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Messaggi del 28/06/2017

 

Film nelle sale da domani

Post n°13903 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema
 

 

 

 
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Transformers 5 incassa quasi 2 milioni nel weekend

Post n°13902 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema
 

Transformers 5: L'ultimo Cavaliere (Guarda la videorecensione) vince il weekend con quasi 2 milioni di euro complessivi, distanziando nettamente tutti i concorrenti. Il film è però partito peggio dei predecessori, com'è avvenuto in gran parte dei mercati occidentali, e non pare avere la forza per migliorare il record del quarto episodio, che con 8,7 milioni di euro ottenne nel 2014 il dato migliore per il franchise nel nostro Paese. Più probabile che Transformers 5: L'ultimo Cavaliere si fermi attorno ai 4/5 milioni.
Sul podio sale La Mummia (Guarda la videorecensione), che sopravanza di poco Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar (Guarda la videorecensione). Il film chiude la settimana con un incasso complessivo di 11,7 milioni, a 300mila euro e spicci da Suicide Squad, che occupa il nono posto della classifica assoluta stagionale. Difficile che il film Disney riesca a superarlo. 

Buon recupero, durante il weekend, per Civiltà Perduta (Guarda la videorecensione), che grazie al passaparola sale fino a quasi 200 mila euro nel weekend, mentre sempre ottime sono le medie di Nerve, che ha superato il milione di euro complessivo. Ultimi botti per Wonder Woman (Guarda la videorecensione), che da noi non ha sfondato e Baywatch (Guarda la videorecensione), un mezzo flop come del resto è stato più o meno in ogni parte del mondo. 
L'unica uscita forte prevista prima della fine della stagione a fine luglio è Spider-Man: Homecoming, in arrivo la settimana prossima: giovedì solo uscite di scarsa caratura commerciale quali 2.22 - Il destino è già scrittoBeDevil - Non installarlaCodice CriminaleIl tuo ultimo sguardo e L'Infanzia di un capo. La stagione è agli sgoccioli e si vede. 
470.779 visitatori: +144,97% vs Comingsoon.it - Fonte Audiweb - dati della giornata di domenica 25 giugno 2017. 

 
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Stefano Rodotà lo predisse: "Con la scusa del terrorismo ci leveranno democrazia e diritti"

Post n°13901 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema

da antidiplomatico

Stefano Rodotà lo predisse: Con la scusa del terrorismo ci leveranno democrazia e diritti
 
Sulla deriva autoritaria in Europa...
 
Quello che è accaduto negli Stati Uniti dopo l'11 settembre è noto. Con le rivelazioni sulla “sorveglianza di massa” della NSA da parte di Edward Snowden sappiamo come quel paese si sia trasformato in uno dei regimi più oppressivi conosciuti in termini di libertà.
Dopo il 13 novembre parigino, l'Unione Europea si appresta a fare lo stesso, iniziando una guerra generale e indistinta a sacrificio di diritti e libertà all'interno.
In una bellissima intervista a l'Espresso del maggio scorso, il noto giurista e candidato Presidente della Repubblica per il Movimento 5 Stelle nel 2013, Stefano Rodotà, anticipava proprio questo, riferendosi alla strage di Charlie Hebdo.
 
Il professore emerito spiegava questo: “Sta accadendo, e non è la prima volta, che utilizzando come argomento, o meglio, come pretesto, fatti riguardanti il terrorismo o la criminalità organizzata si dice 'l'unico modo per tutelare la sicurezza è quello di diminuire le garanzie e di aumentare le possibilità di controllo che le tecnologie rendono sempre più possibile'.
E questo è sempre avvenuto, è avvenuto in particolare dopo l’11 settembre, vicenda che ho vissuto in prima persona perché all’epoca presiedevo i garanti europei e ho avuto una serie di contatti continui con gli Stati Uniti che chiedevano un’infinità di informazioni da parte dell’Europa, cui abbiamo in parte resistito.
 
