Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Luglio 2016

 

Asteroidi/2

Post n°274 pubblicato il 31 Luglio 2016 da je_est_un_autre

Il cinema è una faccenda strana. Per far sì che poi sullo schermo la cosa si veda dritta, quasi sempre la devi girare storta.
Per esempio io nel film sono uno che gioca spesso alle slot-machines. Quando abbiamo cominciato a girare la scena, che cosa ho fatto? Mi ci sono seduto davanti, normalmente.
No. Non va bene.
"Lorenzo, avvicinati di più alla macchinetta"
"Così?"
"Di più...di più...ancora più vicino, un po' più a sinistra, più vicino...ancora...perfetto!"
Ecco. A quel punto io e la macchinetta eravamo una cosa sola, praticamente stavamo consumando un coito, ma per l'operatore era perfetto.
Nella scena tanto per cambiare stavo sgridando mio figlio, che naturalmente era lì di fianco. Altrettanto naturalmente, per parlare con lui, lo guardavo dritto negli occhi.
No, troppo comoda.
"Lorenzo, non guardare Nicolas...guarda più a sinistra...di meno...più in alto...più in basso...ecco, lì! Trova un punto di riferimento e guarda sempre in quella posizione"
Chissà quant'è credibile un papà che mentre s'incazza con suo figlio guarda con ostinata determinazione una piccola caccolina sulla parete. Ma se qualcuno di voi avrà un giorno la bontà di dare un'occhiata al film, ci vedrà belli dritti, almeno spero.
E sicuramente nessuno di voi si farà domande sulla qualità del vino che trangugio tutto il tempo, nel film. Beh, sappiatelo: non era il mio amato Velduzzo di Quingtian, nè un comune frizzantino. Era tè. Tè al limone. Tiepido, però. Ne ho bevuto delle secchiate, perchè a inizio scena il bicchiere era pieno e a fine scena dovevo averlo vuotato, e tra campi e controcampi quella decina di ciak li avremo girati.

Insomma è tutto finto però poi alla fine tutto sembra più vero del vero. E questo per me è un mezzo miracolo. Beh, chi ci ha pensato per primo qualche numero ce l'aveva.


à suivre...

 
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Asteroidi

Post n°273 pubblicato il 24 Luglio 2016 da je_est_un_autre

E così, adesso ho cominciato a girare questo film (alè, fischi, trilli, urli sparsi); come attore, intendo. Al cinema fino ad ora ho fatto poco o nulla, solitamente una posa sola (una posa al cinema coincide più o meno con una giornata di lavoro) e di solito mi fanno fare il barista. Stavolta il ruolo è piccolino ma non del tutto marginale: sono il padre di uno dei protagonisti, un uomo sconfitto che si sbronza e si addormenta sempre davanti a casa, nella sua macchina mal parcheggiata e con le luci accese. Il film è una storia di ragazzi nella provincia emiliana, mio figlio è nasuto e con gli occhi piccoli e mi fa una certa impressione perchè potrebbe davvero sembrare mio figlio. Lui ha buon cuore, anche se mi odia abbastanza (nella storia, intendo): ogni sera, quando passa di lì, invece di tirarmi una coltellata, cerca di fare piano, apre la portiera e spegne i fari.
La prima scena che abbiamo girato mi vedeva entrare tutto incazzato nella stanza del ragazzo, reo di avermi rubato le chiavi. Dovevo tirare su la tapparella in tutta fretta e riempirlo di insulti. Il fatto è che nel film ho una mano tutta fasciata per via di un infortunio sul lavoro, e provateci voi a tirare su una tapparella con una mano mezza monca. A farla breve al primo ciak, per la foga e l'imperizia nei movimenti, ho strappato una tenda della finestra. Nessuno se l'è presa. Comunque immaginate una stanza tre metri per tre con  dentro: un operatore, un fonico, una ciakkista, due attori e le luci. Al terzo ciak ci saranno stati 72 gradi, e io già sono un sudatore professionista di mio. Ma i lavori di fatica sono altri. Soprattutto quando nelle scene successive non devi fare altro che fingerti addormentato dentro una vecchia Ford. In fondo bisogna solamente accettare i tempi lunghissimi del set, avere pazienza e aspettare. Ma intanto questo bel giocattolino s'è messo in moto. Vi tengo informati.

 
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Chinatown. La genesi. Un'ipotesi di prologo per uno spettacolo.

Post n°272 pubblicato il 07 Luglio 2016 da je_est_un_autre

Da piccolo, abitavo nella piazza del paese. Proprio di fronte al bar.
Si chiamava, non so perchè, il bar dell'Oca.
La finestra della mia stanza aveva una specie di parapetto in cemento, io sedevo per terra e tra le colonnine spiavo fuori, non visto.
Il bar era affollato e la gente si riversava fin sulla strada. C'era un vociare allegro fino alla sera tardi, specialmente d'estate.
Ma poi chissà se era davvero così. Dicono che i ricordi mutano nel tempo, addirittura si costruiscono da soli, alimentati da racconti, cose viste altrove, sogni.
Chissà se presentivo un destino, oltre i vetri illuminati di quel locale all'epoca ancora rudimentale, spartano, ma soprattutto invalicabile, per me così piccolo.
Quando, più grande, finalmente scesi in strada, presi coraggio e mi dissi: è tempo di diventare grande, andiamo al bar.
Lì dentro son passate generazioni di uomini e anche - per fortuna - di donne. E generazioni di baristi. Ai baffi sardonici di Zàisar seguì la flemma modenese di Fredo e soprattutto della figlia, talmente scattante che venne ribattezzata Florence, come la cameriera dei Jefferson, quella che quando suonavano alla porta il padrone di casa urlava:
"Florence, hanno suonato!"
"Lei è più vicino!" rispondeva quella. Tanto per capirci.
Poi - dopo qualche anno un po' apatico col sonnacchioso Gigi, talmente anonimo e indolente che non mi ricordo più nemmeno che faccia avesse - ecco, un giorno, mentre ero alla mia solita postazione a leggere Repubblica, vidi entrare un orientale. Giacca e cravatta e valigetta, capelli imbrillantinati, serissimo. Mi si avvicinò.
"Tu essele padlone?"
"Ehm..no"
"Dove essele padlone?"
"Non saprei, forse nel retro. ...Gigi!"
Gigi arrivò. Si sedette a un tavolino con  l'orientale, che aprì la valigetta.
Gigi ebbe un sussulto. Era la prima volta nella sua vita, suppongo. La trattativa non ebbe bisogno di ulteriori incontri.
Due giorni dopo il glorioso bar dell'Oca aveva cambiato nome.
Era nato Chinatown.

 

 
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