Un nuovo neorealismo

Post n°10 pubblicato il 11 Marzo 2011 da gestre

Le condizioni sempre più gravi in cui versa la cultura italiana (vedi rischio di chiusura per Cinecittà Luce, taglio continuo dei fondi), imporrebbero una riflessione seria, non soltanto politica nel senso istituzionale, ma anche della produzione e della distribuzione.

Servirebbe, insomma, un vero e proprio ripensamento di tutto il ciclo di vita del film in quanto tale.

E' cosa nota che, oltre al calo di investimenti statali e al disinteresse del pubblico per le condizioni del cinema italiano, produttori e distributori da anni, per motivi più o meno validi, distruggono quel poco che è rimasto di quella che era un'industria florida sia dal punto di vista economico che culturale.

Si punta a film di sicuro successo, sfruttando volti noti e formule sicure. E non parlo soltanto dei cinepanettoni, che, ovviamente, in un contesto del genere assurgono al ruolo di icona dell'attuale situazione.

All'inizio di questo declino si dava la colpa ad una fantomatica carenza di idee, cosa contestabile semplicemente ponendo ad esempio il cinema americano. Negli USA, infatti, possiamo notare un evidente crisi di idee, con un'industria che punta sempre più ad adattamenti o remake più o meno palesi. Rallenta e non si ferma, però, l'industria.

I nuovi mezzi a nostra disposizione ci offrono nuove possibilità. Sta a noi sfruttarle.

Ci ritroviamo in un momento che, per certi versi, è paragonabile al dopoguerra. E' per questo che è possibile un nuovo neorealismo. Sia dal punto di vista produttivo, che tematico.

Bisognerebbe spogliarsi dello snobismo che ormai sta infettando gran parte degli aspiranti autori cinematografici. Uno snobismo nato forse per reazione ad una situazione culturale tragica, ma che si dimostra come una reazione errata, sfuggita di mano. Una reazione che porta a contrapporre ad un appiattimento culturale verso il basso, una presunta autorialità (segno distintivo è il sentir parlare di autori sconosciuti solo perché "fa fico", e non per una ricerca ed un studio sul tema).

I costi tecnici sono stati abbattuti dall'arrivo del digitale, ed oggi lavorare con macchinari semiprofessionali è possibile. Qui parte la sfida agli autori. Si deve saper scrivere in base ai mezzi che si hanno a disposizione, per poter creare un prodotto veramente valido. Si può, e si deve, tornare a lavorare con attori professionisti e non.

Si potrà contrapporre che non abbiamo personalità del calibro di un Visconti o di uno Zavattini. A questo si può aggiungere il problema reale di una mancanza di confronto tra quanti fanno, o vorrebbero fare, cinema.

Proviamoci, comunque! Magari esce fuori qualcosa di veramente valido!

Anche il movimento, lodevole, dei 100 autori sembra più una sorta di iniziativa politico-sindacale. Che sia il benvenuto. Ma si deve creare una discussione culturale nuova. Cercare di creare opportunità. Sforzarsi di aiutare gli altri per aiutare se stessi.

E’ impensabile, in un momento del genere, vedere in un film spese assurde per una persona o due, a fronte di un calo netto dei compensi per le maestranze. Bisognerebbe cercare di limitare tutti i costi al minimo indispensabile per avere più possibilità di lavoro.

Per quanto riguarda il tasto ancor più dolente della distribuzione, per ovviare ad una mancanza di una legge che tuteli le opere italiane, perché non puntare a nuove forme di visione, quali potrebbero essere le televisioni o internet?

Come al solito la rivoluzione deve partire dal basso, ma se non sappiamo noi lavorare perché questo accada, chiudendoci nel nostro fortino, come possiamo sperare che la spinta ci venga dalla politica o dall’ormai obsoleto sistema produttivo-distributivo?

 
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Be Kind Rewind

Post n°9 pubblicato il 09 Maggio 2010 da gestre
 
Foto di gestre

Michel Gondry, dopo aver forse spinto troppo il pedale del surreale in "L'arte del sogno", torna con un film che è un omaggio delizioso al cinema del passato.
Il cinema imperfetto delle vhs, quando la perfezione (?) del digitale era nei sogni di molti.
Attraverso la comicità di molte situazioni, alcune davvero geniali, Gondry riporta alla mente anche l'artigianalità di certi film.
Il finale, sul filo della "mielosità", è un poetico richiamo ai film muti.
Nota negativa: il sottotitolo italiano. Gondry evidentemente non è ben voluto dai distributori italiani.

