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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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La "nottata" del teatro televisivo

Post n°445 pubblicato il 06 Maggio 2011 da arieleO
 

A proposito dei rifacimenti eduardiani mandati in onda da Raiuno (e quindi anche a proposito di «Napoli milionaria!», che mercoledì è stata seguita da quasi cinque milioni di spettatori, risultando il programma più visto della serata), credo sia arrivato il momento di sgomberare il terreno da tutta una serie di equivoci e falsi problemi, tanto perniciosi quanto fuorvianti. Il primo degli equivoci riguarda il presunto ripescaggio del teatro in tv, il primo dei falsi problemi concerne la non meno presunta traduzione in italiano dei testi.
   Dovremmo una buona volta convincerci che stiamo parlando di prodotti televisivi. E rispetto alla televisione il teatro è assolutamente e inesorabilmente un'altra cosa: il teatro si esprime con il corpo e la televisione con l'immagine, il teatro è fondato sulla profondità e la televisione sulla superficie, il teatro comunica per simboli e la televisione attraverso il realismo riprodotto, il teatro innesca una fruizione attiva (o, meglio, interattiva) e la televisione ne induce una passiva. E per quanto concerne il primo dei falsi problemi, basterebbe ricordare che, in fondo, già Eduardo si preoccupò - nell'ambito della discorsività propria del teatro borghese - di tradurre, assai spesso, il napoletano in italiano.
   Tanto per fare un esempio, non è Filumena Marturano che, rivolgendosi all'avvocato Nocella, prima dice: «chilli vascie» e poi traduce: «i bassi», prima dice: «Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno» e poi, addirittura implorando venia («Io parlo napoletano, scusate»), traduce: «Dove non c'è luce nemmeno a mezzogiorno»? Parliamo, allora, del prodotto televisivo in sé, e giudichiamolo in quanto tale e solo in quanto tale. Il teatro, ripeto, è assolutamente e inesorabilmente un'altra cosa.
   Ebbene, è appunto il bozzetto naturalistico di stampo televisivo che propone Massimo Ranieri in quanto regista: ci fa vedere, e con abbondanza di particolari, anche quello che avremmo potuto benissimo fare a meno di vedere perché già implicito nel testo di Eduardo. Consideriamo solo il viavai dei militari americani nel vicolo. E questo, per giunta, nel solco di un'insistita ridondanza dei «segni» che rispetto alla «Napoli milionaria!» originale qui vengono inventati: i pali che sostengono la volta pericolante del basso di Gennaro Jovine, le sigarette dell'Amalia «formato dopoguerra», la stretta di mano fra il brigadiere Ciappa e il «morto» resuscitato, la folla strabocchevole che balla il boogie-woogie intorno al reduce frastornato...
   Ma non era proprio Eduardo che predicava la sottrazione e sparava a zero contro l'accumulo? In ogni caso, è nel quadro sin qui descritto che va collocata la prova attorale di Massimo Ranieri (ovviamente Gennaro Jovine), di Barbara De Rossi (ovviamente Amalia Jovine) e dei loro (per la verità piuttosto avventurati) compagni di lavoro. Ma infine, perché non la smettiamo di fare di Eduardo un santino e non ci decidiamo a collocarlo nella storia? A Ranieri rammento la messinscena di «Napoli milionaria!» firmata nel '93 dal primo dei suoi maestri, Peppino Patroni Griffi: Amedeo non tornava, e si capiva che, nonostante le disperate condizioni della sorella Rituccia, andava a fare il «colpo» previsto insieme con Peppe «'o Cricco» e, quindi, veniva arrestato.
   Il teatro vive nel tempo che passa, no?

                                                 Enrico Fiore

(«Il Mattino», 6 maggio 2011)

 
 
 
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