pericolo». Affida a Ninetto Davoli e Riccardo Scamarcio una possibile messa in scena del film che Pasolini non riuscì a girare, Porno-Teo-Kolossal, con Davoli e Eduardo De Filippo. Ce lo mostra nella sua casa con la madre (Adriana Asti), Laura Betti (Maria De Medeiros), Nico Naldini (Valerio Mastandrea) , la cugina Graziella (Giada Colagrande). Ci mostra le uscite sull’Alfa Romeo in cerca di avventure e le ultime fatali ore sulla spiaggia di Ostia. Sgombra subito il campo da un equivoco. «Non ho mai detto di sapere chi l’ha ucciso, è una grande balla dei giornalisti, chi ha scritto quella bugia? Volevo parlare della sua vita, delle sue passioni, il suo lavoro». Un uomo impavido lo definisce. «Non aveva paura di nulla, era un uomo di un’altra generazione, cresciuto omosessuale in un mondo pre e post bellico, ha vissuto il mondo dominato dal consumismo portato da noi americani». Osteggiato ancora oggi. «Cercano di distruggerlo in tutti modi, ma lui è stato sempre ed è ancora capace di reinventarsi». Un intellettuale universale. «Questo film non è solo Pasolini, Roma, 1975, per me potrebbe essere a New York ieri notte, con un ricco e famoso su una bella macchina che a Brooklyn rimorchia ragazzi dominicani». Ferrara respinge le perplessità di molti sul fatto che Dafoe e gli altri recitino un po’ in italiano un po’ in inglese (ma la versione italiana sarà tutta doppiata nella nostra lingua): «Io e Willem siamo americani, abbiamo usato la nostra lingua madre quando occorreva» spiega senza convincere troppo. Quello che è chiaro è che l’intenzione del regista è suggerire un parallelo tra le due vicende artistiche. «Voglio solo fare cinema, i film sono la mia vita», fa dire a Defoe. Il riferimento a se stesso è tanto chiaro quanto poco condivisibile. Ninetto e Riccardo Per Riccardo Scamarcio chiamato a interpretare Ninetto Davoli dal regista colpisce il senso di militanza: è molto energetico sul set, gira ogni scena come se fosse l’ultima. «Da buon soldatino quando chiama vado e seguo il maestro». Il vero Ninetto (che nel film è Epifanio, ovvero il personaggio che avrebbe dovuto recitare Eduardo) gli ha dato un solo consiglio: «Sii te stesso, fai il guaglione pugliese che sei». È un Davoli che si prende la scena. «Pier Paolo ha affrontato la vita a modo suo, era allegro, non è vero che ha descritto la sua morte: Voleva vivere e aveva tante cose da fare. Mi sono trovato bene con Abel, a parte per la lingua, ci siamo interpellati e ci siamo capiti. Ma non basta un film per raccontare Pasolini ce ne vorrebbero almeno dieci». Immortale Lo sceneggiatore Massimo Braucci precisa: «Questa non è un’inchiesta giudiziaria, bensì letteraria, accoglie l’esito del primo processo del ‘76, basato sul lavoro di Faustino Durante: un buon processo, con il verdetto di omicidio in concorso con ignoti». Adriana Asti (la madre Susanna) ricorda l’amico: «Quando parlo di lui mi metto a piangere. Quando Abel mi ha chiesto di essere nel film ho avuto paura di non farcela. Pier Paolo aveva una magia misteriosa, gli attori diventavano personaggi, lo stesso succede con Ferrara. Ricordo bene quando ricevetti la notizia della sua morte nel 1975: stavo girando L’eredità Ferramonti, mi hanno detto che era stato ucciso è stato durissimo. Io credevo che fosse immortale».
