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Messaggi del 03/02/2018

 

Valerian e la città dei mille pianeti

Post n°14252 pubblicato il 03 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Valerian e la città dei mille pianeti

Luc Besson non ama la critica e al di fuori della sua ‘famiglia’ cinematografica non frequenta altra compagnia. Non è un caso che ciascuno dei suoi film tracci una linea di fuga. Sotto terra (Subway) o sott’acqua (Le Grand Bleu), questo grande enfant perdu dentro un mondo ostile vuole essere altrove e lontano. Esiste (anche) per questo un pianeta Besson che prende daccapo le distanze dalla realtà concependo uno spazio-opera abitato dal multiculturalismo di Star Wars.

Ma il confronto finisce qui, perché Valerian è azione sfrenata con messaggio romantico lontano-lontano dalla galassia interstellare di George Lucas. Budget faraonico e spreco epico, il nuovo science-fiction di Besson è l’adattamento del fumetto franco-belga Valérian et Laureline che ha ispirato numerose produzioni americane dopo la sua uscita in fondo agli anni Sessanta. Valerian ritrascrive con prodezza tecnica gli eventi contenuti nel sesto volume (“L’Ambassadeur des Ombres”): mandati in missione nella straordinaria città intergalattica di Alpha, due agenti spazio-temporali indagano sul mistero che minaccia l’esistenza di una colonia in cui convivono le principali civiltà dell’universo.

Scivolando progressivamente verso il mainstream puro, il cinema di Besson perde la vertigine interiore del suo tuffatore metafisico e trova i suoi colori saturi e primari: il bene, il male e ancora. Dal momento che non è sufficiente uccidere il male o soltanto vanificarlo, Besson cerca qualcosa per rilanciare, prendendosi tutta la libertà con i tic e i gadget indispensabili al genere o infilando deviazioni che portano al cuore della galassia-Rihanna con le sue multiple fogge e le labbra rosso vivo che accendono il desiderio insaziabile di Dane DeHaan. A immagine della camaleontica artista, Valerian scarta il racconto principale e cambia linea iscrivendosi in un movimento perpetuo dove la bizzarria volge presto in torpore. Cinema pop, semplicemente, Valerian riconferma Besson illustratore di un immaginario sprovvisto di astrazione.

 
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Thor Ragnarok

Post n°14251 pubblicato il 03 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

Il ritorno di Thor ad Asgard si fa amaro quando scopre che Loki si è sostituito al padre Odino sul trono, spedendo quest'ultimo in un ospizio terrestre. Ma il peggio deve ancora arrivare: Hela, sorella maggiore e dea della morte, sta per uscire dalla sua prigione e vuole vendicarsi su Asgard.
Il percorso di avvicinamento alle Infinity Wars, destinate a riunire e forse cambiare per sempre l'universo cinematografico Marvel (MCU), sembra interminabile e passa da episodi intermedi che, inevitabilmente, godono di un interesse limitato.

Thor è, degli Avengers maggiori, quello a rischio più elevato di ridicolo, e il filone principale cucito su di lui - la storia d'amore con Jane/Natalie Portman - si è interrotto per la rinuncia di quest'ultima a partecipare a ulteriori episodi.

Si può comprendere quindi l'accoglienza dal gelo quasi "asgardiano" riservata a Thor Ragnarok. Consapevole di tutto ciò, Kevin Feige e la Marvel giocano, sperimentano con il biondo dio del tuono e lo affidano a Taika Waititi per un trattamento pop. Difficile stabilire quanto siano rimaste sciolte le briglie del visionario regista, che prova a iniettare forti dosi di kitsch da primi anni 80 nel corpo di un blockbuster supereroistico minore. Brani synth-pop affidati alla cura di Mark Mothersbaugh - ex Devo e sodale di Wes Anderson - ed estetica da space opera povera e sporca, stile Tatooine del primissimo Star Wars. Funziona e a tratti trascina, ma il gigantismo da cui sono affette le produzioni MCU infine prevale, obbligando a un prima e un dopo: a sequenze ad Asgard dallo scarso appeal; alla conclusione, più o meno elegante, di obblighi contrattuali (HopkinsPortmanAsano Tadanobu); all'utilizzo reiterato di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin per rientrare del costo dei diritti. Di come avrebbe potuto essere un Ragnarok svincolato da lacci e lacciuoli ci resta qualche suggestione

Più ci avviciniamo a Infinity War e il suo sequel, la coppia di film che nel 2018 e nel 2019, concluderà le sottotrame intessute dai film dei Marvel Studios negli anni dopo il secondo Avengers, più comincia a prendere forma il grande intreccio che coinvolgerà tutti i personaggi. Di certo è ormai evidente come in questo meccanismo di sottotrame non tutti i film Marvel abbiano uguale peso, non tutti cioè portino avanti la storia alla stessa maniera. Thor: Ragnarok, è noto, sarà uno di quelli determinanti. 