E sul pericolo della democrazia: “Questo momento rappresenta un passaggio istituzionale importante, vi è una prepotenza governativa, rispetto alla quale i parlamenti non se la sentono di resistere: tanto in Spagna quanto in Francia, in sostanza c’è una accettazione sia della maggioranza che dell’opposizione. In Francia addirittura l’iniziativa è di un governo socialista, anche se sappiamo chi è Manuel Valls e perché è stato scelto. Tutto questo sta spostando l’attenzione e le garanzie nella direzione degli organismi di controllo giurisdizionali, cioè gli organismi che vegliano sulla legittimità di queste leggi dal punto di vista del rispetto delle garanzie costituzionali.
Che sono le Corti Costituzionali in Europa e negli Stati Uniti le Corti Federali.
Non vorrei che si dicesse "Eh cari miei voi la privacy l’avete già perduta perché la tecnologia in ogni momento vi segue e vi controlla", perché la verità è che l’attentato ai diritti fondamentali legati alle informazioni viene dalla politica e questo è il punto. Non è la tecnologia.
 
[….]
 
“La legge spagnola e la legge francese mettono radicalmente in discussione la libertà di manifestazione del pensiero. Finora commettere un reato nell’accesso ad un sito era previsto solo per la pedopornografia. Adesso in Spagna è previsto "l’indottrinamento passivo": il semplice fatto che io vada su un certo sito può essere reato.
D’altro canto, nella norma francese in discussione si è introdotta la possibilità di mettere in rete strumenti che consentono di seguire continuamente l’attività delle persone. Nella legge francese si usa addirittura l’espressione "boîtes noires" per definire dei congegni che riducono le persone ad oggetti, utilizzando un apparato tecnologico per verificarne minuto per minuto, il comportamento. E qui c’è una trasformazione stessa del senso della persona, della sua autonomia, del suo vivere libero. La Germania ha stabilito che non è possibile farlo, esiste una privacy dell’apparato tecnologico che si utilizza, estendendo l’idea di privacy dalla persona alla strumentazione di cui si serve.
Inoltre, relativamente alla possibilità di entrare all’interno dell’apparato tecnologico dell’utente, che è una delle ipotesi al vaglio del legislatore, la Corte costituzionale tedesca recentemente ed ancor più recentemente la Corte Suprema degli Stati Uniti hanno affermato che non è legittimo.
Se la Francia porta avanti questa discussione e la Germania resta ferma sui principi enunciati dalla sua Corte Costituzionale allora avremo nuovamente un’Europa a due velocità, dove i cittadini francesi perdono velocità, perdendo diritti”.
 
Dopo il 13 novembre il carro della democrazia sembra essere partito con tutti i buoi.

 
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È morto Stefano Rodotà, aveva 84 anni da lastampa

Post n°13900 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema

Giurista, politico e accademico. La camera ardente nella sala Aldo Moro della Camera
LAPRESSE

La camera ardente di Stefano Rodotà è stata aperta nella sala Aldo Moro della Camera. Raffinato giurista e appassionato politico, una vita spesa per difendere i diritti e la legalità, Rodotà è morto venerdì a 84 anni. Intellettuale di sinistra, si è contraddistinto per la sua libertà, dalla militanza radicale alla presidenza del Pds. Primo Garante della Privacy, nel 2013 è stato candidato al Quirinale con il sostegno di M5S e di pezzi di centrosinistra. Nell’ultima intervista a La Stampa, smontò il mito della democrazia diretta. 

Nato a Cosenza nel 1933, si laurea alla Sapienza di Roma in Giurisprudenza. Così La Stampa ne raccontava (in un articolo del 2013) gli anni giovanili: «Ha una passione politica antica, sin dagli anni dell’adolescenza, quando correva nella notte all’edicola ad attendere l’uscita del mitico Mondo di Mario Pannunzio. Bambino, nella piccola casa del padre che era un semplice insegnante di matematica di origine albanese, in quella Cosenza in cui si sciolse il Partito d’Azione, passavano personaggi del calibro di Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa. Passione politica divampata subito, nell’animo del giovane Stefano, che s’iscrive al partito radicale di Pannunzio, che conosce insieme a Luigi Spaventa e Tullio De Mauro su presentazione di Elena Croce, ma poi rifiuta di candidarsi in Parlamento per il partito di Pannella. Radicale nella difesa del principio di uguaglianza, in Parlamento Rodotà entra come indipendente nelle liste del Pci».  