Post n°11702 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
A Bobbio il nuovo film del regista di "I pugni in tasca" lunedì 21/07/14 18:15 - ultimo aggiornamento 23/07/14 08:45 A quasi cinquant'anni dal film d'esordio, il capolavoro I pugni in tasca, Marco Bellocchio resta legatissimo alla sua Bobbio (Piacenza), dove da un ventennio dirige il locale festival estivo e gestisce i workshop di "Fare cinema". A sostituirlo nell'edizione 2014 dei corsi sarà Sergio Rubini, perché da inizio luglio Bellocchio è impegnato a realizzare il suo nuovo film, una coproduzione italosvizzera che coinvolge la Amka Films e la RSI. L'ultimo vampiro (altri titoli di lavorazione precedenti: La prigione di Bobbio e La monaca) è girato in varie location del borgo millenario e porta avanti una vicenda in tre episodi. Parecchi i giovani "discepoli" del regista impegnati nella lavorazione, tanto che assistere alle riprese assume i connotati della lectio magistralis sul campo. Nel cast nomi quotati come Roberto Herlitzka, Alba Rohrwacher e Filippo Timi, mentre Lidiya Liberman e il figlio Pier Giorgio Bellocchio interpretano i ruoli principali.
Post n°11701 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
Due fratelli, opposti nel carattere come nelle scelte di vita, uno avvocato di grido, l'altro pediatra impegnato e le loro rispettive mogli perennemente ostili l'una all'altra l'incontrano da anni, una volta al mese, in un ristorante di lusso, per rispettare una tradizione. Parlano di nulla: alici alla colatura con ricotta e caponatina di verdure, l'ultimo film francese uscito in sala, l'aroma fruttato di un vino bianco, il politico corrotto di turno. Fino a quando una sera delle videocamere di sicurezza riprendono una bravata dei rispettivi figli e l'equilibrio delle due famiglie va in frantumi. Come affronteranno due uomini, due famiglie tanto diverse, un evento tragico che li coinvolge così da vicino?
Post n°11700 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
Ecco l'elenco completo di tutti i premi del Festival di Venezia 2014:
Leone d'Oro miglior film: A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson
Leone d'Argento miglior Regia: Andrey Konchalovskiy per Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna (The Postman's White Nights)
Gran Premio della Giuria: The Look of Silence di Joshua Oppenheimer
Coppa Volpi migliore attore: Adam Driver per Hungry Hearts
Coppa Volpi migliore attrice: Alba Rohrwacher per Hungry Hearts
Premio Marcello Mastroianni miglior attore emergente: Romain Paul per Le dernier coup de marteau
Premio per la miglior sceneggiatura: Ghesseha di Rakhshan Bani-Etemad
Premio Speciale della Giuria: Sivas di Kaan Mujdeci.
Leone del Futuro, Premio Luigi De Laurentiis per un'Opera Prima: Court di Chaitanya Tamhane.
Premio Orizzonti per il miglior film: Court di Chaitanya Tamhane
Premio Orizzonti miglior regia: Theeb di Naji Abu Nowar
Premio Speciale della giuria Orizzonti: Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco
Premio Orizzonti per il migliore attore: Emir Hadzihafizbegovic per Takva su pravila (These Are the Rules)
Premio Orizzonti miglior cortometraggio: Maryam di Sidi Saleh
I PREMI COLLATERALI:
Premio FIPRESCI Miglior film Venezia 71: The Look of Silence di Joshua Oppenheimer Miglior film Orizzonti e Settimana Internazionale della Critica: Nicije dete - Figlio di nessuno di Vuk Ršumovic
Premio SIGNIS a Loin des hommes di David Oelhoffen Menzione speciale a 99 Homes di Ramin Bahrani
Leoncino d'Oro Agiscuola per il Cinema Leoncino d’Oro Agiscuola per il Cinema al film Birdman di Alejándro G. Iñárritu Segnalazione Cinema for UNICEF al film Hungry Hearts di Saverio Costanzo
Premio Francesco Pasinetti Miglior film a Anime nere di Francesco Munzi Migliori interpretazioni a Elio Germano (Il giovane favoloso di Mario Martone) e Alba Rohrwacher (Hungry Hearts di Saverio Costanzo)