 
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Il lamento sul sentiero e Viaggio a Tokyo

Post n°8 pubblicato il 09 Maggio 2010 da gestre
 

LocandinaLocandina

Due film distanti da noi e dalla nostra cultura, che dimostrano cosa dovrebbe essere il cinema.
Si parla di un cinema che racconta, e non di un cinema che filosofeggia.
Ed è un cinema che racconta con una levità quasi impossibile da trovare nel cinema di oggi, ma anche in tanto cinema occidentale degli anni passati.
Importanti lezioni di cinema quelle che vengono dai due autori (Ozu e Ray), lezioni che dovrebbero cercare di capire i fondamentalisti del cinema orientale odierno.
C'è la tendenza, che prima era soltanto di certi studiosi di cinema ed ora si espande come un virus agli spettatori, a vedere, o a pensare di vedere, in un film qualcosa che va oltre le ombre che vengono proiettate sullo schermo.
Il film è principalmente la narrazione di una storia, e questa andrebbe messa in risalto.
Il problema ancora più grave si presenta quando la tentazione arriva agli "autori" dei film stessi. E a quel punto nascono film in cui in 90 minuti succedono soltanto 3 cose, pensando che il resto, fatto di silenzi e di sguardi, sia un bel contenitore di pensieri e messaggi importanti. Ed il bello è che poi gli spettatori di cui sopra qualcosa ce la vedono davvero, anche se magari è il contrario di quel che voleva l'"autore".
Bisogna tornare al cinema de "Il lamento sul sentiero" e "Viaggio a Tokyo" dove anche i silenzi e gli sguardi raccontano una storia.

 
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IL DECALOGO VI (Non commettere atti impuri)

Post n°7 pubblicato il 09 Maggio 2010 da gestre
 
Foto di gestre

Circa 20 anni fa Krzysztof Kieślowski creava per la televisione polacca Il Decalogo, una serie di 10 film da 1 ora, ciascuno dedicato ad uno dei dieci comandamenti, visti dalla parte di un laico. Il risultato è un capolavoro dell'arte filmata.
I dieci film, senza evidenti cadute di tono, possono ritrovare la loro caratteristica sotto un'unica definizione: novelle dolorose.
Difficilmente un film può entrare veramente dentro l'anima delle persone, quest'opera ci riesce però quasi sempre, e gli esempi più vivi sono il primo, il quinto ed il sesto episodio.
Questo episodio, ispirato al comandamento "Non commettere atti impuri", ebbe anche una versione più lunga il cui titolo originale, se opportunamente tradotto, sarebbe risultato "Breve film sull'amore", probabilmente titolo perfetto per la storia narrata, e che invece in Italia è stato ribattezzato "Non desiderare la donna d'altri", sbagliando anche il comandamento a cui è ispirato.
Kieslowski riesce a farci entrare completamente nel dolore dei protagonisti, e ci affascina con immagini di una semplicità unica.
Evidentemente in tv si potrebbe far e anche qualcosa di veramente artistico.

 
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Aurora

Post n°6 pubblicato il 09 Maggio 2010 da gestre
 
Foto di gestre

Sulla locandina della versione restaurata c'è un virgolettato di Truffaut: "Il più bel film della storia del cinema".
Una definizione pesante, ma che la pellicola in questione riesce a reggere senza alcun problema. La dimostrazione, per chi ne avesse bisogno, che un film muto del 1927 possa essere più moderno di uno girato ai giorni nostri.
La capacità di Murnau di utilizzare il mezzo cinematografico è tutto nelle affascinanti scelte stilistiche adottate nei cartelli, e nel montaggio veloce del viaggio verso la città, e nelle "visioni" della vita di città.
Murnau riesce ad illustrare sentimenti, azioni, intenzioni e pensieri come, forse, nessun altro nella storia del cinema. Ed è per questo che si può affermare che Truffaut non sbagliava di una virgola il suo giudizio.
Un film che potrebbe far innamorare del cinema chiunque, e che andrebbe visto da tutti (potrebbe finanche vincere le resistenze in chi vede nei film in bianco e nero, e addirittura muti, il diavolo in persona).

 
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