 

Primo garante della privacy  

Una volta giunto alla Camera, approda alla commissione Affari costituzionali e vi ritorna nel 1983, quando diventa presidente del gruppo Misto. È prima ministro ombra della Giustizia di Occhetto e poi il primo presidente del nuovo partito della sinistra. Fa parte delle commissioni bicamerali Bozzi e De Mita-Iotti per la modifica della Costituzione. Esce dal Parlamento nel 1994 e torna all’insegnamento universitario, ma nel 1997 diventa il primo presidente dell’Autorità per la privacy e vi rimane fino al 2005. Tra gli autori della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. È stato componente del Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie. Fra i più accesi oppositori del ddl bavaglio sulle intercettazioni proposto dall’ultimo governo Berlusconi.  

 

La candidatura al Quirinale  

Nel 2013 ha firmato l’appello di MicroMega per l’ineleggibilità di Berlusconi e nello stesso anno è stato il candidato per il Quirinale dal Movimento 5 Stelle. Era arrivato terzo alle consultazioni online dei grillini, ma Milena Gabanelli e Gino Strada rinunciarono. «Vivo queste manifestazioni con il giusto distacco ironico, è un periodo ipotetico dell’irrealtà - disse -Ho lasciato la politica parlamentare quasi vent’anni fa, non ho tratto benefici personali dai miei incarichi, ho rifiutato diverse offerte: una volta mi chiamò Prodi dalle Nazioni Unite chiedendomi di fare il commissario della Federcalcio, amo molto lo sport, a malincuore dissi di no. Se guardo indietro vedo che ho fatto sempre quello che mi sentivo capace di fare. E alla mia età mi fa sinceramente piacere che qualcuno si ricordi di me».  

 

La sua candidatura al Quirinale spaccò il Pd (Fabrizio Barca: «Incomprensibile che il partito non appoggi Rodotà»), fu tuttavia ufficialmente appoggiato solo dal Movimento 5 Stelle per i sei scrutini che portarono poi alla rielezione di Giorgio Napolitano (prese 240 voti al primo; 230 al secondo; 250 al terzo; 213 al quarto; 210 al quinto; 217 al sesto). 

 

La famiglia  

Rodotà lascia la moglie Carla Pogliano e due figli, fra cui Maria Laura, giornalista del Corriere della Sera, che ha lavorato anche alla Stampa. In famiglia era soprannominato “il Garante”. La camera ardente resterà aperta anche domenica dalle 10 alle 19. 

 
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Al Baghdadi ucciso dai russi? L'occidente schizofrenico censura la notizia e "insegue" il ministro che l'annuncia

Post n°13899 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema
 

da antidiplomatico

Al Baghdadi ucciso dai russi? L'occidente schizofrenico censura la notizia e insegue il ministro che l'annuncia
 


Il 16 giugno il ministero della Difesa russo annunciava che in un raid compiuto a Raqqa a fine maggio, la sua aviazione aveva ucciso circa trecento terroristi dell’Isis, tra cui molti dei suoi dirigenti. E forse lo stesso al Baghdadi, il capo dei capi.


Mosca non dava certezze in proposito, dal momento che la sua intelligence stava verificando le proprie fonti; resta che si trattava di un annuncio più che esplosivo.


Certo, il Califfo era stato dato per morto tante volte in passato e poi era risultato vivo e vegeto. Ma tali annunci erano sempre giunti da fonti di secondo piano: un funzionario iracheno o siriano, un media arabo o altro del genere. Stavolta a parlare era stato il ministero della Difesa russo, che ha altra autorevolezza, come riconoscevano anche tutti i cronisti e analisti internazionali.


E però la notizia era stata riportata dai media occidentali con certa sufficienza. Pochi gli articoli, più necessitati che altro. Tutti, infatti, si sono limitati a riportare la nuova, mettendone in evidenza l’incertezza e riportando la reiterazione delle smentite precedenti.