Premi Pasinetti Speciali Per la regia a Saverio Costanzo (Hungry Hearts – VENEZIA 71) Pierfrancesco Favino, protagonista e produttore (Senza nessuna pietà – ORIZZONTI) Per il film di Ivano De Matteo (I nostri ragazzi - GIORNATE DEGLI AUTORI)
Premio Brian a Mita Tova – The Farewell Party di Tal Granit & Sharon Maymon
Premio Queer Lion a Les Nuits d’été di Mario Fanfani
Premio Arca CinemaGiovani Miglior film Venezia 71: Loin Des Hommes di David Oelhoffen Miglior film italiano a Venezia: Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco
Premio CICAE - Cinema d’Arte e d’Essai a Heaven Knows What di Josh and Ben Safdie
Premio FEDIC a Io sto con la sposa di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry Menzione speciale Fedic – Il Giornale del Cibo a Italy in a day di Gabriele Salvatores
Premio Fondazione Mimmo Rotella a Luigi Musini per il film Anime nere di Francesco Munzi
Future Film Festival Digital Award a Birdman di Alejandro González Iñárritu Menzione speciale: Italy in a day di Gabriele Salvatores
Premio P. Nazareno Taddei a Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance) di Alejandro G. Iñárritu
Premio Lanterna Magica (CGS) a Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte
Premio Open alla regista Rä di Martino
Mouse d'Oro Mouse d'oro per il migliore film del concorso: The Look of Silence di Joshua Oppenheimer Mouse d'argento al miglior film delle sezioni collaterali: Olive Kitteridge di Lisa Cholodenko
Premio The Most Innovative Budget a Italy in a day di Gabriele Salvatores
Premio Gillo Pontecorvo - Arcobaleno Latino a The show mas go on di Rä di Martino
Premio Interfilm a Loin des hommes di David Oelhoffen
Premio Giovani Giurati del Vittorio Veneto Film Festival Miglior Film: 99 Homes di Ramin Bahrani Menzione speciale all’Opera di Fatih Akin (The Cut) Migliore interpretazione: Elio Germano nel film Il giovane favoloso di Mario Martone
Premio Cinematografico “Civitas Vitae prossima” a Ivan Gergolet per Dancing with Maria
Premio Green Drop a Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna (The Postman’s White Nights) di Andrej Koncalovskij
Premio Soundtrack Stars Premio della Critica a Alexandre Desplat Premio alla migliore colonna sonora dei film in Selezione Ufficiale: Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance) di Alejandro G. Iñárritu
Premio Schermi di Qualità - Carlo Mazzacurati a Anime nere di Francesco Munzi
Premio del pubblico “RaroVideo” – Settimana della Critica a Nicije dete - Figlio di nessuno di Vuk Ršumovic
Premio Europa Cinemas Label Miglior film europeo della sezione Giornate degli Autori: I nostri ragazzi di Ivano de Matteo
Premi Fedeora Giornate Degli Autori Miglior Film: One on One di Kim Ki-duk Miglior regista esordiente: Aditya Vikram Sengupta per Asha Jaoar Majhe – Labour of Love
Settimana Internazionale della Critica Miglior sceneggiatore: Vuk Ršumovic per il film da lui diretto Nicije dete – No One’s Child Miglior Film: Ð?p cánh gi?a không trung – Flapping in the Middle of Nowhere di Nguy?n Hoàng Ði?p
Miglior Film Euro-mediterraneo del concorso Venezia 71 a The Look of Silence di Joshua Oppenheimer
Premio Human Rights Nights a Io sto con la sposa di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry a The Look of Silence di Joshua Oppenheimer
Premio Piccioni alla colonna sonora de Il giovane favoloso di Mario Martone composta Sascha Ring
Premio AssoMusica “Ho visto una Canzone” al brano musicale Just One Day contenuto nel film Italy in a day di Gabriele Salvatores.
Premio di critica sociale “Sorriso diverso Venezia 2014” a Io sto con la sposa di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry
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