Partiti all'insegna del disimpegno, della risata e di un concetto molto coinvolgente di "divertimento" capace di unire l'umorismo all'azione senza prendersi troppo sul serio ma rispettando le regole del proprio genere, i film Marvel, e Thor in primis, sono gradualmente scivolati in una gravitas alla stessa maniera di saghe come quella di Harry Potter, partite leggere e finite con l'incombere costante di un'idea di morte generale e fine di un mondo intero. Senza risate e cercando addirittura il senso della tragedia classica.

Questa volta il dio del Tuono, dopo aver esiliato il padre, Odino, nel film precedente e aver preso il comando di Asgard, sarà esiliato a sua volta e imprigionato dall'altra parte dell'Universo. Da lì dovrà tornare indietro per impedire il Ragnarok, cioè la distruzione del proprio mondo.

La parte complicata è che il luogo in cui è imprigionato dallo stesso nuovo villain che vuole distruggere Asgard, Hela (interpretata da Cate Blanchett), è un pianeta di gladiatori da cui si può uscire solo in una maniera: combattendo. Al suo fianco, unica nota positiva in questa lunga serie di brutte notizie, c'è Hulk. Nonostante lo scorso film di Thor avesse mostrato un tono piacevolmente più leggero rispetto al pensoso esordio, questa volta sembra che si tornerà ad una certa serietà, ad una gravità che dovrebbe somigliare molto a quella mostrata dalla serie Capitan America nel capitolo, Il soldato d'inverno
Ci saranno gli ovvi rischi apocalittici di distruzione totale, espediente con cui facilmente il genere del cinefumetto crea un senso di pericolo estremo (ma sempre di più ricorrere a simili esagerazioni perde di forza) e anche una linea romantica completamente nuova. È noto infatti che dopo il forzato e poco soddisfacente cammeo di Natalie Portman nel secondo film, l'attrice non tornerà in questo terzo.

Ci sarà invece Jeff Goldblum a condurre le operazioni sul pianeta dei gladiatori, in una specie di reinterpretazione buona per i fini del film di Planet Hulk, saga letta sui fumetti qualche anno fa. In quella infatti l'Incredibile Hulk finiva su un altro pianeta di cui prendeva il potere alla sua maniera, esercitando in pieno la propria disumana potenza. In più è noto che, a fare da MacGuffin del film (cioè quel pretesto narrativo che serve a mettere in moto gli eventi e dare uno scopo ai personaggi), sarà una delle gemme dell'Infinito. Come capitato in molti ultimi film Marvel infatti, la storia di un'altra delle preziose gemme è ciò che collega Thor: Ragnarok agli altri e gli consente di portare molto avanti la grande trama che ci conduce a Infinity War, cioè alla conclusione di tutte le trame imbastite dal Marvel Cinematic Universe, il mondo sono ambientati e comunicano i diversi film e le serie tv Marvel Studios, da Iron Man a I guardiani della galassia fino all'ultimo arrivato, il Doctor Strange di Benedict Cumberbatch (che qui avrà un piccolo ruolo). 
È ormai noto che sarà Thanos, personaggio arcinoto ai lettori dei fumetti Marvel, a costituire la grande minaccia all'incolumità di tutti, in quella che è la terza fase di questa strana grande serie che va al cinema e non in televisione ma che, al pari di quelle televisive, tende verso un "finale di stagione" in grado di concludere tutte le trame, come sono stati i due film Avengers. Al film successivo poi si riparte da capo a gettare le basi per un'altra grande sottotrama.