In realtà i russi avevano accennato a verifiche in atto. Nessuno ha incredibilmente pensato di chiedere all’intelligence occidentali, che pure ha occhi e orecchi affinati e presenti in loco quanto se non più dei  russi, se stava compiendo verifiche analoghe,


Sottolineiamo quell’incredibilmente perché è davvero impensabile che la sorte del Califfo del Terrore non interessi affatto ai servizi di informazione e alle autorità civili e militari occidentali, che peraltro, anche in questo caso incredibilmente, hanno evitato ogni commento alla notizia, come fosse qualcosa che non li riguardava.


Già, come se i russi avessero notificato la neutralizzazione di un qualche ladro di polli e non di quello che a detta dei massimi esponenti della politica occidentale rappresenta il più temibile nemico dell’Europa e degli Stati Uniti. L’uomo che ha sulla coscienza le stragi di Orlando, di Nizza, di Parigi, di Manchester, solo per citarne alcune delle più efferate.


Una ritrosia dovuta all’incertezza della notizia? Siamo alquanto certi che se la nuova fosse stata recata dal ministero della Difesa americano avrebbe avuto ben altro rilievo. Né l’incertezza spiega l’inerzia e l’afasia occidentale.


Peraltro l’apatia si è ripetuta un giorno fa, allorquando il vice ministro degli Esteri russo Oleg Syromolotov, in un’intervista a Ria Novosti, ha ribadito che la morte del Califfo è «altamente probabile», anche se non ancora del tutto accertata. Dichiarazioni che hanno destato ancora meno interesse delle precedenti in Occidente.


Peraltro val la pena sottolineare che i russi hanno parlato solo una quindicina di giorni dopo il bombardamento, quindi dovevano aver già fatto dei riscontri e aver deciso che si trattava di un’informazione quantomeno probabile. Non solo: in tutti questi giorni il Califfato non ha ancora smentito, come sarebbe lecito attendersi in caso di notizia del tutto infondata.


Certo, potrebbe farlo domani, ma una smentita credibile deve essere fatta necessariamente via video: un filmato nel quale appaia lo stesso al Baghdadi. Perché la smentita risulti convincente, infatti, non basta una semplice dichiarazione.


E in caso di avvenuta eliminazione, sarebbe pericoloso usare un sosia, dal momento che esperti analisti potrebbero scoprire il trucco.


Il silenzio dell’Isis insomma risulta alquanto strano, anche perché più i giorni passano più il dubbio che la notizia sia vera può far circolare incertezza tra le sua fila.


C’è chi ha rilevato che in ogni caso l’eventuale uccisione del Califfo cambierebbe poco, ché morto un al Baghdadi se ne fa un altro. Vero, ma fino a un certo punto, dal momento che l’Agenzia risulterebbe comunque più vulnerabile (e sicuramente “vulnerata”) di prima.


Ma al di là della considerazione, non si vede come la vera o presunta adattabilità dell’Isis a una nuova situazione dovrebbe relativizzare la notizia, che invece resta di primo livello.


Insomma, l’apatia dell’Occidente di fronte alla notizia dell’eventuale neutralizzazione del Califfo resta alquanto inspiegabile. O forse spiegabilissima: non si vuole riconoscere un eventuale merito dei russi nella lotta contro il terrorismo.


O forse la verità è ancora più oscura e indicibile. Tempo fa riportammo la tragica affermazione del senatore americano John McCain, secondo il quale per l’Occidente la Russia è un nemico peggiore dell’Isis.


McCain può essere un pazzo esaltato, ma il clima di caccia alle streghe (sorta di maccartismo di ritorno), che si respira in questi mesi in Occidente lo rende meno molto meno isolato di quanto appaia.

Sono tanti gli ambiti politici, militari e finanziari nonché i media e gli analisti che, se anche non potranno mai ammetterlo pubblicamente, concordano con le idee di McCain.

Da questo punto di vista appare alquanto significativo l’incidente avvenuto tre giorni fa, quando un caccia della Nato ha inseguito l’aereo sul quale viaggiava il ministro della Difesa russo (vedi Piccolenote), allontanandosi solo dopo l’arrivo di un caccia russo.


