È da poco calato il sipario sulle elezioni russe e, come ampiamente pronosticabile, i cittadini russi, con un vero e proprio plebiscito, hanno riconsegnato le redini del Paese aVladimir Putin. Il presidente, potrà così proseguire il suo percorso alla guida della Federazione russa, iniziato nel duemila e portato avanti – esclusa la parentesi del delfinoMedvedev – sino ad oggi, consapevole ancora una volta, dell’appoggio incondizionato della stragrande maggioranza del suo popolo. La formidabile percentuale ottenuta dallo “Zar” – 74% – ha letteralmente annichilito gli altri concorrenti. Per dare una misura ancor più lampante di quello che è stato il successo del Presidente rieletto, è sufficiente avere sott’occhio le tabelle delle preferenze e osservare che, il secondo classificato, ossia il comunista Pavel Grudinin, si è fermato appena al 13,5%. Gli altri pretendenti, con la sola eccezione del nazionalista Vladimir Zhirinovsky – che ha portato a casa un onorevole il 6,3% – non hanno raggiunto nemmeno la soglia del due percento. Ciò significa che, del 67,47% che si è recato alle urne, uno su tre ha votato il presidente uscente.

Come da copione, non appena si sono chiusi i seggi ed hanno cominciato a circolare le prime proiezioni favorevoli a Putin, sui media occidentali i soliti paladini della “vera” democrazia – che è considerata tale solo quando a vincere le elezioni sono forze fedeli ai poteri globalisti – si sono affrettati a mettere in moto la macchina del fango, iniziando a sollevare dubbi in merito alla regolarità delle operazioni di voto. Il modus operandi, d’altronde, è costantemente il medesimo; basterà ricordare, per esempio, il caso dei famigerati pirati informatici russi che, secondo i vari “j’accuse” delle testate europee e a stelle e strisce, avevano osato interferire nelle presidenziali del 2016, contribuendo, in modo determinante alla vittoria dell’allora spauracchio di turno del mondo liberal-progressista, Donald Trump. Tutte queste accuse, ovviamente, sono ben lungi dall’essere provate e contribuiscono soltanto a far serpeggiare, nell’opinione pubblica occidentale, i sospetti ed i pregiudizi nei riguardi di Mosca. Oltre a ciò, è interessante constatare come le notizie vengano confezionate a seconda di chi è il protagonista. Prendendo ad esempio la Germania, in cui frau Merkel, dopo aver sudato le proverbiali sette camicie per mettere in piedi un governo di larghe intese, si appresta a governare per la quarta volta. In questo frangente l’evento è stato accolto positivamente, poiché letto come un segno di continuità. Viceversa, il quarto mandato di Putin, è stato presentato come il chiaro segno di una tirannide inestirpabile.

Focalizzandosi sulla realtà italiana, è possibile notare come alcuni giornalisti abbiano gridato allo scandalo, anche in maniera abbastanza scomposta, dopo aver appreso della schiacciante vittoria Putiniana. Le imputazioni, anche in questa circostanza, sono le stesse: brogli elettorali e intimidazioni, più o meno palesi, verso l’elettorato e non meglio precisati “osservatori indipendenti”. In taluni casi, da fonti inaspettate, si è giunti, paradossalmente, a tessere le lodi di quei “coraggiosi russi” che, in barba al sistema dittatoriale vigente, hanno orientato il loro voto verso altri candidati. Fornendo una simile lettura si capisce, una volta di più, quanto parziale e frivola sia la percezione di questi individui. Infatti, da una parte vedono in Putin un ostacolo al processo democratico, tacciandolo di dispotismo, dall’altra rendono omaggio agli elettori che – almeno nel caso dei due partiti posizionatisi sul secondo e terzo gradino del podio – hanno espresso la loro preferenza a partiti che, se al potere, rappresenterebbero una minaccia ben più grave dello Zar per le democrazie atlantiche. Difatti, basterebbe non fermarsi ai nomi dei candidati per osservare che: il secondo classificato è il Partito Comunista della Federazione Russa, che ha mantenuto fondamentalmente idee di stampo leninista, mentre, in terza posizione si trova il Partito Liberal-Democratico di Russia, fortemente conservatore e nazionalista. Tutto ciò aiuta a comprendere quanto poco coerenti e lungimiranti siano questi figuri che pur di sputare veleno, per loro tornaconto, su quello che considerano, o che i loro padroni reputano, il principale antagonista, non esitano a mistificare la realtà – cosa che ricorda molto i ribelli “moderati” siriani o le armi chimiche irachene, tanto per fare un esempio – e a santificare personaggi che diverrebbero interlocutori molto più scomodi per le nazioni europee.

Queste elezioni palesano una volta di più, se mai ce ne fosse ancora il bisogno, quanto sianomenzogneri certi giornalisti. Questo deve servire a comprendere che le cosiddette notizie, pur provenendo da testate ritenute “affidabili”, devono essere prese con le pinze e che è necessario avere una conoscenza d’insieme per poter giudicare, senza correre il rischio di cadere in facili preconcetti, specialmente quando ci rapportiamo con realtà diverse dalla nostra.