 
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The post

Post n°14250 pubblicato il 03 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Sono tornato

Post n°14249 pubblicato il 03 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Sono tornato

Post n°14248 pubblicato il 03 Febbraio 2018 da Ladridicinema
 

In un'epoca che vive del rinascere di idee pericolose che si pensavano dimenticate e il tentativo di falsificare la storia raccontando gli eventi in maniera non veritiera e corretta, dovute all'incapacità politica e alla crisi, e all'assenza sul territorio della sinistra oltre che ad un carattere tipicamente italiano del "volemose bene"; vediamo il rinascere con maggiore seguito di movimenti di ispirazione neo-fascista o comunque populisti di vario genere. Ma i primi lo sono realmente? Che cosa succederebbe se Benito Mussolini fosse di nuovo qui con noi? Come troverebbe questa Italia del 2017 (anno in cui è stato girato il film)? Riuscirebbe a ritornare alla ribalta e a vincere le elezioni facendosi passare all'inizio come comico e poi pian piano conquistando la gente, ascoltando e poi agendo? 
Sono tornato, è il remake in salsa italiana del film tedesco Lui è tornato. I film pur se praticamente uguali nei toni iniziali e nelle scene, vanno almeno nello sviluppo dei toni della narrazione su due situazioni diverse e non potrebbe essere diversamente... Il popolo tedesco ha fatto i conti con il suo passato, ma all'interno di ognuno di loro vive sempre quella natura pericolosa di voglia di potere e di sentirsi superiore che non è dimenticato del tutto. Un film, questo sull'importanza della memoria, decisamente interessante e con un elevato tasso di ironia. In Italia invece, questo non è avvenuto, non si è fatto il conto con il passato; vive cosi non solo un tentativo di revisione storiografica degli eventi, ma anche il mito dell'italiano brava gente e del fascismo gentile. Di conseguenza tutto è più scansonato, banale...
Un paese dove, come dice il Mussolini del film; non si sa cosa vi fanno studiare a scuola (scena di Piazzale Loreto); dove c'è un buonismo ipocrita e uso sproporzionato della lingua inglese, perché vi è la paura delle parole; ma soprattutto la frase più importante del film è "Vi ho lasciato 80 anni fa come un popolo di analfabeti e vi ritrovo come un popolo di analfabeti"... e giù tutto il pubblico ad applaudire e ridere. Perché questo siamo diventati, vogliamo ridere e ridendo ci fregano e fanno passare tutto, ma anche e soprattutto non ci fanno pensare... lui stesso fece fare commedie su commedie nel 1940, per distrarre la popolazione e non far pensare.
Il film alterna parti costruite come una commedia fantapolitica a inserti documentaristici di interviste reali a persone che esprimono le loro reazioni di fronte al possibile ritorno di Mussolini.
E sta qui una differenza fondamentale, ovvero che qui da noi la reazione della gente a uno straordinario Massimo Popolizio in camicia nera è diversa rispetto ai tedeschi. Qui si nota molta approvazione, molta complicità... ma ci arriveremo tra poco.
Questi toni scherzosi nel film italiano portano ad una scelta diversa del regista di documentari che tenterà di raccontare il dittatore nella società di oggi (ironico in Germania, abbastanza ridicolo in Italia) e nel finale, perché mentre nel film tedesco c'è la questione della memoria, qui invece no... siamo scansonati come detto prima, anche qui e siamo disposti a perdonare tutto in un bel talk show da facili lacrime. 
Eh si probabilmente con questa classe politica e con questo odio verso la politica dovuta alla loro incapacità e alle loro nefandezze...e attraverso un mezzo come la televisione... lui che la propaganda l'ha inventata, avrebbe vita facile.
La scena indimenticabile del film è naturalmente quella con la nonna ebrea malata, che riacquisisce un minimo di lucidità riconoscendo immediatamente il duce, ricordando la vergogna infamante con cui questo paese si è macchiato, ovvero le leggi razziali. Ricordando il rastrellamento del ghetto di Roma e di come abbia fatto a sopravvivere ad Auschwitz (i soldati inglesi che la estraggono se la potevano risparmiare però visto che sappiamo benissimo chi ha liberato i campi di concentramento...); ma soprattutto avvertendo di non fidarsi, perché già una volta avevano creduto che fosse un comico... 
Benito Mussolini è tornato e in realtà scopriamo che non se ne è mai andato realmente, e quelli di cui dobbiamo avere veramente paura siamo noi stessi. Questo è il significato del film.
Lo avranno capito? Credo di no... Quelli poi che accusano l'autore di aver parlato del fascismo in modo ambiguo e di aver parlato più di populismo che di fascismo, forse si sono sentiti toccare, o semplicemente non hanno capito che il film, non parla di Mussolini, ma di tutti noi, perché "Il problema di questo paese è la memoria" e l'immagine di Pasolini sul muro nel finale la dice tutta, perché aveva avvertito per primo del fascismo della società dei consumi.

 
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