Un incidente più che simbolico, dacché il caccia della Nato ha minacciato proprio il ministro russo che ha dato al mondo l’annuncio della probabile morte di al Baghdadi. E proprio nei giorni in cui il Terrore colpiva in Europa (attentati a Londra, Parigi, Bruxelles).


C’è qualcosa, anzi tanto, di schizofrenico in tutto questo. Il Terrore non potrà essere battuto se l’Occidente non si lascia alle spalle tale schizofrenia, ponendo un freno agli ambiti internazionali che la stanno disseminando a  piene mani attraverso giornali e Tv.

 
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Intervista ad Ammar Bagdash: "I media hanno smesso di parlare della Siria perché l'imperialismo è stato sconfitto"

Post n°13898 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema
 

da antidiplomatico

Intervista ad Ammar Bagdash: I media hanno smesso di parlare della Siria perché l'imperialismo è stato sconfitto
Il Segretario del Partito comunista siriano: " Adesso che non hanno avuto quella vittoria che immaginavano stanno zitti, ma dopo il fallimento del tentativo di rovesciare il governo, stanno cercando di logorare la Siria con altri strumenti, per questo motivo la battaglia è ancora molto lunga."

di Francesco Stilo, con Bassam Saleh - Marx21

Intervista a Ammar Bagdash, Segretario del Partito comunista siriano


Qual è il ruolo attuale del Partito Comunista Siriano e in cosa consiste il sostegno al governo di Assad?

Il Partito Comunista Siriano ha una posizione ben definita all'interno della società siriana, è un partito che è stato fondato nel 1924 e che ha radici ben piantate tra il popolo siriano. Il nostro dovere attuale è quello di difendere il paese, la nostra terra, dall'aggressione imperialista, ma il partito non dimentica di portare avanti le rivendicazioni sociali, perché più il fronte interno trova risposta alle proprie rivendicazioni più il fronte generale diventa forte e riesce a difendersi dalle aggressioni. In questo senso il nostro motto, da una decina di anni è "difendere la patria, difendere il popolo!".


Qual è l'opinione del Partito Comunista Siriano in merito al socialismo del XXI secolo in America Latina, in merito al partito comunista russo, al partito comunista cinese? E come giudica l'operato dei partiti comunisti occidentali?


Esiste soltanto un socialismo, che non ha niente a che vedere con il luogo o con il tempo, ma che si può trovare già nell'epoca di Gesù Cristo, il problema non è il XXI o il XX secolo, ma ciò che rimane sempre è l'importanza del controllo dei mezzi di produzione, che in questa fase, nella fase dell'egemonia imperialista, sono sotto il totale controllo delle concentrazioni monopolistiche. E' per questo che noi adesso parliamo di socialismo, ma il socialismo come lo intendiamo noi è la proprietà sociale della produzione, di conseguenza qualsiasi cosa che si pone al di fuori del controllo della proprietà sociale è altro rispetto all'interesse del popolo, lo puoi chiamare come vuoi ma non socialismo.


Qual è il punto di vista dei marxisti-leninisti in merito ai recenti sviluppi dello scenario internazionale e perché la Siria si trova al centro della contesa?

Una caratteristica fondamentale del marxismo-leninismo è l'internazionalismo proletario, questo lo ha spiegato Marx, quindi il capitalismo come forza mondiale può essere combattuto con l'unità e la solidarietà di tutto il proletariato. La Siria è al centro dell&#

39;attenzione perché in questo momento si trova in prima linea contro l'imperialismo. Per questo noi diciamo che la nostra lotta contro l'imperialismo americano è una lotta nazionale ma anche internazionale.


Quale significato attribuisce all'attacco americano del 7 aprile scorso alla base di Al Shayrat, con il lancio di ben 59 missili tomahawk?

