L'atrabilioso

E' un incrocio pieno di individui eccentrici o borderline, si trova a metà strada tra il manicomio e la letteratura.
Forse sono così tutti gli incroci di città, ma non ne so abbastanza.

Il più temuto è un gigante dagli occhi spiritati. Ama accucciarsi alla maniera dei pellerossa dietro il muretto che separa la corsia degli autobus da quella delle macchine. Dico temuto perché, non visto, può improvvisamente saltare fuori da lì e sputarvi in faccia la sua verità sui russi e gli americani, sugli agenti segreti e sul Vietnam.
Il suo mondo è pieno di nemici, visibili e invisibili, e anche voi non avete scampo. Vostra è la colpa della terribile congiuntura internazionale, vostra la colpa del maltempo e vostra la colpa del morbo della mucca pazza.
A volte se la prende con una categoria specifica. L'ultima volta che l'ho visto è balzato fuori dal solito muretto e, preso di mira un gruppo di passanti, studenti e operai, così si è rivolto loro: "VE LA DO IO LA PATENTE NAUTICA, VE LA DO IO!".
Ai pochi aspiranti navigatori deve essere corso un brivido lungo la schiena.

Un altro ha l'aspetto dell'anarchico d'inizio secolo, enorme, la barba nera, il berretto da rivoluzionario tirato all'insù. Indossa pantaloni blu larghi, da operaio, tenuti su da un paio di bretellacce. Lo si immagina lavorare al fuoco di qualche officina fumosa dei vicoli. Entra in un bar che fa anche da tavola calda alla buona e ordina patate e piselli "abbondanti". Ha modi gentili nonostante l'aspetto burbero, e quando se ne va saluta con voce tonante l'oste: "Buongiorno, signore!" e quand'anche il locale è pieno lui resta lì impalato, enorme davanti alla porta ostruendo il passaggio, e non se ne va fino a quando quello non risponde al saluto.

 Poi c'è una coppia di fratelli. Uno silenzioso, con una gobba vistosa, un soprabito scuro sdrucito, pochi capelli lunghi e neri ai lati del cranio. Cammina storto per una zoppìa vistosa, a passi curiosamente lunghi nonostante la menomazione.
Il fratello lo segue e sembra che il senso della sua vita sia proprio quello: seguirlo e rimproverarlo - nessuno sa per quale ragione; quando resta solo si mette le mani nei capelli a causa dei pensieri che gli deve procurare lo scapestrato.
Il primo non  se ne cura, non risponde mai, va per la sua strada, ricurvo e ostinato, i lugubri lembi del soprabito che svolazzano di qua e di là.

 L'ultimo è il ritratto di Louis Ferdinand Céline, ma non credo che faccia il dottore. Comunque sia, è il suo ritratto sputato, ve lo giuro. Ha un cappotto liso buono per ogni stagione, i capelli bisunti tirati all'indietro. Non parla con nessuno, non guarda nessuno e se lo fa, non  è un'occhiata amichevole.
A casa, forse, tiene un corvo e un gatto.