Esistono due fattori che bisogna considerare per comprendere questo fatto ma i mass media occidentali hanno concentrato la propria attenzione soltanto sul primo fattore, offrendo la lettura secondo cui Trump avrebbe voluto affermarsi, con questo gesto, agli occhi dell'America come un presidente forte. Poi c'è il secondo fattore, che è più importante, ovvero l'annuncio esplicito degli USA di voler avere una propria area di influenza sul territorio siriano, in modo particolare nel nord-est e nel sud-est.


I media italiani hanno recentemente abbassato il grado di attenzione sulla Siria, può illustrarci gli ultimi sviluppi? La Siria è salva? Il popolo siriano può dormire sonni tranquilli?

I media hanno smesso di parlare della Siria perché l'imperialismo è stato sconfitto. Adesso che non hanno avuto quella vittoria che immaginavano stanno zitti, ma dopo il fallimento del tentativo di rovesciare il governo, stanno cercando di logorare la Siria con altri strumenti, per questo motivo la battaglia è ancora molto lunga.


Come giudica il rapporto della Siria con la Federazione Russa?

In questo momento gli interessi geopolitici ed economici della Federazione Russa si incontrano, e in molti aspetti combaciano, con gli interessi nazionali della Siria. Ma noi non ci facciamo nessuna illusione, e sappiamo bene che l'intervento della Russia attuale non è motivato da solidarietà internazionalista, come ci si sarebbe potuti invece aspettare dall'Unione Sovietica, ma ciò non significa che non dobbiamo approfittare delle contraddizioni dei centri di potere internazionali.


In che modo potrebbero cooperare i partiti comunisti del mediterraneo per determinare in chiave internazionalista uno sviluppo della macroregione?

La solidarietà è di fondamentale importanza, la nostra posizione come partito è riassunta nello slogan "Per un fronte internazionalista contro l'imperialismo!". L'unità nei principi e le responsabilità che condividiamo devono essere poste al centro di qualsiasi azione.
 
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ECCO QUANTO GUADAGNA LA RAI GRAZIE A FABIO FAZIO da glistatigenerali

Post n°13897 pubblicato il 28 Giugno 2017 da Ladridicinema
 

27 giugno 2017

In un precedente articolo, mi sono occupato delle polemiche relative il nuovo contratto che il Cda della Rai ha proposto a Fabio Fazio per continuare la sua collaborazione con Viale Mazzini, spostando contestualemente – dalla prossima stagione – “Che tempo che fa” da Rai3 a Rai1. In queste ore, più di un lettore ha chiesto lumi sugli incassi pubblicitari della trasmissione, invitando il sottoscritto a fornire dati precisi per aiutare chi legge farsi un’idea più chiara delle proporzioni tra il cachet pagato a Fazio e quanto questo incida sui guadagni dell’azienda. Rispondo volentieri alla richiesta, aggiungendo qualche numero a sostegno delle conclusioni del passato commento.

I prezzi dei listini pubblicitari dei canali televisivi variano rispetto agli ascolti complessivi delle reti, a quelli dei programmi e alla fascia oraria in cui vanno in onda. Altra variabile considerata, la “qualità” degli spettatori, ovvero il ceto socio economico di appartenenza, l’età media, la scolarizzazione e la posizione geografica. Questo perché – soprattutto rispetto ad alcuni i prodotti e servizi pubblicizzati negli spot, come automobili o altri beni dai costi elevati – il pubblico più ambito (e, per così dire, pregiato) è costituito da chi verosimilmente può divenire consumatore del prodotto sponsorizzato.

Partiamo dagli ascolti. Nella stagione che si è appena conclusa, le trasmissioni condotte da Fabio Fazio su Rai3 sono risultate le più seguite di tutta la programmazione della rete; durante alcuni picchi d’ascolto sono state le più viste di tutti i palinsesti Rai e Mediaset. Nella tabella in basso, la media ascolti di “Che tempo che fa”, “Rischiatutto” e “Che fuori tempo che fa”.



Un risultato sorprendente, se consideriamo il fatto che il programma si è attestato su numeri in linea con le migliori prime serate dei due principali canali televisivi italiani che sono Rai1 e Canale 5 (eccezion fatta per trasmissioni d’eccezione come il Festival di Sanremo, le partite della nazionale di calcio e le prime visioni di alcuni film particolarmente attesi).

Arriviamo, dunque, ai guadagni che derivano da questi ascolti. La pubblicità di Rai e Mediaset è gestita da due grandi broadcaster: Rai Pubblicità e Publitalia. Sono loro a decidere – basandosi su una serie di parametri – il prezzo degli spazi pubblicitari nei vari periodi dell’anno, nelle diverse fasce orarie e all’interno di singole trasmissioni, vendendo pacchetti di spot di diversa durata (soprattutto 10,15 e 30 secondi). Un esempio pratico: nell’aprile 2017, gli spazi di 30 secondi all’interno di “Striscia la notizia” su Canale5 (uno dei programmi con la media ascolti più alta di Mediaset) sono stati venduti a 82.500 euro, mentre nel mese di maggio sono stati valutati 94mila euro (Fonte: Italia Oggi).

Gli spazi pubblicitari di “Che tempo che fa” sono divisi in diversi scaglioni, a seconda dell’orario di messa in onda. Nella tabella in basso, i prezzi di listino degli spot da 15”, venduti in vari pacchetti personalizzati (che comprendono quindi eventuali sconti decisi da Rai Pubblicità in fase di singola contrattazione).

Il prezzo medio per il mese di aprile 2017 è stato di 38.880 euro, salendo a 46.320 nel mese di maggio. Per tutte le reti, il prime time della domenica ha una valutazione nettamente più alta rispetto alla media. La trasmissione di Fazio conta 20 minuti di spot per 64 puntate, con un ricavo medio calcolabile in circa 3 milioni di euro a serata (al netto delle spese e dei pacchetti sconto). È chiaro che parliamo di valutazioni base di listino e che uno spot che cade durante l’intervista di un attore di grido o di una star della musica è probabilmente venduto a un prezzo più alto, così come sono applicati sconti sui prezzi fissati in caso di acquisto di pacchetti di lunga durata, in base alle regole della normale contrattazione tra aziende che si verifica in ogni settore. Gli spazi di “Che tempo che fa” sono stati, nella passata stagione, tra i più “pregiati” delle tre reti Rai e – come detto in precedenza – il loro prezzo è stato fissato basandosi sulla media ascolti della trasmissione e su uno share che nel pubblico laureato sfiora il 20%. La “qualità” del pubblico fidelizzato, d’altronde, è proprio uno dei punti di forza della trasmissione.

Il nuovo cachet di Fabio Fazio (poco inferiore ai tre milioni di euro)? Tutto fuorché spropositato: la cifra, infatti, verrà abbondantemente assorbita dalle 64 puntate previste che, trasmesse sulla rete ammiraglia, produrranno ascolti e quindi ricavi pubblicitari assai maggiori rispetto alla passata stagione.
Ultimo appunto. Un valore aggiunto di Fazio è quello di esser stato l’autore (o il co-autore) delle trasmissioni di successo che negli anni ha condotto, da “Quelli che il calcio” a “Che tempo che fa”. Se il conduttore fosse passato a una rete concorrente avrebbe portato con sé l’intero format e – verosimilmente – gran parte di quel pubblico “pregiato” pagato a prezzo d’oro per ogni secondo di réclame.

Insomma, Fabio Fazio fa incassare molti più soldi di quelli che guadagna e le polemiche sul suo stipendio sono solo l’ennesimo sintomo dell’impazzimento di un paese dove lo sport nazionale è quello di guardare nel portafoglio altrui, il più delle volte per invidia sociale, in altri casi per un rigurgito di egualitarismo ottocentesco ormai caricaturale in un contesto di mercato globale. Il presentatore e il suo pubblico sono dunque un patrimonio della Rai e il rinnovo del suo contratto – per usare le parole pronunciate dal direttore Mario Orfeo a conclusione dell’ultimo Cda – è stato «un passaggio determinante nella strategia di consolidamento della leadership dell’azienda». Con buona pace di chi tira in ballo l’odiato canone, da cui né il presentatore né i suoi collaboratori di “Che tempo che fa” attingono neanche un euro, poiché serve a coprire altre spese. Questa, però, è un’altra storia…

 
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